Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    14/10/2020    2 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VIII



 
 
 
Nel fine settimana io e Sakura ci ritroviamo, con sua immensa gioia, a passeggiare per le strade affollate di Tokyo, confondendoci tra la ressa di un centro commerciale e l’altro. 
Quando sono venuto a prenderla questa mattina, devo ammettere che mi sentivo un po’ impensierito. Stavolta non ne ho parlato con nessuno, ai miei coinquilini ho solo detto che dovevo fare certi acquisti, ma ciò non toglie che io provi un certo disagio. È come se stessi facendo qualcosa di illegale, pur avendo ricevuto un consenso proprio dalla legge. 
Quando Sakura è uscita di casa, tuttavia, ho cercato di mostrarmi tranquillo e rilassarmi, affinché anche lei si sentisse a suo agio. Lei mi si è avvicinata rapidamente, chiedendomi se fosse riconoscibile. L’ho analizzata dalla testa ai piedi, rassicurandola a riguardo.
Indossa un abito molto semplice con dei sandaletti aperti, in uno stile perfettamente estivo, senza alcun gioiello, con una borsetta a tracolla che dà poco nell’occhio, occhiali da sole e un cappello di paglia. Mi è parsa perfettamente in tono con il clima. Menomale che anch’io ho pensato di vestirmi in maniera casual, per una volta. Dalla mia prospettiva, per chi ci guarda da fuori, dovremmo sembrare due semplici studenti che fanno shopping. Oppure, potrebbero anche scambiarla per mia sorella minore. 
Ha salutato le sue guardie e, una volta usciti alla luce, dopo esserci lasciati alle spalle il suo quartiere, ha sollevato il viso e preso un profondo respiro, sussurrando con un filo di voce: «Finalmente sono libera». 
Non ho commentato nulla, limitandomi a guardarla con apprensione e parziale empatia. 
Si è poi voltata verso di me, mostrandosi pimpante. 
«Bene, ora dove andiamo?»
«Non ci hai pensato tu?»
«Mmm… Conosco la mappa della città, ma non ci sono mai stata fisicamente. Non saprei da dove partire.» 
Questa è una cosa che non mi aspettavo. Dato che veniva in biblioteca, ero convinto che ne approfittasse anche per fare un giro in centro. È stupido, forse, da parte mia, sperare che sia così. Dovrei aver capito ormai che le sue uscite sono limitate e controllate, per quanto una simile situazione mi sembri irreale, inconcepibile. Ma comprendo anche che, se si fosse recata in luoghi affollati con le sue guardie, avrebbe attirato troppo l’attenzione, avrebbero eventualmente scoperto la sua identità e i media non le avrebbero dato pace. È terribile la vita delle celebrità, decisamente. 
Alla fine l’ho condotta nei luoghi più rinomati, passando per l’incrocio di Shibuya – dove ha letteralmente dato di matto per un minuto buono, ripetendo: «C’è veramente un mare di persone!» 
Proprio per questa ragione, onde evitare di perderla nella ressa, ho dovuto necessariamente tenermela vicina, prendendola per mano, ma lei non ne è parsa infastidita. Al contrario, ha stretto le dita attorno alle mie, trascinandomi fino alla statua di Hachiko. 
«È reale! Non ci posso credere! È così bella, fatta così bene!» 
Ci ha girato attorno saltellando, raggiante come un pulcino che ha appena scoperto il mondo al di fuori del suo nido. 
«Pensi che potrei farmi una foto?» ha domandato insicura. 
«Credo che, se non la rendi pubblica, non ci sia problema.» 
«Non era nei miei piani, vorrei solo avere un ricordo di questo momento. Ho pochissime fotografie a casa.» 
Mi ha prestato il suo telefono, ringraziandomi mentre si metteva in posa accanto al cane. 
Ho scattato la foto rapidamente, ragionando sul fatto che dovessi cercare di farle vivere quante più esperienze possibili, per quel giorno. 
Ecco perché le ho fatto fare una sorta di giro turistico, passando per alcuni celebri santuari e il palazzo metropolitano del governo, prima di cominciare a cercare tra i grandi magazzini. 
Ora ci troviamo in una gioielleria, e lei passa da una vetrina all’altra, sembrando indecisa. 
«Syaoran, vieni a vedere!» 
