Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Bibliotecaria    15/10/2020    3 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Allo zio Daniele,
 perché, un po’ per gioco,
 lo ha chiesto ad una bambina
 più determinata del previsto.
E alla zia Lella una combattente che
 mi ha donato due lezioni fondamentali sulla vita.

 
La Storia di Ribelle
 
Prima Parte: Ribellione
 
Prologo
 
Nel 2022 della terza era il mondo era esattamente a come lo era stato negli ultimi 2022 anni. Questo era sotto la giurisdizione, se così la si può chiamare, degli Uomini, e gli Altri lavorano nelle aziende di periferia e nelle fattorie sotto pagati e sotto stretto controllo dei nostri corpi speciali, la S.C.A. ovvero Supervisione controllo Altri o, come chiamiamo noi amichevolmente: coglioni, stronzi, incapaci… un mio amico aveva fatto la lista di questi soprannomi, molto tempo fa, ma andiamo con ordine. Il loro compito sarebbe dovuto essere mantenere la sicurezza, impedire le resse o le ribellioni, pattugliare le strade, identificare i non registrati e fermarli con ogni mezzo necessario, anche ucciderli, spesso con la collaborazione delle forze del ordine e, in casi estremi, dell’esercito. Ma oramai non si limitavano più a quello: ogni più piccola infrazione, ogni errore, ogni singola perdita di controllo veniva punito cinque volte più seriamente in confronto ad un umano, se si era fortunati, in molti casi non si arrivava neppure al processo. Ma questo non è un saggio in cui vi narrerò delle ingiustizie di quegli anni. Questa è la Storia, secondo le mie esperienze e il mio punto di vista, nulla di più.

Forse mi conoscete, mi chiamo Diana Dalla Fonte, all’inizio di questa vicissitudine, nel lontano 22 novembre 2022, ero una comune diciassettenne, che frequentava il quarto anno del liceo Bella Roccia al indirizzo economico-sociale. Vivevo a Lovaris, una minuscola cittadina circondata da ettari ed ettari di campi da nord a sud che da maggio a giugno assumevano il colore del sole e, quando venivano tagliati, quel profumo di fieno raggiungeva anche il cuore storico della città e le fabbriche sul lato nord, le quali invece erano un tripudio di cattivi odori e aria inquinata, unito ad un continuo e perpetuo grigio macchiato da qualche marchio colorato o cartellone con su scritti annunci come Cercasi personale oppure Ultimo incidente:15 giorni fa e simili. La parte più bella era quella a est dove c’erano sono campi incolti a poco distanti dalle colline degli orchi o più conosciute come Colli della Palude famose per gli innumerevoli fiumi che scorrono tra queste e il mare rendendo il terreno ricco di paludi, ma la mia città è sempre stata troppo a nord per venir riempita da quegli odori salmastri, infatti poco più a nord si riusciva a vedere l’estremo sud della Catena Montuosa della Luna. Quella è sempre stata la mia zona preferita, poiché per chilometri e chilometri si vedeva solamente terra incolta e qualche casa dei tritoni lungo un fiumiciattolo assieme ai loro greggi o piccoli campi con alberi da frutto che in primavera si riempiono con il profumo dei meli, dei ciliegi, dei peschi, degli aranci e dei prugni, e poco lontano da questi si scorgeva un bosco fitto e rigoglioso. La zona in cui abitavo era al confine con questi campi, in corrispondenza con il meridiano della piccola città, sembrava quasi che quella strada, abbastanza grande da far passare due camion uno accanto al altro senza il rischio di strisciarci, con tutte le sue speranze e tutte i suoi possibili svincoli venisse inghiottita dalla caserma della S.C.A. dove avevo passato buona parte della mia vita poiché io ero figlia di due agenti S.C.A.

