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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 2: Il Cristallo del Destino

 

   Il sole di Bajor sfolgorava al centro dello schermo. Erano passati più di sei anni dall’ultima visita a quel sistema, rifletté il Capitano Hod. Sei anni in cui tutte le sue speranze si erano infrante e i suoi sogni si erano ridotti in cenere. L’Unione, che prima dell’elezione di Rangda era in pace, si era trasformata nel campo di battaglia della Guerra Civile. E uno dei fronti più accesi era proprio il settore bajoriano.

   Nella parte più interna del sistema, il pianeta verde-azzurro orbitava con il suo corteo di satelliti. La Keter però non era diretta lì. Doveva fermarsi nella Cintura di Denorios, la zona ionizzata tra Bajor IX e X dove si apriva il Tunnel Spaziale. E dove si trovava New Frontier, la moderna stazione che aveva soppiantato Deep Space Nine.

   A differenza della vecchia base, piuttosto piccola, la New Frontier era una delle più grandi stazioni mai costruite dalla Federazione, nonché una delle più armate. Doveva essere un baluardo contro gli attacchi del Dominio, sebbene questi non si verificassero da quando gli abitanti del Tunnel avevano distrutto la flotta d’invasione e si erano impegnati a non farne transitare altre. Ma la prudenza non era mai troppa. Costruita tra fine XXV e inizio XXVI secolo, la stazione aveva avuto il suo battesimo del fuoco durante la Guerra delle Anomalie, quando aveva respinto un’armata del Fronte Temporale. Nei trent’anni successivi aveva subito ulteriori upgrade, che l’avevano resa ancor più inespugnabile. E adesso che infuriava la Guerra Civile, era il più grande baluardo della Federazione.

   Nella forma riprendeva volutamente le linee di Deep Space Nine, con una sezione centrale compatta e un anello abitativo da cui si protendevano i piloni d’attracco per le astronavi. Anziché avere tre piloni superiori e tre inferiori, tuttavia, la nuova stazione ne aveva quattro e quattro. Trovandosi a 90º anziché a 120º, le davano un aspetto più squadrato. I piloni, inoltre, s’incurvavano a tal punto da incontrarsi sopra e sotto il globo centrale, cui erano uniti da elementi di raccordo. Mentre la vecchia stazione era color bronzo, la nuova era bianca e argento, con alcuni tocchi verdi. Era protetta da scudi cronofasici e da una corazza ablativa in yiterium. Lo scafo era disseminato di armi: banchi phaser e polaronici, disgregatori, lanciasiluri per testate di ogni tipo. Vedendo quella fortezza, il Capitano Hod ritrovò un po’ di speranza. Nemmeno i Pacificatori l’avrebbero attaccata a cuor leggero.

   La Keter si dispose accanto alla stazione, assieme alla flotta che l’aveva seguita da Cardassia: appena una cinquantina di navi. Molti più vascelli erano schierati a difesa di Bajor. Tra questi c’era la nuova Defiant, che all’arrivo della Keter lasciò l’orbita e le venne incontro. Era un colossale vascello di classe Juggernaut, dalle forme squadrate e i grandi hangar laterali pronti a lanciare nugoli di caccia stellari. Lo comandava l’Ammiraglio Ilia Tarn, che un tempo era stata Ilia Dax, prima che il suo Simbionte fosse ucciso assieme a molti altri dai Pacificatori, nel tentativo di cancellare la memoria storica.

   «Ci chiamano dalla Defiant» disse Zafreen.

   «Sullo schermo».

   L’Ammiraglio Tarn aveva gli occhi cerchiati di stanchezza e i capelli ancora più grigi dell’ultima volta che l’avevano vista. «Ben arrivati» li accolse. «Non ditemi che queste sono tutte le vostre navi».

   «Temo di sì» sospirò Hod. «I Cardassiani temono per i loro pianeti – non posso dargli torto – e non hanno voluto darci più di così».

   «Li presserò perché ci mandino altre navi» disse la Trill. «Intanto mi raggiunga sulla New Frontier. Dobbiamo organizzare la difesa».

 

   Teletrasportata sulla stazione, il Capitano Hod andò subito in sala tattica, dove si erano radunati gli ufficiali della Flotta Stellare e della Milizia Bajoriana. Tra i primi riconobbe il Comandante Fee’laur, un grosso Caitiano dagli occhi gialli e la criniera leonina che comandava la New Frontier; tra i secondi individuò il Colonnello Shakaar, che invece dirigeva Deep Space Nine. C’erano anche esponenti di spicco del governo bajoriano, tra cui il Ministro Parva. Dopo aver atteso qualche minuto, affinché arrivassero gli ultimi invitati, sedettero attorno al tavolo.

   «Dichiaro aperto il consiglio di guerra» disse Ilia. «Come sapete, Approdo dei Profeti è caduto e la Keter ha trovato prove che il prossimo assalto dei Pacificatori sarà diretto qui».

   Così dicendo l’Ammiraglio attivò un ologramma tridimensionale che mostrava la situazione tattica. Al centro vi era l’Unione Galattica, ovvero i sistemi lealisti, evidenziati in rosso. Erano i sistemi più ricchi e popolosi dell’Unione prebellica. Qui regnava Rangda, che poteva contare sul pugno di ferro dei Pacificatori, foraggiati dai Voth e sostenuti militarmente dai Breen. La dittatrice governava ancora dalla Terra, sebbene avesse avviato la costruzione di un faraonico palazzo sul suo pianeta natale Zakdorn, annunciando l’intenzione di trasferirvi la capitale.

   In periferia vi erano invece i sistemi ribelli, ovvero la Federazione. Evidenziati in blu sulla mappa, erano divisi in due tronconi privi di contiguità. Il loro braccio armato era la Flotta Stellare, cioè quella parte di Flotta che non si era inginocchiata a Rangda, supportata da forze locali come la Milizia Bajoriana. Il troncone del Quadrante Beta – il cosiddetto Fronte Orientale – comprendeva lo spazio della Repubblica Romulana e dei Klingon, fino alla Nebulosa Mutara. Essendo il più grosso e meglio difeso, era quello che finora aveva resistito meglio agli assalti. Qui si trovavano i cantieri delle Juggernaut, punta di diamante della Flotta e unico valido baluardo contro i Pacificatori.

   Le cose andavano peggio nel troncone del Quadrante Alfa, il cosiddetto Fronte Occidentale. Questo andava dal settore di Bajor e Cardassia a quello di Ferenginar, passando per le Badlands. Oltre ad essere molto più piccolo dell’altro, questo gruppo di sistemi ribelli era circondato dai nemici: da un lato l’Unione, dall’altro i Breen. Ogni tentativo di unire lo spazio federale, spezzando la contiguità dell’Unione, si era arenato contro l’immensa superiorità numerica del nemico.

   L’Ammiraglio zoomò sul sistema bajoriano, di cui evidenziò i punti critici: Bajor con Deep Space Nine e il Tunnel Spaziale con la New Frontier. «Partiamo dalle cifre» disse la Trill. «Al momento abbiamo un centinaio di navi della Flotta Stellare, 47 dei Cardassiani e 52 della Milizia Bajoriana. Abbiamo chiesto rinforzi al Fronte Orientale, ma non è detto che arrivino, visto che anche lì i nostri sono sotto attacco. Ai fini della difesa, dobbiamo far conto di essere soli».

   «È vergognoso che con oltre mille navi in servizio, la Flotta Stellare possa inviarcene così poche!» insorse il Ministro Parva.

   «È inevitabile, signor Ministro» corresse Ilia. «Dobbiamo proteggere un centinaio di sistemi stellari; non possiamo sguarnirli tutti per presidiarne uno».

   «Ma Bajor è uno dei mondi che hanno fatto di più per voi! E la nostra posizione comporta che, se cadiamo noi, tutto il Fronte Occidentale sarà compromesso» insisté il Bajoriano.

   «Siamo qui per resistere a oltranza» promise l’Ammiraglio.

   «È quanto mi aspetto!» fece Parva, tagliente. «Se fallirete, il mio pianeta cadrà sotto una seconda Occupazione. Avete idea di che incubo sia per noi? Abbiamo impiegato decenni a riprenderci da quella dei Cardassiani. Se adesso fosse l’Unione a invaderci, la mia gente cadrà in preda al terrore e alla disperazione, e molti si abbandoneranno alla violenza».

   «Ricordo bene com’era Bajor, al termine dell’Occupazione. Io ero lì» disse Ilia, con aria distante. «Cioè, Jadzia era lì, ma ho le sue memorie. Rammento quanto Sisko e gli altri s’impegnarono per la ricostruzione. Quindi le garantisco che farò di tutto affinché non ritornino quei tempi».

   Messo di fronte a quella testimonianza, il Primo Ministro si dette una calmata. Al suo posto parlò il Comandante Fee’laur. «Che stime avete per la flotta dei Pacificatori?» chiese nel tono un po’ gutturale dei Caitiani.

   «Dobbiamo supporre che abbiano almeno il doppio delle nostre forze, se non il triplo, dato che i Breen li appoggiano» rispose l’Ammiraglio, destando lo sconforto generale. «Ma avremo i vantaggi dei difensori: lo Scudo Planetario, le piattaforme orbitali. E naturalmente questa stazione. Qual è il vostro status?».

   «Siamo al massimo dell’operatività» assicurò il Comandante. «Visto il pericolo, stiamo evacuando i civili su Bajor; finiremo tra un giorno».

   «Bene; è probabile che questa stazione sia il primo obiettivo dei Pacificatori» disse Ilia. «Se seguiranno la procedura standard, faranno dei rapidi passaggi. Per colpirli duro, dobbiamo impedirgli la ritirata. Se manovriamo accortamente le nostre navi, li prenderemo nel fuoco incrociato».

   «Sempre che non sia un diversivo per indurci a sguarnire Bajor» avvertì Hod. «Consiglio di lasciare metà della flotta a proteggere il pianeta».

   «Di questo si occuperanno le navi bajoriane e cardassiane» annuì la Trill.

   «E cosa contate di fare con New Bajor?» chiese il Primo Ministro.