Mi fa segno di avvicinarmi con una mano e non appena mi pongo alla sua sinistra indica l’interno di un tavolino coperto da una spessa lastra di vetro. 
«Guarda, cosa ne pensi?» 
Tra i tanti gioielli, c’è una graziosa collana d’oro bianco con un fiore realizzato in madreperla. Lo riconosco immediatamente come un garofano e comprendo perché abbia attirato la sua attenzione. Tra l’altro, vicino il gancetto, sull’estremità, ha una piccola piuma. 
«È carino e delicato. Credo che tua madre ne sarebbe felice.»
Controllo il prezzo sulla targhetta accanto al cuscinetto, assicurandomi che rientri nella somma prevista da Sakura. In realtà, non la comprende neppure tutta. 
«Quindi lo prendo?» 
Noto il suo nervosismo e capisco quanto possa essere importante per lei, fare per la prima volta un regalo. 
«Stai tranquilla. Le piacerà sicuramente.» 
Le sorrido gentilmente e lei annuisce, con le guance che per qualche ragione si fanno più rosee su quel suo candido pallore. 
Attira l’attenzione di una commessa, chiedendole se può mostrarcela ed eventualmente farcela toccare. Ad un suo consenso la osserva da diverse angolazioni, dandomi la sua conferma con uno sguardo. Mi accosto quindi alla cassa, domandando alla cassiera se può farmi un pacchetto regalo, prima di prendere la carta per pagare. 
Io e Sakura abbiamo pensato che, considerando l’età, sarebbe stato meglio se fossi stato io ad occuparmi dei soldi, per cui per l’occasione mi ha fatto una ricarica con un certo budget. Ovviamente, la somma che avanzerà provvederò a restituirgliela, sebbene secondo lei non ce ne sia bisogno. 
«Un regalo per vostra madre?» domanda la cassiera di punto in bianco. 
Le sorrido con convinzione, annuendo.
«Sono certa che la adorerà.» 
Mi mostra il pacchetto, con l’aggiunta di un nastro chiuso in un fiocco e al centro delle roselline color crema. 
«La ringrazio.» 
Provvedo a pagare, prima di prendere la bustina e tornare da Sakura. 
Una volta fuori dalla gioielleria sembra voler portare lei il sacchetto, al che mi rifiuto e tengo occupata la sua mano con la mia, riprendendo a camminare. 
«Ci ha scambiati per fratelli», commenta dopo una breve distanza, sembrando incredula.
«Meglio così, no?»
Fa un cenno di assenso, pensandoci su.
«Saresti una compagnia migliore di nii-sama.»
Senza volerlo, mi faccio scappare una risata.
Anche lei fa una mezza risatina, spostando l’attenzione su di me. 
«Tu hai fratelli?» 
«Un fratello e due sorelle, tutti più grandi.» 
«Davvero? Scommetto che ogni giorno è pieno di allegria! Ti hanno viziato?» 
«Per niente. Le mie sorelle vivono praticamente in un mondo tutto loro, mio fratello ha sempre avuto cura di me, ma alla fine… alla fine, mi hanno trattato non diversamente dagli altri. E per quanto riguarda l’allegria… in effetti, tutti e tre, insieme a Yuuko-san, erano piuttosto eccentrici.» 
Faccio un mezzo sorriso, rievocando alcuni momenti. Alla fine il più tranquillo in casa ero proprio io. 
«Yuuko-san?» 
«Nostra “madre”», spiego brevemente. Pensandoci, come io so ben poco di lei, neppure Sakura sa molto di me. 
«Uhm… Se un giorno vorrai parlarne con qualcuno, sappi che puoi farlo sempre con me.» 
Questa proposta è inaspettata. La guardo sorpreso, rivolgendole un sorriso. 
«Lo stesso vale per te.» 
Dal suo schiudere le labbra capisco che ne è stupita, ma poi annuisce e mi strizza la mano, chinando lo sguardo per nascondermi un minuscolo sorriso. 
«Ora dove vorresti andare?» 
«Mmm…» 
Al suo posto, risponde il suo stomaco che brontola. Si porta la mano libera sulla pancia, guardandomi imbarazzata. Controllo l’orologio, notando che è l’una passata. 
«Scusami…»
«Scusami tu, dovevo accorgermene prima. Dove vorresti mangiare?» 