La mia vita fino ad allora era stata tranquilla e regolare, fatta eccezione per alcuni piccoli e sporadici eventi, e le piccole sorprese quotidiane, ero sempre in grado di dire a grosse linee cosa avrei fatto quel giorno. Si iniziava con la sveglia alle 6:00, avrei potuto svegliarmi più tardi, ma è difficile dormire quando vivi in una caserma della S.C.A. in cui ogni singola mattina, anche feriali e festivi, parte una sirena assordante per svegliare le reclute, e non c’è stata volta in cui non mi alzassi di scatto, nel pieno del sonno e mi tappassi le orecchie sperando che quel fracasso finisse. Da lì sgusciavo fuori dal appartamento che i miei genitori chiamavano casa, chiudevo la porta a chiave, visto che ero l’ultima ad uscire, e andavo a fare colazione alla caffetteria Il Fauno per stare il più lontano possibile da quel ambiente agitato già di prima mattina. “Diana! La mia cliente preferita. Il solito presumo?” Mi chiedeva sempre Fil, tutte le mattine, con quel suo modo esuberante e dinamico in perfetto contrasto con me che sembravo uno che si è appena fatto con qualcosa di pesante da quanto ero goffa e ancora rintontita dal sonno. “Sì.” Dicevo sedendomi al mio solito tavolo, per poi notare due impronte di zoccoli sul un tavolo che, ovviamente non aveva ancora pulito. “E per l’ennesima volta… quando spolveri i lampadari non mettere gli zoccoli sui tavoli, non è igienico!” Esclamavo infastidita, e lui, puntualmente, mi ignorava, anzi mi canzonava con un sorriso.

Capivo che Fil, essendo un fauno, era molto più facile saltare sul tavolo, ma se almeno avesse usato le sedie o una scala, o qualsiasi altra cosa non avrebbe rischiato di chiudere per mancata igiene. C’è da dire in realtà Fil si puliva sempre gli zoccoli prima di entrare nel bar e puliva sempre i tavoli con estrema cura prima che arrivassero gli altri clienti, ero io quella che arrivava alle sei e venti di mattina. Comunque lo riprendevo perché sapevo che sarebbe bastato che qualche agente S.C.A. venisse lì a fare colazione, vedesse le impronte e lo avrebbe, nel migliore dei casi ripreso e segnalato, nel peggiore incarcerato, ma molto più probabilmente lo avrebbe fatto chiudere. Era fortunato: difficilmente gli Altri possedevano una loro attività famigliare, di norma appartenevano agli uomini. Tuttavia in città piccole come Lovaris, per una semplice questione demografica, l’unico edificio con lavoratori esclusivamente umani, aldilà della scuola e la caserma S.C.A., in cui per legge lavorano solo uomini, era l’albergo-ristorante in centro. Per il resto c’era un gran numero di piccole imprese che appartenevano agli Altri o sarei vissuta in una città senza neanche un alimentari o un parrucchiere, tuttavia le grandi imprese e i loro posti di rilievo erano tutte nelle mani degli uomini.

Verso le sette iniziavano ad arrivare alcuni studenti, tra cui i miei compagni di classe, per aspettare l’inizio delle lezioni, visto che Il Fauno è estremamente economico: una libra e cinquanta per brioche più cappuccino, e per gli studenti una sola libra e con la tessera fedeltà ogni dieci colazioni ce n’era una omaggio, in oltre il cibo era buono, niente di straordinario sia chiaro ma comunque quella libra la valeva tutta, era inevitabile che diventasse uno dei luoghi di ritrovo dei giovani.

Nella mia classe c’erano tredici persone ed eravamo, probabilmente, la classe più variegata della scuola. Per l’esattezza c’ero io, che sono umana, un fauno, un centauro, un elfo, un nano, un vampiro, una strega, un mago, un licantropo, i quali oltretutto componevano la Squadra di classe, di cui parlerò in avanti, una ninfa, una folletta, una sirena e una fata mancavano un orco, un troll e un demone e avremmo riassunto la varietà della popolazione. Probabilmente qualcuno dei loro nomi li avrete anche sentiti ma all’epoca eravamo solo un branco di ragazzini iscritti ad una scuola pubblica con un’organizzazione tipica della zona dei Fiumi, ovvero sei ore al giorno di scuola l’una appiccicata all’altra, qualche sporadica attività sportiva extrascolastica il venerdì, molti esercizi da fare a casa e i corsi di studio suddivisi in cinque pacchetti. Tuttavia considerato che la nostra scuola era povera di studenti, in particolare in quegli anni, la nostra classe, che era la stessa dai tempi delle elementari, aveva messo ai voti la facoltà a cui iscriversi visto che non c’erano abbastanza alunni per fare più di una classe per anno e nella mia città c’era solo una scuola superiore, certo saremmo potuti andare nelle scuole delle città vicine ma le corriere erano più rare e più lente di quanto di già non lo sia oggi, sarebbe stato impossibile frequentare le lezioni così, per di più molti nella mia città non si erano mai spostati da questa per intere generazioni, una situazione classica dove ero cresciuta.

