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Autore: SkyDream    15/10/2020    1 recensioni
Akaashi conosceva bene il suo volto preoccupato ormai, la cosa lo infastidiva seppur leggermente. Non voleva minare l’entusiasmo e la solarità di Bokuto, ogni volta che lo scopriva a fissarlo con le sopracciglia corrucciate, si sbrigava a tranquillizzarlo e a rassicurarlo sul fatto che stesse bene.
Non che non lo capisse, era il suo modo per esprimere amore.
Eppure Akaashi cominciava a mal sopportare quella situazione, il dover costantemente tranquillizzarlo. Soprattutto in quel periodo autunnale.
D’altronde erano passati anni da quel fatto, avrebbe dovuto saperlo.
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«Ti sei preoccupato per me vedo.» Akaashi sorrise per quel poco che l’anestesia gli consentiva.(...)
«Non sapevo cosa portarti.» Ammise l’altro con tutta l’onestà che lo caratterizzava. Era fatto così, era più bravo con i gesti spontanei che con le parole.
Con quelle era sempre stato Akaashi quello bravo.
«Sono contento che tu sia qui, Koutaro.» Il setter non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti, la testa era immersa in uno stato di confusione e anestesia.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fianco a fianco

«Non è nulla, non preoccuparti, Taro!» Akaashi gli sorrise e poi tornò a dedicarsi ai fornelli, aveva proprio voglia di un ramen caldo e dolce, poco speziato. Nella ciotola di Bokuto avrebbe dovuto buttare almeno mezzo cucchiaio di pepe, ma questo lo sapeva già e non aveva bisogno nemmeno di chiederlo.
D’altronde, quando convivi ormai da anni, qualcosa la impari.
Akaashi non aveva problemi economici e neanche grandi rapporti con la sua famiglia per cui, quando Bokuto  dopo il suo diploma si era presentato alla porta con un volantino di una casa in affitto, non ci aveva pensato due volte.
Il suo amico - ormai diventato il suo ragazzo - stava frequentando un’importante squadra di pallavolo e dedicava tutto se stesso agli allenamenti.
Keiji, invece, aveva provato ad iscriversi all’università di lettere, ma con scarsi risultati, per cui aveva ripiegato sull’editoria. Nonostante tutto si trovava bene, il lavoro lo coinvolgeva e gli lasciava abbastanza tempo da impiegare con la persona che amava.
Soprattutto gli consentiva di mettersi ai fornelli, cosa che Bokuto apprezzava tantissimo.
Il loro rapporto, dai tempi del liceo, era naturalmente cambiato. Erano ancora in sincronia, anzi, riuscivano a capirsi con un solo battito di ciglia, ma ora erano più maturi e avevano imparato a riconoscere il desiderio l’un per l’altro, la voglia di condividere e la preoccupazione.
Soprattutto quest’ultimo punto, da parte di Bokuto, era stata tristemente sperimentata più di una volta.
Akaashi conosceva bene il suo volto preoccupato ormai, la cosa lo infastidiva seppur leggermente. Non voleva minare l’entusiasmo e la solarità di Bokuto, ogni volta che lo scopriva a fissarlo con le sopracciglia corrucciate, si sbrigava a tranquillizzarlo e a rassicurarlo sul fatto che stesse bene.
Non che non lo capisse, era il suo modo per esprimere amore, anche lui provava la stessa sensazione quando il suo ragazzo si beccava l’influenza o sembrava particolarmente giù senza motivo.
Eppure Akaashi cominciava a mal sopportare quella situazione, il dover costantemente tranquillizzarlo. Soprattutto in quel periodo autunnale.
D’altronde erano passati anni da quel fatto, avrebbe dovuto saperlo.
«Ne sei sicuro? Se vuoi andare a riposare finisco io di preparare.» Rispose Bokuto affacciandosi dalla porta della cucina, il profumino lo aveva attratto fin lì.
«Ho quasi fatto, anzi, puoi sederti perché sto per mettere a tavola.» Akaashi gli sorrise ancora e, dopo pochi secondi, si voltò verso di lui con una ciotola fumante in mano.
Riuscì a compiere per bene solo il primo passo, il secondo rimase sospeso a metà facendogli perdere l’equilibrio e mandando in frantumi la scodella del pranzo.
Akaashi rimase immobile, fissando il pavimento sporco, un senso di rabbia e frustrazione cominciavano a montargli dentro, li sentiva crescere. Avrebbe urlato se non fosse stato per la mano calda che, con insolita calma, si era poggiata sulla sua spalla.
«Li raccolgo io, non è successo nulla.» Bokuto si accovacciò e raccolse ogni singolo coccio mentre Akaashi, mordendosi un labbro, andava a prendere uno strofinaccio.
Il pranzo proseguì in silenzio da parte di entrambi, in sottofondo scorreva il telegiornale con le ultime notizie dal mondo.
Bokuto avrebbe voluto rompere il silenzio, raccontare una delle sue cavolate con esagerato entusiasmo, oppure proporre una gita fuori porta per andare a trovare Kuroo e Kenma nella loro nuova squadra di pallavolo.
Ma non ci riuscì, rimase a fissare le mani ancora tremanti del suo ragazzo e cercò di reprimere i suoi istinti.
D’altronde avevano già discusso su quel fatto, ad Akaashi non piaceva che venisse sottolineato quel piccolo problema che di tanto in tanto si faceva risentire.
Preferiva prendersi lui cura dell’altro ed era tremendamente bravo a consolare e rincuorare.
Bokuto no. Era completamente una frana ed era capitato più volte che, nei suoi buffi tentativi, finisse invece per farlo piangere.
E detestava vedere Akaashi piangere, avrebbe preferito tagliarsi un arto piuttosto che sentire quelle lacrime sulla pelle.
Sì, perché quando il suo ragazzo era giù di tono, Bokuto non riusciva a non abbracciarlo. Era sempre stata una persona molto fisica lui, che comunicava con il contatto e, scoprì in seguito, anche con i baci.
«Puoi lavare tu le stoviglie?» La voce di Akaashi era tranquilla, come se non fosse successo nulla. Finì il suo ramen dolce ritenendosi soddisfatto del risultato e poggiò la ciotola sul tavolo.
«Certo, ci penso io».
Bokuto contò fino a dieci prima di aprire il rubinetto, aveva dovuto imparare tutto sulla convivenza con un’altra persona, perfino a lavare i piatti. Aveva ancora qualche problema con questi e, spesso, gli scivolavano di mano.
«Vado a riposarmi un po’, vieni anche tu dopo?».
«Pensi che ti lascerei solo soletto mentre indossi quella maglietta così attillata?» Bokuto non si voltò, ma sentì il suo compagno sorridere e tanto bastò per sentirsi meglio.
A letto, stretti l’uno all’altro, avrebbe potuto esprimergli quanto gli fosse davvero vicino.
L’acqua scrosciante gli riportò alla memoria quell’episodio di cinque anni prima, durante gli ultimi mesi da liceale di Akaashi.
 
