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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 3: L’erede di Sisko

 

   «Quanto tempo» disse Juri, scrutando torvo l’avversario. «Vedo che ha fatto carriera, Comandante. Peccato che invece di servire i Bajoriani, gli fa guerra».

   «Veramente cerco di salvarli, come li ho salvati da Kosst Amojan» obiettò Modro. Lasciò la balconata e scese le scale, seguito dai bodyguard, finché fu davanti all’Umano. «Ma parliamo della sua carriera. Professore universitario, consulente storico della Flotta, pirata temporale... e ora ideologo della ribellione. Davvero brillante. Sa, quando ho sentito del suo processo, ho pensato che l’avessero incastrata. Non riuscivo a credere che avesse aiutato i Na’kuhl a cambiare la linea temporale. Poi le ho visto fare quel patetico annuncio all’Unione e ho capito che lei è capace di tutto. Ma ora glielo chiedo, e voglio una risposta sincera: ha davvero aiutato Vosk?».

   «Sì, ma quando ho visto che buttava male ho rimesso le cose com’erano» rispose Juri. «Visti i risultati, mi sa che ho sbagliato».

   Modro lo fissò con sconfinato disprezzo. «Avrebbero dovuto giustiziarla» commentò.

   «Ho patteggiato. Poi ho scoperto che le prigioni dell’Unione mi stavano strette, così ho cambiato aria» ironizzò l’Umano.

   «Si fa sempre in tempo a eseguire la condanna. Tra pochi giorni questo sistema tornerà all’Unione, e allora...».

   «Perché, cos’ha offerto ai Bajoriani? Un collare meno stretto di quello che è toccato agli Umani?» chiese Juri, sprezzante.

   «Bajor sarà riammesso nell’Unione come se nulla fosse accaduto» rivelò Modro. «Naturalmente voi Umani andrete nei Centri di Rieducazione, per insegnarvi a vivere civilmente».

   «Quindi s’è bevuto la propaganda del regime? Peccato, la facevo più sveglio».

   «Non vi ho chiesto io di scatenare questa guerra».

   «Se i Voth avessero occupato Bajor, anziché la Terra, parlerebbe diversamente» rimbeccò Juri. «Sa, queste fesserie sugli Umani colpevoli di tutto il male dell’Universo me le aspetto dai Pacificatori, ma lei... ha il nostro sangue nelle vene».

   «Solo per un ottavo. Sono Bajoriano a tutti gli effetti» dichiarò orgogliosamente Modro.

   «Ha comunque degli antenati Umani. Cosa crede che penserebbero di lei? Cosa penserebbe il Capitano Benjamin Sisko, di cui va tanto fiero?» insisté lo storico.

   Modro si avvicinò con fare minaccioso e gli bisbigliò all’orecchio: «Penso che mi ringrazierebbe, visto che sto liberando Bajor da voialtri terroristi».

   «Peccato che la maggior parte dei Bajoriani non la pensi così. Loro hanno preferito opporsi alla dittatura» ribatté l’Umano. «Compresa sua moglie» aggiunse perfidamente.

   Un lampo d’odio apparve negli occhi di Modro. «Lei è qui? L’hai incontrata?!» ringhiò, fremendo di collera.

   Juri arretrò prontamente. «Vasa sta bene, per quanto sia possibile in questo momento. Se non le vuol parlare, è libera di farlo» disse.

   «Voi ribelli non ci terrete divisi a lungo. Presto tornerò qui, a salvarla!» promise il Bajoriano, fissandolo con sguardo omicida.

   «Non sei il salvatore che pensi. Sei anni fa fummo noi della Keter a salvarti le chiappe da Kosst Amojan» disse Juri, rinunciando alla cortesia. «E ora, per una divergenza politica, conduci un esercito straniero alla conquista della tua patria. Se avrai successo, imporrai un’altra Occupazione... sarai il nuovo Gul Dukat».

   Modro fece per scagliarsi contro di lui, ma Ilia si frappose. «Fermo, Comandante! Non mi costringa a chiamare la Sicurezza!» minacciò.

   Il Bajoriano la riconobbe e si arrestò prima di travolgerla. «Ilia Dax» mugugnò.

   «Sono Ilia Tarn, da quando voi Pacificatori mi avete ucciso il Simbionte» ribatté la Trill, fulminandolo con lo sguardo. «Ma ricordo bene com’era Benjamin, ciò in cui credeva, e le dico che si vergognerebbe di lei. Voi Pacificatori avete tradito gli ideali della Flotta Stellare».

   «No, è stata la Flotta a tradire l’Unione; ma ne pagherete le conseguenze» ribatté Modro. Girò le spalle a Ilia e si allontanò con fare altezzoso, seguito dalle guardie del corpo.

   «Mi spiace di averla messa in pericolo, Ammiraglio» disse Juri, quando furono soli.

   «No, ha fatto bene a rispondergli» disse Ilia. «Se penso che quel bulletto arrogante è un discendente di Benjamin... ah, preferisco non pensarci!» disse, scuotendo la testa.

   «Non è un caso se i Pacificatori hanno inviato lui, anziché un ambasciatore o un Ammiraglio» notò Juri. «Sanno che l’erede dell’Emissario suggestionerà i Bajoriani». In effetti, molti spettatori dell’alterco stavano ancora parlottando fra loro, lanciando sguardi ostili alla Trill e all’Umano.

   «Andiamocene» disse Ilia. «Deve ancora parlarmi della sua esperienza col Cristallo».

   I due andarono in sala tattica. Dovendo riferire l’accaduto, tuttavia, Juri tenne per sé le rivelazioni più preoccupanti. Non disse che Bajor doveva per forza cadere, sotto l’una o l’altra minaccia, né che c’era una sola possibilità su milioni di vincere la guerra. Non voleva che i vertici della Flotta cadessero nello sconforto o, peggio ancora, che la notizia giungesse alla popolazione.

   A fine racconto, Ilia era insoddisfatta. «Non gli ha chiesto in che modo potremmo sconfiggere i Pacificatori?» domandò.

   «Sì, ma conosce quegli esseri: rispondono per enigmi» disse Juri. «Sostenevano che le nostre possibilità sono... esigue, e che sapere troppo potrebbe ritorcersi contro di noi. Mi hanno detto solo che non dobbiamo fidarci di chi ci offre accordi, che non dobbiamo combattere il male con le sue armi... e che dobbiamo essere pronti a perdere i nostri cari».

   «Sono consigli validi in ogni guerra» sospirò la Trill. «Non ricorda nient’altro?».

   «No» mentì Juri. «Ma sono sempre più convinto che dovremmo portar via i Cristalli, prima che comincino i fuochi d’artificio».

   «Prima dobbiamo vedere se i Bajoriani cederanno all’ultimatum» ricordò Ilia. «In quel caso, non potremo fare nulla. I Cristalli appartengono a loro».

   «Pensa che cederanno?» chiese Juri.

   L’Ammiraglio esitò. «Farò di tutto perché non accada» disse. «Gli riferirò i consigli dei Profeti. Intanto lei e la squadra trovate il modo di eliminare il Cristallo di Fuoco».

 

   Avuta conferma che sua moglie si trovava sulla stazione, Modro cercò in ogni modo d’incontrarla, ma Vasa si chiuse nel suo laboratorio, rifiutando persino di rispondere alle chiamate. Per tornare nel suo alloggio a fine turno usò il teletrasporto. Il Colonnello Shakaar fece in modo che entrambi gli ambienti fossero sorvegliati, temendo che Modro entrasse di prepotenza. Così il Comandante dovette ritirarsi scornato.

   Nel frattempo il governo bajoriano cercava di nascondere le condizioni poste dall’Unione, mentre ne discuteva. Ma non aveva fatto i conti con la macchina propagandistica nemica. Poche ore dopo che Modro aveva riferito l’ultimatum al Primo Ministro, la flotta dei Pacificatori trasmise a banda larga un suo messaggio registrato.

   Il Comandante era seduto a una scrivania dietro la quale appariva l’emblema dei Pacificatori, ossia quello rovesciato della Flotta Stellare. «Salve, cittadini di Bajor. Sono il Comandante Sisko, della Forza di Pace dell’Unione Galattica. Oggi mi rivolgo a voi, anziché ai vostri governanti, affinché abbiate la piena cognizione di quanto sta accadendo» esordì.