Ragiono su dei buoni ristoranti nei dintorni, ma lei, con mia grande sorpresa, indica qualcosa alle mie spalle.
«Lì!»
Mi volto, sbattendo gli occhi, non aspettandomelo. 
«Al Mc Donald’s? Sei sicura?»
«Mou, solo perché mangio quotidianamente cibi preparati da grandi chef non significa che non possa apprezzare anche junk food.» 
È la prima volta, questa, in cui la vedo imbronciata. Il problema però è un altro. 
«L’hai mai mangiato prima?»
«No», risponde candidamente, in maniera fin troppo cristallina. 
Sospiro pesantemente, avendolo immaginato. 
«Proprio perché hai sempre mangiato cibi salutari, potrebbe farti male.» 
«Ti prego, non ho mai mangiato fuori prima, non sono mai stata in un fast food, non penso che mi sentirò male. Anzi, ti prometto che starò bene, e se sento che comincia a darmi problemi allo stomaco te lo dirò subito. Ti pregoooo…» 
Giunge le mani in preghiera, e io mi sento in difficoltà. Sarebbe più ragionevole negarglielo, anche perché non voglio si senta sul serio male, e temo che la sua famiglia possa sgridarla per tanta sconsideratezza. Allo stesso tempo, però, vorrei accontentarla. Non si è davvero goduta nulla della vita, e se questa è una piccola cosa che può renderla felice… 
«E va bene», cedo, direzionandomi lì.
«Evviva! Grazie, Syaoran!» 
Dondola le nostre mani contenta, mentre io faccio sempre più fatica a mostrarmi perentorio. Ma come potrei, quando lei è così raggiante, così genuina, così lieta di questa piccolezza che stiamo vivendo? 
Mi schiarisco la gola, specificando: «Se però cominci a sentirti nauseata, me lo devi dire subito». 
«Sì, te lo prometto!» 
Così entriamo e immediatamente ringrazio i condizionatori, staccandomi un po’ la maglia di dosso. 
«Ora che ci penso, come ti senti?» 
Mi rivolgo a lei, che adesso mi guarda spaesata mentre ci mettiamo in fila. Probabilmente era impegnata a decidere cosa prendere. 
«Bene. Perché lo chiedi?» 
«Per il caldo. Non ti stai scottando?» 
Mi assicuro che non sia arrossata sulle spalle, e lei immediatamente nega. 
«Mi sono preparata, mettendo la crema protettiva su tutte le zone scoperte. Poi ho il cappello e gli occhiali, quindi non mi dà fastidio il sole. E in generale, ho una buona resistenza al calore.» Stringe poi le labbra, mostrandosi preoccupata. «Tu invece?» 
«Tranquilla, non sono pallido come te, e in ogni caso sono già abituato anche alle temperature più torride.»
«Hai viaggiato tanto?» chiede entusiasta. 
Faccio appena in tempo ad annuire, visto che tocca a noi. Decido di prendere la prima cosa che leggo, mentre Sakura sembra in difficoltà tra due panini col pollo. Scelgo per lei quello senza curry – meglio limitare al massimo le spezie – e che mi sembra più salutare, facendo aggiungere una porzione piccola di patatine e una bevanda piccola di coca cola. 
Quando porto i nostri vassoi ad un tavolo libero – dopo che lei si è appropriata del regalo – mi guarda con un certo risentimento. 
«Pensi che non ce la faccia a mangiare di più?» 
Ne sono abbastanza sicuro, considerando quanto è minuta. Ma questo evito di dirglielo. 
«Vorrei evitare il più possibile che la situazione possa divenire grave.» 
Si toglie il cappello imbronciata e se lo poggia sulle gambe, continuando a tenersi gli occhiali. Giustamente, per un colore così raro di capelli può sempre fingere di essersi tinta, ma per gli occhi è tutt’altro conto. Non può neppure mentire fingendo che siano lenti a contatto, perché si capirebbe che non è vero. 
Senza aggiungere altro mi augura “itadakimasu”, controllando quel che c’è sotto i fazzoletti e le patatine. 
«Cosa cerchi?» domando dopo averle augurato altrettanto, mettendo la cannuccia nel bicchiere di carta.