«Andrai alla grande, Akaaashi!»
Bokuto prese posto in prima fila nella tribuna d’onore e si preparò per assistere alla partita. Si erano inzuppati a causa del tremendo temporale che li aveva sorpresi, ma non importava.
Gli mancava la Fukuro, terribilmente, e grazie al suo rapporto stretto con Keiji, riusciva comunque a non perdersi nemmeno un incontro.
«Certo che andrò alla grande, il nuovo schiacciatore non è niente male!» Rispose l’altro mentre si allontanava per il riscaldamento.
Sapeva che tra lui e Bokuto stava per venir fuori qualcosa, i segnali erano sempre più evidenti e - incontrandosi spesso fuori dalla scuola - avevano avuto più di un’occasione per conoscersi meglio e scoprire che la loro sincronia non si limitava alla pallavolo, ma continuava nella vita.
Inoltre, aveva scoperto con immenso piacere, Bokuto cominciava ad essere un pochino geloso nei suoi confronti. Soprattutto quando qualcuno gli ronzava intorno, per marcare il territorio, gli afferrava la mano e la stringeva nella sua in un intreccio di dita praticamente indissolubile.
Akaashi adorava quei gesti d’attenzione per cui, anche quella volta, ne approfittò con gli elogi verso il nuovo schiacciatore.
L’effetto sperato non avrebbe potuto goderselo subito, anche se immaginava come il Bokuto alle sue spalle fosse sbiancato di botto, ma se lo sarebbe goduto con calma dopo la partita, durante la strada per tornare ognuno alla propria casa.
 
