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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 4: Sangue freddo

 

   Il trasporto militare Nergal dell’Unione perdeva sangue. O almeno questa era l’impressione che dava. Entrambe le gondole quantiche erano state colpite e il plasma rosso ne sgorgava, disperdendosi nello spazio. Impossibilitata a entrare in cavitazione, l’astronave di classe Mjöllnir manovrò con i motori a impulso, cercando di schivare i colpi. Girò sul proprio asse per rivolgere il dorso al nemico, ora che gli scudi ventrali erano prossimi a cedere, e al tempo stesso inviò una richiesta di soccorso.

   «Trasporto militare Nergal a qualunque nave in ascolto, chiediamo assistenza» disse il Capitano, un grosso Tellarita, mentre la plancia tremava e i danni aumentavano. «Ci troviamo nel Settore Ceti Alfa, in missione per rifornire gli avamposti. Siamo stati attirati nella Nebulosa Mutara con un falso segnale di soccorso e qui i corsari ci hanno attaccati. Abbiamo perso la cavitazione e gli scudi stanno per cedere. A tutte le navi dell’Unione, ci serve soccorso immediato!».

   «È inutile, signore» disse l’addetto alle comunicazioni, tirato in volto. «Il nemico disturba il segnale e anche la nebulosa lo attenua».

   L’esplosione di una consolle gettò a terra un altro ufficiale, che prese a strillare, sfiorandosi il volto ustionato. La nave si scosse e l’illuminazione sfarfallò.

   «Abbiamo perso gli scudi ventrali; quelli dorsali sono al 30%» avvertì l’Ufficiale Tattico.

   «Manovre evasive, cerchi di rivolgere il dorso al nemico» ordinò il Capitano.

   «Impossibile, sono troppi e ci attaccano da tutte le parti» rispose l’ufficiale.

   Il Capitano rivolse un’occhiata allo schermo, dove gli incursori di classe Dal’Rok zigzagavano, evitando la maggior parte dei colpi. Le navi di quel tipo erano le più usate da pirati e corsari, per la combinazione di maneggevolezza e potenza di fuoco. Tuttavia le loro dimensioni ridotte limitavano la potenza degli scudi. «Concentrate il fuoco sull’incursore più indebolito» ordinò il Tellarita.

   I raggi anti-polaronici solcarono lo spazio, colpendo più volte un incursore, finché un’esplosione ne segnò lo scafo. La navicella sbandò e finì alla deriva, lasciandosi dietro una scia di plasma. Il vecchio regolamento della Flotta Stellare prevedeva di lasciar perdere i vascelli nemici disabilitati e concentrarsi su quelli ancora pericolosi. Ma le nuove regole dei Pacificatori davano molta più libertà d’azione ai Capitani. «Finitelo» ordinò il Tellarita, sperando che ciò inducesse gli altri corsari a ritirarsi.

   I siluri quantici sfrecciarono contro l’incursore, ormai senza scudi. La navicella corsara era condannata. Ma all’ultimo momento un’altra astronave, assai più grande, uscì dall’occultamento e intercettò i colpi. I siluri impattarono sugli scudi, senza penetrarli. L’attimo dopo il nuovo vascello aprì il fuoco contro la Nergal. I Pacificatori lo fissarono con orrore. Quella nave era tristemente nota in tutta l’Unione per le sue imprese efferate.

   «Capitano, è la Stella! La Stella del Polo!» disse l’addetto ai sensori, con voce strozzata.

   «Ho gli occhi anch’io» borbottò il Tellarita. L’incursore danneggiato riattivò uno dei motori a impulso e si mise in salvo, mentre la nave orioniana picchiava duro i Pacificatori.

   «Quindi c’è... lui?!» fece l’addetto, ormai in preda al panico. Non aveva neanche bisogno di nominarlo, affinché gli altri capissero. La Stella del Polo aveva un solo Capitano, il famigerato Spettro. Nemico giurato dei Breen da dieci anni, allo scoppio della Guerra Civile si era alleato con i ribelli, trasformandosi in corsaro.

   «C’è di peggio» mugugnò il Capitano, osservando la nave verdastra che li colpiva implacabile. «C’è... lei».

 

   Come tutte le navi della sua classe, la Nergal aveva stive enormi, localizzate nella sezione anteriore a testa di martello. Ora quelle stive erano quasi piene; centinaia di container, di varie dimensioni, erano affiancati e talvolta impilati uno sull’altro. Contenevano armi, generatori di schermi, sensori militari, razioni d’emergenza e tutto ciò che poteva servire ai Pacificatori impegnati al fronte. Ma sebbene i modelli fossero federali, non erano state le fabbriche dell’Unione a sfornarli. Tutti quei rifornimenti erano stati replicati dai Voth, che poi li avevano consegnati ai Pacificatori affinché li smistassero. In tal modo i sauri supportavano lo sforzo bellico, senza esporsi in prima persona.

   Data l’importanza del carico, la stiva era costantemente sorvegliata da Pacificatori armati. Ma il nervosismo serpeggiava tra loro, man mano che il computer li informava dei danni subiti dalla nave. Uno schermo parietale si spense, alcuni container caddero per gli scossoni. Infine, dopo un sussulto particolarmente violento, le luci si spensero, lasciando il salone in penombra. Solo qua e là c’era qualche faretto d’emergenza ancora attivo.

   «Capitano a equipaggio, attenzione! I nostri scudi ventrali sono abbassati e siamo alla deriva. Evacuare la nave, ripeto, evacuare la nave!».

   I Pacificatori si scambiarono occhiate incredule. Pur sapendo che la situazione era grave, non si aspettavano di arrivare a quel punto.

   «Avete sentito? Svelti!» li esortò il caposquadra.

   «Ma il carico...» obiettò una giovanissima recluta.

   «Il carico è perduto» tagliò corto il graduato. «I corsari lo imbarcheranno, ma avranno una sorpresa» disse, recandosi a un armadietto. Passò il pollice sul lettore di DNA per aprirlo. Dentro c’erano delle micro-cariche esplosive, pronte all’uso. «Svelti, piazzatele. Regolate i timer a venti minuti da ora» ordinò il caposquadra.

   I Pacificatori cominciarono a disporre le micro-cariche sui container, alternandole in modo che anche quelli senza esplosivo fossero travolti dalla detonazione di quelli adiacenti.

   «Che peccato, però!» si lamentò la recluta, che mal sopportava di dover distruggere tutti quei rifornimenti. Non si avvide che qualcosa si muoveva alle sue spalle, nell’ombra.

   «Sempre meglio che lasciare tutto ai corsari» disse un collega che stava poco più avanti. Si aspettava una risposta, ma non l’ebbe. Allora si voltò. «Ehi, Guardiamarina, ci sei?» chiese, spazzando la zona col faretto del suo fucile phaser. Vide solo i suoi piedi. Il resto del corpo, steso a terra, era seminascosto da un container.

   «Allarme, agente a terra!» gridò il Pacificatore, alzando il fucile in cerca di un bersaglio. I colleghi interruppero all’istante il lavoro e si prepararono allo scontro.

