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Autore: erinrollins    10/10/2020    1 recensioni
Il primo incontro tra Legolas e Aragorn è un qualcosa che accade dettato non solo da intrecci e azioni umane, ma dato per lo più dal destino. Questo Thranduil lo ha percepito, ed è il motivo per il quale non apprezza Aragorn, fin da subito. Vorrebbe un destino sicuro per Legolas, dove possa vivere l'eternità lontano dai guai e da una possibile morte; per quanto sciocco sia, sa anche che tenerlo lontano dal destino che lo stesso figlio va cercando, è uno sbaglio.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Yaoi | Personaggi: Aragorn, Elrond, Gandalf, Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aragorn era partito con Gollum a seguito durante la notte, esattamente come programmato con Gandalf. Con il favore dell’oscurità erano riusciti a dare una bella botta alla loro marcia, che era proseguita senza intoppi, dando loro una certa costanza e cadenza a differenza dell’andata dove si erano dovuti fermare più volte. Anche Gollum sembrava essersi calmato e il loro buon passo era per la maggioranza dovuto a questo. Il prigioniero lo seguiva senza indugiare o fare schiamazzo, tanto che il ramingo fu quasi tentato di togliergli il bavaglio dalla bocca; ovviamente l’idea fu accantonata, dato che non si fidava completamente della creatura. 
Dopo quasi undici ore di camminata costante fecero in tempo a vedere il Sole spuntare dalla piana, prima di inoltrarsi nuovamente in quello che era Bosco Atro. Il futuro Re di Gondor fece qualche calcolo tra sé e sé, se il Sole stava sorgendo proprio mentre loro stavano entrando nella foresta quanto ancora avrebbero dovuto camminare? Probabilmente poco. Il Reame Boscoso non era troppo lontano dalla foresta, non dal punto in cui erano entrati loro, per la precisione a Nord. Sarebbe bastato proseguire a Est per raggiungere Re Thranduil e consegnare un Gollum rassegnato al suo destino, non più di due o tre ore se avessero tenuto quel passo. Potevano quindi permettersi una pausa, riposare un’ora o poco più prima di ripartire. Sì, così avrebbero fatto. Cercare una radura dentro Bosco Atro era una pazzia, di questo Aragorn era ben consapevole, quindi si fermò davanti al primo tronco riverso a terra che sembrava meno marcio e meno umido rispetto ai tanti altri. Si sedette e anche Gollum si accucciò a terra, premendo la spalla contro il legno, quasi nel tentativo di nascondersi. Il ramingo provò una pena infinita. Sebbene Gandalf non avesse fatto altro che redarguirlo Aragorn non poteva farne a meno, essendo buono e ugualmente gentile. Afferrò la bisaccia in pelle dove teneva l’acqua e pian piano si spostò sul tronco, tanto quanto bastava per avvicinarsi alla creatura e porgergliela.

“Ci siamo fermati per riposare. Sono molte ore che camminiamo, ma non ci resta molta strada da fare per arrivare a destinazione. Puoi bere, se vuoi.” 

Gollum aprì gli occhi enormi e acquosi con più attenzione, pareva stupito dalla gentilezza di Aragorn. Afferrò la bisaccia e quando lo fece il ramingo, con cautela, sciolse il nodo del bavaglio, per permettergli di bere. Gollum sembrò inizialmente incerto sul da farsi, ma pian piano si avvicinò la bisaccia alla bocca riuscendo forse a berne una o due gocce, non di più. Comunque sembrò bastargli, perché con i polsi ancora legati tra loro si sporse appena per restituire l’oggetto al suo proprietario. Aragorn abbozzò un sorriso riprendendola e chiudendola, prima di rimetterla al suo posto, sul suo fianco. 

“Il Signore è gentile, sì. Non come quello spocchioso vecchio, brutto-” 

“Piano con le parole.” 

Il ramingo lo riprese in tempo, prima che potesse dire qualcosa di brutto su Gandalf (come se non l’avesse fatto fino a poche ore prima). Ma lo sguardo che gli riservò era meno carico di serietà, era più rabbonito dall’aria spaurita di Gollum, che fino a quel momento era stato tutto fuorché calmo e tranquillo. Non come in quel momento. 