Il fischio d’inizio anticipò di poco il primo servizio che diede il via alla partita.
La Fukurodani partì immediatamente in vantaggio, grazie ad Akaashi avevano ottenuto ben tre punti di stacco dagli avversari. L’intero primo set fu un misto di orgoglio ed emozione per tutti i giocatori, quella palla sembrava essere dalla loro parte e finire esattamente dove volevano.
Bokuto era rimasto tutto il tempo con la bocca aperta, gli occhi spalancati a guardare - carico di emozioni - il suo futuro ragazzo mentre sollevava la palla in aria.
Akaashi era così bello da far male, soprattutto in campo, quando si concentrava e si scostava i capelli madidi di sudore, era impossibile non cadere ai suoi piedi.
Bokuto poteva sentire i pensieri dell’altro scorrere veloci, gli occhi saettare da un lato all’altro del campo, erano rapidi, fulminei.
Akaashi era sempre stato così: analitico. Talmente diverso da lui che, spesso, si chiedeva come potesse capirlo talmente bene.
Alla fine del secondo set Akaashi si sedette in panchina e terminò, con un unico sorso, l’intera bottiglietta di energizzante.
Dovevano vincere l’altro set, ce l’avrebbero fatta, ne era sicuro.
Avrebbe mostrato a Bokuto, per l’ennesima volta, fin dove avrebbe portato la Fukuro.
Il fischio dell’arbitro diede inizio al secondo set, la squadra avversaria fece di tutto per riprendersi i punti persi, scaldando l’atmosfera nel campo.
Akaashi sollevò al nuovo schiacciatore, la palla tornò in aria e vi rimase a lungo prima di regalare un punto all’altra squadra.
Bokuto pensò che quelle immagini gli sarebbero rimaste impresse per sempre nella mente.
Il setter era in seconda linea, l’avversario si stava preparando per una battuta in salto, aveva già notato quanto fosse forte quel ragazzo per cui non si stupì quando il pallone partì con una velocità disumana.
Solo che Akaashi dalla seconda linea stava per passare alla prima, lo schiacciatore davanti a sé - troppo impegnato a fissare il pallone - non si era accorto di lui, sbarrandogli la strada.
Vi fu un secondo in cui l’intera palestra cadde nel silenzio.
Il setter era a terra, con il naso sanguinante e gli occhi chiusi. Il servizio gli era finito addosso con una precisione millimetrica.
«Akaashi!» Bokuto scavalcò il muro che li separava e si gettò sul campo totalmente ignaro delle conseguenze. Continuava a chiamarlo a voce così alta da rimbombare per tutto il campo.
Il suo amico non si svegliava, era rimasto a terra immobile.
L’allenatore Yamiji provò a fermarlo per le spalle, i soccorritori stavano per arrivare e si sarebbero presi cura di lui, non poteva stare tra i piedi.
Ma Bokuto continuava a svincolarsi, voleva toccare Keiji, sentire la sua pelle morbida sotto le mani e il suo sguardo addosso. Continuava a chiamarlo, vedeva il sensei in ginocchio al suo fianco che cercava di svegliarlo senza riuscirci.
E lui tremava, vedeva solo il ragazzo riverso a terra e non sapeva cosa fare, come rendersi utile.
Akaashi avrebbe saputo cosa fare anche in quella situazione, non si sarebbe scomposto e si sarebbe fatto in quattro per lui.
Un infermiere ed un soccorritore lo caricarono su una barella, Bokuto notò che le palpebre si erano appena sollevate, come se avesse sentito la sua voce e stesse provando a reagire.
“E se non dovesse vedermi? Penserà che sono andato via senza di lui?” Koutaro gli corse incontro, inseguendo la barella fino al corridoio.
Quando si avvicinò, lo vide sorridere di sbieco, come a rassicurarlo del fatto che aveva capito. Che apprezzava.
“Lui è quello che si è fatto male, e riesce comunque ad essere quello rassicurante!” pensò Bokuto mentre rallentava, l’infermiera gli aveva fatto cenno di aspettare in corridoio.
Qualche minuto dopo sarebbe arrivata l’ambulanza.
Bokuto e Akaashi non si sarebbero visti per ben dodici ore.
 
L’acqua smise di scorrere dal rubinetto, Bokuto si asciugò le mani con uno strofinaccio e andò verso la camera.
Akaashi lo stava aspettando, aveva risvoltato le coperte anche dal suo lato in un chiaro invito a raggiungerlo.
I due non dissero una parola, avevano affrontato il discorso fin troppe volte.
Bokuto però si perse un momento a contemplare la testolina mora che gli si era poggiata al petto, ricordava bene il terrore che gli aveva gelato il sangue quella volta, il solo ricordo gli faceva battere il cuore più veloce del solito.
Gli tornò in mente l’immagine di Akaashi in ospedale, il giorno dopo dell’incidente sul campo e non riuscì a reprimere l’istinto di stringerlo a se ancora più forte.
 