   «Non voglio disperdere eccessivamente le nostre forze, quindi bisognerà presidiare l’ingresso del Tunnel» spiegò Ilia.

   «Potremmo minarlo, come nella Guerra del Dominio» suggerì il Comandante Fee’laur.

   «Minare il Tempio Celeste?! No, non di nuovo!» si disperò Parva. «La mia gente non vuole essere tagliata fuori né dai Profeti, né dai congiunti che vivono nel Quadrante Gamma».

   «Se non fosse tardi, vi direi di evacuare la colonia» disse però la Trill. «I vostri parenti non sono al sicuro, considerando che molte navi dei Pacificatori dispongono del propulsore cronografico e quindi possono raggiungerli anche senza il Tunnel. E poi... temo la reazione del Dominio. Ormai i Fondatori sanno che siamo in preda alla Guerra Civile e potrebbero approfittarne».

   Un silenzio opprimente cadde sulla sala. In mezzo a tutti quei disastri, ci mancava solo che il Dominio prendesse l’iniziativa.

   «Ebbene, quali sono gli ordini?» chiese infine Fee’laur.

   «Terminate al più presto l’evacuazione dei civili» disse l’Ammiraglio. «Per quanto riguarda la proposta di minare il Tunnel, devo respingerla. Non voglio mettere i Bajoriani ancor più sotto stress e comunque non impedirebbe ai Pacificatori di raggiungere la colonia. Nell’attesa della battaglia simuleremo vari scenari tattici».

   «Quali sono i piani per Deep Space Nine?» volle sapere Hod. Non aveva nominato il Cristallo di Fuoco, ma Ilia capì che pensava soprattutto a quello.

   Fu il Colonnello Shakaar a rispondere. «In questi anni abbiamo implementato la stazione, ma non possiamo respingere una flotta moderna» ammise. «Se le cose volgeranno al peggio, non resterà che l’evacuazione».

   «Concordo» disse Ilia. «Per quanto sia uno straordinario pezzo di storia, e mi stia molto a cuore, non possiamo darle la priorità».

   «Quindi se il nemico l’abbordasse...» lasciò in sospeso Hod.

   «Prima di abbandonarla innescheremo l’autodistruzione» disse Ilia, con la morte nel cuore.

 

   «Siamo quasi arrivati» disse Vrel, riducendo la velocità della navetta.

   Juri si alzò dal sedile in fondo alla cabina e venne avanti, a osservare la stazione che ingrandiva sullo schermo. Deep Space Nine si stagliava contro il globo di Bajor, inconfondibile con i suoi sei bracci incurvati e i due anelli concentrici.

   «Ho sempre sperato di visitarla» ammise il timoniere. «Tu ci sei mai stato?».

   «No, mai» rispose lo storico, osservandola cupamente. Era stato informato delle decisioni dell’Ammiraglio Tarn e sapeva che forse la leggendaria stazione aveva i giorni contati. Ma non era lì in gita di piacere. Doveva informarsi sul Cristallo di Fuoco, per capire se c’era modo di distruggerlo prima dell’attacco.

   «Ad essere onesto, non ho mai capito granché i Bajoriani» disse Vrel, mentre dirigeva la navetta nell’hangar assegnatole. «Tutto quell’adorare il Tunnel, i Profeti, i Cristalli... eppure la nostra tecnologia ha effetto su di loro. L’ultima volta abbiamo respinto Kosst Amojan con un impulso cronotonico. Se la tecnologia può mettere in fuga i loro dèi e demoni, non dovrebbero smettere di adorarli e di temerli?».

   «C’è chi trae conforto dall’adorare qualcosa di visibile e tangibile» rispose Juri, sovrappensiero. «Personalmente faccio fatica a considerare quella Bajoriana come una religione. Una fede dovrebbe, per definizione, basarsi su un atto di fiducia verso qualcosa di scientificamente indimostrabile. I Bajoriani, invece, hanno reso la loro fede fin troppo materiale. Se i Profeti dovessero deluderli, non si riprenderanno tanto facilmente».

   La navetta attraversò il campo di forza dell’hangar e si posò al suolo. Vrel abbassò il portello posteriore, permettendo agli addetti di scaricare i pezzi di ricambio e le armi che avevano portato dalla New Horizon. «Bene, dobbiamo salutarci» disse a Juri. «Io riparto appena finiscono di scaricare. Tu invece quanto ti tratterrai?».

   «Chi lo sa? Coi Bajoriani è meglio non fare programmi» disse lo storico, mettendosi a tracolla il borsone con gli strumenti. «Può darsi che la battaglia inizi prima che io faccia ritorno. In quel caso, buona fortuna. A te e agli altri».

   «Anche a te».

   Dopo una rapida stretta di mano, i due si separarono. Juri si avviò con il borsone a tracolla, sotto lo sguardo preoccupato di Vrel. Il timoniere attese che tutto fosse scaricato e poi ripartì, tornando alla Keter.

 

   Lo storico lasciò l’anello abitativo e raggiunse la zona centrale della stazione, dove si trovavano, tra le altre cose, la camera blindata del Cristallo e i laboratori di analisi. Voleva prendere subito contatto con la squadra che aveva studiato l’artefatto, per sentire se c’erano progressi. Fino ad allora non aveva potuto documentarsi perché le informazioni erano top secret, e in tempo di guerra i Bajoriani non osavano trasmettere i dati. Così doveva parlare direttamente con gli esperti e leggere i loro rapporti lì sulla stazione.

   Malgrado l’urgenza, Juri non resistette alla tentazione di visitare la Passeggiata. Così prese il turboascensore e raggiunse il vasto corridoio ad anello che cingeva il modulo centrale della stazione. Mentre lo percorreva, l’Umano provò emozioni contrastanti. Da un lato c’era l’entusiasmo quasi infantile per il fatto di trovarsi in uno dei luoghi cardine della storia federale. Dall’altro l’amarezza al pensiero che ben difficilmente sarebbero riusciti a proteggere la stazione, e tutto il sistema, dalla marea incalzante del nemico.

   A quel pensiero lo storico si guardò attorno ancora più attentamente, per memorizzare quei luoghi. La Passeggiata, un tempo piena di visitatori provenienti dai due Quadranti, era adesso percorsa solo da tecnici affaccendati negli ultimi lavori e dalle guardie. I vecchi negozi erano deserti, con le luci spente. Non volendo addentrarsi nelle ombre, Juri rimase in quella zona. Salì sulla balconata, dove i grandi finestroni ovali permettevano di osservare lo spazio, cogliendo le occasionali aperture del Tunnel Spaziale. In quel momento, però, non c’era traffico e quindi il wormhole restava invisibile.

   Fu allora che Juri notò una figura solitaria, ritta davanti a uno dei finestroni a forma di occhio. Era una donna Bajoriana, a giudicare dall’orecchino, e indossava un’uniforme scientifica. Teneva le braccia incrociate dietro la schiena e osservava il firmamento. I suoi folti capelli rossi erano raccolti in una crocchia. Juri le sarebbe passato accanto senza disturbarla, ma avvertì qualcosa di familiare in lei. I capelli, tutta la figura... anche la forma dell’orecchino non gli era nuova. Le si fermò accanto, esitante. «Sei tu, Vasa?» mormorò, sentendo le proverbiali farfalle nello stomaco.

   La Bajoriana si voltò di scatto. Anche se erano passati sei anni dall’ultimo incontro, Agni Vasa restava inconfondibile. «Juri!» disse in un soffio. «Che ci fai qui?!».

   «Mi ha mandato la Keter, per sentire se avete fatto progressi col Cristallo» rispose l’Umano. «Te ne occupi ancora?».

   «Io... sì, dirigo la squadra» confermò Vasa, arretrando di un passo. La sua espressione non era quella di chi fa i salti di gioia nel rincontrare una persona cara. Juri se lo aspettava, quindi non rimase troppo deluso.

   «Bene, devo leggere i vostri rapporti e poi vorrei visionare l’artefatto. Spero che per te non sia un problema» disse in tono neutro.

   «N-no, ma... in questi anni ho sentito cose orribili sul tuo conto» disse la Bajoriana, arretrando ancora. «È vero che hai aiutato i Na’kuhl a compiere un’alterazione temporale?».

   Juri maledisse la facilità con cui circolavano le notizie. Ovunque andasse, sui mondi lealisti o in quelli ribelli, trovava gente che gli rinfacciava quell’errore. «È una lunga storia... ma in breve, sì» ammise.

   Vasa sgranò gli occhi, sconcertata. Non credeva che fosse vero. Si avvicinò all’Umano e gli dette un sonoro ceffone. «Cosa credevi di fare, eh? Volevi cancellarci dalla Storia?!» protestò.

   «Speravo di salvare mia sorella dalla morte e la Terra da... grossomodo quel che è successo. Quando ho visto che era impossibile, ho dovuto sacrificare Svetlana, pur di fermare i Na’kuhl» rivelò l’Umano. «I federali mi hanno arrestato comunque, ma quand’è scoppiata la Guerra Civile i ribelli mi hanno liberato. Così sono tornato sulla Keter».

   «Sì, ho visto il tuo messaggio pubblico dell’anno scorso, quando hai rivelato cosa accadeva a Elba II» annuì l’archeologa. «Mi spiace per quello che hai passato, ma... non so se posso perdonarti».

   «Non sono qui in cerca di perdono, ma per parlare del Cristallo» ribatté Juri. «Comunque non mi spiacerebbe sapere come ti vanno le cose».

   «Io... preferisco non parlarne» disse Vasa, stranamente imbarazzata. «Concentriamoci sul lavoro, okay?».

   «Okay. Allora, come si comporta il Cristallo?».

   «Te lo mostrerò. Seguimi» disse la Bajoriana, lasciando la finestra.

 

   I due si addentrarono nella parte più interna e sorvegliata della stazione. Superarono diversi posti di blocco, grazie alle loro autorizzazioni e all’analisi del DNA, fino ad accedere alla camera di massima sicurezza.

   Era un salone blindato, munito d’inibitori di teletrasporto. La teca piramidale del Cristallo stava su un sostegno colonnare, al centro di un campo di forza, visibile anche in quiete nella sua forma cilindrica. Sul soffitto, dentro la zona ritagliata dal campo, c’era un disco luminoso, simile a un emettitore di particelle.