“Gandalf è una brava persona e ti ha lasciato andare, anche se hai causato un brutto guaio.” 

“Brutto guaio? Brutto guaio, io, Tesssoro?! AH!” 

Gollum mandò teatralmente gli occhi all’indietro, lasciandosi cadere a sedere in modo scomposto e decisamente melodrammatico. Aragorn si guardò attorno e tentò di acuire ancor di più i sensi. Troppo rumore, e in quel luogo un secondo era sufficiente per renderli facili bersagli di qualunque cosa fosse lontano nel raggio di qualche metro. 

“Sono gli hobbit il brutto guaio! Loro mi hanno rubato il mio Tesoro! Tesoro, Tesoro, sì! LORO. HANNO. RUBATO! QUESTO E’ UN BRUTTO GUAIO!”

“Zitto, calmati-” 

Aragorn sembrò preso alla sprovvista dalla reazione esagerata di Gollum. Sapeva esattamente di cosa stesse parlando, ed era il motivo per il quale sarebbe dovuto andare a Brea dopo averlo consegnato a Re Thranduil… sempre se ci sarebbe arrivato. Afferrò di nuovo il bavaglio, velocemente, cercando alla rinfusa di rimetterlo a Gollum che però fu abbastanza pronto da scalciare e dimenare le mani il giusto da rifilargli una bella botta allo stomaco. L’uomo cadde all’indietro e si stupì di quanto quella creatura scheletrica fosse forte, ma non ebbe il tempo di fare nient’altro. Proprio mentre si stava rialzando si accorse che non troppo lontano da lì stava accadendo qualcosa. Anche Gollum sembrava averli sentiti e si era accucciato nuovamente contro il tronco, mani e braccia attorno alla testa di modo da farsi più piccolo possibile. E, soprattutto, si era zittito, quasi come se si fosse dimenticato l’affronto di cinque secondi prima. 
Aragorn fece uno sforzo per appiattirsi contro al tronco nonostante il dolore, mentre le grida e le urla si facevano più distinte. Sembravano orchi che scappavano; altri orchi invece combattevano, probabilmente era un piccolo drappello che stava tornando o avanzando da Dol Guldur, l’antica Amon Lanc elfica ormai presa da Sauron.  La fortezza era tutt’altro che lontana, poche ore di camminata, forse un giorno a tirarla lunga. Che Bosco Atro non fosse particolarmente sicuro da quel punto di vista era ben chiaro sia ad Aragorn che a Gollum, l’incognita però era chi stava combattendo contro gli orchi. Il ramingo gemette appena, si aggrappò al tronco per drizzarsi un po’, per tentare di vedere oltre al legno mezzo marcio. La visibilità era pessima, ma scorgere qualcosa nell’oscurità non sarebbe stato un problema per il Re dei Dunedain. Gollum lo guardò con terrore mentre si sporgeva appena, fece anche per afferrargli il braccio e ributtarlo giù, evidentemente non voleva rischiare di farsi scoprire.

“Cosa fa il Signore?!” 

“Stai giù e stai zitto.” 

Lo mormorò mentre si riappropriava del braccio, sporgendosi nuovamente se non per vedere, per sentire. Le ultime sferragliate, le ultime grida, uno spostamento d’aria in lontananza che poteva appartenere ad una freccia scoccata da un arco ben bilanciato. Poi più niente, di nuovo il silenzio dell’oscura foresta. Solo il respiro pesante di Gollum e anche quello di Aragorn, che cominciava a prendere coscienza della situazione.

“Elfi.” 

Lo pensò e gli uscì sotto forma di sibilo dalle labbra. Il fatto che gli elfi fossero a caccia di orchi significava che sì, erano nei loro territori, ma anche che erano facili prede. Gli elfi del Reame Boscoso non erano ponderati come quelli di Gran Burrone e un dialogo con uno di loro poteva essere una battaglia persa in partenza. Avrebbe preferito presentarsi in modo diverso, certo non facendosi trovare in giro per i loro territori con Gollum al guinzaglio e, soprattutto, senza aver la certezza di parlare con qualcuno che potesse capire la situazione. Non che Thranduil potesse essere quella persona, ma comunque…

“Dobbiamo ripartire. Adesso. Dobbiamo raggiungere le Sale di Thranduil.” 

