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Autore: goldenef    15/10/2020    2 recensioni
    Si voltò verso la finestra e senza neanche pensarci si avvicinò per affacciarsi e vedere come proseguiva la “faccenda Silente”. Era passato un po’ da che avevano portato il corpo alla tomba, eppure erano ancora tutti lì.
    Non si accorse nemmeno di esserselo fatto ricomparire fra le mani, quando si attaccò nuovamente al Whiskey.
    « Sono le undici di mattina », sentenziò Astoria alle sue spalle. « E tu sei ubriaco »
    [...] « Qualcosa di ridire? », sibilò a denti stretti. [...]
    Lei non fece una piega. [...] Reggeva perfettamente il contatto visivo con lui, ma d’altro canto non c’era da sorprendersi. Nulla di tutto quello era strano, perché il loro rapporto era così, diverso da quello che Malfoy aveva con chiunque altro, e per un valido motivo: lei sapeva tenergli testa.
    « Mi offendo solo se lo fai senza di me »
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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1997

 

Draco ormai sapeva che Hogwarts non era più posto per lui. Meglio ancora sapeva, però, che in fondo non lo era mai stato.
 

    Per essere Giugno e per essere la Gran Bretagna, quel giorno splendeva un sole particolarmente caldo. Il cielo era terso, un debole soffio di vento lasciava che i fili d’erba ondeggiassero con una compostezza tale da apparire come una danza. L’aria era pulita, fresca.

    Draco sedeva con le gambe penzoloni nel vuoto, a centinaia di metri di altezza, sul davanzale di una finestrella della Torre Nord. Era andato lì per pensare e per osservare, pur nascondendosi nel suo malessere e nella sua vergogna. I pensieri gli annebbiavano la mente fino all’emicrania, quasi il suo cervello stesse sul punto di esplodere.

    Si mise le mani fra i capelli, con un sospiro arrabbiato e disperato. Non ne poteva più. Era distrutto. Aveva qualcosa, dentro di sé, che lo stava divorando. Si sentiva sgretolare internamente, pezzo dopo pezzo, come fosse stato destinato ad una tortura che fino ad allora aveva creduto di poter sopportare, ma che adesso lo stava uccidendo. Era troppo forte per lui; e lui era troppo debole.

    Tirò fuori quel briciolo di coraggio indispensabile per aprire gli occhi, e lo sguardo cadde subito giù. Laddove vi erano sempre stati momenti felici, con Blaise e con Theodore, momenti di nervosismo a causa di Tiger e Goyle, momenti di rivalità con la Granger e quella donnola del suo stupido fidanzato, di sfida con altri Serpeverde… lì, in prossimità del Lago Nero, prendevano ora luogo i funerali di Albus Silente.

    « Il più grande mago del mondo », sussurrò a voce alta fra sé e sé, quasi senza accorgersene.

    In quel momento, Draco voleva essere un ragazzo qualunque. E lo sembrava. Se ne stava lì, con i capelli finissimi e spettinati, di un candore etereo, e gli occhi grigi, adesso colmi di sofferenza, più grandi che mai. Teneva la camicia con i primi due o tre bottoni aperti, le maniche arrotolate fino al gomito e la cravatta appoggiata intorno alle spalle. La prese, lasciandosela passare fra le dita, mentre con i polpastrelli accarezzava le righe bianche oblique che tagliavano il verde come ferite aperte sanguinanti.

    Non ne era degno. Quel pensiero lo accoltellò. La Casa dei Serpeverde era la sua vita, la sua fierezza più grande. Si era da subito impegnato per farsi strada fra i suoi compagni, per risaltare e fornire un modello a quelli più stupidi di lui, o, semplicemente, a coloro dal carattere più fragile. 

    Durante quegli anni a Hogwarts Draco Malfoy era stato temuto e amato, e fino a quel momento pensava fosse tutto ciò che contasse. Non aveva bisogno di altro, anche perché, francamente, tutto il resto già lo aveva. Era ricco, potente, purosangue, e (ultimamente) piaceva alle ragazze. Perciò decisamente non era un ragazzo qualunque.

    Tirò su col naso. Si domandò se al suo funerale sarebbe venuta tanta gente quanta ce n’era in quel frangente ad onorare la memoria dell’ex preside. Si rispose praticamente subito.