   «Ci hanno abbordati?».

   «È probabile, gli scudi ventrali hanno ceduto».

   «Ma quanti sono?!».

   «Non so, sul mio scanner non vedo niente».

   «Nemmeno io».

   «L’agente Glive è a terra, quindi qualcuno dev’esserci».

   «Sì, ma dove?!».

   «Sangue freddo, ragazzi» disse il caposquadra. «Non facciamoci prendere dal pa...».

   Una creatura umanoide emerse dal container più vicino e si avventò sui Pacificatori. Indossava una tuta bianca, di lega polimerica flessibile, le cui linee ne accentuavano la magrezza. Il casco era metallico, con una sottile visiera azzurra e una griglia fonica tonda.

   «FUOCO!» gridò il caposquadra, perdendo all’istante la millantata freddezza. Sparò all’impazzata e così fecero gli altri. Ma i raggi polaronici attraversarono la creatura senza nuocerle. Colpirono il container retrostante, lasciando chiazze nere e incandescenti sulla superficie metallica.

   «Meno spari, o questa santabarbara salterà in aria!» avvertì la nuova arrivata. Aveva una voce roca, da strega, ma innegabilmente femminile.

   Realizzato il pericolo, i Pacificatori smisero di sparare. «Frell, è la Banshee!» imprecò uno di loro. Quella creatura dall’aria cadaverica era apparsa dal nulla un anno prima, ma era già diventata ancor più temuta dello Spettro. Più che dalle capacità, simili a quelle del collega, l’aura di terrore veniva dal fatto che nessuno conoscesse la sua identità. Era ormai risaputo che dietro alla maschera dello Spettro si celava Jack Wolff, un disertore della Flotta Stellare con un conto aperto coi Breen. La tuta a Occultamento Sfasato era opera sua. Ma nessuno sapeva chi si celasse dietro la sua misteriosa compagna. Dopo il suo debutto a Elba II, all’inizio della Guerra Civile, si era distinta in missioni di furto, sabotaggio e liberazione di prigionieri. In genere cercava di stordire gli avversari, ma all’occorrenza era capace di uccidere, specialmente se il segreto della sua identità era a rischio.

   Inafferrabile come la creatura leggendaria di cui portava il nome, la Banshee sgusciò tra i Pacificatori. Ne colpì uno con la mano, attraversandogli il petto. L’agente cadde a terra, in preda alle convulsioni. La fuorilegge poteva passare attraverso la materia ordinaria, ma poteva anche regolare lo sfasamento in modo da provocare uno shock neurale alle sue vittime. L’attimo dopo scomparve in un container. Gli agenti ancora in piedi udirono la sua risata maniacale che proveniva dalle tenebre. D’un tratto s’interruppe; per qualche secondo vi fu silenzio. Quando la sentirono nuovamente era alle loro spalle. Si girarono all’istante, illuminando quella zona con i faretti, ma non videro nulla. E anche se l’avessero vista... cosa potevano le loro armi, contro l’Occultamento Sfasato?

   «Che facciamo, signore?» chiese un agente.

   «Manteniamo la posizione e aspettiamo che si renda tangibile. Dovrà farlo, se vuole portar via questa roba» rispose il caposquadra. Ma in quella i container cominciarono a svanire. I corsari avevano abbattuto del tutto gli scudi dell’astronave e ora la razziavano. Ma allora perché avevano inviato la Banshee? Solo per diffondere il terrore?

   «Ma guardali, i famosi Pacificatori! Sembrate cuccioli spauriti!» ridacchiò la Banshee. Stavolta la sua voce proveniva dall’alto. Gli agenti alzarono i fucili in quella direzione e la videro, là dove i fasci di luce s’incontravano. Era appollaiata in cima a un’alta pila di container, in una posa accucciata, come in procinto di saltar giù. «Andate a piangere dai Voth!» li derise.

   Il caposquadra prese la mira e sparò, colpendola esattamente al centro del casco. Ma anche stavolta il raggio azzurro l’attraversò senza fare danno, estinguendosi contro il soffitto. La Banshee spiccò il balzo e atterrò tra i Pacificatori, che si scostarono terrorizzati. Prima che si riavessero, strillò.

   Fu un grido disumano, lacerante, che feriva le orecchie, sconvolgeva il cervello e faceva palpitare il cuore. La fuorilegge girò su se stessa, mentre strillava, così che quasi tutti gli avversari furono investiti dalle onde sonore. Si accasciarono al suolo, storditi dall’arma sonica che costituiva il grido della Banshee. I pochi che non furono presi in pieno restarono temporaneamente assordati.

   «È tangibile!» gridò il caposquadra, anche se i suoi non potevano più sentirlo. Solo rendendosi tangibile, infatti, la fuorilegge poteva usare la sua arma sonica. Pur non udendo il superiore, uno degli agenti pensò la stessa cosa. I due Pacificatori, ancora rintronati, le spararono mentre passava tra loro. E si colpirono a vicenda, perché in quell’attimo l’avversaria era tornata incorporea. Ci furono due lampi, accompagnati da un suono sfrigolante, e i Pacificatori caddero a terra morti. Nella speranza di abbattere la Banshee avevano regolato le loro armi su uccisione.

   «Sigh... non capite mai quand’è ora di ritirarvi» commentò la corsara. Potendo scegliere, non uccideva gli avversari di proposito; ma in quei momenti concitati era facile che ci scappasse il morto.

   «Maledetta! Muori!» gridò l’ultimo Pacificatore ancora in piedi, sparandole a tutto spiano. Anche stavolta i colpi l’attraversarono, estinguendosi contro la parete retrostante. Vedendo che la Banshee gli veniva contro, l’agente terrorizzato scagliò una granata stordente, senza ottenere miglior risultato. Fu anzi lui a restare stordito dal lampo, tanto che il fucile phaser gli cadde di mano.

   «Caspita, l’Accademia vi sforna sempre più svegli» ghignò la Banshee, avvicinandosi con fare minaccioso. «Ormai non mi servite nemmeno come allenamento».

   «No, no... stammi lontana!» si disperò l’agente, arretrando. Ma si accorse con orrore d’essere finito in un vicolo cieco, formato dai container ammassati. Erano così grossi che non poteva nemmeno arrampicarcisi sopra.

   «Calmo... farò in un attimo, e non sarà più doloroso del necessario» infierì la Banshee, accingendosi a stordirlo.

   «Non mi toccare!» strillò il Pacificatore, estraendo il phaser manuale. Le sparò in faccia, sempre senza esito. «No... maledetta!» singhiozzò, rivolgendo il phaser verso di sé.

   «Ehi, calmati e posa quel...» disse la fuorilegge, ma non finì la frase. Ci fu un ultimo lampo e l’agente cadde a terra. Si era sparato alla tempia: la morte era stata istantanea.