   «In questo momento mi trovo su Deep Space Nine per cercare un accordo con le vostre autorità che eviti lo spargimento di sangue. Se sentite questo messaggio, significa che il governo non ha reso pubbliche le nostre condizioni. Questo è un grave torto nei vostri riguardi, al quale intendo rimediare.

   Un anno fa, allo scoppio della Guerra Civile, il governo bajoriano ha scelto di unirsi alla rivolta che ha lacerato l’Unione. Così facendo, ha tradito tutti i valori su cui si fondava la comunità interstellare. E ha tradito lo spirito pacifico del nostro popolo. Gli ufficiali lealisti come me sono stati banditi: abbiamo dovuto indossare l’uniforme dei Pacificatori e combattere per liberare il nostro pianeta. Ma ora siete voi cittadini a pagare per gli errori dei governanti. Ebbene, voglio assicurarvi che non è troppo tardi per salvarvi. L’Unione Galattica è disposta a perdonarvi e a riaccogliervi a braccia aperte. Se vi arrendete, scacciando la Flotta Stellare, sarete trattati con clemenza e con rispetto.

   Il governo bajoriano sarà sciolto e si terranno nuove elezioni. Noi Pacificatori lasceremo un presidio, per assicurare lo svolgimento democratico del voto e proteggervi dalla vendetta della Flotta. Naturalmente il vostro apparato industriale contribuirà allo sforzo bellico e vi sarà chiesta una quota di reclute da addestrare come Pacificatori. Il nostro incomparabile patrimonio culturale sarà tutelato, anche se per ragioni di sicurezza i Cristalli saranno custoditi in luoghi sicuri. Al termine del conflitto saranno restituiti ai loro santuari.

   L’ultima cosa che vi chiediamo è la consegna degli Umani, i principali responsabili di questo conflitto. Come già accade a quelli trasferiti dalla Terra, gli Umani dovranno superare un corso rieducativo, per accertarsi che condividano i nostri valori. Dopo di che saranno reintegrati nella società».

   Avviandosi alla fine del discorso, il Comandante Sisko fissò intensamente gli spettatori. «In quest’ora decisiva, mi appello alla vostra saggezza e al vostro spirito critico. Non lasciate che l’orgoglio di pochi condanni il nostro amato pianeta alla rovina. Pretendete che il governo rispetti la vostra volontà. Come disse il mio avo Benjamin Sisko, “non è mai troppo tardi per iniziare a costruire la pace”. Che i Profeti vi benedicano».

 

   L’effetto del discorso fu dirompente. Come previsto da Juri, il fatto che fosse l’erede di Sisko a consigliare la resa ebbe un forte impatto su una popolazione che, in massima parte, vedeva l’Emissario come una figura religiosa. I tumulti cominciarono subito, sotto forma di proteste attorno ai palazzi governativi, alle caserme di polizia, ai tribunali e in generale a qualunque sede del potere. I manifestanti chiedevano che il governo accettasse la resa, esibendo immagini di Benjamin e Modro Sisko affiancati, come se fossero entrambi Emissari inviati a salvarli. Intervistati dai giornalisti, i leader della protesta ricordarono che alla vigilia della Guerra del Dominio, Benjamin Sisko aveva persuaso i Bajoriani a firmare un patto di non aggressione con la potenza del Quadrante Gamma, e questo li aveva protetti. La proposta di Modro non sembrava diversa.

   Ma la peggior conseguenza del comunicato fu che gli Umani residenti su Bajor furono visti come un pericolo per il pianeta. Poiché l’Unione ne reclamava la consegna, molti cominciarono fin da subito a radunarli. Altri li accusarono persino d’essere il motivo per cui i Pacificatori stavano per attaccare. In molte città bajoriane partirono i pogrom contro gli Umani, che non avevano un luogo dove scappare. La polizia e la Milizia intervennero, sebbene al loro interno non mancassero le defezioni: alcuni reparti rifiutarono di disperdere i manifestanti. Questi, dal canto loro, non avevano le stesse remore. In capo a una giornata, su Bajor imperversò la guerriglia urbana.

   Da Deep Space Nine, dove si era insediata, Ilia seguiva gli eventi con crescente nausea. Aveva visto i Pacificatori usare quella tattica con altri pianeti, e aveva sempre funzionato. Si presentavano con forze schiaccianti, lanciavano l’ultimatum e poi lasciavano che gli abitanti si dividessero in fazioni, creando il caos. Se c’erano Umani ne esigevano la consegna, scatenando la persecuzione. A quel punto la maggior parte dei pianeti si arrendeva. I pochi che resistevano dovevano fronteggiare rivolte popolari e ammutinamenti di truppe, che facilitavano di molto l’avanzata dei Pacificatori. Considerando la tendenza dei Bajoriani a dividersi politicamente e la loro fascinazione per l’erede dell’Emissario, Ilia temeva che avrebbero optato per la resa. Almeno lì sulla stazione la situazione era sotto controllo: il Colonnello Shakaar aveva invitato tutti alla calma e ad attendere la decisione del governo.

   La Trill era nel suo alloggio e stava leggendo gli ultimi rapporti, quando ricevette una chiamata dal centro di comando. «Che c’è? Avevo chiesto di non essere disturbata» disse.

   «Mi scusi, Ammiraglio, ma è importante. Un’astronave è appena uscita dal Tunnel Spaziale» rispose l’ufficiale. «Si tratta di un incrociatore del Dominio. Sta venendo qui».

 

   L’enorme incrociatore passò accanto alla New Frontier senza fermarsi e puntò verso Bajor a massimo impulso. Quando fu nei pressi di Deep Space Nine si arrestò. Venti navi bajoriane e altrettante cardassiane lo circondarono prontamente, con gli scudi alzati e le armi innescate. Per quanto fosse potente, l’incrociatore del Dominio era solo. Accorsa nel centro di comando, Ilia lo vide sullo schermo. Era un nuovo modello, dallo scafo un po’ a catamarano. Le finestre e le gondole a curvatura violacee spiccavano sullo scafo grigio acciaio.

   «Ci hanno chiamati?» chiese la Trill.

   «Non ancora. Mi chiedo come abbiano fatto ad attraversare il Tunnel» disse Shakaar, inquieto. «I Profeti si erano impegnati a non far passare navi del Dominio».

   «A meno che non fossero disarmate» ricordò Ilia.

   «Analisi sensoriale completata» disse l’addetto. «È sicuramente una nave da battaglia, affine agli incrociatori di tipo T, ma si direbbe che le armi siano state rimosse. Gli scudi sono abbassati».

   Lo stupore dilagò tra i presenti. Mai prima d’ora il Dominio si era presentato disarmato. Dalla fine della guerra, i rari contatti erano avvenuti con trasmissioni subspaziali incanalate nel Tunnel, oppure era stata la Flotta a recarsi nel Quadrante Gamma.

   «Potrebbe essere un trucco» commentò Shakaar, accostandosi allo schermo. «Manteniamo la condizione d’allerta e chiamiamoli». Ilia lo affiancò. Un sospetto si faceva strada in lei, ma non osava indugiarci, per timore di restare delusa.

   Un Vorta apparve sullo schermo. Quegli Umanoidi dagli occhi violetti e le orecchie a punta erano i burocrati del Dominio e spesso comandavano le navi da guerra, sebbene il grosso dell’esercito fosse composto dai famigerati Jem’Hadar. «Sono il Capitano Yogrum III e vengo a voi in pace» esordì. «Vi sarete accorti che siamo disarmati e con gli scudi abbassati. Quindi sareste così gentili da non puntarci addosso il vostro arsenale?».

   Ilia lasciò che fosse Shakaar a condurre la trattativa, rispettando la sua autorità sulla stazione.

   «Dati i trascorsi, comprenderà la nostra prudenza» disse il Colonnello. «Comunque ha la mia parola che non apriremo il fuoco, se non compirete azioni ostili. Cosa vi porta qui?».

   «Siamo in missione diplomatica. Conosciamo la vostra situazione e... beh, non voglio anticiparvi nulla. Il nostro Ambasciatore vi riferirà tutto» disse Yogrum.

   «Se è pronto a raggiungerci, lo accoglierò subito» promise Shakaar.

   «Magnifico. Lo teletrasporteremo appena abbasserete gli scudi».

   «E se invece ce lo inviaste per navetta?».

   «Ancora non vi fidate?» si stupì il Vorta.