Afferro il mio panino e, come d’abitudine, comincio ad infilarci in mezzo alcune patatine, mentre lei si mostra spaesata. 
«Sto cercando le posate, senza come potrei – oh!» 
Ci guardiamo per un istante, il suo viso avvampa fino alle orecchie. 
«M-ma certo, sono così stupida…» borbotta tra sé, mettendo la cannuccia al suo posto, bevendo un sorso per sbollire. 
Un colpo di calore?
«Stai bene?» 
«Sì, solo che… potresti…» Timidamente continua, quasi rimpicciolendo sulla sedia. «Potresti mostrarmi come mangi tu?» 
Mi do dell’idiota. Ovviamente, è come avere a che fare con una bambina. 
«Ma certo. Prima di tutto, ti consiglio di mettere i fazzoletti da parte, per pulirti dopo le mani.» Annuisce, seguendo le mie direttive. «Poi, utilizza la carta che avvolge il panino per non sporcarti più del necessario, assicurandoti di tenerlo all’altezza del cartone. Così, se qualche pezzo dovesse cadere, almeno finisce lì dentro invece che su di te.» 
Fa come dico, guardandomi interrogativa. 
«È enorme, ho paura che cada, come faccio a mangiarlo?» 
Menomale che è uno dei panini più piccoli.
Intervengo nel suo panico, aiutandola a stringere la presa ai lati, spostando di poco l’incarto affinché non finisca per mangiarsi anche quello. 
«Fatti in avanti e prova a mordere.» 
Per quanto esiti, riesce a dare un piccolo morso. 
«È buono!» esclama contenta, non appena finisce di ingoiarlo. 
«… Ascolta, Sa- Hana.» È difficile ricordare che, fuori casa, devo chiamarla così. «Puoi anche dare morsi più grandi, non c’è nessuno qui a giudicare il modo in cui mangi.»
«Ma dando morsi più grandi potrei sporcarmi la bocca e -» 
«Non fa niente, davvero. Rilassati e pensa unicamente a mangiare. Se ti dà fastidio farti vedere sporca evito di guardarti.» 
«Non è che mi dia fastidio, è solo che mi vergogno. Sembrerei così… rozza e poco femminile, no?» 
A stento trattengo una risata. Si sta facendo troppi problemi inutili. 
«Cos’hai detto quando siamo usciti dalla tua strada?»
«Che oggi sono libera…» ripete, quasi non credendoci neppure lei. 
«Esatto. Quindi liberati di qualsiasi etichetta e sii semplicemente te stessa.»
«Posso… posso davvero farlo?» si accerta, la voce leggermente incrinata.
«Assolutamente sì, anzi devi. Sarà il nostro piccolo segreto.» 
Mi guarda stupita, aprendosi poi in un sorriso enorme, forse il più grande che mi abbia rivolto finora. 
«Grazie, Syaoran!»
E detto ciò, finalmente, comincia a mangiare con gusto, non nascondendo neppure mormorii d’apprezzamento.
Risollevato torno al mio panino, finendolo quando lei è poco oltre la metà del suo. Come promesso, sto cercando di osservarla il meno possibile per non farla sentire a disagio, e dopo che finisco anche le patatine rimaste sorseggio la cola, guardando distrattamente i passanti fuori dalle vetrate. 
«Syaoran…» 
Anche se mi richiama in un tono bassissimo, che quasi mi porta ad interrogarmi se l’ha fatto sul serio, mi volto verso di lei. 
Si copre la metà del viso esposta con quel che resta del panino, mortificata. 
«Perdonami, sono così lenta, ti faccio aspettare.» 
«Non fa niente, prenditi tutto il tempo che ti serve. Piuttosto, non ti stai forzando a finirlo, vero?» 
Scuote la testa, replicando: «È veramente buono, e non è neppure troppo pesante. Anche se, in effetti, non so se riesco a finirmi tutte quelle patatine…» 
«Vuoi che le condividiamo?» 
«Lo faresti? Ma se non ti vanno…» 
«Tranquilla, ce la faccio ancora a mangiare.» 
Gliene rubo una per dimostrarglielo e lei ridacchia, tornando al suo panino. Attendo che lo finisca prima di passare alle patatine, permettendo sempre a lei di prenderle per prima. 
«Neh Syaoran, mi racconti dei tuoi viaggi?» 