   «Idiota!» sibilò la Banshee. La sua intenzione era stordirlo, non certo ucciderlo. Ma quando l’adrenalina scorre a fiumi e un’arma sonica ti ha mezzo intontito, è facile equivocare i gesti. Non era la prima volta che i suoi avversari restavano vittime delle proprie emozioni, e non sarebbe stata l’ultima. Ma lei era una professionista, e aveva un lavoro da ultimare.

   Lasciandosi alle spalle i Pacificatori storditi e quelli morti, la fuorilegge si recò a una consolle, mentre i container svanivano attorno a lei, teletrasportati sulla Stella del Polo. Trovò i registri di carico, con segnate le tappe che l’astronave aveva fatto fino a quel momento e ciò che aveva scaricato in ogni occasione. Prese a scorrere l’elenco, anche se non lo stava memorizzando. Si limitava a guardarlo, lasciando che la telecamera del casco registrasse tutto. Una volta tornata al sicuro sulla Stella avrebbe rivisto con calma la registrazione.

   Mentre era intenta a questo, la Banshee non si avvide che c’era ancora un Pacificatore in piedi. Durante l’attacco era lontano dagli altri e si era nascosto tutto il tempo, in attesa del momento propizio per colpire. Ora quel momento era arrivato. La corsara era china sulla consolle, concentrata nel maneggiare i comandi. E poiché le sue dita toccavano i tasti, ciò significava che si era resa tangibile... e vulnerabile. L’agente regolò il phaser su uccisione e prese accuratamente la mira. Era lieto che toccasse proprio a lui eliminare la fuorilegge, entrando negli annali dei Pacificatori.

   «Attento, ragazzo» disse una figura più grossa e scura della Banshee, comparendogli a fianco. «Dove c’è un fantasma, spesso ce n’è un altro». Lo Spettro, quello originale, era lì, con la corazza nera e la visiera cremisi. Gli afferrò il phaser e glielo rivolse contro.

   L’agente cercò disperatamente di liberarsi, ma l’armatura dello Spettro moltiplicava le sue forze, trasformando la sua stretta in una morsa d’acciaio. Il phaser si piegò inesorabilmente contro il suo proprietario. Lo Spettro ebbe la clemenza di riportare il settaggio su stordimento, prima di premere il grilletto. Il colpo così ravvicinato fu però doloroso. Al risveglio, il Pacificatore si sarebbe trovato con una lieve ustione sul petto, oltre che con la bruciante consapevolezza di non essere entrato negli annali.

   Udendo il sibilo dell’arma, la Banshee si voltò di scatto, solo per constatare che non c’era più pericolo.

   «Devi stare più attenta; questo ti era sfuggito» ammonì lo Spettro, accostandosi alla compagna.

   «Sapevo che c’eri tu a guardarmi le spalle» rispose lei, tornando a scorrere il registro di carico. «Comunque, grazie. Sei il mio angelo custode».

   «Lo aggiungerò alla lista dei miei nomignoli» ghignò lo Spettro.

   Ancora qualche attimo e la Banshee terminò di visionare il carico. Alzò gli occhi dalla consolle e vide che la stiva si era in gran parte svuotata. Gli ultimi container venivano teletrasportati sulla nave corsara, mentre a terra c’erano le micro-cariche che i Pacificatori avevano cominciato a piazzare: lo Spettro le aveva staccate prima che fossero teletrasportate. Mancavano tre minuti all’esplosione.

   «Spettro a Stella, riportateci indietro» ordinò il corsaro. «Prendete anche i Pacificatori che si trovano in questa stiva, o faranno una brutta fine».

   Il teletrasporto prelevò tutti i presenti. Lo Spettro e la Banshee apparvero sulla pedana di plancia della Stella, ricavata in una nicchia della parete. I Pacificatori, invece, furono trasferiti in cella.

   «Rapporto» ordinò il corsaro, dirigendosi a grandi passi alla poltrona di comando.

   «I topi hanno abbandonato la nave» rispose Graush, il suo braccio destro, mentre gli lasciava il posto. Il Letheano accennò allo schermo, dove le ultime navette e capsule dei Pacificatori lasciavano l’astronave alla deriva. Di lì a poco le micro-cariche lasciate nella stiva esplosero, provocando una grossa falla nello scafo.

   «Sicuro di aver bonificato il carico, eh capo?» si preoccupò Graush.

   «Se così non fosse, ce ne saremmo già accorti» ribatté lo Spettro, accomodandosi in poltrona.

   Ancora qualche secondo e la Nergal esplose in un lampo abbagliante. Era prassi dei Pacificatori distruggere, dopo averle evacuate, le navi fuori uso, per evitare che i ribelli se ne impadronissero. Sapendolo, lo Spettro si era astenuto dal mandare i suoi all’abbordaggio. La battaglia si era conclusa senza vittime, salvo i tre agenti periti di propria mano nello scontro con la Banshee.

   «Abbiamo finito» disse Jack, facendo rientrare il casco nella tuta. L’Umano aveva occhi chiari, che spiccavano sul viso dall’aria vissuta. «Prendiamo l’incursore danneggiato nell’hangar e poi via di qui, a massima curvatura».

   «Ripristinare l’occultamento» aggiunse la Banshee, sedendogli a fianco. La sua poltrona era del tutto simile a quella del Capitano, vale a dire che aveva lo stile opulento degli Orioniani, gli originali proprietari dell’astronave. La fuorilegge ritirò a sua volta il casco, rivelando il suo viso pallido di ibrido Umano/Andoriano. Le antenne, finora ripiegate, poterono finalmente sollevarsi nella loro posizione naturale. Jaylah Chase, ex Agente Temporale della Keter e ora “regina” corsara, le agitò un poco, per sgranchirle.

   «Temi che qualcuno ci segua?» chiese Jack.

   «La prudenza non è mai troppa» rispose Jaylah. «Ricorda che sono i Voth a rifornire i Pacificatori. E i Voth hanno una tecnologia superiore alla nostra, anche nel campo dell’occultamento».

   «Uhm, già» mugugnò il corsaro. «Temo il giorno in cui gli daranno l’Occultamento Sfasato. A quel punto perderemo il vantaggio».

   «Forse non glielo daranno mai» disse la mezza Andoriana. «Hanno paura di renderli troppo potenti. E poi i Voth non condividono la loro tecnologia, per principio».

   «Beh, speriamo che restino fedeli ai loro ideali» sospirò l’Umano, mentre la nave entrava in curvatura. «Allora, come siamo messi a bottino?» si rivolse a Graush.

   «Uno dei migliori di sempre» sogghignò il Letheano, scorrendo il rapporto sull’oloschermo. «Centoventi tonnellate di materiale bellico di prima qualità, destinato al fronte. Le stive sono piene, dovremo far tappa in qualche avamposto federale per rivendere la roba».

   «Andremo a Muliphen; lì sono a corto di rifornimenti» decise lo Spettro. «Informate gli incursori. E fate subito l’inventario, così decideremo cosa tenere».

   «Non serve, ho i registri di carico» disse Jaylah. «Volevo vedere dove hanno fatto scalo» spiegò.