   «Mi fido tanto da accoglierlo; ma alle mie condizioni» rispose il Bajoriano.

   Yogrum dette una rapida occhiata alla sua destra, a qualcuno che si trovava fuori inquadratura. Forse era proprio l’Ambasciatore, che doveva dargli l’imbeccata. «Condizioni accettate» disse il Vorta, con un sorriso untuoso. «Preparatevi a ricevere il nostro diplomatico». Chiuso il canale, l’incrociatore del Dominio riapparve sullo schermo.

   «Non ha detto chi è l’Ambasciatore» notò Shakaar.

   «Credo di saperlo» disse Ilia, con una strana luce negli occhi. «Attenda qui, Colonnello. Io vado ad accoglierlo».

 

   La Trill si presentò alla camera stagna con una robusta scorta. Anche se l’incrociatore era disarmato, non era detto che tutti al suo interno lo fossero. Il portone circolare venne in fuori con uno scatto e si aprì di lato, rivelando la delegazione del Dominio. Ilia sentì crescere il batticuore. Se il suo sospetto era fondato, stava per rivedere un caro amico.

   I primi a uscire furono due soldati Jem’Hadar, dai volti grigi e scagliosi incorniciati di escrescenze cornee. Erano le immancabili guardie del corpo che scortavano i diplomatici del Dominio. Avevano dei disgregatori polaronici, ma li tennero in fondina. Senza dire una parola si posero ai lati del portone e restarono in attesa. Una terza figura si mosse nella penombra dietro di loro. Ilia trattenne il fiato, riconoscendo la sagoma.

   Era un umanoide dai lineamenti curiosamente abbozzati. Aveva occhi chiari, profondamente infossati nel cranio senza sopracciglia, e orecchie dai padiglioni spessi, senza circonvoluzioni. I corti capelli paglierini erano tirati all’indietro e sembravano appiccicati in un blocco unico... perché lo erano. «Ah... quant’era che non mettevo piede su DS9!» disse Odo, usando le iniziali della stazione. «Troppo, perché altri possano ricordarlo. A parte te, Dax. Tu ricordi sempre tutto».

 

   Ilia lo fissò per qualche attimo, prima di rispondere. Il suo amico non era invecchiato di un giorno dall’ultima volta che lo aveva visto. Non c’era da stupirsi: i Fondatori del Dominio vivevano molti secoli. Nel loro stato naturale erano amorfi, tanto da formare un oceano melmoso sul loro pianeta. Solo per interagire con le altre specie ne assumevano l’aspetto, anche se spesso conservavano lineamenti abbozzati. «Io... non sono Dax» mormorò la Trill. «Il Simbionte è morto un anno fa, ucciso dai Pacificatori. Adesso sono Ilia Tarn».

   «Ma hai ancora i ricordi?» chiese Odo con apprensione.

   «Solo quelli che avevo rievocato prima della morte di Dax» spiegò Ilia. «Ma è più che abbastanza per ricordarmi di te». I due si abbracciarono, senza curarsi delle guardie. «Non credevo che ti avrei rivisto» mormorò la Trill, con gli occhi inumiditi. «Sei stato via così tanto...».

   «Nel Grande Legame è difficile valutare lo scorrere del tempo» disse il Mutaforma. «Ma non ho mai scordato te, Sisko e gli altri». I due si separarono, anche se gli servì qualche attimo per ricomporsi. Dopo di che presero a passeggiare nel corridoio, seguiti a breve distanza dalle rispettive scorte. Ilia incrociò le braccia dietro la schiena, nel suo gesto caratteristico.

   «Allora, perché sei tornato?» chiese la Trill.

   «Sono al corrente della vostra Guerra Civile» disse Odo con gravità. «Che disastro! Un tempo non sarebbe mai accaduta una cosa del genere» aggiunse, scuotendo il capo.

   «I tempi sono cambiati» disse Ilia, cupa. «Odo, devo chiedertelo: che intenzioni ha il Dominio?».

   «Non sta per invadervi, se è questo che temi; del resto gli alieni del Tunnel non lo permetterebbero» la rassicurò il Mutaforma. «Immagino che tu sia in ansia per New Bajor».

   La Trill annuì. «Avevo chiesto ai Bajoriani d’evacuarlo a inizio guerra, e non mi hanno dato retta. Ora è tardi» disse.

   «No, hanno fatto bene» la corresse Odo. «New Bajor non corre pericoli. Ho persuaso il Grande Legame a non lanciare offensive. Anzi, se le cose dovessero precipitare qui nel Quadrante Alfa, sappi che il Dominio è pronto a darvi asilo».

   «Significherebbe diventare vostri sudditi» si accigliò Ilia.

   «Pensavo più a un protettorato» disse il Mutaforma. «Coi tempi che corrono, ve la passereste meglio che sotto i Pacificatori».

   «Può darsi» disse l’Ammiraglio. «Ma sarà l’ultima spiaggia, se tutto il resto dovesse fallire. E comunque non possiamo trasferire tutti gli abitanti di Bajor. Al massimo potremmo mandarvi quelli più in pericolo... mi riferisco agli Umani. Ce ne sono circa centomila. Se li trasferiamo nel Quadrante Gamma, mi prometti che saranno al sicuro?».

   «Hai la mia parola» disse Odo. «Inoltre vorrei restare qui, ufficialmente come ambasciatore del Dominio».

   «E ufficiosamente?».

   «Come consigliere strategico. O per qualunque ruolo mi vorrete».

   Ilia smise di camminare e lo fronteggiò, serissima. «Siamo in una situazione critica. I Pacificatori potrebbero distruggerci al primo assalto. Non sei tenuto a farlo» disse.

   «Ho trascorso più di due secoli nel Grande Legame. Non sono stato con voi, durante la Guerra delle Anomalie. Lascia che lo sia adesso» pregò il Mutaforma. «In nome dei vecchi tempi».

   «D’accordo... in nome dei vecchi tempi» sorrise Ilia.

 

   Dopo tre giorni di trattative serrate tra governo bajoriano e Pacificatori, l’ultimatum dell’Unione ebbe risposta. Anziché affidarla a Modro, il Primo Ministro inviò un messaggio alla flotta dei Pacificatori, che attendeva a poca distanza dal Tunnel Spaziale.

   «Salve, sono il Ministro Parva e mi rivolgo alla Presidente Rangda, nonché alle autorità civili e militari dell’Unione Galattica. Io e i parlamentari abbiamo ascoltato il vostro inviato, prendendo atto dell’offerta. L’abbiamo valutata con la massima attenzione, nell’intento di garantire il miglior interesse di Bajor.

   Dallo scoppio del conflitto, altri mondi che si erano uniti alla Federazione hanno ricevuto simili ultimatum e si sono arresi. In tutti questi casi, l’Unione si è prontamente rimangiata la parola, imponendo condizioni assai più dure di quelle promesse. La libertà d’informazione è stata cancellata e i cittadini si sono visti privare dei loro diritti fondamentali. Le nuove elezioni sono state pilotate per imporre governi fantoccio, dipendenti dall’Unione.

   Ma al disopra di tutto questo, c’è un fattore che più di ogni altro contribuisce a formare il nostro giudizio. Parlo del trattamento da voi riservato agli Umani. Li avete privati del loro mondo natale, avete distrutto il loro patrimonio culturale e ora li braccate anche sugli altri pianeti. Se vi aspettate che ve li consegniamo in cambio di condizioni più favorevoli, avete sbagliato i calcoli. Noi non mercanteggiamo carne umana. Sappiamo cosa significa subire deportazioni; non le infliggeremo a chi è venuto qui in cerca di protezione.

   Dunque la nostra risposta può essere una sola: giammai. Non ci piegheremo alle vostre minacce, né alle vostre false promesse. Difenderemo fino all’ultimo Bajor da chi vuol farci rivivere i momenti più bui della nostra storia. E qualora cedessimo, vi avvertiamo che sarà solo l’inizio della nostra lotta di liberazione. Abbiamo già vinto un’Occupazione; ne vinceremo un’altra. Noi Bajoriani siamo tenaci».

   La risposta dell’Unione non tardò. Pochi minuti dopo l’annuncio, giunse un messaggio subspaziale dalla Terra. Era la risposta della Presidente Rangda, che consisteva di sole cinque parole: «Avete commesso un grave errore».