   Juri si avvicinò fin dove possibile. Anche se non poteva vedere il Cristallo, chiuso nella teca senza spiragli, sentiva una sorta di elettricità che gli faceva rizzare i peli. Si disse che forse era solo suggestione.

   «In questi anni lo abbiamo esaminato in tutti i modi, ma la sua natura continua a eluderci» spiegò la Bajoriana. «Al pari dei Cristalli dei Profeti, è come se al suo interno le leggi fisiche non esistessero. Le letture cambiano di momento in momento; talvolta ci sono picchi d’energia».

   «Avete mai aperto la teca?» chiese Juri.

   «Per forza, sennò come avremmo potuto studiarlo?» fece Vasa. «Ma non temere: il Maligno è ancora dentro. Abbiamo preso precauzioni».

   «Quali?».

   «Per effettuare le analisi abbiamo usato robot controllati a distanza. E per accertarci che Kosst Amojan non uscisse, l’abbiamo tenuto sotto un flusso di cronotoni» spiegò la Bajoriana, indicando l’emettitore luminoso sul soffitto.

   «Avete provato a usare i cronotoni per ucciderlo?» chiese Juri.

   «Molte volte, ma senza successo. Quando i livelli diventano così alti da rischiare la breccia temporale, dobbiamo fermarci. Non possiamo rischiare di perdere il Cristallo in qualche angolo dello spazio-tempo» sospirò Vasa. «Io credo che finché sta rintanato lì dentro, Kosst Amojan sia intoccabile. Solo se uscisse potremmo distruggerlo... sempre che non riesca a dileguarsi».

   «In questi anni c’è stato qualche cambiamento?» chiese Juri, girando attorno al campo di forza, per osservare la teca da tutte le angolazioni.

   «Le emissioni energetiche sono aumentate costantemente» rivelò l’archeologa, seguendolo. «In particolare sono raddoppiate con lo scoppio della Guerra Civile. E ci sono dei picchi ogniqualvolta avviene una battaglia. È come se l’odio e la violenza dilaganti lo rafforzassero».

   «Uhm, sì... Kosst Amojan disse qualcosa del genere, l’altra volta» ricordò Juri. «Avete potenziato le misure di contenimento?».

   «Nel corso degli anni abbiamo triplicato la potenza del campo di forza» rivelò Vasa. «Ma ormai sarebbe difficile potenziarlo ancora».

   «Da quando lo avete qui, ci sono stati fatti strani o inspiegabili?» volle sapere Juri.

   «Abbiamo avuto incendi spontanei e strani guasti in varie parti della stazione» confermò Vasa. «Sul versante psicologico, le persone a volte perdono le staffe per futili motivi o hanno crisi di panico. Molti hanno incubi raccapriccianti. Accadeva già da prima della guerra, ma è molto più frequente adesso. Infatti dobbiamo far ruotare il personale ogni pochi mesi».

   «Quindi il contenimento non basta ad annullare l’influsso del Cristallo» dedusse lo storico, fermandosi dopo aver completato il giro. «E la gente sul pianeta, come reagisce a tutto questo?».

   «L’opinione pubblica ignora che il Cristallo si sta rafforzando, ma la sua presenza qui ha comunque creato nervosismo» rispose la Bajoriana. «Ci sono gruppi che chiedono la sua distruzione immediata. Noi abbiamo spiegato che al momento non sappiamo come fare, ma sempre più gente crede che in realtà potremmo. Sull’altro versante, gli Adoratori dei Pah-wraith sono in fermento. Anche se le autorità hanno ripulito l’esercito, quei fanatici continuano a fare propaganda nelle città, tra la gente impaurita e disperata per la guerra. Hanno tentato più volte di far evadere Elvo, tanto che alla fine le autorità lo hanno trasferito qui».

   «Il capo degli Adoratori si trova su questa stazione?!» si allarmò Juri. «Di chi è stata questa bella idea?».

   «Non me lo chiedere» sbuffò Vasa. «Ma in effetti era più pericoloso tenerlo sul pianeta, o anche sulla New Frontier, dove fino a pochi giorni fa vivevano migliaia di civili. Qui almeno ci sono solo tecnici, scienziati e guardie».

   «Uhm, è una pessima combinazione. Quando i Pacificatori attaccheranno, potrebbe succedere di tutto» borbottò Juri. «Penso che dovremmo portar via il Cristallo, finché possiamo».

   «Portarlo dove? Quale luogo è al sicuro dai Pacificatori?» obiettò Vasa. «E che accadrebbe se il Maligno approfittasse del trasferimento per liberarsi? Se vuol tornare qui, lo farà da qualunque distanza. E se scegliesse un altro bersaglio, ne saremmo responsabili, perché avremmo messo in pericolo altri per stornare la minaccia da noi».

   «Da quanto mi dici, è probabile che prima o poi Kosst Amojan si liberi comunque. A questo punto è meglio che i Pacificatori non s’impadroniscano del Cristallo» insisté Juri. «Se proprio non possiamo distruggerlo, potremmo nasconderlo in un asteroide interstellare, o gettarlo in un buco nero. Insomma, le opzioni ci sono».

   «Chissà» fece la Bajoriana, sovrappensiero. «Forse hai ragione, ma sono discorsi inutili. Le autorità non vi consentiranno di portarlo via».

   «Tuo marito che ne dice? È un ufficiale della Milizia Bajoriana; se la pensa come noi potrebbe smuovere le acque» suggerì Juri.

   A queste parole, Vasa s’intristì e gli voltò le spalle, allontanandosi di qualche passo. «Modro non ci aiuterà» disse in tono categorico.

   «Come puoi esserne certa? Ne avete già parlato?» incalzò Juri, accostandosi. C’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento e voleva vederci chiaro.

   «Noi non ci parliamo più» disse Vasa, girandosi di nuovo. Aveva gli occhi arrossati. «Non stiamo più insieme».

   Cadde il silenzio. Juri sapeva che avrebbe dovuto mostrarsi dispiaciuto, ma in realtà non riusciva a dolersi della notizia. L’uscita di scena di Modro riapriva uno spiraglio che l’Umano aveva dato per chiuso da tempo. «Mi spiace» disse, cercando di non suonare troppo ipocrita. «So che non sono affari miei, ma se ti va di parlarne...».

   «Non mi va, ma te lo dirò comunque, perché tanto lo scopriresti» disse Vasa, fulminandolo con lo sguardo. «Io e Modro stavamo bene, anche dopo l’incidente delle Caverne di Fuoco. Ma quando scoppiò la guerra, e Bajor si unì ai ribelli, lui lo prese come un tradimento verso l’Unione. Passammo un’intera notte a litigare, dicendoci cose orribili» disse, pallida e tormentata. Si stropicciò le mani, come per sfogarsi mentre ricordava quei terribili momenti.

   «Eravamo sposati da sette anni, ma in quel momento mi sembrava di vederlo per la prima volta» confessò la Bajoriana. «Diceva che la guerra era colpa degli Umani, sebbene lui stesso sia in parte Umano. Cercai di trattenerlo, ma lui se ne andò, dicendo che doveva seguire la sua coscienza. Lui e altri ufficiali scontenti furono radiati dalla Milizia e gli fu dato un trasporto per andarsene. Modro partì con gli altri, e da allora non ne ho più saputo nulla. Ma ora che l’Unione sta per attaccarci... ecco... non riesco a togliermelo dalla mente. Sento che lui sta arrivando, e cercherà me» rabbrividì.

   Ci fu un nuovo silenzio, ancora più lungo. Questa notizia inquietava Juri tanto quanto gli aggiornamenti sul Cristallo. Era deprimente scoprire che l’erede di Benjamin Sisko appoggiava le politiche anti-Umane del regime. Tanto più che era stato Modro ad accogliere dentro di sé il Profeta, durante l’ultimo confronto con Kosst Amojan. Ora non potevano più contare su di lui. D’un tratto Juri fu acutamente consapevole della fragilità della loro situazione. I Pacificatori, Modro, gli Adoratori, Elvo... tutti puntavano a impadronirsi del Cristallo. «E più lottiamo per tenerlo lontano dalle loro grinfie, più aumentiamo la conflittualità, rafforzando Kosst Amojan» si disse. Forse era quello il piano del Maligno: aspettare finché si fossero distrutti a vicenda, aumentando al contempo i suoi poteri.

   «Se posso chiedere... tu e Modro avete figli?» chiese Juri.

   «No, per fortuna» rispose Vasa, laconica.

   «Per scelta o...» indagò Juri.

   «Non è che fossimo contrari ad averne» disse la Bajoriana, lanciandogli un’occhiataccia. «Ne abbiamo parlato tante volte, ma c’era sempre qualcosa che c’induceva ad aspettare. Così, poco alla volta, siamo passati dal “non è ancora tempo” al “non è più tempo”».

   Prima che Juri potesse commentare, Vasa gli si avvicinò con piglio deciso. «Così, fine della storia» disse. «Te l’ho raccontata perché sapendo tutto fin da subito eviterai di farti domande e di distrarti dal lavoro. Ma se credi di approfittare delle mie disgrazie per rifarti del tempo perduto, ti sbagli di grosso. Il fatto che Modro sia uscito dalla mia vita non significa che voglia tornare con te. Anzi, ora come ora non voglio stare con nessuno. È chiaro?».

   Juri capì che una persona così ferita ben difficilmente avrebbe recuperato la fiducia nel prossimo. Tantomeno in lui. «Chiarissimo» disse in tono secco. «Ma le mie raccomandazioni restano invariate. Il Cristallo dovrebbe essere spostato, a maggior ragione se Modro gli da la caccia. E ora devo leggere i vostri referti».

   «Troverai tutto nel terminale del tuo alloggio» disse Vasa. «Ti avverto che c’è un sacco di matematica, buttata giù dagli specialisti. Visto che il tempo stringe e che l’algebra non è il tuo forte, ti consiglio di partire dal mio ultimo saggio, in cui tiro le somme».

   «Lo farò» promise l’Umano, avviandosi verso l’uscita. «A domani, Vasa. Riguardati, e non affliggerti se le cose vanno a rotoli. Di questi tempi, capita a tutti».