Della scuola ricordo quanto i professori ci ripetessero come degli automi che l’uomo è un essere superiore, che ha unificato il mondo dopo secoli di perpetua guerra e schiavitù caratteristici della prima e seconda era, e che gli Altri devono sotto stare alle leggi speciali; in altre parole un sacco di stupidaggini, e credo che molti dei professori considerassero almeno la metà delle cose che dicevano una grande cavolata ma all’epoca ero una ragazzina, quindi per me anche solo dire certe cose è un tradimento. Non per niente tutti noi odiavamo quelle dannate ore, non tanto per le materie o per i professori: sapevamo che molti nostri coetanei, soprattutto nelle grandi città o nelle città di campagna di regioni più povere, non si potevano permettere neanche i libri e non sarebbe stato giusto nei loro confronti odiare la scuola, però quei messaggi deplorevoli e umilianti intrinsechi mi facevano una tale rabbia, soprattutto perché vedevo la sofferenza che quelle leggi portavano ai miei compagni. So che suona strano considerato che sono un’umana e che questo mi renderebbe, in un certo senso, un loro nemico. Non a caso non sono state rare le occasioni in cui ho visto e vissuto aggressioni di estranei che in preda ad un attacco d’ira che se la prendevano con il primo che passava per le loro disgrazie provando anche ad uccidere, ma ho sempre mantenuto la mia visione sovversiva, e poi nessuno nella mia città avrebbe potuto farmi del male neanche volendo: i miei genitori mi obbligavano, da sempre, oltre a frequentare corsi di auto difesa, a portarmi dietro armi non letali sufficienti a stendere un gruppo di anche una decina di persone. Con gli anni questa prospettiva mi aveva portato a prendere svariate abitudini che erano poco in linea con la moda e la norma sociale: tonalità scure nei vestiti, scarponi comodi, pantaloni larghi, invece che gonne, scarpette eleganti dai colori vivaci, magliette semplici e flessibili, al posto di camicette, felpe oppure giacche pesanti e nelle tasche dei pantaloni tenevo sempre un coltello e uno spray stordente unito a qualche altro giocattolino offerto gentilmente dai miei genitori, un loro strano modo per dirmi che tenevano a me. Però non era l’unica cosa che portavo con me. Negli anni avevo preso l’abitudine di aggiungere sempre nella borsa del sangue e della carne cruda da dare ai miei compagni in caso di Crisi: uno stato che raggiungono le creature che necessitano di componenti umanoidi quando ne sono deprivati per lungo tempo, dato che ne hanno bisogno per sopravvivere, in particolare colpisce i vampiri, i licantropi e i demoni, può colpire anche gli orchi ma avviene più raramente. Li rubavo dalle scorte che la S.C.A. teneva con se per darle ai carcerati in attesa di essere traferiti in qualche altra città con una prigione vera, non che gli arresti avvenissero frequentemente, Lovaris era una piccola città di conseguenza nessuno poteva commettere un crimine senza che qualcuno lo identificasse per un motivo o per l’altro, però quei criminali che c’erano sapevano come non far parlare le persone, di conseguenza le scorte a disposizione della prigione erano sempre troppe, quindi nessuno si accorgeva se mancavano tre o quattro sacche di sangue o di carne. Non mi sono mai sentita in colpa per quello: era per il bene dei miei amici e assistere a una Crisi, oltre ad essere pericoloso, non è un bello spettacolo. Ne ricordo una in particolar modo.