   «Allora scaricali, così ci diamo un’occhiata» annuì l’Umano. «Se poi vorrai metterti qualcosa di più comodo, lo apprezzerei molto» ammiccò.

   Jaylah gli restituì un’occhiata complice. Era bello vincere, ogni tanto, ma più bella ancora era la fase di relax post-missione.

 

   Circondati dalle loro conquiste, Jack e Jaylah leggevano l’inventario, decidendo cosa trattenere e cosa, invece, rivendere ai federali. L’Umano passeggiava tra i container aperti, per controllare con i suoi occhi ciò che leggeva sul d-pad. La mezza Andoriana se ne stava invece spaparanzata su un elegante divanetto, in mezzo ai bottini di maggior pregio: opere d’arte, ori e gemme. Con la mano rovistava pigramente in un cofanetto pieno di gioielli e ogni tanto ne estraeva uno per provarselo.

   «Cento inibitori di teletrasporto, ultimo modello» lesse Jack, e subito andò a controllare. «Eccoli qui».

   «Ne abbiamo già parecchi» sbadigliò Jaylah, che aveva seguito il consiglio di vestirsi più casual. Nel suo caso, ciò significava aprire il guardaroba orioniano, che i vecchi padroni dell’astronave avevano lasciato ben fornito. Un tempo la mezza Andoriana avrebbe arricciato il naso davanti a quegli abitini provocanti e a quei gioielli vistosi. Ma ormai era diventata più permissiva con se stessa e aveva imparato a concedersi qualche “lusso decadente”, quand’era in vena.

   «Sì, ma questi sono del nuovo tipo» puntualizzò Jack. «Voglio tenerne almeno una ventina. Quelli vecchi che abbiamo possiamo sbolognarli ai federali».

   «Ehi, vuoi dar loro la roba di seconda scelta?» si accigliò Jaylah. Avendo lasciato la Flotta solo da un anno, e non da undici come lui, non aveva ancora interiorizzato il modus operandi dei corsari.

   «Considerando che tutta questa roba l’abbiamo conquistata noi, penso che dovrebbero esserci grati» rispose lo Spettro. «Avranno ottanta inibitori nuovi e venti più datati. Al loro posto, non mi lamenterei».

   «Uhm, sì, hai ragione» convenne la mezza Andoriana. Il suo primo istinto era sempre pensare alla Flotta, ma vivere tra i corsari la obbligava a rivedere le priorità.

   Jack si appuntò la decisione sul d-pad e proseguì il giro. «Venti casse di fucili phaser, da venticinque fucili cadauna. Mah, direi che possiamo trattenerne un paio. Tu che dici?».

   «Hm-hm» fece Jaylah, mettendosi in una posizione più comoda. Attivò il suo d-pad e prese a controllare le precedenti consegne dei Pacificatori. Il trasporto era partito dalla Terra, dove aveva ricevuto il carico dai Voth. Aveva viaggiato ad alta velocità, facendo pochissimi scali, motivo per cui le stive erano ancora ben fornite.

   «Uniformi di ricambio... inutili. Razioni d’emergenza... puah, le nostre sono meglio» borbottò Jack, depennandole dall’elenco. «Oh-oh, adesso entriamo nel vivo! Cento missili al tricobalto. Mine neutroniche multicinetiche. Cariche nucleoniche. È roba potente... direi di fare fifty-fifty coi federali».

   «Magari quaranta-sessanta» suggerì Jaylah, sempre preoccupata di rifornire la Flotta.

   «Andata» disse Jack, sapendo che doveva pur cedere su qualcosa. «E cos’abbiamo qui? Ah!».

   Quel verso indignato attirò l’attenzione della compagna, che interruppe la lettura. «Che c’è?» chiese.

   «Neurotossine per la fabbricazione di gas letali» disse l’Umano, disgustato. «E persino un gel bio-mimetico che può servire a fabbricare armi biologiche».

   «Distruggi tutto» disse Jaylah. Non era una richiesta, ma un ordine.

   «Ci puoi scommettere» convenne Jack. Estrasse la vibro-lama e fece un segno sul container, a indicare che tutto il contenuto doveva essere eliminato. «Lo butteremo nella prima stella che incrociamo».

   La mezza Andoriana scattò in piedi, indignata da quell’ennesima dimostrazione della brutalità dei Pacificatori, che non esitavano a usare armi illegali. «Sai cos’è che mi fa tanta rabbia?» chiese.

   «Il fatto che abbiano interrotto i campionati di springball?» scherzò Jack.

   «Beh, anche quello» ammise la fuorilegge, lieta che il compagno riuscisse a farla sorridere persino in quel momento. «Ma mi riferivo al fatto che tutto questo» disse allargando le braccia a indicare la stiva «è una goccia nell’oceano. Secondo i rapporti dell’intelligence, ogni giorno i Voth consegnano ai Pacificatori un carico come questo. Ogni singolo giorno. Con la nostra media di successi, non possiamo influire in modo significativo sul conflitto» ammise, sfiduciata.

   «Non è quello il nostro scopo» disse Jack con decisione. «Il nostro primo obiettivo è restare vivi e, se possibile, riempirci le stive. Il secondo è demoralizzare il nemico, più che indebolirlo militarmente. Il terzo è incoraggiare altre bande di pirati e paramilitari a imitarci. Finora il primo obiettivo lo abbiamo raggiunto, e credo che anche gli altri due stiano andando bene. Continuiamo così e non avremo niente da rimproverarci».

   «Sì, ma...».

   «No, niente ma» insisté lo Spettro, abbracciandola. «So che vuoi sempre salvare la Galassia, ma devi accettare – come ho fatto io – che ci sono cose fuori dal nostro controllo. Stiamo facendo tutto il possibile, e tanto basta per essere a posto con la coscienza. Il resto non dipende da noi».

   «Hai ragione» si calmò Jaylah, e ricambiò l’abbraccio. «Ma sono stanca di sabotare cantieri e inseguire carichi d’armi. Vorrei che ci fosse un modo per danneggiare davvero il nemico».

   «Hai in mente qualcosa?».

   «Non so, servirebbe una vittoria sul fronte diplomatico o propagandistico» sospirò la mezza Andoriana. «Ma è come dici tu: devo imparare ad accontentarmi». Lasciò l’abbraccio e riprese il d-pad con i registri di carico.

   «C’è qualcosa d’interessante?» volle sapere Jack.

   «Mah, notavo che quella nave ha fatto pochissimi scali» disse Jaylah, consultando l’elenco. «Il grosso del carico era diretto a Ceti Alpha, per essere usato contro i Klingon. Però hanno fatto una deviazione a Cestus III».

   «Cestus?» s’insospettì lo Spettro. «Mi pare che sia lontano dal fronte».

   «Sì, abbastanza» confermò Jaylah, che aveva memorizzato tutta la situazione tattica. «E i Klingon non hanno attacchi in programma da quelle parti».

   «Eppure i Pacificatori hanno rifornito l’avamposto...» rimuginò l’Umano.