Aragorn lo mormorò a Gollum come per informarlo del fatto che non avrebbe sentito ragioni, sarebbero ripartiti e anche subito, ma la creatura sembrava presa da qualcosa alle sue spalle, a quanto pare molto più imperiosa di lui. Probabilmente era più imperiosa e importante perché aveva un arco in mano, Aragorn poteva dirlo perché la punta della freccia era proprio contro la sua nuca. 
Alzò le mani senza sapere chi avesse dietro di sé, ma il profumo d’incenso e la punta ben tagliente gli suggerirono che si trattava proprio di un elfo. Ogni sua preoccupazione era diventata realtà. Si voltò molto lentamente, sguardo basso a terra e testa appena chinata in segno di rispetto, chiunque fosse era meglio mettere in chiaro le cose sin da subito, non era lì per creare guai. Quando ebbe completato il giro la punta della freccia centrava la sua fronte. 

“Aaye. Amin naa tualle.” Salve. Sono ai tuoi servigi.

Chinò ancor di più la testa e fu solo in quel momento che provò ad alzare lo sguardo, solo quello. Davanti a lui c’era un elfo con lunghi capelli dorati raccolti solo sul davanti, come usavano fare. Gli occhi erano color ghiaccio, Aragorn non avrebbe saputo descrivere quel colore in altro modo; così freddi, ma se li si guardava bene ardevano come solo il fuoco sapeva fare. Era vestito di verde e argento e la sua armatura era minimale, probabilmente era così agile e veloce che non ne aveva bisogno. Chi lo avrebbe mai potuto colpire?
Era così diverso da ogni elfo che Aragorn aveva incontrato fino a quel momento, di una tale bellezza e regalità che lo avrebbe potuto paragonare ad Arwen. Dietro di lui uscirono dalla boscaglia pochi altri elfi, ma nessuno come quello che aveva davanti. Due puntarono l’arco contro Aragorn, mentre uno lo puntò verso Gollum. 
Il ramingo sembrò destarsi solo in quel momento, ricordandosi della situazione in cui erano finiti; sapeva che l’elfo l’aveva compreso e aveva potuto notare il sopracciglio inarcato, stupito e sospettoso nel sentirlo parlare un elfico perfetto. Doveva riprovare.

“Lle naa curucuar. Ho sentito la tua freccia da qui.” Sei un abile arciere. 

Gli elfi che prima non lo avevano sentito parlare si guardarono per un attimo e uno di loro tentò di attirare l’attenzione del biondo, che era concentrato solo su Aragorn. Avevano bisogno di istruzioni chiare; il fatto che l’uomo parlasse un perfetto elfico li confondeva.

“Hir Nin Legolas.” Legolas, Mio Signore.

Fu l’elfo che puntava Gollum a sussurrarlo, il che fece capire a Aragorn che non poteva che essere di grado superiore. Quel “Mio Signore” lo fece ben sperare e, soprattutto, la diceva lunga sul suo aspetto decisamente diverso da quello dei suoi sudditi. Legolas inoltre era un nome che nella sua mente risuonava forte e chiaro, un nome che aveva spesso sentito a Gran Burrone. Sì, era un elfo importante.
Il richiamo del suo soldato sembrò funzionare, perché l’elfo si mosse appena solo in quel momento e, finalmente, donò una voce a quello che era un bel corpo.

“Pedich i lam edhellen?” Parli lingua elfica?

“Nà, Hir Nin.” Sì, Mio Signore.

Aragorn abbassò nuovamente la testa, annuendo. Ancora non aveva abbassato le mani, non sapeva se poteva farlo e nel dubbio preferiva gli fosse gentilmente concesso.

“Man eneth lin?” Quale è il tuo nome? 

Di risposte a questa domanda ce n’erano molte. Era stato chiamato Estel dagli elfi, Grampasso dagli uomini, Thorongil dai Raminghi dell’Ithilien, ma il suo nome rimaneva uno ed era quello da cui ormai da molti anni tentava di fuggire. Sapeva però che in quel momento era l’unico nome che gli avrebbe dato una via d’uscita sicura; essere sincero lo avrebbe ripagato ed avrebbe ripagato anche il loro futuro rapporto di amicizia, di questo il ramingo ne era sicuro.