 

   Lo storico lasciò la camera blindata e ripercorse all’indietro la sequela di controlli, fino a tornare nella zona pubblica della stazione. Andò all’alloggio che gli era stato assegnato e qui, come promesso, trovò i referti della squadra scientifica. Cominciò subito a leggerli, anche se era un’impresa immane: c’erano anni di osservazioni, esperimenti, studi comparati. Alla fine seguì il suggerimento di Vasa e lesse il suo ultimo saggio. Quando ebbe finito, si accorse che era notte fonda. Si era talmente concentrato nella lettura da essersi dimenticato di cenare.

   Spento il terminale, l’Umano ordinò la cena al replicatore e mangiò in fretta. Infine si coricò, anche se aveva la testa così piena d’informazioni, ipotesi e preoccupazioni che faticò a prendere sonno.

   Quando finalmente riuscì ad assopirsi, il suo riposo fu guastato da incubi. Gli parve di vedere Vasa che si agitava come se qualcosa la spaventasse, anche se lui non vedeva la fonte del pericolo. Cercò di avvicinarsi, ma sbatté contro un campo di forza che li divideva. Solo allora si accorse che nella parte di stanza occupata da Vasa c’era un incendio. La Bajoriana tossiva per il fumo e le fiamme stavano per lambirla. Juri cercò freneticamente un comando che permettesse di abbassare la barriera e finalmente vide una consolle che faceva al caso suo. Ma in quella un uomo grande e grosso si frappose tra lui e i comandi. Era Modro, armato di phaser, che lo fissava beffardo.

   «Non frapporti fra noi, o ne pagherai le conseguenze» minacciò il Bajoriano.

   «Maledizione, non vedi che è in pericolo? Fammi disattivare la barriera, o toglila tu stesso!» gridò Juri, facendosi avanti, ma l’altro lo respinse ridendo.

   Sentendo le urla di Vasa, l’Umano si voltò e la vide avvolta dalle fiamme. I capelli rossi avvampavano, la pelle bruciava fino a cadere dal viso ormai irriconoscibile. Juri gridò a sua volta, sconvolto dall’orrore, fino a trovarsi seduto tra le coperte disordinate.

   L’Umano si passò una mano sulla fronte sudata, cercando di calmarsi. Non era nuovo agli incubi, ma era da tempo che non gliene capitava uno così spaventoso. E così verosimile, purtroppo. Se Modro era consumato dal risentimento, non era da escludere che aggredisse l’ex moglie. «Che posso fare per salvarla?» si chiese Juri. Per sua sorella Svetlana era arrivato al punto di alterare la linea temporale; dove poteva spingersi per Vasa? Incapace di darsi una risposta, non poté far altro che prendere un leggero sonnifero e tornare a dormire.

 

   Il giorno dopo Juri decise di assumere un nuovo approccio al problema. Invece di concentrarsi solo sul Cristallo di Fuoco li studiò tutti, cercando di capire quali erano le loro caratteristiche comuni e fino a che punto avevano influenzato la storia del pianeta. Era una ricerca enorme, considerato che molti studiosi avevano dedicato la loro carriera allo studio di un singolo Cristallo. Non avendo assolutamente il tempo di approfondire, Juri consultò un ristretto numero di trattati che parlavano dell’argomento in generale.

   La storia dei Cristalli s’intrecciava con quella di Bajor fin dalla più remota antichità. Quattro erano stati trovati sul pianeta, altri cinque nella Cintura di Denorios, vicino al punto in cui poi era stato scoperto il Tunnel Spaziale, a confermare la loro provenienza. Solo l’ultimo Cristallo, quello dell’Emissario, era stato rinvenuto altrove, sul pianeta Tyree; ma forse vi era stato portato in tempi recenti.

   I Cristalli dei Profeti erano dieci in tutto. In ordine di scoperta erano quello dell’Anima, del Destino, della Profezia e del Cambiamento, del Tempo, della Verità, della Memoria, della Saggezza, dell’Unità, della Contemplazione e infine quello dell’Emissario. Tutti avevano forma a clessidra, variando solo nel colore, ed erano refrattari alle analisi scientifiche. Chiusi nelle loro teche istoriate restavano in quiete, ma aprendo le ante potevano produrre intense allucinazioni che spesso si risolvevano in un’illuminazione spirituale, una crescita etica, una presa di coscienza. Talvolta queste esperienze avevano valore profetico; ma non capitavano a tutti. Secondo la religione bajoriana erano il modo in cui i Profeti comunicavano con i fedeli, ed effettivamente in alcune visioni si erano manifestati gli abitanti del Tunnel. Non avendo una forma loro, assumevano quella d’individui conosciuti dal soggetto. Un fenomeno peculiare era la cosiddetta Ombra dei Cristalli. Dopo una visione particolarmente intensa e prolungata, il postulante poteva sperimentare ulteriori flash, anche a distanza di tempo e lontano dal Cristallo. Ciò accadeva specialmente a chi rifiutava di seguire i suggerimenti dei Profeti.

   Certi Cristalli però avevano dimostrato poteri che andavano ben oltre le visioni, sfociando nell’alterazione della realtà. Ad esempio quello del Tempo aveva consentito dei veri e propri viaggi nel tempo, mentre quello dell’Anima aveva riportato Jaylah e Zafreen nei loro corpi, dopo che un congegno alieno le aveva scambiate.

   Essendo i segni tangibili dei Profeti e il loro canale di comunicazione privilegiato, i Cristalli avevano un valore immenso per i Bajoriani, che li custodivano in templi o santuari, sotto la perenne vigilanza del clero. I pellegrini potevano consultarli solo sotto previa autorizzazione del Vedek locale, e anche così non era detto che il Cristallo in questione rispondesse all’appello. La maggior parte dei visitatori, in effetti, si ritirava delusa. Ma i pochi eletti che ricevevano una visione affermavano che si era trattato di un’esperienza straordinaria. Alcune visioni avevano valore privato, ma altre erano d’importanza pubblica, talvolta mondiale; più di rado interstellare. Le più importanti erano state annotate dai monaci in lunghi elenchi di profezie che si perdevano nella notte dei tempi. Era difficile stabilirne l’affidabilità, perché per ogni visione c’era solo la parola di chi l’aveva riferita. Si poteva capire che il Cristallo stava comunicando grazie all’aumento di luminosità, ma poiché le visioni non erano mai condivise, ci si doveva fidare di chi le raccontava. Cioè, nella stragrande maggioranza dei casi, persone che credevano fermamente nei Profeti e speravano di ricevere un’illuminazione. Non era il massimo, per condurre uno studio scientifico.

   Particolarmente interessante era il fatto che i Cristalli fossero collegati tra loro, oltre che con il Tunnel Spaziale. Di questo c’erano prove dirette. Nel 2374 il cardassiano Gul Dukat, posseduto da un Pah-wraith, aveva attaccato il Cristallo della Contemplazione: di conseguenza tutti i Cristalli si erano oscurati, perdendo i poteri, e il Tunnel si era chiuso. Solo quando il Capitano Sisko aveva rinvenuto il Cristallo dell’Emissario gli altri nove avevano riacquistato luce e poteri, e il Tunnel si era riaperto.

   Leggendo di queste visioni, Juri ebbe il desiderio di sperimentarne una lui stesso. Non era un’idea balzana, alla vigilia di una battaglia cruciale. Se poi i Profeti si fossero manifestati, avrebbe potuto fargli qualche domandina. Ma se consultare i Cristalli in tempo di pace era difficile, farlo adesso era quasi impossibile. Forse poteva chiedere al Capitano Hod, e magari all’Ammiraglio Tarn, di fare pressione sul governo; ma il clero bajoriano non amava simili interferenze.

 

   Immerso in queste considerazioni, Juri lasciò il suo alloggio e andò in cerca di Vasa, per manifestarle la sua idea. Il computer lo informò che l’archeologa era in uno dei laboratori. Strada facendo, lo storico passò vicino al tempio di bordo, che all’epoca di Sisko ospitava un Cristallo. Passandogli accanto, l’Umano si accorse che le luci erano accese, sebbene non ci fossero più sacerdoti sulla stazione. Incuriosito, decise di entrare a dare un’occhiata.

   Il salone era in gran parte deserto, anche se presso la parete di fondo c’era ancora l’altare su cui era stato custodito il Cristallo della Contemplazione. Sopra di esso vi erano delle candele accese. E davanti all’altare c’era una figura biancovestita che pregava in ginocchio, nell’antica lingua bajoriana. Juri riconobbe le sue vesti intarsiate d’oro: erano quelle della Kai. Fece per ritrarsi, non volendo disturbarla, ma la leader spirituale concluse la preghiera e si rialzò con un piccolo sforzo.

   «Vieni avanti, figliolo» lo invitò.

   «Non volevo disturbare, Eminenza» rispose Juri.

   «Violerei il mio primo dovere, se respingessi un visitatore» disse Kai Nashir, voltandosi. «Ah, lei è della Keter. Dottor... mi perdoni, la mia memoria vacilla».

   «Smirnov. Juri Smirnov» disse l’Umano, facendosi avanti. «C’incontrammo sei anni fa, durante l’incidente del Cristallo di Fuoco».

   «Incidente? No, figliolo... queste cose non accadono per caso» disse la Kai, avvicinandosi a sua volta. «Posso?» chiese, levando la mano.

   Juri capì che Nashir voleva percepire il suo pagh, ovvero il suo spirito, alla maniera dei sacerdoti bajoriani: afferrandogli l’orecchio. Di tutte le loro pratiche, questa era la più assurda, perché i Bajoriani non erano telepatici. Ma non volle offenderla con un rifiuto. «Certo» disse, piegando leggermente la testa di lato. Si sforzò di non sorridere, perché gli era appena venuta in mente una vecchia barzelletta: quella secondo cui un tempo i Bajoriani percepivano il pagh afferrando il naso, e così avevano provocato quel corrugamento che ancora li caratterizzava.

   Ignara dei suoi pensieri irrispettosi, la Kai gli prese l’orecchio e lo strinse saldamente. Chiuse gli occhi, concentrandosi. «Il tuo pagh è quello di un pellegrino stanco, ma non vinto dalle avversità» disse. «Non smettere mai di cercare!».