   «Un avamposto piccolo e privo d’importanza» aggiunse la mezza Andoriana. «Tutto il pianeta è di scarsa importanza, in effetti. Il suo unico luogo d’interesse è l’Istituto per le Relazioni Unione-Gorn».

   «E la Nergal cos’ ha scaricato?».

   «Uno Scudo Cittadino di tipo XXV...» lesse Jaylah.

   Jack fece un lungo fischio. Uno scudo di quel genere poteva difendere una grande città da un bombardamento orbitale.

   «... inibitori di teletrasporto, armi d’ordinanza per agenti della Sicurezza» proseguì Jaylah. «Praticamente tutto quel che manca del carico è andato lì».

   «Uhm... sento puzza di bruciato» disse l’Umano. «I Pacificatori non armano i piccoli avamposti lontani dal fronte, a meno che non debbano combinarci qualcosa».

   «A giudicare da ciò che hanno scaricato, sono orientati alla difesa» notò la mezza Andoriana. «Sta per succedere qualcosa d’importante, su quella palla di sabbia. Forse devono allestirci una fabbrica, o uno di quei dannati Centri di Rieducazione».

   «Oppure sta per tenersi un summit, e vogliono accertarsi che la sede sia protetta» suggerì Jack.

   «Già!» fremette la corsara. «È l’occasione che aspettavamo. Se ci sbrighiamo, forse metteremo a segno un colpo decisivo».

   «Uhm... dovremo addentrarci nello spazio nemico senza un briciolo di copertura» notò lo Spettro, meno entusiasta. «Non potremo neanche portarci dietro gli incursori, visto che il loro occultamento non è sofisticato come il nostro».

   «È una missione ad alto rischio» convenne Jaylah. «Ma ne abbiamo già fatte di simili. Ricordi quella volta a Jaros II?».

   «Non farmici pensare!» disse Jack, facendo una smorfia al ricordo di quella missione rischiosa e complicata. «Allora, sei proprio convinta?».

   «Penso che valga la pena d’indagare» annuì la mezza Andoriana. «Se non troveremo niente, pazienza. Se al contrario il nemico avrà troppe forze, ci ritireremo senza ingaggiarlo e avvertiremo i federali, così se la sbrigheranno loro».

   «Sembra un buon compromesso» cedette l’Umano. «E sia! Andremo a Cestus III e vedremo cosa combinano i Pacificatori».

   «Dì la verità, vuoi vedere il luogo in cui Kirk atterrò il Gorn con un cannoncino artigianale» indovinò Jaylah, ricordando la celebre sfida svoltasi su quel pianeta.

   «Beh, anche» ammise Jack. «Ma soprattutto... quando mi chiedi una cosa con quegli occhi da cerbiatta e un completino orioniano, non so dire di no» sogghignò. Come Capitano della Stella aveva l’ultima parola nelle decisioni, ma Jaylah era la sua consigliera (e amante), per cui teneva sempre in gran conto il suo parere.

   «Occhi da cerbiatta?! Questa è nuova!» rise la corsara. «Quanto al completino... lieta che ti piaccia. Mi ci è voluta mezz’ora per capire come indossarlo» disse, riponendo il d-pad su una consolle.

   «Oh, che disdetta. Spero sia più facile da togliere» le sussurrò l’Umano all’orecchio, mentre l’abbracciava da dietro.

   «Si fa in un lampo» sorrise la mezza Andoriana, e passò subito alla dimostrazione.

 

   Posto al confine tra l’Unione e l’Egemonia Gorn, Cestus III era un mondo di classe H, vale a dire desertico. Gli antichi oceani si erano prosciugati da tempo, lasciando deserti di sale. Tutto ciò che restava erano piccoli bacini dall’elevata salinità, attorno a cui resistevano gli ultimi ecosistemi. Il pianeta sarebbe stato di un giallo paglierino, se l’atmosfera non gli avesse conferito una sfumatura verdognola.

   La Stella del Polo uscì dalla curvatura ai margini del sistema e si avvicinò a metà impulso, restando occultata. Il pianeta s’ingrandì lentamente sullo schermo e i corsari lo osservarono, chiedendosi perché mai quella palla di sabbia avesse attirato l’interesse dei Pacificatori.

   «Analisi» ordinò lo Spettro.

   «Rilevo una cospicua quantità di sabbia, sale e lucertole» disse l’addetto ai sensori, un Boliano con la benda sull’occhio. Il resto della ciurma ridacchiò.

   «Meno spirito, signor Siall, se non vuole spurgare i condotti del plasma!» lo richiamò Jaylah. Da quando era salita a bordo, l’ex Agente Temporale si era sforzata di mettere in riga quella ciurma di manigoldi, trasformandoli in qualcosa di simile a un equipaggio della Flotta Stellare. Jack la lasciava fare, riconoscendo che bisognava migliorare la disciplina, ora che la banda si era tanto allargata.

   «Scusi, signora» disse il Boliano, sapendo che la mezza Andoriana non minacciava a vuoto. «Rilevo numerose astronavi in orbita... tutte aliene» si stupì. «La più grossa è una Nave Bastione Voth». Così dicendo la inquadrò sullo schermo. Era un mastodontico vascello dalle linee affusolate e lo scafo color acciaio, con dettagli azzurri e verdi. Un’astronave come quella valeva quanto dieci navi da guerra federali. In caso di scontro la Stella non aveva speranze, nemmeno se ci fosse stato il resto della sua flottiglia a supportarla.

   «Teniamoci a distanza» disse lo Spettro, temendo i sofisticati sensori Voth. «Andiamo nella zona polare, dove le interferenze elettromagnetiche sono più forti».

   «Che ci fanno i Voth a Cestus III?» si chiese Jaylah.

   «Forse Rangda gli ha venduto il pianeta» suggerì Graush.

   «In tal caso i Pacificatori non avrebbero rafforzato il presidio» obiettò Jack. «No, qui c’è qualcosa di strano. Siall, quali sono le altre navi in orbita?».

   «Vediamo... ce n’è una Gorn» disse il Boliano, proseguendo la scansione. «È un incrociatore pesante di classe Tyrannus». Lo inquadrò sullo schermo: era un vascello minaccioso, dallo scafo bruno-verde irto di armi. La parte anteriore ricordava la sezione a disco delle navi federali, ma era posta in verticale. A poppa vi erano quattro gondole di curvatura, ben distanziate dal corpo dell’astronave.

   Lo Spettro aggrottò la fronte. Non era insolito che i Gorn bazzicassero da quelle parti, dato che Cestus III ospitava molti dei loro coloni, in un esperimento di convivenza con le altre specie. Ma la presenza dei Voth lo impensieriva. «E poi?» chiese.

   «Ci sono gli Arkoniani, i Beta Annari, i Kasheeta, i Sauriani, i Selay, i Tygariani e gli Xindi Rettili» rilevò il corsaro.

   «Ma non ha senso!» sbottò Graush. «I Gorn sono una potenza straniera, mentre gli altri facevano parte dell’Unione, ma hanno scelto la neutralità. È assurdo che si trovino tutti qui. Non hanno niente in comune».