“Aragorn i eneth nin. Man eneth lin?” Il mio nome è Aragorn. E il tuo nome quale è?

La risposta causò un cambiamento in Legolas, che si fece più attento e serio. L’elfo addolcì appena lo sguardo e sembrò esitare per un attimo, tanto da abbassare leggermente l’arco. Davanti a lui c’era Aragorn, colui che era conosciuto come il vero Signore di Gondor, l’Erede di Isildur, Capitano del Nord, quello che sarebbe dovuto diventare il Grande Re un giorno non troppo lontano. Questo sembrò convincere Legolas, che abbassò l’arco, guardandolo negli occhi. Solo in quel momento Aragorn si azzardò ad abbassare le mani, rilassandosi.

“Man eneth lin?” Quale è il tuo nome?

Aragorn sapeva già il suo nome, ma solo per sentito dire da uno dei suoi soldati. Voleva che si presentasse lui stesso e per questo insistette. 

“Legolas i eneth nin. Valin ie echo lyaa su hanya, Aragorn.” Il mio nome è Legolas. Sono felice di conoscerti, Aragorn.

L’elfo si chinò appena con la mano sul petto, in segno di saluto e rispetto. Aragorn fece lo stesso, con il leggero sorriso gentile che lo contraddistingueva. I due si guardarono per quelle che sembrarono ore, come se potessero parlarsi attraverso lo sguardo, fino a che gli occhi glaciali di Legolas non si posarono su Gollum. In un secondo tirò nuovamente l’arco, ma Aragorn potè percepire il moto di disgusto dell’elfo qualche secondo prima che preparasse l’arco e per questo si mise subito nel mezzo. Legolas lo guardò con fare allucinato, come poteva proteggere una creatura che emanava quell’oscurità? Malizia e oscurità.

“Gurth an glamhoth! Dago han!” Morte alle creature malvagie! Uccidilo!

Nell’impossibilità di farlo lui stesso ordinò ad una delle sue guardie di farlo. Aragorn si posizionò meglio di fronte a Gollum, che terrorizzato piangeva contro il legno, di modo che non potessero colpirlo senza prendere anche lui.

“Hon avo dhago! U’-anìron!” Non ucciderlo! Non è ciò che voglio! 

Aragorn lo disse con fermezza, guardando Legolas ancora per niente convinto. Ma era ovvio che non si sarebbe spostato, non gli avrebbe lasciato uccidere quella creatura, e di importante c’era solo il perché. Probabilmente era la motivazione per la quale Aragorn era arrivato fino a lì. 

“Perché sei qui, erede di Isildur?” 

“Chiedo colloquio con Re Thranduil, Mio Signore. E riguarda anche lui, il suo nome è Gollum.” 

Il biondo fece segno di abbassare le armi e così fu. I suoi uomini abbassarono gli archi mentre si scambiarono occhiate veloci e quasi divertite, come se Aragorn avesse chiesto qualcosa di divertente e sorprendentemente irreale. E dai racconti che erano arrivati alle sue orecchie sul Re del Reame Boscoso poteva anche capire perché. Legolas fu l’unico che sembrò un po’ più preoccupato che divertito. 

“E non ti basta parlare con suo figlio?” 

Legolas era il figlio del Re. Questo spiegava molte cose. La domanda mise in difficoltà Aragorn, che lo guardò quasi esasperato. Avrebbe voluto parlare con lui, avrebbe voluto davvero parlare con lui, ma non di Gollum. Fare la sua conoscenza sarebbe stato un onore, sentirlo parlare o addirittura cantare sarebbe stata una gioia, ma se c’era una cosa che non avevano era il tempo, non in quel momento. Sebbene si conoscessero da meno di una manciata di minuti Legolas sembrò recepire il messaggio. Prese un enorme respiro, annuendo. 

“E allora ti porteremo dal Re. Sempre se il Re sarà disposto ad ascoltarti. Legate bene la creatura, che non scappi.” 