 

   Il Comandante Modro fu subito richiamato dai Pacificatori. Ma per quanto fosse urgente la convocazione, lui non intendeva andarsene senza aver rivisto sua moglie. Per la centesima volta chiese al computer di localizzarla e, saputo che era uscita dalle zone sorvegliate, corse da lei. Si fermò solo quando raggiunse il settore della Passeggiata che gli era stato indicato. Qui si guardò attorno con ansia, finché vide un’esile figura in piedi sulla balconata. Gli volgeva le spalle, ma lui la riconobbe dalla chioma rossa: era Vasa. Stava guardando lo spazio in direzione del Tunnel, attraverso uno dei finestroni ovali, come faceva spesso nei momenti liberi.

   Modro salì subito sulla balconata e si avvicinò all’ex moglie, un po’ esitante. «Vasa, sono io. Ti prego, parlami» mormorò.

   «Non ho nulla da dirti» fece lei, senza voltarsi. «Torna sulla tua nave».

   «Lo farò, ma prima devo dirti qualcosa, amore mio» disse il Bajoriano, cercando di abbracciarla.

   «Non toccarmi!» protestò lei, ritraendosi. Così facendo dovette in parte girarsi, guardandolo finalmente in viso. «Dì quel che devi, in fretta, e poi vattene. Ma non mi toccare» ordinò.

   «E va bene» fece lui, tenendosi a rispettosa distanza. «Ti amo come il primo giorno, e mi dispiace per tutto ciò che ci ha separati. Tu e io siamo simili: abbiamo le nostre idee e ci restiamo fedeli ad ogni costo. Crediamo entrambi d’essere nel giusto».

   «Ma non possiamo avere ragione tutti e due» ribatté Vasa, fissandolo con durezza. «Uno di noi deve per forza sbagliarsi».

   «Forse solo il tempo potrà dire chi ha ragione» concesse Modro. «Ma a te di tempo ne resta poco. I Pacificatori attaccheranno e... lasciatelo dire, non avete scampo. Questa vecchia stazione non resisterà un minuto. Per il tuo bene, per la tua salvezza, devi andartene subito. Torna su Bajor... possibilmente non in una grande città. O meglio ancora, vieni con me!» propose.

   «Come ostaggio?».

   «Come libera cittadina. Garantirò io per te».

   «Ma io non voglio tornare con te».

   «Non pretendo che torni ad essere mia moglie, mi basta sapere che sarai al sicuro. Anche se...» fece Modro, fissandola con rimpianto.

   «Se?».

   «Non abbiamo mai fatto il Rito della Separazione. Quindi siamo ancora sposati, davanti ai Profeti e davanti alla legge» le ricordò Modro.

   «Alla prima occasione rettificherò l’inconveniente» garantì Vasa. «Ma finché c’è la guerra, non ti seguirò in territorio nemico».

   «Non capisci che sto cercando di salvarti?!» si esasperò Modro. «Sono l’unico che può farlo! Non i tuoi amici terroristi, non questa ferraglia» disse, dando un pugno alla paratia.

   «Dimentichi che ho anch’io dei doveri» obiettò Vasa. «Ho passato sei anni a studiare il Cristallo di Fuoco. So meglio di tutti quant’è pericoloso. Cosa pensi che accadrà, con la battaglia? Non credi che il Maligno cercherà di liberarsi? Si scatenerà di nuovo contro Bajor, e stavolta non riusciremo a fermarlo! È questo che vuoi?!».

   «Amore, io sono preoccupato quanto te per il nostro pianeta» spiegò il Comandante. «Ma credo che i Pacificatori siano meglio equipaggiati per contenere la minaccia».

   «A che servono gli equipaggiamenti, se non si vuole usarli?» ribatté l’archeologa. «I Pacificatori non sanno quant’è pericoloso il Cristallo. Credono di poterlo analizzare come un qualunque fenomeno scientifico. Posto che non cerchino di usarlo come arma».

   «Andiamo, stai delirando!» sbottò Modro. «Sento che non mi dici tutta la verità. Cos’è che ti trattiene qui? O dovrei dire... chi è? C’è qualcun altro, tra noi?».

   «La cosa non ti riguarda» disse Vasa, a disagio.

   «Oh sì, invece!» si scaldò Modro. «Ci siamo giurati fedeltà davanti ai Profeti. Tu forse l’hai dimenticato, ma io no» disse, sfiorandosi istintivamente l’orecchino.

   Vasa distolse lo sguardo, ma non replicò. Le sembrava che l’amore di un tempo si fosse trasformato in una catena, che ora cercava di soffocarla.

   «Da quando ci siamo lasciati, non è passato giorno senza che pensassi a te» proseguì Modro, incalzante. «Mi chiedevo se stavi bene, se eri al sicuro. Non mi sono legato a nessun’altra, perché ho sempre sperato che alla fine saremmo tornati assieme... che il nostro amore avrebbe prevalso su quest’orribile guerra. Per te non è così?».

   Vasa si girò, col labbro tremante. «Se io rinunciassi al mio incarico e venissi via con te... tu saresti disposto a rinunciare al tuo?» chiese.

   «Rinunciare al mio grado?» si sgomentò il Comandante. Aveva lavorato sodo tutta la vita per meritarselo. Aveva corso rischi mortali e ricevuto ferite sul campo.

   «Sì! Rinunceresti ai Pacificatori, alla Milizia, a qualunque coinvolgimento nel conflitto?» insisté l’archeologa.

   «Io... non posso farlo. Ho prestato il giuramento dei Pacificatori» spiegò Modro. «Non posso dimettermi, finché siamo in guerra».

   «Non credo che lo farai neanche dopo» disse Vasa, scuotendo la testa. Nei suoi occhi c’era una cocente delusione. «E dire che mi ero illusa, per un attimo. Ma evidentemente il tuo amore per me non eguaglia il tuo amore per i gradi, e il potere che ne deriva».

   «Non è così semplice!» si difese Modro. «Sposandoti, ho giurato di stare dalla tua e sostenerti in ogni sfida della vita. Ma ho anche prestato giuramento ai Pacificatori. Ora questi impegni mi tradiscono... cozzano gli uni contro gli altri».

   «Non puoi restare fedele a tutti; devi scegliere qual è il più importante» disse Vasa. «E ho l’impressione che tu abbia già deciso».

   «E tu, invece? Quale sacrosanto impegno ti fa rinnegare la promessa nei miei riguardi?» chiese Modro. «Il tuo lavoro d’archeologa? Quello non richiede giuramenti. Forse hai approfittato della mia lontananza per cercarti un altro. Qualcuno che condivide i tuoi interessi e che non rischia la vita al fronte. Qualcuno come...». Il Bajoriano s’interruppe e guardò oltre le spalle di Vasa. I suoi occhi si colmarono d’odio.

   Confusa, l’archeologia si voltò. Vide che Juri era salito sulla balconata e si stava avvicinando.

   «Credo che debba andare, Comandante Sisko» disse lo storico, in tono cortese ma deciso.

   «Professor Smirnov» fece Modro, con un orribile sorriso. «Sei l’incarnazione di tutto ciò che di ributtante c’è nella razza umana. Un vigliacco che si nasconde, invece di combattere. Un ipocrita che si atteggia a vittima e nel frattempo soffia sul fuoco del conflitto. E adesso anche un ladro d’amore. Ma ti faccio una promessa». Si avvicinò e gli dette una lieve pacca sulla guancia, l’imitazione di un gesto affettuoso. «Non importa cosa t’inventerai: stavolta non ne esci vivo» gli sussurrò.

   Juri si sentì tremare fino al midollo. Aveva già ricevuto minacce di morte, ma quella rischiava davvero di concretizzarsi. Modro era un comandante militare, sul punto di lanciare un attacco; aveva i mezzi per attuare la sua minaccia. «Come tutti gli ignoranti, credi di sapere tutto» mormorò lo storico. «Io non ho rubato l’amore di nessuno».

   «BUGIARDO!» gridò Modro. Aggredì l’Umano, che era molto più gracile di lui. Prima gli dette un manrovescio, poi lo girò e gli piegò il braccio dietro la schiena. Glielo torse sempre più forte, minacciando di spezzarglielo. «Dì la verità, vigliacco!» ringhiò.

   «Sei impazzito? Lascialo!» protestò Vasa. Si avventò sul marito, ma lui la respinse con un calcio, scaraventandola contro il finestrone. La Bajoriana scivolò a terra, dolorante e sconvolta.

