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Autore: SoraWalker    05/10/2020    0 recensioni
[...]Eppure, non era della sua incolumità che il piccolo mago aveva paura, ma quella degli altri. L’ansia costante che qualcosa, prima o poi, sarebbe andata storta lo divorava da dentro, gli mordeva le budella come un mastino degli inferi. Il corpo si irrigidiva, le dita non erano più sotto il suo controllo e si irrigidivano in posizioni non naturali.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Una di quelle notti



Era una di quelle notti, di quelle che sai che arriveranno, ma speri sempre che non arrivino. Fuori dal castello imperversava una tempesta. Un velo bianco di fredda neve copriva il cielo e le raffiche di vento si abbattevano sulla dura pietra, come se il loro scopo fosse entrarvi dentro. Gli alberi venivano sbalzati da una parte all’altra, il legno strideva in un grido quasi umano. Questo è ciò che attendeva il giovane mago fuori dalle mura sicure della roccaforte magica.

La tempesta era la manifestazione del suo animo, e lui sapeva che tutto ciò, da lì a breve, non avrebbe avuto più importanza. Sarebbe stato solo un brutto ricordo il giorno dopo. Malinconico e rassegnato, il piccolo studente usciva furtivo dal ritratto sul muro. Un semplice pezzo di tela, pensava, una semplice tela incorniciata. Non aveva mai dato peso a quel quadro, il castello ne era pieno. Ma in quel momento, come una pasqua, scoprì quanto peso invece avesse nel suo cuore. Era la porta sicura di quella che chiamava casa, una porta senza battenti e senza maniglie, ma così forte nel tenerlo al sicuro dagli incubi del mondo esterno.

Abbandonato quel pensiero rassicurante, tornò a muoversi per la scuola silenzioso come un fantasma, assorto in oscuri pensieri. Le donne e gli uomini dei quadri dormivano sereni, e come potevano non esserlo; erano solo quadri ormai. Sbiadite ombre delle persone che erano in vita. Quanto avrebbe voluto essere uno di loro quella notte. Semplici pennellate sulla nuda tela, degli occhi, un viso e il mondo fuori, intangibile e lontano.

Anche questo pensiero passò via in un lampo, era, come i tanti, una distrazione temporanea, un modo per non pensare, per non paralizzarsi dal terrore. Eppure, non era della sua incolumità che il piccolo mago aveva paura, ma quella degli altri. L’ansia costante che qualcosa, prima o poi, sarebbe andata storta lo divorava da dentro, gli mordeva le budella come un mastino degli inferi. Il corpo si irrigidiva, le dita non erano più sotto il suo controllo e si irrigidivano in posizioni non naturali. I denti stringevano in una salda presa le gengive, e piccoli spasmi muscolari si irradiavano su tutto il corpo, facendolo sembrare sotto uno strano incantesimo.

Adesso, però, non poteva abbandonarsi in tale disperazione, la tempesta lo avrebbe nascosto e avrebbe protetto tutti gli ignari studenti appisolati nei loro letti, al caldo. Lui, invece doveva uscire fuori, al freddo della notte.

Quando il vento lo investì con tutta la sua potenza i polmoni si riempirono di aria gelata che gli bloccò il respiro. La gola, ad ogni respiro, sembrava invasa da un nido d’api. Ma il passaggio segreto non era lontano e quando vi entrò non si senti al sicuro, anzi, la sua era una lenta marcia verso l’inevitabile, verso una morte temporanea dell’anima. La tentazione di tornare indietro era forte, pensava che se si fosse concentrato abbastanza non sarebbe successo niente, che avrebbe potuto mantenere il controllo. Ma non si scappa al destino, a quell’infame biscazziere che ti lascia sempre a tasche vuote.

Il percorso finì, e si ritrovò ancora una volta in quel luogo diroccato, ammaccato e precario sotto il peso delle stagioni. Il giovane salì fino all’ultimo piano e aprì lentamente le tende delle finestre, e una fioca luce entrò. “ho ancora tempo”. Il mago si mise al centro della stanza e iniziò a denudarsi. Piegò con cura i suoi vestiti e li appoggiò in un angolo. Tornò al centro e si incatenò come un animale in quell’oscura stanza. La tempesta, fuori, rallentò la sua morsa sugli alberi e dalle grigie nuvole della notte eccola arrivare, la luna, la puttana del destino. La sua luce investì la stanza e il giovane mago iniziò a dimenarsi con veemenza, gridando come se la sua voce potesse fermarla.

«NON VOGLIO! NON PIÙ, NON ANCORA, NONONO»

Ma delle sue parole, la luna, se ne faceva poco. Essa elargiva il suo pagamento: il suo cuore, la sua anima. Lui sapeva, sapeva che man mano, pezzo per pezzo ciò che era si sarebbe sgretolato sotto gli artigli notturni. Questo, non poteva permetterlo, non oggi, né mai:

«IO SONO REMUS LUPIN, IO SONO REMUS LUPIN, IO SONO REMU…»

Le parole gli morirono in gola, il cuore si rimpicciolì fino a scomparire e la luna cadde su di lui con tutto il suo peso fino a inglobarlo. Remus Lupin era appena morto. Qualcos’altro ne stava per prendere il posto, e non aveva la sua dolcezza.
Il collo si irrigidì all’indietro in una posa innaturale, portando la testa quasi a toccare la schiena. Le ossa fremevano, il sangue ribolliva di pure estasi animale. Uno sonoro crack investì quel luogo solitario, e il corpo di quello che prima era Remus Lupin si accasciò a terra, immobile. Un corpo deforme, senza vita, freddo in quella notte di tempesta. Poi, dalla carne arrivò il mostro, il lupo stracciò la pelle del mago e uscì ululante dal cancello della gabbia, Remus stesso.

Al rumore del vento e degli alberi si aggiunsero i passi felpati del mostro che, liberatosi delle sue catene, si muovevano famelici nella neve, lasciando grandi impronte. Ogni suo ringhio era uno sgarro al suo carceriere. Nella bianca neve dell’inverno il mostro assaporava la sua libertà, ma non era il solo. Fiutò in lontananza odori conosciuti. Dagli alberi emersero tre figure: una nera e pesante, una piccola e quasi invisibile e un’ultima grande e aggraziata. Come provenire da un luogo lontano, nella testa del mostro riecheggiarono le grida del suo carceriere: “Io sono Remus Lupin”.

Era una di quelle notti, di quelle che sai che arriveranno, ma speri sempre che non arrivino. Ma per la prima volta, il giovane mago non era solo.
 
   
 
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