«Ti sei preoccupato per me vedo.» Akaashi sorrise per quel poco che l’anestesia gli consentiva. Il suo amico lo aveva riempito di regali: l’ultima rivista di Fly Volleyball, l’ultimo numero del manga shonen che seguiva, la confezione di biscotti alla crema pasticcera che condividevano sempre, dei succhi di frutta e perfino una sciarpa “nel caso in cui sentissi freddo”.
«Non sapevo cosa portarti.» Ammise l’altro con tutta l’onestà che lo caratterizzava. Era fatto così, era più bravo con i gesti spontanei che con le parole.
Con quelle era sempre stato Akaashi quello bravo.
«Sono contento che tu sia qui, Koutaro.» Il setter non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti, la testa era immersa in uno stato di confusione e anestesia.
Aveva capito, da quel poco che i medici avevano detto nella sua stanza, che la pallonata e l’impatto a terra gli avevano causato una commozione cerebrale oltre ad un bel trauma alle ossa del naso.
Non doveva avere una bella cera, probabilmente gli avevano imbalsamato le narici con garze e cotone, rendendolo a dir poco osceno.
Qualche ora dopo l’incidente, però, si erano accorti che qualcosa non tornava. Akaashi sembrava dormire sempre più profondamente così, per togliere ogni dubbio, gli avevano fatto una TAC.
Era un’emorragia piccola, ma nel posto sbagliato e andava drenata.
Lo avevano sedato e spedito in sala operatoria come si fa con i pacchi. In poche ore era tornato in reparto, anche se con le idee più confuse di prima.
“Aspetteremo di vedere quando e come si sveglierà, poi sapremo dire di più”.
Lo aveva sentito bene, doveva svegliarsi e alzarsi presto se voleva che le cose andassero per il meglio.
Bokuto, ne era certo, doveva aver sentito tutto. Questo spiegava anche il pallore innaturale che gli ricopriva la faccia.
Non voleva essere lui la causa delle sue preoccupazioni, non voleva fargli del male.
Con quei pensieri, articolati in modo confuso nella sua testa malconcia, Akaashi si addormentò.
Non sentì le mani calde di Bokuto stringere le sue e intrecciarsi alle sue dita, sfiorare la sua guancia in modo goffo e per nulla delicato.
Era rimasto lì a contemplarlo.
 
«Stai ancora pensando a quello?» La voce di Akaashi era impastata dal sonno, non si era scostato dal petto caldo del suo ragazzo, anzi, continuava a bearsi di quel calore sul suo viso.
Bokuto annuì contro i suoi capelli. D’altro canto non aveva smesso nemmeno lui di stringerlo a sé, quasi ad eliminare quei brutti ricordi dalla sua mente.
Akaashi stava bene, era tra le sue braccia e conduceva una vita normalissima.
Erano stati solo una pallonata in faccia e una testata a terra, certo gli effetti erano stati evidenti, ma non aveva rischiato la vita.
Eppure.
«Domani mi accompagni?» Akaashi si sollevò sui gomiti per sussurrarglielo all’orecchio, quasi fosse un segreto. Bokuto sgranò i grandi occhi gialli.
 
«Sei sicuro di riuscire a giocare di nuovo? Sono passati solo due mesi!» Bokuto cercò conferme per tutto il tragitto da casa alla palestra.
Si era offerto volontario per accompagnare Akaashi al suo primo allenamento post-convalescenza.
L’altro cominciava ad essere quasi snervato da tutte quelle domande ed insinuazioni, nonostante ciò apprezzava le premure che Koutaro gli rivolgeva.
«Abbiamo anche provato a casa mia insieme quando mi sono sentito pronto, riesco a sollevare il pallone, a saltare e a correre. Ci metterò qualche settimana a riprendere il ritmo, ma posso permettermelo, non ci sono partite nelle vicinanze.» Sottolineò il setter senza mollare la mano del suo amico.
Un giorno in poi si sarebbe deciso a dirgli quello che provava, ne era certo. Doveva solo trovare il coraggio.
«Posso rimanere a seguire gli allenamenti?» La voce di Bokuto era inutilmente supplichevole, la risposta sarebbe stata affermativa in ogni caso.
Akaashi scosse la testa e lo lasciò entrare, saperlo vicino lo rassicurava.
Non aveva detto nulla, ma l’idea di ritrovarsi faccia a faccia con un pallone lo intimoriva non poco. Bokuto si sedette per terra, a bordo campo. Era irrequieto, probabilmente avrebbe finito per mettersi a giocare insieme a loro.
 