   «Una somiglianza ce l’hanno» obiettò Jaylah. «Sono tutti rettili... come i Voth».

   Un silenzio teso calò in plancia. Era strano che nessun altro lo avesse notato, ma in effetti tutte le specie lì convenute avevano tratti rettiliani, più o meno pronunciati.

   «E questo che dovrebbe significare?» chiese il Letheano. «Solo perché hanno il sangue freddo, non significa che abbiano affari in comune».

   «Di questi tempi, le somiglianze fisiche bastano eccome ad avere affari in comune» si accigliò Jack. «Questo raduno segreto è oltremodo sospetto. Già la presenza dei Gorn è un guaio, ma quella delle altre specie m’inquieta ancora di più. Alcuni di loro erano membri importanti dell’Unione; se passassero al nemico sarebbe una catastrofe. Dobbiamo avvertire la Flotta Stellare».

   «Non basta. Anche se la Flotta attaccasse, i Voth sposterebbero l’incontro in un luogo più difendibile; magari una delle loro astronavi» disse Jaylah. «Dobbiamo saperne di più».

   «Sarebbe una missione rischiosissima, e laggiù non ci sono solo stupide lucertole; ci sono i Voth» avvertì Jack, contrario all’idea.

   «Per prima cosa dobbiamo localizzare il summit» ragionò la mezza Andoriana. «Siall, in quale insediamento crede che sia l’incontro?».

   «Vediamo... non ci sono molti centri abitati» disse il Boliano, esaminando il pianeta. «Rilevo presidi armati a Cestus City, Pike City, New Jencho, Rupertville e Two Rivers, oltre che presso le miniere di Moran. Ma solo a Cestus City c’è un reattore abbastanza potente da alimentare lo Scudo Cittadino che hanno appena ricevuto. L’edificio più protetto della città è il palazzo governativo».

   «Beccati» disse Jaylah. «Andrò giù come Banshee, per tastare il terreno. Voi intanto avvertite la Flotta».

   «Certo, e poi come ti recuperiamo?!» insorse Jack. «Sarai sotto lo Scudo Cittadino, e suppongo che almeno il palazzo sarà protetto con gli inibitori di teletrasporto. Per non parlare delle navi in orbita! Ci vorrebbe una flotta solo per disabilitare la Nave Bastione».

   «Non voglio dare battaglia alla guarnigione, ma devo sapere cosa si decide là dentro» ribatté Jaylah. «Sarà una missione di spionaggio, tutto qui. Mi recupererete alla fine del summit, quando i Voth e gli altri se ne saranno andati».

   «Se la Flotta non decide di attaccare prima! Hai pensato che potresti trovarti prigioniera di una città assediata?» insisté l’Umano.

   «In quel caso mi terrò lontana dal palazzo governativo. La Flotta non bombarderà i quartieri civili» sostenne la mezza Andoriana.

   «Non possiamo sapere come andranno le cose» obiettò lo Spettro.

   «Se scendi da sola, e i Voth ti scoprono, sei finita» intervenne Graush, che condivideva la preoccupazione del Capitano. «Non hai un briciolo d’appoggio».

   «In realtà ce l’ho» disse Jaylah inaspettatamente.

   Tutti la guardarono con tanto d’occhi. «Mi stai dicendo che hai un contatto laggiù?» chiese Jack, che non l’aveva mai sentita accennare alla cosa.

   «Diciamo un conoscente. Un vecchio amico di famiglia» precisò la corsara. «Lavorava sull’Enterprise-J quando mio padre ne era il Capitano, e poi anche negli anni successivi. Ma quando l’Enterprise fu danneggiata nella Battaglia di Andoria, fece fagotto e venne a vivere qui».

   «Strana scelta, per un ufficiale in congedo» notò lo Spettro. C’erano pianeti molto più piacevoli di quello per godersi la pensione.

   «Oh, lui non faceva parte dell’equipaggio. Era un civile» rivelò Jaylah.

   «E ti fidi di lui, per una missione così rischiosa?» incalzò Jack.

   «Mi fido di lui come di me stessa».

 

   Come faceva al termine di ogni giornata lavorativa, Raav chiuse il suo ristorante annesso all’Istituto per le Relazioni Unione-Gorn e tornò a casa. Il vecchio rettile camminava a piedi, osservando la città stranamente silenziosa. Da quando Cestus City era stata selezionata per ospitare il summit, le misure di sicurezza erano innalzate al massimo e vigeva il coprifuoco. I Pacificatori pattugliavano le strade e i loro droni accalappiatori facevano lo stesso con i cieli. Il palazzo governativo e l’Istituto erano pattugliati dai Voth, un fatto raro a vedersi fuori dalla Terra. In quanto gestore del ristorante interno all’Istituto, Raav era autorizzato a entrare e uscire; ma doveva farlo negli orari indicati. Ogni volta veniva scansionato all’ingresso, per accertarsi che non avesse armi o dispositivi illegali; anche un semplice registratore vocale era vietato. Nella sua posizione, infatti, era facile captare le conversazioni che i diplomatici avevano a margine dei negoziati, quando venivano a ristorarsi nel suo locale.

   Quando fu in vista del palazzo governativo, il Gorn lo guardò di sbieco. Sulla torre più alta sventolavano affiancati i vessilli dell’Unione Galattica, dell’Egemonia Gorn e dell’Autorità Voth. In altre circostanze, Raav sarebbe stato lusingato dal fatto che la sua gente ricevesse tanto credito; ma sapeva che ai Voth non importava la comunanza di sangue freddo coi Gorn. No, volevano solo farli combattere e morire al posto loro. Era una situazione avvilente, ed era ancor più avvilente sapere che lui non poteva farci nulla. A duecento anni suonati, Raav cominciava a sentirsi vecchio, anche se la sua specie poteva superare i trecento; in ogni caso non era un combattente.

   «Se ci fosse l’Enterprise-J!» si disse con rimpianto. Ma quella nave leggendaria era stata distrutta l’anno prima, all’inizio della Guerra Civile. Tutti gli occupanti erano morti. E quanto ai suoi amici dell’equipaggio originale, chissà dov’erano finiti? L’Ammiraglio Chase, Ilia, Lantora e T’Vala combattevano con la Flotta Stellare, ma degli altri non aveva notizia. Non sapeva nemmeno se fossero ancora vivi.

   Cercando di pensare ad altro, Raav svicolò in una strada laterale, prese un sottopassaggio e finalmente raggiunse casa sua. Era un edificio a un solo piano, con un seminterrato, come piaceva ai Gorn. Le pareti spesse erano verniciate di bianco. Raav entrò alla svelta, perché stava scattando il coprifuoco, e si chiuse dentro. Un’altra giornata era finita. Una come tante, in quella serie interminabile di giorni odiosi, scanditi dai notiziari di regime che annunciavano l’avanzata inarrestabile dei Pacificatori. Ah, se solo avesse potuto fare qualcosa! Ai tempi dell’Enterprise-J c’erano state un paio di volte in cui aveva fatto la differenza; ma quei giorni erano finiti e anche gli amici di un tempo erano lontani.