Il principe elfico aveva ordinato, e le guardie eseguirono. 
Gli occhi glaciali di Legolas scoccarono un ultimo sguardo risentito ad Aragorn, che si ritrovò a pensare a come una freccia avrebbe fatto meno male.

 

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Uscire quella mattina si era rivelato un successo, Legolas non poteva che confermare quello che i suoi soldati sicuramente stavano pensando mentre ancora ridevano tra di loro. Non solo erano riusciti a ripulire senza problemi l’aria circostante dagli orchi, ma avevano trovato qualcosa di molto prezioso in giro per il loro Reame. Il ramingo per eccellenza, colui di cui non si faceva altro che parlare, soprattutto negli ultimi tempi… Aragorn, l’erede di Isildur, il vero e unico Re di Gondor. 
Non sapeva come suo padre avrebbe reagito alla visita del Dunedain, ma era ben contento di poterlo ospitare. Provava una certa curiosità; sin dal primo sguardo aveva capito che c’era qualcosa di speciale in lui, poteva percepire l’Antica saggezza solo guardandolo. Per quanto riguardava la creatura invece, cercava di considerarla il meno possibile. 
A Bosco Atro non c’erano più gli uccellini che cantavano, o animali che facevano rumore. Era una foresta nera, che irradiava morte e oscurità, e proprio per questo una volta morti gli orchi Legolas si sarebbe aspettato di essere avvolto dal silenzio. Invece il respiro affannoso di Gollum lo aveva sorpreso. In un certo senso quella meschina creatura aveva tradito Aragorn e l’elfo si rese conto di provare, proprio per questo, un ingenuo risentimento nei suoi confronti. L’importanza di Aragorn non permetteva scherzi e tradimenti di questo genere. 

Il suo sguardo vagò dalla creatura al ramingo, velocemente, e si accorse che anche l’uomo lo stava guardando. I loro sguardi si intrecciarono di nuovo per una breve manciata di secondi. Solo Gollum li interruppe di nuovo, con un sonoro e sordo urlo, probabilmente causato dal fatto che erano letteralmente davanti alle porte del Reame Boscoso. 

“FECCIA ELFICA! Noi non abbiamo fatto niente, sì- noi- noi siamo sulla strada per- per?” 

Gollum si voltò a guardare Aragorn, come a chiedergli un aiuto per rispondere e uscire così da quella che a lui sembrava davvero una brutta, brutta situazione. E in fin dei conti per Gollum non poteva che esserlo, non c’era dubbio. Il ramingo ricambiò lo sguardo della creatura prima di tornare a guardare Legolas, che si era fermato di fronte alle porte delle Sale di Re Thranduil. 

“Mi dispiace. Parla troppo, non si rende conto di quello che dice.” 

“Dovrebbe essere lui a scusarsi, non tu. Immagino che sia chiedere troppo.” 

Legolas fulminò Gollum con lo sguardo, che si ritrasse appena dietro la gamba di Aragorn. Lo sguardo del biondo sapeva essere glaciale quanto quello del padre e, a occhi inesperti, la sua sensibilità e ingenuità sarebbero passate inosservate, anche se permeavano ogni parola che gli usciva dalla bocca. Le enormi porte bianche che svettavano davanti a loro si aprirono al suono di un corno, un suono che sembrava molto più lontano di quello che era. 

“Non parlare prima che ti abbia fatto una domanda diretta. Mio padre sa essere sgradevole.” 

Fu l’ultimo consiglio che dette a Aragorn, anche se ne aveva diversi e avrebbe parlato con lui per ore. Legolas sentiva di essere legato a quell’uomo, era una sensazione inspiegabile; sapeva però che il dunedain stesso stava avvertendo le stesse cose, lo sapeva perché lo stava studiando. 
Mentre camminava dritto davanti a sé sentì che i passi dietro di lui si facevano mano a mano minori in numero - i suoi soldati si stavano disperdendo lungo il corridoio principale per tornare alle loro mansioni. Rimanevano solo lui, Aragorn e Gollum. 
Lo sguardo di Legolas vagò lungo la fine del corridoio, dove torreggiava  il trono sopraelevato del padre, ma a quanto pare lui non era lì. C’era solo un elfo dai capelli scuri che si avvicinò a  braccia aperte, come per salutarlo e dargli il benvenuto. Era il servo che seguiva suo padre ovunque, evidentemente lo stava aspettando al suo posto. 