Era il cambio dell’ora e stavamo aspettando il professore, ero tranquilla e mi stavo facendo i fatti miei, quando Lukas si alzò di scatto dalla sua sedia. Lo osservai meglio: aveva le pupille ristrette e si muoveva velocemente e in circolo, borbottando cose senza senso e incomprensibili mordendosi contemporaneamente l’indice destro mentre della bava scendeva dalla sua bocca contorta in una espressione famelica. Tutti noi sapevamo cosa stava succedendo. Iniziò a muoversi più lentamente a grandi falcate per cercare inutilmente di calmarsi e di controllare il suo istinto ma non sembrava funzionare. Io nel frattempo estrassi il coltello dalla tasca e mi avvicinai cautamente a lui un passo alla volta senza compiere movimenti o gesti affrettati, altrimenti mi avrebbe di sicuro attaccata, quando fui a meno d’un metro da lui gli sfiorai la spalla. Lukas si voltò di scatto estraendo i canini con un sibilo agghiacciante, gli occhi di ghiaccio erano spalancati, le pupille ridotte a due fessure, aveva perso del tutto il controllo. Spaventata compii un passo in dietro, ma lui mi saltò addosso famelico, avvinghiandosi alle mie spalle con le dita acuminate. Lo colpii allo stomaco con una ginocchiata facendolo piegare in due per il dolore, mollò la presa. Gli afferrai il polso destro, e con la gamba destra gli falciai le gambe facendogli perdere l’equilibrio e schiantare a terra di schiena. Gli salii sopra a cavalcioni cercando di bloccarlo, ma si dimenava e graffiava come un forsennato, disperata, gli portai le mani al collo, strangolandolo. Nel frattempo due miei compagni, che si erano alzati dai loro banchi, arrivarono in mio soccorso e gli bloccarono le braccia e le gambe cercando di limitare i suoi movimenti. A quel punto mi tagliai il polso con il coltello. Luka per un secondo si bloccò attirato dal odore del sangue, per poi riprendere a dimenarsi con maggior forza, bramoso. Con non poca difficoltà gli offrii il mio sangue. Dopo che iniziò ad assorbire la mia linfa vitale, con una bramosia impressionante, chiuse gli occhi e rilassò i muscoli calmandosi bevendo il sangue con maggior calma. Allora feci cenno ad una mia compagna di passarmi una sacca di sangue che teneva già pronta tra le mani con una tale forza che per poco non la rompeva. Separai il mio polso dalle sue labbra e Lukas iniziò a bere il sangue nella busta di plastica con una certa bramosia ma comunque con calma. Ci volle poco perché la crisi terminasse del tutto: lentamente i tratti del viso tornarono rilassati, le pupille ritornarono tonde, i movimenti fluidi e lenti, i muscoli si sciolsero, e, quando finì di bere, ritrasse i canini. Per qualche istante cadde il silenzio. Nessuno sapeva cosa dire: non era la prima volta che vedevo una Crisi, ma era sempre difficile dopo ritornare alla normalità. In quei momenti comprendevo la paura dei miei antenati verso i popoli dei licantropi, vampiri, orchi e demoni, ma subito dopo mi ricordai che avevo davanti Lukas e che eravamo amici da quando avevo quattro anni, che ero andata ad ogni suo compleanno, che conoscevo perfettamente la sua famiglia e che avevo passato molte estati nel giardino dietro casa sua cercando di trovare il suo gatto che era sparito un giorno senza più tornare. Lukas quando si riprese mi si avvicinò guardandomi con vergogna e afferrò il mio polso e leccò la ferita che si rimarginò subito grazie alle proprietà cicatrizzanti della saliva dei vampiri. “Perdonatemi.” Disse rivolto alla classe con un sorriso chiaramente forzato. “Perdonami…” Sussurrò appena con le lacrime agli occhi. In preda ai rimorsi mi abbracciò in cerca del mio perdono, ignorando il suo orgoglio, mi stinse con forza la maglia quasi strappandola, la sua testa si nascose nel incavo del mio collo, riuscivo a sentire i suoi respiri angosciosi e le lacrime calde sul mio collo. Gli accarezzai la nuca con fare materno: conoscevo Lukas abbastanza bene da sapere che aldilà dei suoi modi da freddo, orgoglioso ed egocentrico c’era una persona fragile che voleva essere forte per non far preoccupare chi lo circondava. “Fa niente. È tutto apposto.” Lo rassicurai tirandolo su e asciugandogli le lacrime, gli donai un sorriso al quale rispose e si calmò un po’. “Piuttosto….” Iniziai guardandolo seriamente. “Da quanto tempo è che non ti nutrivi?” Chiesi seria e un po’ imbarazzata. “Un mese.” Rispose scostando lo sguardo. “Un mese!!” Urlai, definirmi furiosa era dire poco, e all’epoca avevo forse quattordici anni, non ero ancora una bomba ad orologeria pronta ad esplodere ad ogni più piccola cosa ma avevo di già il mio caratteraccio. Sapevo che vampiri, licantropi e demoni possono sopravvivere mesi senza componenti umanoidi, ma che per compensare si devono nutrire il doppio di componenti animali per evitare uno stato di Crisi, e la famiglia di Lukas compiva enormi sacrifici per potersi permettere dei componenti umanoidi ogni due settimane, non possono sprecare altri soldi in grandi quantità di nella carne animale. “Ma chi sono quel branco di imbecilli che vi dovrebbe portato la razione dovuta di sangue? Giuro che se li prendo…” Non finii la sfuriata poiché Lukas mi bloccò. “Clamati, non è un errore di consegna: i miei hanno perso il lavoro e non c’è rimasto tanto sangue.” “Deitre…. Dannato!” Urlai furiosa mentre qualcuno mi avvertiva che il professore era quasi arrivato. “Credevo di poter resistere ma a quanto pare mi sbagliavo.” Mi disse pacato, quasi scherzoso. Guardai Lukas con rabbia: non le avevo mai sopportate queste cose. Di già per molti era difficile trovare un lavoro, ma se glielo toglievano per sostituirlo con degli uomini era il doppio più insopportabile. Conoscevo bene quel razzista del direttore di Deitre, sapevo che si lamentava sempre di non avere abbastanza dipendenti e licenziava i genitori di Lukas perché erano vampiri. Erano questi i miei pensieri mentre mi sedevo rumorosamente sulla sedia con fare incazzato. Lo stomaco mi rodeva poiché sapevo di essere impotente, infondo chi avrebbe mai ascoltato una ragazzina. Quando arrivò il professore non accennammo neppure alla Crisi: se lo avessero scoperto Lukas rischiava la prigione. Oramai ci sarete arrivati: il sistema in cui vivevo era una merda e non erano neppure gli anni peggiori, anzi la situazione era migliorata rispetto a qualche generazione fa.