   «Non t’importa un fico secco della verità... vuoi solo ferirci per sfogare la tua rabbia» gemette Juri, sentendo che il braccio era prossimo a spezzarsi.

   «Si fermi subito!» tuonò un’altra voce.

   Tutti guardarono in quella direzione. Odo era salito sulla balconata, assieme ai Jem’Hadar che lo seguivano come un’ombra. Sebbene il Mutaforma fosse disarmato, le sue guardie del corpo impugnavano i disgregatori polaronici.

   «La sua navicella l’attende all’attracco 1» disse Odo, fissando severamente il Comandante. «Non è il caso di farla aspettare».

   «No, infatti» convenne Modro, riavendosi dal raptus. Lasciò l’Umano, si rassettò l’uniforme e andò verso la scala. Mentre gli passava accanto, i due Jem’Hadar lo guardarono in cagnesco. Il Comandante scese nel livello inferiore della Passeggiata, ma una volta lì si fermò e alzò lo sguardo alla balconata. Juri era alla balaustra e Vasa gli stava accanto, sfiorandogli il braccio dolorante. Tutti e due lo guardavano dall’alto.

   «Quando mi rivedrete, sarò in testa ai Pacificatori!» minacciò Modro, additandoli. «Prega che io riesca a salvarti, prima che questa stazione vada in pezzi!» si rivolse alla moglie. «E tu prega di morire prima del mio ritorno!» aggiunse, indicando Juri.

   «Lei non rende onore al suo cognome, Comandante Sisko» avvertì Odo. «Se ne vada, finché può».

   Modro gli diede le spalle e lasciò la Passeggiata. Le sue guardie del corpo, che avevano atteso presso l’uscita, lo seguirono.

   Odo monitorizzò gli spostamenti dei tre Pacificatori finché giunsero all’attracco. Solo quando la navicella lasciò la stazione il Mutaforma si tranquillizzò.

   «Ambasciatore, che fa? Non è più responsabile della sicurezza di bordo» commentò Juri.

   «È la forza dell’abitudine» spiegò Odo. «Mi sembra ieri, quando qui c’era Benjamin. Come rimpiango quei giorni!».

   «Beh, grazie dell’intervento. Credo di doverle il braccio» disse l’Umano, massaggiandosi l’arto indolenzito.

   «Oh Juri, mi spiace!» esclamò Vasa. «Sapevo che Modro era ossessionato, ma non pensavo che scattasse così».

   «È il primo Sisko dai tempi di Benjamin ad aver scelto la carriera militare, ma gli eventi l’hanno portato a muovere guerra a Bajor, anziché a difenderlo» notò lo storico. «Tutti lo paragonano al suo avo... l’abbiamo fatto anche noi. Immagino che sia vicino al crollo nervoso. Ammira il suo antenato, ma lo odia anche perché era Umano, e perché ha svolto un ruolo opposto al suo».

   «Un Sisko umano che protegge Bajor e un Sisko bajoriano che lo attacca... ironico» commentò Odo. «Ma le sue minacce non vanno sottovalutate. Fareste bene a lasciare la stazione».

   Juri e Vasa si scambiarono un’occhiata d’intesa. «Prima c’è una cosa che dobbiamo fare» disse l’archeologa. «È la nostra ultima occasione per distruggere quel dannato Cristallo».

 

   Tornato sulla Takiah, Modro fece rapporto all’Ammiraglio Vidkung, tacendo solo i fatti personali. Il superiore, un Efrosiano dai lunghi baffi spioventi, lo ascoltò senza interromperlo.

   «Questo è tutto. Sono desolato, signore» concluse Modro, fissando il pavimento dell’ufficio. «Speravo d’indurre la mia gente alla ragionevolezza. Di evitare lo spargimento di sangue. Ci ho davvero sperato fino all’ultimo».

   «Sono certo che ha fatto il possibile» disse l’Ammiraglio. «Ma i ribelli hanno la testa dura. Dopo tante sconfitte, non hanno ancora capito che combattono una guerra senza speranza. Beh, forse lo capiranno quando li avremo scacciati da Bajor. Mi segua, ora» disse, lasciando la scrivania. «Tra poco c’è una riunione con la Presidente e lei è invitato».

   L’Ammiraglio e il Comandante si recarono in sala tattica, dove attesero qualche minuto. All’ora fissata si attivò il collegamento subspaziale e i partecipanti apparvero in forma olografica. Rangda sedeva a capotavola. Era l’unica a trasmettere dalle retrovie, e precisamente dal suo palazzo presidenziale, dove si era trincerata allo scoppio della guerra. Da lì usciva molto di rado e solo con eccezionali misure di sicurezza. Alla sua destra c’era Thot Rong, leader militare Breen, che aveva contribuito all’operazione Tempesta di Pace con ben quattrocento navi: metà dell’intera forza. Come sempre il Breen indossava una tuta termica integrale, con tanto di casco che ne celava il volto. Tutti gli altri partecipanti – una ventina – erano Capitani dei Pacificatori. Si trattava dei Capitani delle astronavi più potenti, che avrebbero coordinato la flotta. Tra loro c’era Radek.

   «Dichiaro aperto il consiglio strategico» disse la Presidente, scrutando i partecipanti. «I Bajoriani hanno fatto la loro scelta e noi agiremo di conseguenza. Il vostro piano d’attacco è completo?».

   «Affermativo» disse l’Ammiraglio, ringalluzzito. «Con l’aiuto dei Breen, abbiamo una superiorità numerica schiacciante. Possiamo travolgere contemporaneamente la New Frontier e Bajor. Pensavo che i Breen possono occuparsi della nuova stazione, mentre noi prenderemo il pianeta e Deep Space Nine...».

   «Negativo» disse Thot Rong. Il traduttore universale rendeva comprensibile il suo linguaggio fatto di ronzii elettronici, ma il timbro restava gelido. «Vi abbiamo offerto la nostra collaborazione, ma non attaccheremo da soli quella stazione. Si tratta del più potente baluardo ribelle».

   «Dobbiamo colpire simultaneamente i due fronti, per impedire alla flotta nemica di serrarci contro la stazione» obiettò Vidkung.

   «Queste sono le mie condizioni» insisté il Breen. «Attaccheremo insieme la New Frontier, assicurandoci il controllo del Tunnel Spaziale. Poi muoveremo contro Bajor, eliminando Deep Space Nine e le piattaforme difensive. Scacciata la flotta nemica, assumeremo il controllo del pianeta e dei suoi satelliti. In seguito conquisteremo le colonie sugli altri pianeti, in ordine d’importanza. Una volta stabilizzato il sistema, potremo recarci nel Quadrante Gamma e sottomettere New Bajor. Se faremo così, vinceremo con perdite minime. Se invece la mia proposta non vi soddisfa, allora ritirerò le mie forze e procederete da soli».

   «La sua proposta è eccellente; l’accolgo in pieno» disse Rangda, temendo di perdere i suoi principali alleati.

   «Ma...» fece l’Ammiraglio.

   «Ho detto che l’accolgo in pieno» disse la Presidente, fulminandolo con lo sguardo. «Quando attaccherete la stazione, assicuratevi di proteggere le retrovie».

   «Se i Voth ci sostenessero come si deve, sarebbe tutto più semplice» commentò Radek. «Una decina di Navi Bastione basterebbe a trattenere i ribelli, mentre noi ci occupiamo della stazione. In fondo i Voth hanno una grossa responsabilità nel conflitto; sarebbe giusto che facessero la loro parte».

   Queste parole suscitarono approvazione tra i Pacificatori, ma Rangda s’irrigidì. «I Voth stanno facendo molto, ma questa è la nostra battaglia» disse. «Lei, piuttosto... aveva un solo compito, eliminare la Keter. Sono passati undici mesi e quella nave è ancora lì a sfidarci. Comincio a credere che l’attaccamento ai suoi ex colleghi comprometta la sua efficienza... se non la sua lealtà» insinuò.

   «La mia lealtà all’Unione è indiscutibile; per l’efficienza mi rimetto al giudizio del Comando» rispose il Rigeliano.

   «Può dimostrarci l’una e l’altra» disse la Zakdorn, squadrandolo con freddezza. «La Keter è tra i difensori di Bajor; mi aspetto che non se la faccia scappare».

