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Autore: kurojulia_    04/10/2020    0 recensioni
Una raccolta di vicende. Una raccolta di speciali episodi per ognuno dei personaggi del mondo di
Vampire Devil. Eventi importanti, eventi insignificanti.
[Da leggere DOPO la storia principale.]
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Anger & Realization.




 

Fissavo la sua faccia, come se stessi cercando di imprimermi nella testa i suoi lineamenti, nemmeno corressi il rischio di dimenticarmeli.
A ripensarci, in molti dicevano che eravamo tali e quali, con piccole differenze. Mia moglie diceva, quando ero arrabbiato – no, seccato –, che c'era un piccolo bagliore nei nostri sguardi, ma di colori molto, molto diversi; nel mio, diceva, c'era un bagliore di colore blu. Nel suo, in quello di nostro figlio, rosso.

Era vero. Nel cipiglio incattivito di mio figlio ci vedevo del rosso. Nelle sue sopracciglia inarcate, a nascondere le palpebre, nelle grinze al ponte del naso.

Spesso pensavo che, se mi avesse mai detto "Senti papà, fammi un favore e non farti vedere mai più", non mi sarei affatto sorpreso. Né indignato o infuriato. Invece, avrei provato una sorta di sollievo perché, per una volta, era stato sincero.

Mio figlio era un ragazzo onesto. Misericordia, era davvero onesto – ma non sincero. Non con me, non con sua madre, e direi nemmeno con suo fratello minore.

 


Poi, una mattina di pioggia scrosciante, di venerdì, io e lui avevamo raggiunto il nostro culmine.

Gli avevo dato uno schiaffo e, con quel colpo, la sua testa aveva sbandato di lato. La sua guancia si era subito colorata di porpora. Lo guardavo, in cerca di una risposta; lui aveva schiuso la bocca, e i capelli – sempre lunghi, sempre arruffati – gli graffiavano la parte alta del viso. Ancora una volta, nascondendolo.

Ero spiritato. Ero così furioso e deluso da stare male. Eppure, all'esterno, indossavo mandibole serrate e una fronte distesa. «Ti rendi conto di quello che hai fatto?», dovevo essere di ferro. Come tutte le volte. Volevo essere di ferro.

Lui non rispose.

«Rispondimi. Ti abbiamo cresciuto così? Ti abbiamo insegnato queste cose?». Sentii le mie narici dilatarsi, da sole. Il mio petto si gonfiò di un pesante sospiro. «TAKESHI!».

 

Con uno scatto, Takeshi vi voltò verso di me. Guardandomi dritto in faccia, lessi nei suoi occhi scuri tutto l'odio e lo sdegno che provava. Forse per lo schiaffo, forse perché di fronte a lui c'era suo padre. La guancia gli faceva male, era chiaro, ma era immobile come una roccia. Non tremava, il suo corpo non era sottomesso a nessuna emozione primordiale. Coronato dalle ciglia, il suo bagliore rosso mi penetrava da parte a parte, lasciandomi quasi sbigottito.
Takeshi alzò la mano sinistra, con la manica della felpa sulle nocche, e sollevò il cappuccio per calarselo in testa. Un gesto lento, indolente. Poi scosse lentamente la testa.

«Tu non c'entri niente con ciò che sono. Tu non sei un bel niente».

E se n'è andò.


A quanto pareva, era lui, quello di ferro.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Calpestavo il pavimento, avanti ed indietro, infuriando come un treno. La stanza era già abbastanza piccola e, probabilmente, la mia presenza serviva solo a renderla più angusta. Sbuffando dalle narici, riuscii a fermarmi, piantando le mani sul tavolo accostato sotto la finestra. Su quel tavolo c'era qualche sacchetto di cosmetici, un asciugacapelli, una spazzola...

Sollevai il capo, osservando l'ampia distesa di verde attraverso la finestra aperta.


Non riuscivo a ricordare l'ultima volta che avevo provato una tale agitazione. No, “agitazione” non era la parola giusta. Ero emozionato.

Per molte ragioni, avevo pensato che Shin sarebbe stato il primo a compiere un passo simile. Shin era sempre stato quello obbediente, il figlio docile, se vogliamo. Crescerlo, in un certo senso, era stato rilassante.

Ancora adesso, mentre attendevo l'arrivo di quel delinquente di mio figlio – ancora una volta, mi stavo sbagliando: era un uomo. Quante volte l'avevo chiamato così? Delinquente. Oppure, teppista. Quante volte mi aveva fatto infuriare? E quante volte avrei voluto arrendermi e abbandonare ogni sforzo. Volevo portarlo sulla retta via. Mio figlio maggiore non poteva essere una canaglia.
Doveva diventare la persona che avevo deciso.

Che idiota ero stato. Affondare le mani nel suo cervello per convincerlo a studiare. A frequentare un doposcuola. A vestire impeccabile. A trovare una moglie istruita e di buon educazione.

Che idiota.

 

«Papà, sei pronto? Tra poco dovremmo andare». La porta si aprì. Mi voltai, schiodando i palmi, e vidi mio figlio sull'uscio con indosso il suo abito nero da cerimonia. Si spazzolava la nuca con le dita, con un sorriso nervoso. «Anzi, potremmo parlare due minuti? Sono leggermente nel panico».

Sorrisi. «Vieni qua, vediamo cosa possiamo fare».

 

Era accaduto. Senza il mio aiuto, con le sue sole forze.

 

Mio figlio, Takeshi, era diventato un uomo.

   
 
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