   «Ciao, Raav. Quanto tempo è passato» disse una voce alle sue spalle. Era una voce femminile, dal timbro metallico, che il Gorn non riconobbe. Chiunque fosse, si trovava tra lui e l’ingresso; ma lui non l’aveva vista quand’era entrato.

   «Sssshhht! Non ricordo di aver invitato nessuno» disse Raav, accompagnandosi col sibilo caratteristico della sua specie.

   «Considerala una festa a sorpresa. Voltati e sta’ tranquillo; non ho cattive intenzioni».

   «Come sono fortunato» commentò il Gorn, girandosi con lentezza. I suoi occhioni gialli si fissarono sull’intrusa, che indossava un’avveniristica e minacciosa tuta da combattimento. La riconobbe per averla vista ai notiziari. «Sssshhh! Quale onore! Cosa porta la famigerata Banshee alla mia umile dimora?» chiese.

   «La guerra» rispose lei con durezza. «Ci colpisce tutti, no? Dimmi: a chi va la tua lealtà?».

   «Domanda rischiosa, la tua» disse Raav. «Potresti essere un trucco dei Pacificatori. O magari sei davvero la Banshee. In ambo i casi, pagherei amaramente la risposta sbagliata».

   «Non sono un trucco» disse la corsara, rivelando il proprio volto. «Sai, poche persone conoscono la mia identità. È un segreto per cui sono pronta a uccidere. Ma voglio fidarmi di te, in nome di ciò che passasti coi miei genitori sull’Enterprise».

   «Jay...».

   «Non dirlo!» l’interruppe Jaylah. «Finché sarò in missione su questo pianeta, il mio nome sarà Mala».

   «Come vuoi... Mala» acconsentì Raav. «Ma ricordo quando ti vidi da neonata, subito prima che il vecchio equipaggio si dividesse. Pensai che, con genitori come i tuoi, avresti fatto strada... e non mi sbagliavo».

   «È stata una strada più oscura del previsto, e sono ben lontana dal fermarmi» disse però la mezza Andoriana, passeggiando avanti e indietro nel salotto. Pur avendo fatto rientrare il casco, indossava ancora l’inquietante tuta corazzata. «So che i Voth hanno organizzato un incontro con la tua gente e altre specie rettili; ho visto le astronavi. Presumo che vogliano farle combattere per loro, ma devo saperne di più. Mi aiuterai?».

   «Lo farò» disse solennemente il Gorn.

   «Bada che potrebbe essere rischioso... anzi, lo sarà senz’altro» avvertì Jaylah.

   «Lo so» annuì Raav. «Ma è da quando ho sentito bollare la distruzione dell’Enterprise come un “atto dovuto” che smanio di fare la mia parte. Allora, cos’hai in mente? Anzi, aspetta... prima devo fare gli onori di casa» disse, andando in cucina. «I tuoi genitori apprezzavano la birra andoriana. È così anche per te, giovanotta?».

   Jaylah annuì.

   «Allora prova questa, è di buona qualità» disse il Gorn, versandole da bere. «E dimmi che ne è del vecchio gruppo. Muoio dalla voglia di saperlo».

 

   La mezza Andoriana passò un’ora a informare Raav sulle sorti degli ufficiali dell’Enterprise. Su alcuni di loro non aveva notizie aggiornate, perché da quando si era unita ai corsari i contatti con la Flotta erano stati sporadici. Pertanto si limitò a dire ciò che sapeva, senza fare illazioni.

   «E che mi dici del Consigliere Apsu?» chiese infine Raav. «Era l’unico del vecchio gruppo ancora in servizio, quando me ne andai».

   «Era in servizio anche durante la Caduta della Terra» sospirò Jaylah. «Riteniamo che sia perito nell’esplosione della nave».

   «Sssshhht!» sibilò il Gorn, addolorato ma anche rabbioso. Le sue pupille verticali si strinsero, dandogli un’aria più minacciosa. «Quale astronave ha distrutto l’Enterprise?».

   «La Juggernaut. L’abbiamo eliminata a Elba II» spiegò la mezza Andoriana. «Fu in quell’occasione che divenni la Banshee. Se fossi rimasta sulla Keter non avrei fatto una gran differenza, ma stando coi corsari ho più libertà d’azione».

   «La banda dello Spettro, eh?» fece Raav, scrutandola con una certa apprensione. «Ma tu e lui...».

   «Lavoriamo assieme; il resto non ti riguarda» tagliò corto Jaylah. «E ora dimmi: sai dove si radunano i diplomatici? Pensavo che fossero nel palazzo governativo, ma non li rilevo».

   «No, il palazzo è piccolo e vecchio; non l’hanno ristrutturato solo per un incontro che poteva essere spostato all’ultimo momento» disse Raav. «Le trattative si terranno all’Istituto per le Relazioni Unione-Gorn, che poi è il posto in cui lavoro. Gestisco il ristorante, infatti sono uno dei pochi muniti di lasciapassare».

   «Magnifico!» si entusiasmò Jaylah. «Possiamo approfittarne per farmi entrare, sotto falso nome. Scommetto che hai bisogno di una nuova cameriera».

   «Beh, si può fare» acconsentì il Gorn. «Ma prometti di stare attenta. Non vorrei rendere conto all’Ammiraglio Chase... e allo Spettro... se ti succedesse qualcosa».

   «Sarò discreta» promise la mezza Andoriana. «Sono qui in missione di spionaggio, non per attaccar briga. Cercherò di capire come procedono le trattative... hai detto che non sono ancora iniziate?».

   «A giudicare dagli stralci di conversazioni che ho sentito, credo che un importante ambasciatore non sia ancora arrivato. Ma non ho capito quale» spiegò Raav. «Appena sarà qui, alzeranno lo Scudo Cittadino e apriranno i negoziati».

   «Introducimi subito nel ristorante, così per allora gli ambasciatori si saranno abituati a vedermi e non mi presteranno attenzione» disse Jaylah.

   «Ti porterò con me domattina» promise il Gorn. «Dirò che vieni dal quartiere vecchio e che ti ho appena assunta. Non penso che le guardie all’ingresso faranno troppe domande. Ma naturalmente non puoi portare armi, né comunicatori, né attrezzi da spia. I Voth perquisiscono chiunque entri ed esca. Poi c’è il problema del tuo aspetto. Non ci sono meticcie Umane-Andoriane su Cestus III, quindi attireresti l’attenzione».

   «Ho portato il necessario per travestirmi» assicurò la corsara. «No, niente maschere olografiche» aggiunse, prevenendo la domanda. «Con la loro tecnologia, i Voth mi scoprirebbero subito. Userò i trucchi della vecchia scuola».