    Contemplò la frotta di streghe, maghi e creature intorno alla maestosa e monumentale tomba in marmo. Il Serpeverde percepiva da lassù, intravedendolo fra gli alberi, la saggezza e la purezza che quel colore bianco emanava, assieme allo sconfinato potere che vi era racchiuso.

    Ritirò le gambe e si rigirò, tornando con un balzo nell’aula di Divinazione. Quando era entrato aveva lasciato sulla cattedra una fiaschetta di Whiskey Incendiario, così senza pensarci due volte ne buttò giù tre sorsi pieni. Si appoggiò, senza sedersi, ad un tavolo rotondo lì vicino, dando un’occhiata disinteressata alla sala attorno a sé. I drappeggi rossi davano un senso di tepore all’ambiente, e per un attimo si perse a guardare i dettagli: innumerevoli piccoli e grandi oggetti popolavano mensole, scaffali e cassettoni, era impossibile trovare uno spazio che fosse effettivamente vuoto. L’odore non era stato dei più accoglienti, una volta entrato, ma presto ci si faceva l’abitudine, e difatti il Serpeverde se ne ricordò soltanto quando i suoi occhi stanchi incontrarono l’imponente camino spento, dove sopra vi era sospeso a mezz’aria un bollitore, contenente chissà cosa di decisamente troppo profumato.

    Trattenne un rutto, poi si scolò mezza fiaschetta. Gli effetti si sentirono subito, e senza neanche accorgersene si mise a ridere di gusto, per qualche secondo. Era quello di cui aveva bisogno, finalmente. Si sentì nuovamente vivo, con un senso.

    Si ricordò chi era Draco Malfoy.

    Con un gesto che aveva immaginato essere molto più veloce di quel che fu realmente tirò fuori la bacchetta. « Biancospino. Bah… », mugugnò confuso, ricordando le parole di Garrick Olivander sette anni prima. Impedì a se stesso di sprofondare nuovamente in una patetica autocommiserazione al pensiero di dove si trovasse esattamente in quel momento il fabbricante di bacchette.

    Tossì. Poi bevve ancora.

    Si voltò verso la cattedra e stese la bacchetta con estrema sicurezza in direzione della poltrona che si ergeva solenne. « Reducio! », pronunciò. Quella divenne così piccola da scomparire a primo colpo d’occhio. 

    Un ghigno sollevò gli angoli della bocca di Malfoy, che adesso puzzava parecchio di alcool. « Wingardium Leviosa », sussurrò sta volta, e fece fluttuare la poltroncina fin sopra il tavolo. 

    Un tonfo sordo fece sussultare Draco sul posto, che si affrettò, con una lucidità imprevista, a far evanescere il Whiskey. Non aveva idea di cosa si sarebbe inventato se un professore l’avesse scoperto in un’aula in cui non poteva entrare, a fare incantesimi al limite del dispetto su oggetti pubblici come la mobilia — e per di più ubriaco.

    Ma d’altronde, cosa avrebbero potuto fare? Espellerlo? Con il consenso di quale preside?

    « Draco » 

    Sulla porta c’era una ragazza. Dapprima era sfocata, ma poi la mandibola rigida, gli zigomi alti e gli occhi verdi presero forma. I lunghi capelli castani le scendevano morbidi ad incorniciarle il volto preoccupato, le sopracciglia erano corrucciate e non c’era un’ombra del sorriso che il biondo conosceva bene. Quel sorriso lì…

    « Astoria », mormorò lui. Sentì un forte giramento di testa, si portò la mano destra fra i capelli mentre con la sinistra teneva ancora ben salda la bacchetta; tentò di riacquisire nitidezza almeno nella vista, mentre ormai sapeva che il cervello era definitivamente andato. Si fece una sana risata sollevata, riaprendo gli occhi e mettendosi una mano sul cuore, mentre con un’eccessiva smorfia smagliante tornava a guardare la compagna di Casa. « Non sai che paura mi hai fatto prendere. Stavo per schiantarti » Riprese fiato. « Ammetto però che prendermi un colpo così mi ha fatto salire una botta… », mugugnò poi, questa volta però stava decisamente parlando da solo.

    Astoria Greengrass, la schiena dritta e lo sguardo fermo, si ergeva sulla soglia dell’aula in un paio di scarpe alte argentate, mentre le gambe nude, esili e lunghe spuntavano da un meraviglioso abito color smeraldo dalle spalline delicate, un’elegante scollatura sul petto ed un’ampia coda dietro, quasi che toccava terra, mentre davanti si apriva con uno spacco distinto adornato da volant. Una finissima catenina argentata le scendeva fra le clavicole, mentre un serpente, appeso ad essa da un esile anellino, posava fiero fra i seni della giovane donna.