“Hir Nin Legolas, oio naa elealla alasse’.” Mio Signore Legolas, la tua vista è sempre una gioia.

Legolas annuì appena, portando la mano al petto in segno di saluto. Bastò uno sguardo per far capire all’elfo che stava studiando il ramingo e la creatura che non c’era tempo da perdere. Eppure c’era dell’altro nello sguardo che ricevette in risposta dal servo, una certa preoccupazione, non legata ai loro ospiti quanto al principe stesso. 

“Re Thranduil sta informando il Regno delle recenti decisioni. Tornerà qui a breve.”

Il principe elfico socchiuse gli occhi, un moto di sincera rabbia e fastidio si irradiarono in ogni parte del suo corpo. Lui usciva un paio d’ore e suo padre non solo prendeva decisioni importanti senza informarlo, ma lasciava anche quell’incombenza ai suoi servi? Era un vero e proprio scaricabarile che no, non aveva apprezzato. 

“Le recenti decisioni? Quali recenti decisioni?” 

Un secondo di silenzio, l’incertezza del servo elfico, l’imbarazzo di Aragorn nell’essere presente ad una discussione del genere. Tutto fu fermato da una voce suadente ma allo stesso tempo gelida. 

“Ho deciso che non festeggeremo la Luna stanotte. Uscire di notte è troppo pericoloso e non possiamo più permettercelo.” 

Re Thranduil aveva deciso, Re Thranduil aveva parlato. Tutti si voltarono dato che la voce proveniva dalle loro spalle e Legolas vide Aragorn rimanere per un attimo incantato dalla bellezza e dalla regalità del padre, come accadeva a chiunque lo vedesse per la prima volta. Il ramingo, dal canto suo, non aveva mai visto Thranduil e sì, ne era rimasto affascinato per un attimo, finché non aveva incrociato il suo sguardo. Apparentemente padre e figlio erano simili, ma lo sguardo lo riportò alla realtà e gli fece capire che no, erano completamente diversi. 
Il dunedain sostenne lo sguardo del re elfico mentre gli passava davanti, con una calma irreale, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione. Ed effettivamente era così. 
Chissà per quanto si sarebbero guardati, sfidandosi ad abbassare lo sguardo, se Legolas non avesse di nuovo attirato la sua attenzione.

“Non possiamo non festeggiare la Luna stanotte. E’ letteralmente l’unica cosa che ci è rimasta da quando abbiamo abbandonato Amon Lanc, l’unica abitudine a noi vicina e cara.” 

“Le abitudini si cambiano, Legolas.” 

Dal tono di voce si evinceva che non avrebbe tollerato ricevere una singola lamentela per quella decisione, da nessuno dei suoi sudditi e tantomeno dal figlio. Il Re aveva deciso e tale doveva essere. Legolas era frustrato, ed era sicuro di averne piene ragioni; festeggiare la luce lunare per loro significava molto. Canti, magia, la poca natura ancora florida rimasta che li avrebbe avvolti e avrebbe fatto da cornice a quello che era il cielo… la luce stellare e quella lunare era ciò che li rappresentava. Dopotutto per capirlo bastava guardarli: Legolas non poteva che somigliare ad una stella, quasi quanto Thranduil somigliava alla Luna.

“Le abitudini si cambiano, ma le festività no. Quando ero un bambino eri il primo a parlarmi dell’importanza dei festeggiamenti, come fosse importante ravvivare la luce, come portasse speranza. Noi abbiamo bisogno di speranza, ora più che mai, Adar.”

Il Re fulminò Legolas ed i due si guardarono per ore. Thranduil tentò di redarguire il figlio con quello sguardo, come osava tirare fuori un ricordo così intimo di fronte a delle persone che con loro non avevano nulla che spartire? Era privato e non era necessario far sapere ad altri i momenti che avevano condiviso. Comunque, nessuno dei tre spettatori osò fiatare. Nessuno di loro si sarebbe intromesso, e solo Aragorn li guardava come se stesse seguendo ogni singolo passaggio della conversazione. 