L’allenamento era andato bene, come quelli successivi.
Akaashi stava riprendendo forza muscolare e stava ricominciando a calibrare le distanze adatte per le alzate agli schiacciatori.
Solo qualche volta le gambe e le braccia non si coordinavano come voleva, oppure perdeva un momento l’equilibrio mentre camminava.
Ma succedeva solo qualche volta.
Perché preoccuparsi?
Perché rinunciare alla pallavolo dopo il liceo e rintanarsi in casa a studiare?
 
«Vuoi che ti accompagni dal dottore? Davvero?» Bokuto si era sollevato di scatto, con grande delusione dell’altro che si mostrò fortemente contrariato e gli riservò un’occhiataccia.
«E’ questo che volevi ormai da tempo, no?» Chiese Akaashi mentre si sollevava di nuovo sui gomiti e fissava gli occhi contro quelli del suo ragazzo.
«Mi hai sempre detto che non c’era bisogno e che non dovevo preoccuparmi. Finalmente ti sei deciso! Testone di un Akaashi!» Bokuto gli aveva preso le spalle con un entusiasmo quasi eccessivo.
D’altronde era perfettamente in linea con il suo carattere.
Keiji sorrise e gli arruffò i capelli con una mano.
«Però dopo andiamo a fare colazione in quella pasticceria vicino l’ospedale.» Aggiunse con tono serio, come se fosse una minaccia.
«Quello dove compravo i cornetti caldi quando ti hanno ricoverato?».
«Proprio quello, voglio prenderne uno gigante!» Annunciò mentre si rifondava tra i cuscini.
Bokuto sorrise e, nell’ennesimo impeto di gioia, lo baciò.
Erano mesi, forse anni, che lo pregava di rivolgersi ad uno specialista per quel problema che, seppur piccolo e non invalidante, lo aveva irrimediabilmente allontanato dalla pallavolo e, un po’, anche da lui.
Nella loro relazione aveva sempre aleggiato una piccola nube di cose non dette, di cose non condivise che - forse - avrebbero potuto finalmente trovare una soluzione.
Forse quella visita lo avrebbe convinto a riprendere a giocare, anche se in una piccola squadra, anche senza gare né aspettative alte.
Sarebbero stati insieme sul campo, di nuovo, ad emozionarsi per ogni punto. E tanto bastava a mandarlo in estasi!
«Ho capito che sei felice, ma lasciami respirare!» Si lamentò Akaashi cercando di allontanarsi da quel bacio che gli stava facendo mancare l’aria.
Bokuto era così, quando la sua solita energia cominciava a scorrergli nelle vene, era impossibile fermarlo.
Si staccarono un momento solo, quel tanto che bastava per permettere al maggiore di togliere la maglietta al suo ragazzo.
«Non era quello che intendevo!» Si oppose senza smettere di ridere, le sue labbra furono rapite di nuovo.
Si arrese di fronte quell’impeto, poi cominciò a seguirlo finchè, come ogni volta, non si ritrovarono in perfetta sincronia.
«Grazie, Keiji!» Bokuto lo sussurrò appena ad un orecchio mentre sentiva la sua pelle calda contro la sua. Gli baciò l’incavo del collo.
Akaashi infilò le dita tra i capelli spettinati del suo ragazzo fino a portarlo davanti il suo viso.
«Grazie a te per averci creduto più di me».
 
«Cammini tutto scoordinato, sembri una bambola di pezza!».
«I medici dicono che passerà tra qualche settimana, a quanto pare è l’effetto della botta.» Akaashi provava a camminare seguendo la linea al centro del marciapiede. Ci provava ogni mattina, ed ogni mattina perdeva l’equilibrio.
«Poco importa, tanto puoi tenerti con me!».
E come ogni mattina si aggrappava al suo braccio, fino a far scivolare la sua mano dentro quella di Bokuto.
Così aveva imparato nuovamente a camminare.
E in autunno, quando le prime giornate uggiose e il freddo bussavano alla porta e le gambe e le braccia si rifiutavano di coordinarsi, Akaashi si aggrappava a lui.
E non vi era volta in cui Bokuto non poggiasse la propria testa su quella dell’altro in cerca di sostegno.
Così avevano imparato nuovamente a camminare uno a fianco all’altro.
   
 
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