Tra un morso e l’altro comincio a narrarle di quello più recente, sintetizzando al meglio le esperienze lì vissute e descrivendole i luoghi visitati. Le mostro anche qualche fotografia per farglielo raffigurare e lei mi ascolta affascinata. 
«In quanti altri posti sei stato?» 
«Ho avuto modo di trascorrere brevi periodi in Corea, Olanda, Francia e Italia. Queste tre le ho girate nell’arco dello stesso mese, insieme a Yuuko-san e Kimihiro. In Corea ci andai ai tempi del liceo, con alcuni amici.» 
«Che meraviglia! Non immagini quanto ti invidio.» Sospira trasognante, giocherellando con la cannuccia, poggiando la guancia su una mano. «Io a malapena sono uscita dal Giappone, credo che siamo stati solo in Cina e in America, ma ero troppo piccola e non ho ricordi di quel periodo. Vorrei tanto avere anch’io la possibilità di viaggiare.» 
La sua voce si adombra, così mi affretto a mostrarmi positivo. 
«Non è detto che tu non possa. Sei ancora giovane, non dimenticare che ti aspetta una lunga vita davanti. In futuro sono certo che potrai farlo.» 
Fa un mezzo sorriso triste, scuotendo la testa. «La questione è sempre la stessa, non posso farlo senza… una “scorta”.» 
Abbasso anche io la voce, adeguandomi al suo tono. 
«Anche quando un giorno sarai sposata?» 
Piega la testa su un lato, aggrottando le sopracciglia. 
«Non ci ho mai pensato. Ma anche se così fosse, significherebbe comunque che devono trascorrere molti anni e non so se riesco a resistere così ancora a lungo…» Gli angoli delle sue labbra si piegano in giù, manifestando la sua mestizia, ma repentinamente aggiunge con finta allegria: «Non dovrei parlare così, lo so che è tutto fatto per il mio bene. Dovrei semplicemente essere grata a tutti, per avere così tanta cura di me». 
Mi si stringe il cuore dinanzi a ciò. C’è qualcosa di concreto che posso fare per lei, per cancellarne o perlomeno affievolirne la tristezza? 
Poso la mano sulla sua, carezzandone con delicatezza le nocche, sperando di confortarla. 
«Se ti trovi bene con me, potremmo chiedere ai tuoi genitori se possiamo viaggiare insieme. Andremo dovunque vorrai.» 
Le sue labbra tremano, insieme alla sua voce. 
«Syaoran, tu… tu sei una persona così buona, così altruista, e io non voglio approfittare della tua gentilezza. Non voglio essere un peso.» 
«Non sei affatto un peso.» Taccio, ripensando alla condizione di me stesso con la mia “famiglia”. A come mi sono sentito sempre in debito nei loro confronti, come se avessi un prezzo da pagare e non sarei riuscito a saldarlo neppure per tutta la vita. Non voglio che lei si senta in questo modo, con me. «Consideralo un viaggio con un amico.» 
«Un viaggio con un amico…» ripete in tono soffocato.
Noto una lacrima scintillare sulla sua gota, scivolandole fino al mento. Mi allungo ad asciugargliela col pollice, sentendomi in colpa. Non era mia intenzione farla piangere. 
Eppure, voglio assicurarmene. 
«Lo accetteresti, se fosse così? Naturalmente, se ti fa sentire più sicura puoi pure vedermi come se fossimo sul serio una famiglia. Saresti la mia prima sorellina.» 
Fortunatamente, riesco a farla sorridere. 
«Se si tratta di te, Syaoran, lo accetterei qualunque fosse il tuo ruolo. Lo accetterei per te.» 
«Perché stai bene in mia compagnia?»
Alla sua conferma tiro un sospiro di sollievo. 
«Scusami, non volevo farti piangere.»
«Ah, scusami tu, non era mia intenzione farlo.»
Ci rialziamo entrambi e prontamente si tiene il regalo, infilandoselo in borsa prima che riesca a riprendermelo io. Lascio perdere, pensando a come distrarla ora che, senza volerlo, le ho guastato l’umore.
Rimugino per tutto il tempo mentre butto l’immondizia e poso i vassoi, ripensando a quello che dice sempre Fay-san sulle donne. Ossia, che per farle felici e distoglierle da qualsiasi preoccupazione, bastano gioielli, borse e vestiti. 