   «Ricevuto» disse Radek, cupo in volto.

   La Presidente si rivolse di nuovo all’uditorio. «Quando attaccherete la New Frontier, cercate di non distruggerla. Dobbiamo riconquistarla, per farne il baluardo della nostra avanzata sul Fronte Occidentale».

   «Questo sarà difficile» avvertì l’Ammiraglio. «La stazione ha un equipaggio di 15.000 unità. Dovremo lottare sala per sala contro quest’esercito, che sarà avvantaggiato dal controllo dei sistemi di bordo».

   «Chi vi ha detto d’inviare le truppe?» fece Rangda. «Il modo migliore per conquistare la stazione senza danneggiarla è usare i cannoni al thalaron. Il Moloch ne ha uno, e anche la Takiah».

   Un silenzio di morte cadde sulla riunione. Tutti i Capitani conoscevano le terribili conseguenze delle radiazioni thalaroniche. I tessuti organici si disgregavano a livello cellulare: la morte avveniva in pochi secondi, tra sofferenze indicibili. Per questo l’Unione aveva bandito quella tecnologia. Tuttavia negli ultimi anni un ristrettissimo numero d’astronavi ne era stato munito, ufficialmente come misura estrema contro i microrganismi nocivi. L’idea era di usare le radiazioni thalaroniche per sterilizzare un luogo prima di colonizzarlo, o per purificarlo dopo aver evacuato i coloni.

   Visto che il silenzio si protraeva, fu Modro a prendere la parola. «Signora Presidente, l’uso bellico delle radiazioni thalaroniche è...».

   «Lecito, dopo l’ultima riforma» rispose disinvoltamente la Zakdorn. «La decisione finale spetta a me. E dopo attenta riflessione, ritengo che sia il modo migliore per limitare le perdite».

   «Moriranno quindicimila persone!» protestò il Bajoriano.

   «Quindicimila traditori» corresse Rangda. «Comandante Sisko, sa quante persone muoiono mediamente ogni giorno, a causa di questa guerra? Centomila. Se usare una volta o due i cannoni al thalaron accorcerà il conflitto anche di un solo giorno, ne varrà la pena».

   «Capisco, Presidente» disse Modro, fissando cupamente il tavolo. Come suo solito, si chiese cos’avrebbe fatto Benjamin Sisko. Probabilmente si sarebbe opposto, per una questione di principio. «E avrebbe sbagliato» realizzò il Comandante. La matematica non era un’opinione: un attento uso dei cannoni al thalaron poteva ridurre il numero totale di vittime. «Devo smetterla di pensare cosa farebbe l’Emissario» si disse Modro. «Mi fa solo stare peggio e non mi aiuta a risolvere i problemi».

   La riunione proseguì a lungo, con la Presidente che istruiva minuziosamente i Pacificatori, accogliendo solo i suggerimenti di Thot Rong. Radek provò a dire la sua in un paio d’occasioni, ma i suoi argomenti furono dismessi, così che alla fine il Rigeliano si rassegnò come gli altri.

   «Bene, resta un ultimo problema» disse Rangda. «Mi riferisco ai Cristalli di Bajor. Comandante Sisko, lei conosce l’argomento, quindi mi dica: è possibile che il nemico li abbia sfruttati per anticipare le nostre mosse?».

   «I Cristalli non rispondono a comando» spiegò l’interpellato. «Sono i canali attraverso cui i Profeti parlano al mio popolo. Se la domanda è illecita, restano silenti. Infatti i Cardassiani li ebbero in loro potere per decenni, durante l’Occupazione, eppure non ne trassero alcun avvertimento utile contro le disgrazie che li attendevano».

   «E da che parte sono, stavolta, gli alieni del Tunnel?» incalzò la Presidente.

   «I Profeti stanno sempre con la verità e la giustizia... anzi, sono la verità e la giustizia» proclamò il Bajoriano. «Dunque è impossibile che proteggano i ribelli».

   Nel suo cantuccio, Radek fu colto da un dubbio, ma non osò palesarlo. Se alla prova dei fatti i Profeti avessero in qualche modo favorito i ribelli, questo sarebbe stato problematico. «Vorrebbe dire che i Profeti non sono quei campioni di moralità che tutti credono. O peggio ancora... che non lo siamo noi» si disse il Rigeliano.

   Lo stesso pensiero attraversò la mente di Rangda. «Dobbiamo essere cauti» disse la Zakdorn. «Quali che siano le intenzioni dei loro artefici, quei Cristalli sono un’inesauribile fonte di potere. Non possiamo lasciare che sfuggano al nostro controllo. Ricordate: tutto ciò che non opera a nostro favore, opera contro di noi!» disse, passando lo sguardo sugli ufficiali. «Dunque l’acquisizione dei Cristalli è di vitale importanza. I ribelli cercheranno di portarli via: dovete impedirglielo ad ogni costo».

   «Non credo che il mio popolo rinuncerà ai Cristalli» disse Modro. «Semmai li nasconderanno. Ma le garantisco che i Cristalli dei Profeti non rappresentano alcuna minaccia. Quello del Maligno, invece, è un pericolo costante».

   «Potrebbero usarlo come arma contro di noi?» s’inquietò Rangda.

   «Credo che nessuno possa usarlo, salvo Kosst Amojan: e lui vuole la distruzione totale» rispose il Comandante.

   «Allora, quando attaccherete Deep Space Nine, la sua priorità sarà acquisire il Cristallo. Voglio che se ne occupi personalmente. Lo prenda, così potremo... tenerlo al sicuro» ordinò la Presidente. Stava già pensando al modo di sfruttarlo, ma pensò che non fosse saggio parlare in questi termini al Bajoriano. Per lui i Cristalli dei Profeti erano doni divini, mentre quello dei Pah-wraith era uno strumento demoniaco. Per lei, invece, i Cristalli erano tutti uguali: insidiosi strumenti che dovevano essere tolti ai nemici, e se possibile rivolti contro di loro.

   «Lo farò, signora Presidente» s’impegnò Modro.

   «Ci conto» disse Rangda, lanciandogli un’occhiata penetrante. «Recuperi i Cristalli e non vivrà più all’ombra del suo antenato. Sarà il liberatore di Bajor e un eroe dell’Unione Galattica».

   Il Comandante annuì, attratto da quella prospettiva. Per tutta la vita aveva cercato d’emanciparsi dalla fama del suo antenato. Non voleva più essere solo “l’erede dell’Emissario”. Voleva che quando la gente nominava Sisko, parlasse di lui. Questa era l’occasione buona per riuscirci.

   «Ma vorrà dire perdere Vasa». Quel pensiero gli trafisse il cuore. Vasa era il suo grande amore: per salvarla avrebbe dato la vita. Ma non poteva tradire i Pacificatori e tutta l’Unione: questo sarebbe stato egoismo. Il Bajoriano chiuse gli occhi, supplicando i Profeti di non costringerlo a scegliere tra i due doveri più importanti della sua vita.

   «Questo è tutto» disse Rangda. «Ci aggiorneremo dopo che avrete preso la New Frontier. Ricordate: la liberazione di Bajor sarà un enorme progresso verso la fine del conflitto. Quali che siano i sacrifici da compiere, non dovete fallire». L’ologramma della Presidente svanì, seguito da quello di Thot Rong. Anche i Capitani dei Pacificatori abbandonarono la riunione.

   «Tutto a posto, Comandante?» chiese l’Ammiraglio, notando l’aria abbattuta di Modro.

   «Sì, signore. È solo che... il prezzo di questa guerra diventa sempre più alto» lamentò il Bajoriano. «Ma farò il mio dovere, costi quel che costi».

 

   Nel centro di comando di Deep Space Nine la tensione si tagliava con il coltello. Tutti gli ufficiali erano ai loro posti, pronti a fronteggiare gli imprevisti. Il Colonnello Shakaar aveva gli occhi fissi allo schermo, che mostrava la camera blindata del Cristallo.

   «L’evacuazione del livello 17 è completata, signore» riferì un ufficiale. «Campi di forza attivi».

   «Gli emettitori di cronotoni?» chiese Shakaar.

   «Sono pronti».

   «Allora procediamo» ordinò il Colonnello. Dopo sei anni passati a custodire il Cristallo di Fuoco, forse era la volta buona in cui riuscivano a sbarazzarsene. Ma bisognava adottare tutte le precauzioni necessarie, nel caso in cui l’operazione fosse andata male.