   «Eminenza, l’attacco dei Pacificatori è imminente» avvertì Juri. «C’è il rischio che la Flotta Stellare non riesca a respingerli. Inoltre la dottoressa Agni mi dice che il Cristallo di Fuoco sta crescendo in potenza, tanto che il Maligno potrebbe liberarsi».

   La Kai riaprì gli occhi e finalmente gli mollò l’orecchio. «Ne sono informata, infatti ero salita a bordo nella speranza che questo luogo, in cui visse l’Emissario, mi desse ispirazione» spiegò. «Ma è come se i Profeti tacessero... o forse sono io che non li ascolto». Così dicendo cominciò a spegnere le candele aromatiche con l’apposito attrezzo, un bastoncino terminante in un cappuccio metallico.

   «A nome della Flotta Stellare, devo chiederle se i Cristalli hanno dato qualche visione che possa consigliarci in questo frangente» disse Juri.

   «Ahimè, da quando è emerso quel Cristallo sacrilego, i doni dei Profeti sono quasi del tutto silenti» sospirò la Kai, continuando a spegnere le candele. «Le poche visioni che ci hanno offerto sono scoraggianti: immagini di fuoco e morte, oscurità e pianto».

   «Ma i Profeti – intendo loro in persona – si sono mai manifestati?» chiese lo storico.

   «No, nemmeno portando i Cristalli nel Tunnel» ammise Nashir. «Neppure le antiche profezie ci sono d’aiuto».

   «E riguardo al Cristallo di Fuoco, avete scoperto niente?» chiese Juri, sempre più sconfortato.

   La Kai esitò. «Soltanto un oscuro riferimento nelle Tavole di B’hala» disse. «È scritto che solo i Dieci Fratelli, guidati dal più giovane, potranno estinguere la tempesta di fuoco; ma ciò comporterà un sacrificio». Spenta l’ultima candela, ripose la bacchetta metallica nell’apposito sostegno.

   «Groan, di bene in meglio» fece Juri, massaggiandosi la fronte. «Dunque i Dieci Fratelli sarebbero i Cristalli dei Profeti... ma non è chiaro come dovrebbero estinguere il fuoco. Né chi dovrà sacrificarsi».

   «Ogni Bajoriano sarebbe disposto a farlo, pur di sconfiggere il Maligno» sostenne Nashir. «Tranne quelle anime perdute che invece lo adorano» si corresse. «Sciagurati... non sanno ciò che fanno. E quando lo scopriranno, potrebbe essere tardi».

   «Allora è ancora più urgente avere indicazioni» disse Juri. «Eminenza, è tutta la vita che studio manufatti strani e inspiegabili. I vostri Cristalli sono forse i più straordinari della Galassia. Anche se sono un alieno, e ai vostri occhi un miscredente, le chiedo il permesso di consultare un Cristallo».

   «Quale vorresti consultare, figliolo?» chiese la Kai, senza sbilanciarsi.

   «Quello della Profezia e del Cambiamento, o altrimenti quello del Destino» rispose Juri.

   «E ti ritieni degno di questo privilegio? Ti consideri abbastanza puro da presentarti innanzi ai Profeti, e persino interrogarli?» incalzò Nashir, osservandolo con severità.

   «A dire il vero, no» confessò l’Umano, arrossendo. «Ho fatto cose di cui non vado fiero... e il peggio è che non sono stato io a pagarne il prezzo. Ma sto cercando di rimediare. Non sono un combattente, quindi l’unico modo che ho per contribuire alla causa è cercare uno sprazzo del futuro».

   «Se tu avessi risposto d’essere degno e puro, ti avrei negato il permesso» disse la Kai. «Ma poiché sei stato umile, te lo accordo di buon grado, aggiungendovi la mia benedizione. Però devi farmi una promessa» aggiunse, levando l’indice ammonitore.

   «Di che si tratta?» chiese Juri, non volendo impegnarsi anticipatamente.

   «Se per disgrazia Kosst Amojan si liberasse e ti offrisse un accordo, un patto di qualunque tipo, tu dovrai rifiutare» spiegò Nashir. «Non importa quanto sarà allettante la proposta. Non importa se sembrerà l’unico modo per salvare coloro che ami, o anche l’intera Federazione. Tutto ciò che viene dal Maligno è un inganno e tu devi rifiutarlo. Altrimenti egli ti tradirà, facendoti perdere ciò che speravi di salvare. E la tua anima sarà in pericolo» disse, serissima.

   Juri sospirò. Gli sarebbe tanto piaciuto sapere se aveva un’anima, prima di mettersi a disquisire su di essa. Ma non era il caso d’impelagarsi in una discussione con la Kai. La richiesta era semplice ed esigeva una risposta netta. «Prometto di rifiutare ogni accordo» disse, augurandosi di avere la forza di mantenere l’impegno.

   Nashir lo scrutò con estrema severità, forse indovinando i suoi pensieri, ma si accontentò dell’impegno. «Bene; ora tornerò su Bajor e tu verrai con me. Farò in modo che tu possa consultare subito un Cristallo. Che ne dici di quello del Destino? Parla di rado, ma quando lo fa, le sue profezie sono le più affidabili di tutte. E riguardano non solo l’individuo, ma tutta la comunità».

   «Sembra perfetto» disse Juri. «Mi chiedo solo... da quand’è che non concede visioni?».

   «Sette anni» rispose la Kai. «Ma non vedo momento più propizio di questo, in cui il destino di tutti noi è appeso a un filo. Vieni, figliolo». L’anziana donna fece segno di seguirla e lasciò il tempio.

   L’Umano le venne dietro, augurandosi che il mutismo dei Profeti non perdurasse. Almeno era lieto che Nashir gli avesse permesso di consultare un Cristallo. Né gli era sfuggito che a differenza dei Pacificatori, che umiliavano gli Umani senza poi offrire alcun perdono, la Kai si era accontentata di una piccola confessione per poi esaudire la sua richiesta.

 

   Nella Cintura di Denorios, la New Frontier si librava nello spazio, circondata dalle navi federali. L’evacuazione dei civili era completata; il personale stava ultimando i preparativi per la battaglia. D’un tratto una navicella di classe Gryphon uscì dalla cavitazione, trasmise il codice di riconoscimento e si accostò alla Keter.

   «È Norrin!» si animò Zafreen.

   «Lo chiami» disse subito Hod. Il Capitano aveva sentito la mancanza del suo Primo Ufficiale, e soprattutto aveva temuto per lui, sapendo che era in missione nello spazio dell’Unione.

   L’Hirogeno apparve sullo schermo. «Lieto di rivedervi» disse nel suo tono rassicurante. «Quando ho saputo che Approdo dei Profeti era caduto, ho immaginato di trovarvi qui. Allora, quant’è grave la situazione?».

   «Parecchio» ammise Hod. «Venga subito a bordo, così l’aggiornerò. Ma prima mi dica com’è andata la sua missione».

   «Così così» sospirò Norrin. «Il mio clan è disposto ad aiutarci, anche se si riserva di scegliere quando e come. Ma tra gli altri prevale la neutralità. E alcuni si sono schierati coi Pacificatori. Ho avuto uno sgradevole incontro con una banda di Cacciatori interessati a portare la mia testa a Rangda. Sembra che la dittatrice gli abbia promesso grandi favori, se si schierano con lei».

   «Tipico di Rangda» disse il Capitano, arricciando il naso. «La sua famiglia almeno sta bene?».

   «Sì, anche se mio zio Dorvic comincia a stancarsi del ruolo di Alfa. Ormai si sta rassegnando all’idea di dare il comando a mia cugina Vitani e suo marito Garid» spiegò il Comandante, con un sorrisetto ironico. Il vecchio Dorvic aveva tentato più volte di convincerlo a tornare con il clan, ma lui aveva sempre rifiutato. Lo aveva fatto anche stavolta, pur consapevole che se la guerra fosse finita male, non gli sarebbe rimasta altra opzione che tornare con i Cacciatori.

 

   Rientrato sulla Keter, Norrin andò a parlare con Hod nel suo ufficio. Il Capitano lo aggiornò rapidamente sulla situazione. «Secondo le informazioni, ci restano cinque giorni prima dell’attacco» concluse. «Vorrei che per allora riuscissimo a distruggere il Cristallo di Fuoco, o almeno a nasconderlo. Ma questo dipende dai Bajoriani» sospirò. Andò al replicatore e ordinò un tè locale.

   «La vedo dura» commentò Norrin. «Il loro fideismo gli impedirà di rinunciare ai Cristalli. E scommetto che Rangda ha ordinato ai Pacificatori d’impadronirsene a ogni costo. Se controlla i Cristalli, potrebbe ricattare il popolo bajoriano».

   «Sarebbe nel suo stile» convenne Hod. Soffiò sulla bevanda bollente prima di sorseggiarla. «È un bene che tu sia tornato, perché fra poco ne vedremo delle belle. Su, andiamo».

   Il Capitano e il Comandante tornarono in plancia, accomodandosi ai loro posti. Hod sorbì a metà il tè bajoriano e posò la tazza sul bracciolo, mentre ascoltava il rapporto tattico di Terry.

   A un tratto notò che sebbene la tazza fosse in quiete, il tè al suo interno si muoveva, formando onde concentriche. Le onde divennero sempre più vistose, finché il Capitano avvertì distintamente un tremore. «Cos’è questa vibrazione?» chiese.

   Gli ufficiali interruppero le loro occupazioni e prestarono attenzione, notando a loro volta il fenomeno. Zafreen eseguì una scansione con i sensori a lungo raggio. «Rilevo tracce di curvatura in avvicinamento» disse l’Orioniana. «Ci sono anche tunnel di cavitazione».

   «I Pacificatori!» si allarmò il Capitano.

   «Sono in anticipo» notò il Comandante.

   «Le tracce sono centinaia» avvertì Zafreen. «Quello che avvertiamo è il fronte d’onda subspaziale».

   «Allarme Rosso» ordinò l’Elaysiana. «Avvertite la stazione e il resto della flotta».