    Draco la osservò per intero per un solo momento, dopodiché il suo cervello si limitò a registrarne la bellezza come fosse un dato scarno, senza alcun significato per lui. Mera oggettività.

    Si voltò verso la finestra e senza neanche pensarci si avvicinò per affacciarsi e vedere come proseguiva la “faccenda Silente”. Era passato un po’ da che avevano portato il corpo alla tomba, eppure erano ancora tutti lì.

    Non si accorse nemmeno di esserselo fatto ricomparire fra le mani, quando si attaccò nuovamente al Whiskey.

    « Sono le undici di mattina », sentenziò Astoria alle sue spalle, incolore. « E tu sei ubriaco »

    Draco indurì tutti i muscoli del volto. Sbatté la borraccetta sul tavolo e si girò verso la ragazza. « Qualcosa di ridire? », sibilò a denti stretti. Aveva la mascella contratta e gli occhi si erano ghiacciati d’una freddezza e insensibilità che non provava affatto a celare, anzi. Mostrarsi così lo aveva sempre fatto sentire bene, più forte, come se fosse l’unico ad avere il controllo.

    Lei, però, non fece una piega. Si avvicinò, un sonoro rumore di tacchi su pietra ad accompagnare i suoi movimenti fluidi, sciolti, sempre eleganti. Reggeva perfettamente il contatto visivo con lui, ma d’altro canto non c’era da sorprendersi. Nulla di tutto quello era strano, perché il loro rapporto era così, diverso da quello che Malfoy aveva con chiunque altro, e per un valido motivo: lei sapeva tenergli testa.

    « Mi offendo solo se lo fai senza di me », rispose lei, poi finalmente accadde: si aprì in quel sorriso lì, splendente più che mai.

    Draco ricambiò con una spontaneità disarmante, sentendo immediatamente un calore nuovo, di cui fino a qualche istante prima non sapeva di avere bisogno. Ora l’avrebbe quasi ringraziata di essere capitata lì al momento più opportuno.

    Astoria si sedette sul tavolo in legno affianco a lui, accavallando le gambe. Aspettò che il biondo si avvicinasse, dopodiché bevve un sorso di Whiskey Incendiario, esibendo immediatamente un’espressione di disgusto mentre lo mandava giù, e subito dopo una risatina. « Questa roba è tremenda. Mi chiedo come fai a preferirlo al vino fatto dagli elfi », commentò, pulendosi il lato della bocca con il dorso della mano.

    L’amico sogghignò, oscillando sul posto, e in tutta risposta si attaccò alla fiaschetta per quelli che da Astoria furono percepiti come fin troppi secondi. Già non si reggeva in piedi. « È più forte », provò a biascicare.

    La ragazza, per come poteva, stava in realtà cercando di aiutarlo. Perciò sospirò, mentre levava qualche ciuffo platino dalla fronte imperlata di sudore dell’altro. L’aveva sempre trovato attraente e interessante, ma in quel momento riconobbe che era riuscito a perdere tutto il suo fascino.

    La verità è che le dispiaceva. Teneva a lui, nonostante fosse di princìpi morali pressoché assenti o, ad ogni modo, perfettamente opinabili, tuttavia questi si ostinava a voler essere un lupo solitario, in un branco di docili cagnolini, senza permettere a nessun altro di avvicinarsi. Tiger e Goyle non potevano essere considerati amici, né tantomeno Pansy Parkinson. Forse soltanto Blaise aveva un po’ a cuore la salute del ragazzo, ma a conti fatti, dov’era Blaise in quel momento?

    Mentre si perdeva in questi ragionamenti, Astoria realizzò una durissima verità: tutto ciò a cui lei stava pensando, tutte le conclusioni a cui era appena arrivata, Draco Malfoy le sapeva già. Sapeva di essere solo, sapeva di non voler cambiare la sua condizione e sapeva che a nessuno sarebbe importato se invece fosse riuscito nell’intento. L’apparentemente incolmabile senso di vuoto di cui si era circondato era come una malattia contagiosa, che aveva infettato se stesso e tutti gli altri.