   La porta del caveau si aprì, lasciando entrare un carrello a levitazione pilotato in remoto. Su di esso poggiava una teca campaniforme, dal cui oculo promanava luce azzurra. Il carrello si fermò a tre metri di distanza dal Cristallo di Fuoco, appena oltre il campo di forza che lo racchiudeva. Intanto il portone blindato si era richiuso. «Carrello in posizione» disse Vasa, che lo guidava a distanza.

   «Aprire le teche» ordinò Shakaar.

   Due braccia metalliche snodate uscirono dal carrello e aprirono il reliquiario. Il Cristallo dell’Emissario splendette di luce azzurra. C’erano volute forti pressioni per convincere il governo bajoriano a inviarlo su Deep Space Nine. Solo l’intervento di Kai Nashir lo aveva reso possibile. Dal centro di comando, Juri lo osservò assorto. Era tipico dei Bajoriani mischiare scienza e fede. Si trovavano nel bel mezzo di un esperimento scientifico, finalizzato a distruggere il Cristallo di Fuoco con radiazioni cronotoniche. Ma per sicurezza avevano portato lì anche quello dell’Emissario. Le tavole di B’hala sembravano indicare che avesse un ruolo nel fermare la “tempesta di fuoco”, e in effetti i Profeti avevano detto che solo col loro aiuto Kosst Amojan poteva essere sconfitto. Peccato che non avessero specificato le modalità del loro intervento. In mancanza di precise istruzioni, non restava che accostare i due Cristalli e sperare per il meglio.

   «E ora l’altra» disse Vasa, digitando le istruzioni sulla consolle.

   Due braccia snodate, analoghe a quelle del carrello, uscirono dal basamento su cui poggiava la teca del Cristallo di Fuoco e la spalancarono. Per la prima volta da anni, Juri osservò l’ottaedro scarlatto, che galleggiava nel suo contenitore. Lì si annidava l’entità che aveva ucciso Vedek Daaro, e aveva quasi ucciso Vasa. Nel vederlo sullo schermo, l’archeologa restò impietrita.

   «Tutto bene?» le sussurrò l’Umano, che le stava dietro.

   «Certo» si riscosse la Bajoriana. «Attivare l’impulso cronotonico. Regolazione 8,66 millisecondi».

   Il generatore di cronotoni sul soffitto del caveau si attivò con un ronzio, splendendo di bianco. Le particelle inondarono lo spazio entro il campo di forza, colpendo il Cristallo di Fuoco. La reazione non si fece attendere. La luce dell’artefatto si offuscò, più in certi punti che in altri. Al tempo stesso si udì un fischio, sempre più intenso e sgradevole, tanto che molti nel centro di comando si turarono le orecchie. Shakaar segnalò ai tecnici di togliere l’audio dal collegamento, così che l’equipaggio non fosse distratto.

   «L’artefatto reagisce» disse Vasa, controllando le letture che cambiavano di momento in momento. «Aumento il flusso del 30% e porto la varianza a 9,66 millisecondi».

   Juri vide che il Cristallo continuava a oscurarsi, come se perdesse energia. Stavano avendo successo? Era presto per dirlo. Si chiese cosa provasse l’entità annidata al suo interno. Di certo si era accorta dell’attacco: ma come avrebbe reagito?

   «Il Cristallo dell’Emissario resta inerte» notò Shakaar. «Mi aspettavo che facesse... qualcosa».

   «Tipo sparare un raggio d’energia?» chiese Juri.

   «Me lo dica lei! Stando al suo rapporto, i Profeti avevano promesso d’aiutarci» disse il Colonnello, lanciandogli un’occhiataccia. Anche se non lo disse esplicitamente, Juri intuì che dubitava della sua testimonianza.

   «Forse stiamo sbagliando qualcosa» rimuginò lo storico. «Credo che dovremmo interrompere l’esperimento».

   «No, è l’ultima occasione!» s’intestardì Vasa. «I sensori indicano che il Cristallo di Fuoco si sta indebolendo. Le sue emissioni non erano così basse da anni. Dobbiamo continuare».

   Tutti guardarono il Colonnello, che a sua volta osservò l’artefatto sullo schermo. «Procedete» decise Shakaar.

   «Le emissioni dell’artefatto oscillano... credo che ci siamo!» si emozionò Vasa. «Aumento il flusso di un altro 20%».

   Di colpo il Cristallo splendette di luce intensissima. Il collegamento video si riempì d’interferenze, finché lo schermo si spense. Su molte consolle squillarono gli allarmi.

   «Che succede?» si allarmò Shakaar.

   «C’è un feed-back energetico al reattore primario» disse l’Ingegnere Capo, scorrendo i dati. «È come se l’energia ci venisse ributtata indietro. Sovraccarico in corso!».

   In un attimo esplose il caos. Nel centro di comando, come nella sala del reattore, i tecnici cercarono di smaltire l’eccesso d’energia, prima che il nucleo si rompesse. Vasa si guardò attorno scioccata, le mani ancora sui controlli.

   «Gli scudi!» gridò Shakaar. Il Colonnello si precipitò alla postazione tattica e attivò gli scudi della stazione, facendo sì che prendessero energia dal reattore primario. Erano milioni di gigajoules. Gradualmente le vibrazioni cessarono e gli indicatori di potenza tornarono nei limiti di sicurezza. «Salvi» disse Shakaar, passandosi una mano sulla fronte. «Questo è l’ultimo tentativo che...».

   Non aveva finito di parlare che le fiamme eruppero davanti a lui. Nessuna consolle era esplosa: le lingue di fuoco salivano direttamente dal pavimento metallico. Il Bajoriano arretrò, ma si trovò con le spalle al muro.

   «Incendi spontanei» riconobbe Vasa. «Sono opera del Maligno. Ce n’erano già stati, ma mai così».

   «Non avete un impianto antincendio?» chiese Juri, indietreggiando per il calore intenso.

   Vasa scosse la testa. «La stazione è cardassiana, servono gli estintori» spiegò. Corse verso un armadietto incassato nella paratia, ma il fuoco apparve anche lì davanti. La Bajoriana strillò, sentendo il calore, e indietreggiò precipitosamente.

   Vedendo le fiamme che la sfioravano, Juri ricordò l’incubo che aveva avuto nella sua prima notte di permanenza. «Via, via!» gridò, prendendola per mano. Fecero per uscire, ma un muro di fuoco apparve davanti alla porta. Erano in trappola. Attorno a loro le fiamme dilagavano nel centro di comando, attecchendo sul pavimento e sulle consolle, come se fossero fatti di legno anziché di metalli. Il fumo cominciava a saturare l’atmosfera, facendo tossire i presenti. Gli ufficiali corsero verso l’ufficio di Shakaar, non ancora invaso dalle fiamme. Il Colonnello però non poteva seguirli, essendo bloccato in un angolo. Le fiamme stavano per raggiungerlo.

   «Dottoressa Agni, dottor Smirnov!» gridò Shakaar, rattrappendosi contro la paratia. «Portate il Cristallo dell’Emissario a New Bajor, così che non cada in mano al nemico!».

   «Resista, la tiro fuori!» disse Juri, correndo verso la piattaforma del teletrasporto. Stava armeggiando con i comandi quando sentì un grido agonizzante. Si girò facendosi scudo con le braccia e vide una scena orribile.

   Le lingue di fuoco avevano raggiunto Shakaar, e sebbene la sua uniforme fosse ignifuga gli si appiccicarono addosso. In pochi attimi salirono fino ai capelli, facendoli avvampare. Il Colonnello cadde al suolo, contorcendosi nell’agonia: i suoi lamenti si persero nel crepitio delle fiamme.

   In preda all’orrore, Juri distolse lo sguardo. Vide che le fiamme si erano estese anche davanti alla porta dell’ufficio. Quelli che vi erano entrati potevano fuggire tramite un condotto di manutenzione, analogo ai tubi di Jefferies federali. Ma chi si trovava ancora nel centro di comando era in trappola. L’Ufficiale Tattico, che si era attardato nel tentativo di salvare il Colonnello, fu raggiunto da una fiammata e arse come torcia. Lo stesso accadde a uno dei tecnici. L’Umano si avvide che lui e Vasa erano rimasti soli.