   Le turbolenze subspaziali erano aumentate a tal punto che ormai tutti gli equipaggi si erano allarmati. Le astronavi alzarono gli scudi, dettero energia alle armi e si dispiegarono a proteggere la New Frontier. Non avevano ancora terminato la manovra quando la flotta nemica uscì dal subspazio.

   Per prime apparvero le navi dei Pacificatori. Erano tutti modelli recenti, in ottime condizioni; per l’operazione Tempesta di Pace l’Unione schierava solo il meglio. Si andava dalle piccole navi scorta fino ai mastodontici vascelli di classe Universe, Celestial e Juggernaut. Le navi erano in formazione, ma anziché procedere all’attacco si fermarono appena fuori tiro, incutendo terrore con la loro sola presenza.

   E non era finita. Accanto ai vascelli dei Pacificatori apparvero quelli dei Breen, dall’inconfondibile design asimmetrico, pieno di bozzi e spuntoni. Sembravano uno sciame di locuste, pronto a banchettare con tutto ciò che si trovava nel sistema. Anche loro, tuttavia, restarono in attesa.

   Mentre la duplice flotta si palesava, le vibrazioni crebbero a tal punto che la tazza di Hod scivolò dal bracciolo e cadde a terra. Non si ruppe, essendo infrangibile; ma il tè caldo macchiò il pavimento. Il Capitano si alzò, scrutando l’armata nemica. «Quante navi sono?» chiese.

   «Quattrocento dei Pacificatori e altrettante dei Breen» rispose Zafreen a mezza voce.

   Hod capì che erano spacciati. Anche con l’aiuto della New Frontier e delle piattaforme, non avrebbero mai sconfitto un nemico quattro volte più numeroso. A questo pensiero, il Capitano sentì montare la rabbia e la frustrazione. «Esame della flotta» ordinò. «Qual è la nave ammiraglia?».

   «Credo sia la Takiah» disse Zafreen, inquadrando un’astronave di classe Universe. Il Capitano la riconobbe: era la nave dell’Ammiraglio Vidkung, noto per essere un fantoccio alle dipendenze di Rangda. Non era un campione di strategia; ma con una tale flotta a disposizione non gliene serviva. La sua astronave, una delle ultime Universe varate, si chiamava Verity, prima che il nome fosse tradotto in lingua Zakdorn.

   Osservando lo schieramento nemico, Hod riconobbe molti altri vascelli. Di alcuni conosceva personalmente i Capitani, ma in quel momento poco le importava. C’era una sola nave che le premeva trovare. «C’è il Moloch?» chiese.

   «Affermativo».

   «Sullo schermo».

   L’Orioniana inquadrò un’altra porzione dello schieramento nemico, aumentando l’ingrandimento. I vascelli schizzarono oltre i bordi dell’inquadratura, finché ne restò solo uno, che campeggiava al centro. Aveva lo scafo nero, su cui il deflettore di navigazione spiccava rosso. Nelle linee generali ricordava la Keter, con la sua forma compatta; ma era più squadrato e assai più grande. Era il Moloch, la nave che aveva bombardato la Terra per cancellare le vestigia umane e preparare l’insediamento dei Voth. Dopo di allora, Rangda le aveva assegnato l’incarico di scovare e distruggere la Keter. Così, per undici mesi, quel vascello li aveva braccati su tutti i fronti di guerra, tendendo agguati e stanandoli persino nelle nebulose. Gli aveva impedito di compiere la loro missione, ovvero persuadere i pianeti neutrali a unirsi alla Federazione. Ogni volta che raggiungevano uno di quei mondi, infatti, c’era qualche simpatizzante dei Pacificatori che chiamava il Moloch, costringendoli alla fuga. I due vascelli si erano spesso scambiati colpi, ma Hod aveva sempre rifiutato lo scontro prolungato, sapendo che il Moloch era troppo potente. Ma forse era giunta l’ora di regolare i conti.

   «Ci chiamano» disse Zafreen.

   «Radek!» sibilò il Capitano, fissando il Moloch con occhi lampeggianti di sdegno. «Sentiamo che dice, il traditore».

   Il massiccio Rigeliano apparve sullo schermo, impettito nell’uniforme bianca dei Pacificatori, con la striscia rossa verticale della sezione Comando. Prima che Rangda gli desse il Moloch, Radek era stato il Primo Ufficiale della Keter, guadagnandosi il rispetto di tutti. Allo scoppio della Guerra Civile, la sua scelta di schierarsi coi Pacificatori aveva addolorato i colleghi, ma specialmente Hod. Solo chi le era più vicino sapeva quanto il Rigeliano le avesse spezzato il cuore. Molto del livore che l’Elaysiana covava contro i Pacificatori veniva da questo affronto personale.

   «Bene, eccoci di nuovo qui» esordì Radek in tono colloquiale. «Ero certo che ve la foste svignata dalle Badlands. Da quando vi siete uniti ai ribelli, non avete fatto che fuggire e nascondervi. Suppongo che lo farete anche stavolta, quando Bajor capitolerà. Ma vi avverto: presto non avrete più luoghi in cui scappare».

   A queste parole, il Capitano fremette di rabbia. «Calma» le sussurrò Norrin. «Non si lasci provocare».

   «Il tempo delle ritirate è finito» disse gelidamente Hod. «Non vi permetteremo di fare ai Bajoriani ciò che avete fatto ai Terrestri. È stato facile, per voi, bombardare la Terra: era indifesa. Qui invece siamo pronti a ricevervi. Un po’ come a Kronos, dove – se ben ricordo – foste voi a svignarvela».

   «Suvvia, Capitano... saprà contare» ribatté il Rigeliano, sicuro di sé. «Noi abbiamo ottocento navi, tutte in ottime condizioni. Voi ne avete duecento, perlopiù vecchie e scalcagnate. Sappiamo tutti come andrà a finire. Perciò le do un consiglio da amico: si arrenda. Non condanni il suo equipaggio, solo per soddisfare il suo ego». Negli occhi di Radek c’era una sincera preoccupazione.

   «La Flotta Stellare si fonda su un’etica: non abbandonare nessuno» ribatté Hod. «Ma questo dev’essere incomprensibile, per voi Pacificatori».

   «Deve sempre atteggiarsi a martire, eh?» sospirò Radek. «Eppure siete voi ribelli che avete scatenato la Guerra Civile; siete voi che ci togliete la pace» accusò, additandola. «E lei, Capitano Hod... lei si crede una grande leader, solo perché ha una buona nave e un equipaggio accecato dalla lealtà. Ma conosciamo entrambi la verità: lei non è alla mia altezza. Non lo era quando stavo ai suoi ordini e di certo non lo è adesso».

   «Ti sbagli, vecchio mio» disse Norrin. «Essere più ligio agli ordini non fa di te un ufficiale migliore. Ti rende solo una pedina più utile per Rangda... finché non sacrificherà anche te».

   «No, siete voi che sacrificate popoli innocenti nel tentativo di crearvi un dominio» ribatté Radek. «Ma il vostro piccolo delirio separatista sta per finire. Questo sistema tornerà in mano nostra e gli altri seguiranno a cascata. Non potete fermarci. Non lo fareste nemmeno col triplo delle forze».

   «Può darsi» ammise Hod, scrutandolo bieca. «Ma questo attacco vi costerà tali perdite, che la vittoria sarà amara quanto la sconfitta» minacciò, riecheggiando involontariamente le parole della Fondatrice, al termine della Guerra del Dominio.

   Il Rigeliano la fissò con commiserazione. «Dunque il suo scopo non è proteggere Bajor, ma solo provocare il maggior numero possibile di vittime» constatò. «Lo immaginavo, ma la ringrazio di avermelo confermato. Se ancora dubitavo che distruggervi è la cosa giusta da fare, ora quel dubbio è sparito. Addio, Capitano Hod. Mi spiace solo che lei abbia deciso d’immolare l’equipaggio sull’altare del suo orgoglio».

   Chiusa la comunicazione, il Moloch riapparve sullo schermo. Hod sapeva che la Keter non aveva speranza di batterlo; così come la loro flotta non poteva resistere a quella nemica. Eppure non potevano neanche ritirarsi, o tanto valeva dichiarare la resa. Come tanti altri eserciti, in altre epoche, dovevano affrontare una battaglia impossibile.

   «Non credete alle sue minacce» disse agli ufficiali. «Checché ne dica quel traditore, il futuro non è ancora scritto». Mai come allora, però, avrebbe voluto credere nei Profeti. Perché ci voleva un miracolo per respingere una flotta come quella.

   «Messaggio di priorità 1 dalla Defiant» avvertì Zafreen. «L’Ammiraglio Tarn ordina di restare in formazione e non attaccare per nessun motivo. Pare che il nemico abbia offerto ai Bajoriani la possibilità di arrendersi... e loro la stanno valutando».

   «Eh no, maledizione!» imprecò Vrel. «Non possono sfrattarci così!».

   «Possono cacciarci da Bajor, ma non dalla New Frontier» disse Hod, pur consapevole che a quel punto la battaglia sarebbe diventata inutile.

   «I Pacificatori invieranno un emissario a cercare un accordo col governo bajoriano» proseguì Zafreen, leggendo il comunicato della Defiant. «Il luogo d’incontro sarà... Deep Space Nine».

   Il Capitano non se ne stupì. Di certo l’inviato dei Pacificatori non voleva scendere sul pianeta, prima di sapere se i Bajoriani si sarebbero arresi; né il Primo Ministro osava salire su un vascello dell’Unione. La vecchia stazione, già sede d’importanti trattati di pace, sembrava un luogo adatto, pur essendo amministrata dai Bajoriani.

   «Potrebbe essere un diversivo per attaccarci» notò Terry.

   «Terremo i sensori all’erta» disse Hod. «In ogni caso, guadagnare qualche giorno ci farà bene. Potremmo ricevere rinforzi dal Fronte Orientale».

   «Cinque giorni» corresse Terry.

   «Come?».

   «Stando alle informazioni recuperate dalla squadra, la battaglia avverrà fra cinque giorni» ricordò la proiezione isomorfa. «Se ciò è corretto, significa che i Pacificatori non intendono spendere ulteriore tempo nelle trattative».