Sinceramente, di tutto quello schifo l’unica ora della settimana scolastica che ricordo piacevolmente è l’ora settimanale di Religione in cui si parla delle tradizioni antiche oltre che di religione, la nostra insegnante, la signorina Bevi L’Acqua, era una grande professoressa. Faceva delle lezioni, che noi ragazzi definivamo, superbe e riusciva a coinvolgere tutti con estrema facilità ed era ammirata da tutti. È stata un’immagine piacevole della mia adolescenza, i suoi ricci capelli scuri che contornavano un viso sempre sorridente e la sua pelle scura pareva attirare i raggi del sole, fu una delle poche figure adulte piacevoli per me e una delle poche che essenzialmente non ripeteva quella cantilena fastidiosa perennemente di sottofondo nelle altre ore, non diceva nulla contro lo stato, visto che era il suo datore di lavoro, ma era già molto per noi. Ogni tanto mi domando come stia, all’epoca era una giovane professoressa fresca di laurea, chissà se leggendo i giornali abbia mai riconosciuto uno di noi ragazzi e cosa abbia mai pensato, ma non sono in grado di dirlo, in fondo non l’ho più rivista, non so neanche se sia ancora viva.

A seguire di pomeriggio c’erano gli allenamenti con la squadra, i quali per la maggior parte si tenevano nel cortile della scuola e in maniera irregolare visto che ci dovevamo alternare la palestra e il cortile in maniera ufficiosa noi ragazzi di tutte le classi. Il resto del pomeriggio, se non lo passavamo a studiare in vista di una o più verifiche, andavamo in giro per la città o nella campagna subito fuori e facevamo quel che volevamo, nei limiti della legge sia chiaro. Ricordo le giornate passate al aperto nei campi a cazzeggiare o a giocare con la palla, addirittura a limonare o a girare nella foresta, ero una testa calda da giovane ma in quella piccola città non c’erano grandi cose da fare e la presenza della base S.C.A. debellava di molto la criminalità organizzata, era una cittadina così tranquilla che persino una piccola presuntuosa come me aveva poco da fare. Infondo non avrei mai potuto combinare guai dato che alle sei c’era il mio imbarazzante copri fuoco per tornare alla mia casa/caserma, per il quale venivo derisa di continuo.

Il 22 novembre del 2022 della terza era sarebbe stato un giorno come tanti se i miei genitori non avessero annunciato una decisione le cui conseguenze cambiarono la mia vita per sempre.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Bibliotecaria