   «Il Maligno ci ha presi!» si disperò l’archeologa. Era paralizzata dal terrore del fuoco, retaggio del trauma di sei anni prima.

   «Non ancora! Sali sulla pedana!» disse Juri, urlando per farsi sentire sopra il ruggito dell’incendio. Programmò il teletrasporto perché si attivasse dopo qualche secondo; ma con tutti i fenomeni paranormali che avevano colpito la stazione era impossibile dire se avrebbe funzionato.

   Vincendo la momentanea paralisi, Vasa si rifugiò sulla pedana. Si rattrappì più che poteva contro la paratia di fondo, proteggendosi il viso con le braccia. Anche se le fiamme erano ad alcuni metri da lei, il calore era già scottante.

   Inserite le istruzioni, Juri balzò a sua volta sulla pedana. Abbracciò la Bajoriana e si frappose tra lei e il fuoco, rivolgendo la schiena alle fiamme. Sapeva che questo non l’avrebbe protetta più di qualche attimo, se il fuoco li avesse raggiunti. «Ti amo, lo sai?» confessò, sentendo crescere il calore alle sue spalle. Vasa non rispose a parole, ma annuì. I suoi occhi erano bagnati di lacrime.

   In quella i due federali udirono un ronzio familiare. L’ardore delle fiamme svanì, mentre si dissolvevano nel bagliore dorato del teletrasporto.

 

   «Sono desolato per la tragedia, ma l’accordo era che avreste restituito il Cristallo dell’Emissario al termine dell’esperimento» disse Parva. Il Primo Ministro era su Bajor, in quel momento: Vasa parlava con lui da una sala ausiliaria, poiché il centro di comando era ancora inagibile, dopo l’incendio.

   «L’ultimo ordine del Colonnello Shakaar è stato di portarlo a New Bajor» ribadì l’archeologa, che aveva ancora il volto fuligginoso. «Ora che il Dominio ci ha offerto asilo, è il luogo più sicuro. Ma dobbiamo sbrigarci. Il nemico attaccherà da un momento all’altro e la prima cosa che farà sarà presidiare il Tunnel. La prego... non lasci che il Cristallo dell’Emissario cada in mano ai Pacificatori. Anche se non possono sfruttarne i poteri, lo useranno per fare propaganda e per ricattarci».

   Il Primo Ministro rifletté per qualche attimo. «E va bene» cedette. «Lo porti a New Bajor, consegnandolo direttamente al governatore. Chieda alla Flotta di darle una navetta occultata, così passerà inosservata».

   «Grazie, signor Ministro» fece Vasa, sollevata. «Ma gli altri Cristalli...».

   «Se la battaglia andrà male, siamo pronti a portarli via. Ognuno andrà in un pianeta diverso, nella speranza che il nemico non riesca a trovarli tutti» spiegò il capo di Stato.

   Vasa comprese che, in caso di sconfitta, Parva e gli altri politici avrebbero abbandonato Bajor. La cosa non la stupì; si augurò che almeno nascondessero bene i Cristalli. «State particolarmente attenti a quello di Fuoco» raccomandò. «Non può essere custodito su un pianeta abitato».

   Il Primo Ministro annuì. «Vada, dottoressa Agni. E resti su New Bajor; sarà più al sicuro che qui» consigliò.

 

   Ora che aveva strappato il permesso, l’archeologa non perse tempo. Per prima cosa chiamò l’Ammiraglio Tarn, informandola delle novità e ottenendo una navetta munita di occultamento. Poi prese il Cristallo dell’Emissario, richiudendolo nella sua teca, e in testa a un manipolo di guardie lo portò nell’hangar dove li attendeva la navicella. Il Cristallo di Fuoco rimase invece nella camera blindata. L’incendio nel centro di comando e la morte di Shakaar avevano creato il panico tra l’equipaggio; Vasa sentì alcuni mormorare che i Profeti li avevano abbandonati. Lei stessa era prossima alla disperazione, anche se cercava di non darlo a vedere.

   Giunti nell’hangar, i Bajoriani caricarono il Cristallo sulla navetta di classe Gryphon. I piloti andarono in cabina, mentre le guardie restarono nel compartimento posteriore, a sorvegliare la reliquia. Vasa ridiscese per salutare i colleghi con cui aveva lavorato in quegli anni: la maggior parte di loro tornava a Bajor o lasciava il sistema con gli ultimi trasporti. L’archeologa stava per risalire, quando vide Juri presso la porta dell’hangar. L’Umano le si avvicinò, mentre i colleghi lasciavano il salone.

   «Così te ne vai, eh? La tua chiamata dev’essersi persa per strada» disse lo storico.

   «Pensavo che sarebbe stato più facile...» si giustificò Vasa, facendo il gesto di risalire.

   «Porti il Cristallo su New Bajor, come voleva Shakaar?».

   La Bajoriana annuì.

   «Dunque questo è un addio».

   «Io... temo di sì. Cioè, spero di rivederti, prima o poi, ma...».

   «Già, più ti allontani da qui e meglio è» si rassegnò l’Umano. «Riguardati, Vasa. Se non dovessimo rivederci, ti auguro ogni bene». Si voltò e fece per andarsene.

   «Juri, aspetta!» lo rincorse Vasa. Quando gli fu appresso, l’Umano si voltò. «Ti amo anch’io» disse la Bajoriana, gettandogli le braccia al collo. Si baciarono per la prima volta dai tempi dell’Università. Per un solo, magico istante, sembrò che nulla fosse cambiato da allora.

   Poi l’istante passò.

   Juri si liberò dall’abbraccio e lasciò in fretta l’hangar. Non voleva rendere la separazione più dolorosa di quanto già non fosse. La Bajoriana lo guardò allontanarsi, finché il portone si richiuse. Allora salì sulla navetta, incespicando, perché le lacrime le annebbiavano la vista. La Gryphon si occultò e lasciò Deep Space Nine, diretta al Tunnel Spaziale.

 

   A poche Unità Astronomiche da lì, la Keter attendeva con il resto della flotta federale nei pressi della New Frontier. Il Capitano Hod era stata informata del tentativo di distruggere il Cristallo di Fuoco, ma il tempo passava e non giungevano notizie. «Pessimo segno... vuol dire che qualcosa è andato storto» si disse. Si astenne però dal chiamare la stazione, non volendo che il nemico intercettasse la comunicazione.

   «Capitano, la flotta nemica si muove» avvertì Zafreen.

   «Ci siamo» si disse l’Elaysiana. La grande battaglia era cominciata. «Allarme Rosso. Vrel, restiamo in formazione. Terry, apra il fuoco appena il nemico sarà a distanza di tiro. Zafreen, si prepari a filtrare le interferenze, se il nemico disturbasse le nostre comunicazioni».

   «Non abbiamo avuto notizie di Juri» notò Vrel.

   «Non è il momento di cercarle. Abbiamo altro a cui pensare» disse Hod. «Comunque non credo che rischi più di noi» pensò, vedendo la flotta nemica che si avvicinava. Le astronavi dei Pacificatori erano come le loro, quanto a tecnologia, ma erano in condizioni migliori. E con le navi bajoriane e cardassiane schierate presso il pianeta, li superavano in proporzione di quattro a uno. Poi c’erano i vascelli Breen, altrettanto numerosi. Con una tale sproporzione di forze, non c’era strategia valida. Ma al Capitano non importava vincere la battaglia; l’unico vascello che le interessava era il Moloch.

   Osservando lo schieramento nemico, Hod notò che Radek si era piazzato proprio davanti a loro. Così erano certi di non perdersi nella battaglia. L’Elaysiana osservò il Moloch, mentre il Rigeliano, sulla sua nave, scrutava la Keter. Era il loro modo di fissarsi negli occhi. Nessuno dei due chiamò l’altro; presto sarebbero state le armi a parlare. Entrambi, però, misero la mano in tasca, toccando la metà di una piastrina. Era un pendente con la dedica “Sono stato e sarò sempre tuo amico”, che Radek aveva donato a Hod, prima che il conflitto li dividesse. L’Elaysiana lo aveva spaccato in due in un raptus ma poi, al momento della separazione, ne aveva restituita una metà al Rigeliano, con l’augurio che un giorno potessero ricomporlo. Ormai nessuno dei due pensava che ciò potesse verificarsi, eppure continuavano a portare la loro metà.

   «Radek...».

   «Bina...».

 

   
 
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