Torno quindi da Sakura e le propongo, pur consapevole di ciò a cui vado incontro: «Vuoi fare un po’ di shopping con i soldi avanzati?» 
A questo il suo viso si illumina e annuisce con enfasi, rimettendosi il cappello. 
«Così se okaa-sama prova ad indagare avrò un alibi.» 
Che astuta.
Sogghigno divertito, capendo che devo direttamente condurla tra le grandi firme.
Nel vedere un negozio in particolare si esalta tutta e ci si fionda dentro, cominciando sin da subito a guardare abiti su varie stampelle. Ammetto che i capi sono piuttosto graziosi, hanno un che di delicato, quasi fossero fatti di un tessuto leggerissimo; ma nel momento in cui i miei occhi cadono sui prezzi impallidisco. Ecco, mi sento di nuovo come se avessi messo piede in un mondo che non mi appartiene. 
Un po’ a disagio attendo che Sakura finisca di misurarsi quello che ha trovato, spostando il peso da un piede all’altro. Di questo passo, mi sa che ne riuscirà a comprare solo uno. 
Dopo qualche minuto mi sento chiamare sottovoce, per cui mi volto verso i camerini e noto una mano farmi segno. Mi avvicino, prendendogliela. 
«Hana, cosa -» 
Non riesco a proseguire che mi tira all’interno, con una forza imprevista, chiudendo per bene la tenda alle mie spalle. Si distanzia all’angolo opposto, facendo un giro su se stessa per mostrarmi l’abito che ha trovato. 
«Come sto?»
Anche questo ha delle sottili bretelline dorate, ma è stretto sotto il petto e la gonna è asimmetrica, più corta davanti e più lunga dietro. È del colore delle colombe, con fiori realizzati da piccole gemme colorate e ricami sulla parte superiore, a partire dalla scollatura squadrata. 
«D’incanto.» 
Soltanto vedendola sgranare quegli occhi che finalmente mi mostra e farsi tutta rossa realizzo quello che ho detto. Accidenti, a volte essere del tutto schietti non è proprio un bene. 
Tossicchio, sviando lo sguardo. 
«Dovresti prenderlo, sembra fatto su misura per te», suggerisco, facendo come per uscire, ma lei mi trattiene, avvolgendo le sue piccole braccia attorno al mio busto. 
«Syaoran, questo… questo è per ringraziarti di tutto quello che fai e hai fatto per me, anche se forse non mi basterà tutta la vita per dimostrarti la mia gratitudine. Se c’è qualcosa che desideri, ti prego di dirmelo. Qualunque cosa sia, farò di tutto affinché si realizzi.» 
Sorrido tra me, raddolcito da quel suo bel pensiero. Poso le mani sulle sue per farle allentare la presa, e una volta che mi lascia mi giro verso di lei, trovandola ancora con le gote rosse e gli occhi lucidi. 
Le sfioro quella stessa guancia fino a poco prima solcata da una lacrima, parlandole col cuore. 
«L’unica cosa che desidero, adesso, è che tu sia felice.» 
Di nuovo le lacrime si raccolgono nei suoi occhi, per cui li serra, annuendo. 
«Lo sono.» 
«Perfetto allora, hai già realizzato un mio desiderio!» Le aggiusto i capelli, carezzandoglieli affettuosamente. «Ti aspetto fuori, cambiati con calma.» 
Esco di lì e, ignorando le occhiate curiose degli altri clienti, torno accanto ad una vetrina. Mi porto una mano al petto, sentendomi per qualche ragione più leggero.
Da quando ho conosciuto Sakura, la mia vita ha preso un nuovo ritmo: più accelerato, più emozionante, totalmente nuovo e contemporaneamente familiare. Come se qualcosa di simile lo avessi già vissuto prima, forse nella scura selva di quel mio antico passato obliato.










 
Spiegazioni:
- Il ciondolo col garofano è stato scelto perché il nome "Nadeshiko" ha il significato di quel fiore.
- Nii-sama = fratellone; okaa-sama = mamma.
- "Mou" è un'interiezione che esprime qui lamento.
- "Itadakimasu" = è quello che si dice prima di cominciare a mangiare, lo potremmo tradurre come un "Buon appetito".
  
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