 

   Era la tarda estate, nell’emisfero meridionale di Bajor. Grossi nuvoloni grigi, carichi di pioggia, sovrastavano i monti Angorseen. Nelle loro profondità rimbombavano i tuoni; qua e là cadevano le prime gocce. Sotto quella cappa grigia e uniforme, anche i boschi che rivestivano le alture si erano fatti smorti. Gli Angorseen non erano molto alti: più che montagne erano colline, rivestite fino in sommità dalla vegetazione.

   Il monastero di Vanadwan sorgeva in cima al rilievo più alto. I tetti spioventi dagli spigoli rialzati lo rendevano visibile anche a grande distanza. Una strada zigzagante permetteva di raggiungerlo a piedi, anche se ormai pochi pellegrini seguivano quella via. In ogni caso, il monastero era chiuso alle visite da quando il governo aveva decretato lo stato d’emergenza. A meno che non si avesse un’autorizzazione speciale della Kai, come il visitatore appena giunto.

   Sceso dalla navetta, Juri Smirnov inspirò l’aria fresca d’alta quota, sentendo il profumo della vegetazione. Davanti a lui c’era l’ingresso del santuario: un grande arco scavato nella roccia. Lo superò, osservando distrattamente i bassorilievi intagliati nelle pareti, e sbucò in un cortile interno. C’era un giardinetto ben curato, attorno a cui sorgevano gli edifici del monastero: il tempio, il refettorio, la sala conciliare, le celle dei monaci, gli alloggi dei pellegrini. E naturalmente la torre in cui era custodito il Cristallo del Destino. Somigliava a una pagoda, dai tetti spioventi sovrapposti; lo storico ne contò nove.

   I ritocchi di una campana lo informarono che erano le cinque del pomeriggio. Juri alzò gli occhi al cielo: c’era odore di pioggia e i primi goccioloni cominciavano a cadere. Andò senza indugio verso la torre, il cui ingresso era accessibile dopo aver salito alcuni gradini. Aveva messo piede sul primo quando la porta sopra di lui si aprì, mostrando un Vedek dalla veste talare arancio-oro e l’orecchino assai elaborato. Era anziano; la barba bianca gli arrivava a metà del petto.

   «Salute a te, pellegrino» lo accolse con voce vigorosa. «Cosa ti porta qui?».

   «Sono il dottor Smirnov, dell’USS Keter» si presentò lo storico, un po’ stupito. «Col vostro permesso, dovrei visionare il Cristallo. Voi siete Vedek Sukri, dico bene? Credevo che foste informato del mio arrivo. Kai Nashir mi aveva detto che...».

   «Abbiamo ricevuto il messaggio di Sua Eminenza. Ma tu perché sei qui?» ripeté il sacerdote.

   «Ve l’ho detto. Kai Nashir mi ha autorizzato a vedere il vostro Cristallo...» fece Juri, salendo la scalinata.

   «Perché tu sei qui?» insisté il Vedek, calcando il tono sul tu.

   Saliti i gradini, Juri gli giunse a fianco. «Potrei dirvi che Bajor sta per essere invaso dai Pacificatori. Che i vostri templi potrebbero essere distrutti e i Cristalli razziati. Che Kosst Amojan potrebbe liberarsi e incenerire questo pianeta» disse lentamente. «Ma il fatto è che io sono qui perché ho passato la vita a studiare l’inconoscibile. E ora che tutto sta crollando, voglio comprendere il mio destino».

   «Solo al termine della vita si comprende il proprio destino» obiettò il Bajoriano.

   «Forse non mi resta molto da vivere. Se non lo faccio ora, potrei non avere altre occasioni» ribatté l’Umano.

   «Cosa ti aspetti di trovare? Conforto, guida, illuminazione?» insisté ancora il Vedek.

   «Spero di trovare qualcosa d’inaspettato, altrimenti questa visita sarà stata inutile» rispose schiettamente lo storico.

   L’anziano sacerdote sorrise. «Allora sei nel luogo giusto. Seguimi» lo invitò.

   Entrati nella pagoda, giunsero ai piedi di una scala a chiocciola, che serpeggiava su per l’edificio, attorno a un pozzo centrale. Alle pareti c’erano vetrate colorate, anche se in quel momento il cielo grigio le rendeva più sbiadite del solito.

   «La sala del Cristallo è in cima» disse il Vedek. «Puoi aprire tu stesso la teca. Trattieniti quanto vuoi».

   «La visione, posto che arrivi, richiederà tempo?» chiese Juri.

   «Potrebbe» annuì il sacerdote. «Ma se non arriverà entro il calar del sole, è quasi certo che non giungerà affatto. Ora ti lascio. Ognuno deve recarsi solo all’appuntamento col destino». Il Vedek lasciò la pagoda, chiudendosi la porta alle spalle.

   Rimasto solo, Juri si fece coraggio e cominciò a salire. La pagoda aveva nove piani, tutti dal soffitto alto, quindi lo aspettava una bella scarpinata. Seguì il percorso a spirale verso la sommità, osservando le vetrate istoriate con le profezie che il Cristallo aveva elargito nei secoli passati. Quasi tutte si riferivano a tempi remoti, ma salendo verso l’alto ne apparvero di più recenti, compresa una che mostrava Deep Space Nine e il Capitano Benjamin Sisko. Al tempo stesso, lo storico prestava orecchio ai suoni della pagoda. C’erano fischi e sibili che parevano mormorii. Era solo il vento che s’incanalava in alcuni pertugi; ma sembrava di aggirarsi in mezzo a una folla di spiriti invisibili.

   Juri salì lentamente, per osservare tutto, così che giunse in sommità senza affanno. Anziché aprirsi nel pozzo centrale, il nono piano era interamente pavimentato; vi si accedeva dal lato sud. Con il cuore in gola, lo storico varcò l’ultima porta. Si trovò in una sala ottagonale, con al centro un basso altare di pietra grigia. Gran parte delle pareti era occupata dalle finestre decorate, divise solo dai pilastri che sorreggevano il tetto; davanti a ogni pilastro c’era un candelabro con molte candele accese. Sull’altare vi era una teca campaniforme, con un oculo da cui filtrava un’intensa luce violetta. Lì dentro c’era il Cristallo del Destino, uno dei più enigmatici. Gli avrebbe parlato, dopo la lunga quiescenza? Stava per scoprirlo.

   Lo storico si accostò alla teca; i suoi passi echeggiarono nella sala. Mise mano alle ante e, col cuore che batteva a mille, le aprì. Il Cristallo era lì, simile a una clessidra intagliata nell’ametista. Il primo lampo fu quasi accecante, ma poi gli occhi dell’Umano dovettero abituarsi, perché la luce tornò sopportabile. Juri si guardò attorno: non era cambiato niente. C’era solo la stanza ottagonale, con l’altare al centro. La pioggia tamburellava sulle finestre e ogni tanto si udiva un tuono.

   «Ebbene, eccomi qui» sospirò Juri. «Non so se potete sentirmi, Profeti, o come preferite essere chiamati. So che da tempo non concedete visioni. Ma se non ci date uno sprazzo del futuro adesso, sarà troppo tardi. Bajor subirà una nuova Occupazione e i Pacificatori ruberanno i vostri Cristalli. Se poi Kosst Amojan dovesse liberarsi, beh... solo voi sapete che accadrà. In passato avete dimostrato di amare Bajor; non vedo perché dovreste smettere adesso. Se v’importa ancora di questa gente, vi chiedo di comunicare, nel modo che vi è più congeniale».

   Ci fu un lungo silenzio, rotto solo dal battere della pioggia sulle vetrate. Juri cominciava a sentirsi stupido, a stare lì davanti a una pietra luminosa, aspettandosi qualche prodigio. Poteva sembrare un atteggiamento anacronistico per chi viveva su un’astronave e usava tecnologie come il teletrasporto e i replicatori, più “magiche” di quasi tutti i miracoli dell’antichità. Eppure sapeva che i Cristalli di Bajor funzionavano, quale che fosse il principio su cui si basavano. Restava il fatto che non parlavano a tutti: sceglievano loro a chi dare una visione. Forse lui non era degno.

   «Non c’è in gioco solo Bajor, sapete? Tutta l’Unione è sprofondata nella dittatura!» gridò Juri, temendo di perdere la sua occasione. «I miei simili sono deportati come bestie. Vengono additati come la causa di tutti i mali. Mortificati con rituali umilianti. Aizzati gli uni contro gli altri perché non facciano fronte comune. Questa è la strada che porta al genocidio. È questo che ci attende? Rispondete, maledizione! Se potete aiutarci in qualche modo, e non lo fate, siete complici dei persecutori! Insomma, perché non ci aiutate?!».

   Al colmo della disperazione, l’Umano afferrò il Cristallo, estraendolo dal reliquiario. Pesava molto e malgrado la luce intensa era freddo al tatto. Lo storico si accostò a una vetrata e, assalito da un impulso irrefrenabile, ve lo gettò contro. Il vetro policromo si frantumò con uno schianto assordante. Il Cristallo cadde come un sasso, perdendosi in qualche anfratto fra le rocce e la boscaglia. Dalla vetrata in frantumi entrò un vento freddo, misto a pioggia.

   Quella sferzata schiarì le idee a Juri. Come risvegliandosi da un sogno, l’Umano comprese la gravità dell’accaduto. Aveva profanato il santuario e scagliato nel vuoto la reliquia. Anche se il Cristallo era infrangibile, si era comunque perso, il che avrebbe costretto i monaci a lunghe ricerche. Quanto accaduto era un gravissimo incidente diplomatico, che poteva rovinare i rapporti coi Bajoriani, proprio in quella fase critica.

   «Cos’hai fatto?» chiese Kai Nashir, entrando in quel momento nella sala.

   «Eminenza, è qui?!» impallidì Juri. «Io... non so spiegare. Il Cristallo era davanti a me, e ho avuto l’impulso irresistibile di gettarlo. La prego, non si arrabbi. Sono certo che possiamo recuperarlo. Sarà laggiù, da qualche parte...».