    E ora aveva la responsabilità della morte di Albus Silente.

    Quello fu un vero colpo. Si era impegnata tanto per cercarlo quando non l’aveva visto ai funerali, era arrivata fino in cima alla Torre di Astronomia (perché sapeva quanto il bisogno di solitudine di Malfoy fosse a volte estremo, e come corresse subito a rifugiarsi nei punti più alti, lontani da tutto e da tutti), ma lì non l’aveva trovato. Perché? Eccolo lì, il perché. Era davanti ai suoi occhi.

    Draco si sedette sul pavimento, proprio sotto la finestrella che dava sul Lago Nero. Ogni tanto sbirciava, poi sorseggiava del Whiskey e poi guardava Astoria. « So a cosa stai pensando », proferì a voce bassa, comprensibile per un pelo. « O forse no… » Fece spallucce, noncurante. « Ma non mi interessa. In effetti mi interessa ben poco di quello che pensi tu, o chiunque altro »

    Il Serpeverde aveva un talento per la Legilimanzia come per l’Occlumanzia, ma lei non brillava in nessuna delle due arti. Sapevano entrambi che se soltanto avesse voluto, Draco sarebbe potuto entrare nella sua mente senza alcuna difficoltà, violando ogni tipo di esile muro erto dalla compagna. Inoltre, Astoria era perfettamente a conoscenza di avere dipinta sul volto un’espressione triste nel vederlo così, ma non riusciva a trattenersi. Lasciò che fosse un libro aperto per lui, perché in quel momento era troppo ubriaco per difendersi e sarebbero quindi stati effettivamente pari.

    Se non avesse approfittato di quell’occasione, forse non avrebbe più avuto modo di aiutarlo. Il suo dolore era tangibile, persino lei se lo sentiva attaccato addosso come afa.

    « Penso che stai vivendo qualcosa che io non potrò mai capire, Draco » In quel momento si accorso che il cuore le correva veloce contro la cassa toracica, vi sbatteva così forte che se lo sentiva nelle orecchie; ogni battito era una fitta al petto, alla gola. Dovette intrecciare le dita delle mani fra loro, per non percepirne il tremolio. « Adesso ti vedo veramente. Vedo una corazza, un’armatura sotto la quale c’è un ragazzo che ora ha una sensibilità e un tormento ineguagliabili » 

    Non era certa che la stesse ascoltando. Era dapprima corrucciato a guardare fuori; in seguito, non appena lei aveva iniziato a parlare, era fuggito nuovamente in se stesso, serrando la mandibola e chiudendo gli occhi. Era talmente immobile da lasciar sospettare che si fosse addormentato, ma lei continuò comunque a parlare. « Stai sperimentando la paura. Ti senti solo, spaventato, e pensi di non avere nessuno al mondo che possa starti accanto davvero, ma sai che ti dico? Ce l’hai »

    Si alzò, gli andò vicino e gli si accovacciò accanto. Non si muoveva, non parlava né tantomeno apriva gli occhi, ma in qualche modo Astoria capì che una parte di lui stava ascoltando. Gli accarezzò impercettibilmente una guancia con il dorso delle dita, con più delicatezza possibile, quasi potesse rompersi.

    Tirò su con il naso e si rese conto di essere sul punto di piangere.

    « Hai te stesso, Draco. Quando tutto va male, quando pensi che presto o tardi perderai ogni cosa, quando senti di essere finito, sull’orlo del mondo, tu resta in piedi, perché ti hai e ti avrai per sempre. Credi in te, perché sei l’unico, senza alcuna condizione, che ti resterà vicino per il resto della vita » 

    Nessuna reazione, nessuna risposta.

    Astoria sospirò, eliminò in fretta le lacrime che le rigavano il volto e gli diede un leggero bacio sulla tempia. Poi si alzò, bevve un sorso di quel fortissimo Whiskey e s’incamminò verso l’uscita.

    « Perché mi hai detto tutte queste cose? » 

    La sua voce la fece sobbalzare, ma non poté non soffocare un sorriso. Si voltò indietro per ritrovarlo nella stessa posizione di prima, ma ora i suoi intensi occhi grigi la penetravano con diffidenza. Sembrava quasi sobrio.

    Astoria si asciugò in fretta le guance, pur sapendo che ormai era stata scoperta. « C’è ancora speranza per te, Draco » Sorrise, di quel sorriso lì, poi se ne andò.

   
 
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