“La speranza è qui, dentro le mura di queste caverne, al sicuro. Quando eri un bambino, non molto lontano da oggi, era diverso. Gli orchi non brulicavano le foreste come se fossero loro, i ragni non mangiavano ogni singola creatura vivente e i goblin non infestavano gli alberi.” 

Le parole di Thranduil ferirono Legolas nell’orgoglio e lo sguardo del principe elfico si accese. Un bambino, ecco cosa era agli occhi del padre. Mille anni non erano che un mero battito di ciglia per Thranduil - Legolas ne aveva poco meno di duemila - e il destino, le abitudini, gli interessi, per il Re erano tutte cose che non potevano che non esistere. C’era solo una cosa importante da duemila anni a quella parte, un solo obiettivo, ed era sopravvivere con la sua gente. A costo di perdere anche ogni briciolo della loro magia, a costo di perdere la comunicazione con l’elemento naturale che tanto li contraddistingueva. Forse Legolas aveva sbagliato a dare per scontato che quella festa ci sarebbe stata, tanto che neanche pensava a una decisione simile. Era sicuro di non doverne neanche parlare, non c’era niente da preparare se non i loro cuori pronti ad accogliere un rinnovo spirituale, una consapevolezza di loro stessi che probabilmente stavano perdendo. Che stavano decisamente perdendo. Chissà quante cose stava dando per scontato e che in realtà non erano che flebili illusioni, chissà quante altre delusioni avrebbe ricevuto dando per scontato che la loro tradizione ed identità erano importanti. Erano tutte lezioni che il padre gli aveva dato, ma che a quanto pare non erano più valide. Se ci doveva essere un cambiamento, Legolas capì che doveva venire direttamente da lui; cambiare approccio non solo con suo padre, ma anche con quello che era Re Thranduil. 

“Elfi che bramano la luce lunare, la luce stellare, chiusi in delle caverne. Ti rifiuti di prendere le navi che ti porteranno nelle terre immortali… tu sei antico, è vero. Ma di saggio in te non c’è niente.” 

Legolas lo sibilò, un sibilo pieno di rancore e odio. I ricordi legati ai momenti della festività erano una delle poche cose che lo tenevano legato a quella che un tempo avrebbe chiamato casa, che ora era soltanto una prigione. Forse l’odio espresso in quel momento bloccò anche Thranduil, che si limitò a guardarlo con il solito sguardo glaciale, quasi spento. Aragorn si chiese come poteva essere possibile che di fronte a tali parole, uscite dalla bocca del suo stesso figlio, Thranduil potesse essere così imperscrutabile.

“Tu qua dentro appassirai.” 

Furono le ultime parole di Legolas, quasi una previsione di quel che sarebbe accaduto da lì a pochi anni. Probabilmente era il destino di Thranduil, così diverso da Elrond, così diverso da Galadriel, nell’animo più che nel portamento. Legolas non aveva mai capito quella presa di posizione, non l’avrebbe capita mai. Il suo sguardo si posò dal padre ad Aragorn e per un momento si addolcì. Fece un piccolo inchino di fronte al ramingo piuttosto che al padre, prima di fuggire da quel corridoio lasciando il futuro Re di Gondor in pasto al Re elfico. 

Seguì un lungo silenzio, un silenzio che sembrò diventare infinito anche a Gollum, che tirò appena il mantello di Aragorn per nascondersi meglio. Finalmente il Re si voltò a guardarlo, con una serietà e un fastidio disarmante. Doveva aver notato che Legolas si era inchinato di fronte a lui e, per un attimo, Aragorn provò a nascondere le mani, per non mostrare i vari anelli che probabilmente ad un occhio attento come quello di Thranduil avrebbero rivelato la sua identità.

“Troppo tardi, Erede di Isildur. Io so chi sei.” 

Infatti, come Aragorn temeva, fu inutile. Doveva averli già notati, era stato distratto dalla discussione tra i due elfi. Sospirò appena, lo sguardo si fece più serio mentre incrociava quello del Re elfico. Qualunque cosa fosse successa, era pronto.

   
 
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