   «Il Cristallo è qui. É sempre stato qui» disse un Vedek barbuto, additando la teca al centro della sala. Juri non lo aveva visto entrare. Pensò che fosse arrivato subito prima della Kai, mentre lui dava le spalle all’ingresso.

   «No, è impossibile!» esclamò lo storico. Si precipitò davanti alla teca semiaperta e vi guardò dentro: il Cristallo era ancora al suo posto. Alzò gli occhi e vide la finestra di nuovo integra. Sconcertato, guardò il sacerdote. Non era Vedek Sukri, che lo aveva accolto al monastero. Era Vedek Daaro, morto sei anni prima nella lotta contro Kosst Amojan. Non era invecchiato di un giorno. Allora l’Umano capì.

   «Voi siete i Profeti» disse, raddrizzandosi «Scusate se non vi ho riconosciuti subito. Suppongo che la visione sia cominciata quando ho aperto la teca». Ora che ci faceva  caso, notò che i colori erano più vividi del normale, più virati verso l’oro. E in sottofondo c’era un suono ritmico, come il pulsare costante di un cuore.

   «Voi Corporei spesso non capite» convenne l’entità con l’aspetto di Nashir.

   «Siete lineari. Limitati» aggiunse quella che imitava Daaro.

   «Non è colpa nostra se siamo fatti così» si difese Juri. «Comunque ci sforziamo d’imparare cose nuove. E ora più che mai ci servono lumi sul futuro».

   «Se vi confermassimo che la rovina incombe, e voi provaste a evitarlo, potreste causare proprio ciò di cui vi avevamo ammoniti» avvertì la finta Nashir.

   «La profezia che si auto-avvera... sì, conosco il problema» annuì lo storico. «Ma i Pacificatori attaccheranno in ogni caso. E credo proprio che Kosst Amojan proverà a liberarsi. Possiamo respingere queste minacce?».

   «Da soli, giammai» disse un terzo Profeta, entrando nella sala. Questo aveva l’aspetto di Vasa. «Col nostro aiuto, e a caro prezzo, respingerete solo una delle due».

   «Quale?».

   «Dipende da cosa farete».

   «E voi avete una preferenza?» incalzò Juri.

   «Noi siamo di Bajor» disse la finta Nashir. «Dobbiamo proteggerlo dal Signore dell’Eterno Fuoco». Mentre parlava, le candele poste tutt’intorno alla sala ebbero una fiammata.

   «Ma Bajor non è l’unico pianeta» obiettò l’Umano. «Là fuori ci sono altri popoli che soffriranno, se non fermiamo l’avanzata dei Pacificatori».

   «Noi siamo di Bajor» ripeté il finto Daaro.

   «Ho capito, ma il destino di Bajor s’intreccia con quello degli altri mondi!» insisté Juri. «Prendiamo la Terra, ad esempio. Tornerà mai agli Umani?».

   Ci fu un lampo e la sala del Cristallo scomparve. Juri si trovò in un laboratorio semibuio, legato a una sedia degli interrogatori. Davanti a lui c’erano i Na’kuhl, gli alieni dall’aspetto vampiresco e gli occhi scarlatti che lo avevano catturato tre anni prima. L’Umano si chiese perché i Profeti gli facevano rivivere uno dei momenti peggiori della sua vita. Forse non era per punirlo... forse si trattava semplicemente di uno dei suoi ricordi più vividi.

   Uno dei Na’kuhl si fece avanti: era il Leader Supremo Vosk. O meglio, un Profeta che ne aveva preso le sembianze. «Possiamo vedere milioni di futuri» disse il finto Vosk. «In nessuno di questi la Terra torna in mano vostra».

   «Che?!» inorridì l’Umano. Accortosi che poteva lasciare la sedia di tortura, si affrettò a farlo. Si aggirò nel laboratorio tenebroso, fremendo di angoscia e disperazione. Da quando i Voth si erano impadroniti della Terra, aveva temuto che il pianeta fosse perso per sempre; ma sentirselo confermare gli fece quasi perdere il lume della ragione. Cercando una scappatoia, si disse che forse doveva riformulare la domanda. «E in quanti futuri la Terra torna anche nostra? Voglio dire, degli Umani e delle altre specie, senza che nessuno opprima e scacci gli altri?».

   «In uno solo» disse una vocetta acuta di bambina alle sue spalle.

   Juri si volse lentamente, temendo ciò che avrebbe visto. Davanti a lui c’era una bambinetta di cinque anni, dai capelli chiari. Sua sorella Svetlana, con l’aspetto che aveva quand’era morta. «Non osare» mormorò Juri, trattenendo a stento le lacrime. «Prendi qualunque aspetto, ma non il suo».

   Un secondo lampo dissolse la tetra camera. Juri si trovò in un ambiente a lui familiare: il suo laboratorio sulla Keter. I Profeti erano davanti a lui, con l’aspetto dei suoi colleghi. C’era anche Jaylah, che nella realtà aveva abbandonato l’astronave. Allo storico servì qualche secondo per raccapezzarsi.

   «Avete detto che c’è una sola possibilità di riavere la Terra. Ma per farlo dovremo sconfiggere i Voth... e prima ancora i Pacificatori» ragionò. «Finora abbiamo parlato di singoli pianeti, ma ora devo chiedervelo: come possiamo vincere la guerra?».

   «Non potete» lo gelò il finto Capitano Hod.

   «Come non possiamo noi» aggiunse il finto Vrel.

   «Per ogni attacco, i Pacificatori troveranno sempre la contromisura. Nessun potere di questa Galassia può salvarvi» concluse il finto Dib.

   «E a chi dobbiamo rivolgerci, allora?!» chiese Juri, al colmo della disperazione.

   «Se ve lo dicessimo prima del tempo, quel futuro non si avvererà» spiegò la finta Jaylah. «Anche facendo tutte le cose giuste, al momento giusto, le possibilità di salvezza sono minime».

   «Potete darci almeno qualche indizio, per non farci sbagliare completamente strada?» implorò Juri.

   Ci fu un terzo lampo e l’Umano si trovò in plancia: sullo schermo campeggiava Deep Space Nine. La stazione era avvolta da fiamme che, in barba alle leggi fisiche, ardevano nello spazio e sembravano consumare i metalli.

   «Non fidatevi di chi vi offre accordi» disse una voce alle sue spalle. Juri si girò di scatto. A parlare era stato un Profeta che, ironicamente, aveva assunto l’aspetto di Elvo, il leader degli Adoratori.

   «Non combattete il male con le sue armi, perché non fareste che rafforzarlo» aggiunse un altro, che aveva le sembianze di Modro Sisko.

   «Siate pronti a perdere coloro che amate» concluse una terza, con l’aspetto di Vasa.

   A queste ultime parole, Juri non resse. Si accostò alla finta archeologa e le afferrò un polso. «Parli di Vasa? Perché, cosa l’aspetta?!» chiese bruscamente. Ma in quella la visione si dissolse.

   L’Umano cadde all’indietro, sul pavimento ligneo della sala. Il Cristallo del Destino, ancora nella sua teca aperta, si affievolì. Juri comprese che non gli avrebbe elargito altre visioni. Ansante, dovette riprendere fiato prima di rialzarsi. Raggiunse la teca con passo malfermo e la richiuse. Solo allora i battiti del cuore si normalizzarono. Lo storico si passò una mano sulla fronte, per togliere il sudore, e cercò di dare un senso all’accaduto. I Profeti erano stati così pessimisti da dare l’impressione che fossero spaventati; qualcosa che non aveva precedenti. E i pochi suggerimenti erano fin troppo criptici.

   Con passo lento e pesante, Juri scese i nove piani della pagoda, rimuginando sull’accaduto. Non sapeva nemmeno se riferire agli altri le scoperte o tenerle per sé. Troppo pessimismo rischiava di gettare le truppe nello sconforto. Ma se erano destinati alla sconfitta, non avrebbe dovuto avvertire la Flotta, così che non s’impegnasse in una battaglia senza speranza?

   «Già finito?» chiese Vedek Sukri, vedendolo uscire. «Ebbene, hai trovato qualcosa d’inaspettato?».

   «Anche troppo» rispose Juri con una smorfia. «Ma ben poco che mi faccia sperare per il futuro. Preparatevi al peggio» disse, e lasciò il santuario senza aggiungere altro.

 

   Rientrato su Deep Space Nine, l’Umano si accorse immediatamente che qualcosa non andava. C’erano guardie ovunque, mentre il personale tecnico era ridotto al minimo. Tutti avevano un’aria preoccupata e camminavano in fretta, parlottando a bassa voce. Juri stava per fermare qualcuno e chiedere spiegazioni, quando si vide venire incontro l’Ammiraglio Tarn.

   «Ah, eccola. Il computer mi ha avvertito che era tornato» disse la Trill.

   «Ammiraglio, mi stava aspettando?» si stupì lo storico. «Ma che succede?».

   «I Pacificatori sono arrivati e hanno intimato ai Bajoriani di arrendersi, promettendo un trattamento di favore. Un loro emissario è qui sulla stazione, per trattare col Ministro Parva. Se si accordano, ci butteranno fuori dal sistema senza nemmeno combattere» rivelò Ilia.

   «Uhm... i Bajoriani farebbero meglio a non fidarsi di chi offre accordi» mugugnò Juri. «Così dicono i Profeti».

   «Le hanno parlato?! E che altro le hanno detto?» volle sapere la Trill.

   «È meglio discuterne a porte chiuse» fece lo storico, guardandosi attorno con diffidenza. C’era troppo andirivieni e non voleva che le rivelazioni dei Profeti divenissero subito pubbliche.

   «Andiamo in sala tattica» disse Ilia.

   I due stavano percorrendo la Passeggiata, quando Juri si bloccò, assalito da un sospetto. «Un momento... ha detto che i Pacificatori hanno inviato un emissario. Di chi si tratta?».

   «Sono io» disse una voce baritonale, proveniente dall’alto. Juri la riconobbe prima ancora di alzare la testa. In piedi sulla balconata c’era l’inviato dell’Unione, attorniato da due guardie del corpo. Era un Bajoriano grande e grosso, con l’uniforme da Comandante dei Pacificatori. Modro Sisko era tornato, come promesso.

 

   
 
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