 

   La mattina dopo, Raav informò le guardie all’ingresso dell’Istituto che aveva ingaggiato una nuova cameriera part-time: Mala, un’Andoriana. L’interessata si fece avanti, con aria umile e dimessa, infagottata in abiti da poco prezzo. Per rendere credibile la messinscena, Jaylah si era tinta la pelle di blu e i capelli di bianco. I documenti falsi che le avevano preparato i corsari indicavano che era giunta da Weytahn poco tempo prima, in cerca di lavoro.

   Come previsto, le guardie Voth la scansionarono per accertarsi che non avesse armi o altri dispositivi vietati, ma non stettero ad analizzarle il DNA. Ormai conoscevano Raav e si fidavano di lui, anche in virtù della sua natura di rettile.

   «Passa pure» disse uno dei sauri, annoiato.

   «Grazie, signore» disse Jaylah, e si affrettò a entrare.

   Il ristorante di Raav era accorpato all’Istituto, ma si trovava in un’ala a parte rispetto agli uffici, alle sale conferenze e al piccolo museo. Similmente al locale che aveva sull’Enterprise, anche questo si divideva in un bar e un ristorante vero e proprio. Le luci erano giallognole e la temperatura elevata, come piaceva ai rettili.

   Raav presentò Jaylah al resto del personale: i cuochi, i camerieri. Come d’accordo, mantenne la finzione anche con loro. Al vecchio Gorn spiaceva mentire ai suoi dipendenti, ma la mezza Andoriana era stata categorica: non potevano rischiare che qualcuno li tradisse, magari involontariamente. I dipendenti di Raav si stupirono di questa nuova collega spuntata dal nulla, ma il Gorn se la cavò dicendo che l’ingaggio era part-time, e solo per la durata dei negoziati. Poiché effettivamente l’arrivo di tante delegazioni aliene aveva accresciuto gli affari del locale, non era così strano che il gestore volesse un elemento in più.

   Jaylah si trovò così a fare la cameriera nel bar, incarico che le permetteva di avvicinarsi ai clienti e ascoltare discretamente le loro conversazioni. Come sperava, molti dei diplomatici radunati dai Voth venivano lì a mangiare. La corsara ebbe la conferma che stavano aspettando l’ultimo delegato. Sfortunatamente non riuscì a capire di chi si trattava; e i guai erano appena iniziati.

   La mezza Andoriana scoprì ben presto che la sua copertura presentava dei problemi. Come cameriera doveva essere sempre in movimento: se un cliente qualunque la chiamava lei doveva presentarsi al suo tavolo, allontanandosi dai diplomatici. Non poteva trattenersi neanche un attimo, o avrebbe attirato l’attenzione; e lei ci teneva a passare inosservata. A complicare le cose, i dipendenti di Raav – ignari della sua missione – la trattavano come l’ultima ruota del carro, dandole sempre qualcosa da fare. Se non era impegnata ai tavoli, doveva preparare cocktail e stuzzichini al bancone; cosa che non aveva mai fatto. Le capitò più volte di sbagliare le dosi, beccandosi lamentele dai clienti e lavate di capo dai colleghi. Era incredibile come anche i lavori più semplici diventassero complicati, in mancanza d’esperienza; e quanto la distraessero dalla missione. Più volte, nell’arco della mattinata, si trovò a dubitare della sua copertura e si chiese se non era meglio entrare come Banshee, restando occultata.

   Le cose cambiarono all’ora di pranzo, quando tre nuovi clienti entrarono nel locale. Jaylah li vide con la coda dell’occhio e sulle prime li ignorò, impegnata com’era a preparare un cocktail particolarmente elaborato. Ma c’era qualcosa, nel loro modo d’incedere come se fossero i padroni del posto, che attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo e se li trovò davanti: erano Cardassiani.

 

   «Allora è questo il locale di cui tutti parlano?» fece uno dei Cardassiani, guardandosi attorno. «Che stamberga! Spero che almeno abbiate il kanar».

   A Jaylah ci volle un attimo per riaversi dalla sorpresa. Osservò l’uniforme del Cardassiano: era un Legato, vale a dire un diplomatico di alto rango. «Certo... eccellenza» deglutì. «Abbiamo otto varietà di kanar... tutte autentiche, nulla di replicato».

   «Avete quello di Lacoria?».

   «Ehm, mi faccia controllare... sì, ce l’abbiamo» disse Jaylah, scorrendo rapidamente l’elenco dei prodotti.

   «Allora dacci una bottiglia, bellezza, e in fretta!» ordinò il Legato. Invece di aspettare al bancone, lui e gli altri sedettero a un tavolo.

   La loro presenza era sconcertante. Jaylah sapeva che i Cardassiani erano schierati con la Federazione e in quel momento contribuivano a difendere il sistema bajoriano. Eppure eccoli lì, invitati con gli altri rettili a trattare coi Voth. Se avessero cambiato schieramento durante la battaglia, Bajor sarebbe certamente caduto. E i Cardassiani non erano nuovi a simili voltafaccia.

   Con il cuore in tumulto, Jaylah prese la bottiglia di kanar e la portò al tavolo, assieme a tre bicchieri. L’aprì e versò lei stessa il liquore scuro e sciropposo. «Desiderate il menu?» chiese, cercando di suonare normale.

   «Prendo una bistecca sem’hal con due uova taspar» ordinò il Legato. I suoi collaboratori ordinarono piatti simili: era tipico dei Cardassiani consumare lo stesso pasto.

   «Desiderate lasciare il vostro nominativo, così che vi riserviamo un tavolo nei prossimi giorni?» chiese Jaylah. Era una scusa per farsi dire il suo nome.

   «Beh... perché no?» fece il Cardassiano, lusingato dalla premura. «Sono il Legato Azel, dolcezza. E tu sei...?» chiese, fissandola con interesse.

   «Mala, eccellenza» rispose Jaylah, temendo che l’avesse riconosciuta. Anche se il suo volto non era noto come quello dell’Ammiraglio suo padre, non era da escludere che il Legato l’avesse vista in qualche immagine. La tintura blu le dava un certo mascheramento, ma i Cardassiani erano sempre attenti ai dettagli. Forse Azel aveva notato che le sue antenne erano più sottili del normale, a indicare che era Andoriana solo per metà.

   «Bene, Mala, dimmi... avete il dabo, qui?» chiese il Legato.

   «Niente giochi d’azzardo, mi spiace. C’è solo il ristorante».

   «Frell, che buco di spazio!» si lamentò il Cardassiano. «Almeno ci sei tu, bellezza, a ravvivare l’ambiente. Saresti stata una splendida ragazza-dabo. Beh, spero di vederti ancora, quando tornerò. Questi negoziati andranno per le lunghe».

   «Sempre a vostra disposizione, signore» disse Jaylah, con un sorriso contraffatto. Per fortuna il Legato non sembrava averla riconosciuta. E a suo dire, i negoziati si prospettavano lunghi. Questo era un bene: le avrebbe dato tempo di pianificare le prossime mosse. Con un po’ d’accortezza, poteva carpire molte informazioni da lui... anche se non era disposta a spingersi troppo oltre.

   Tornata in cucina, Jaylah riferì le ordinazioni dei Cardassiani. Raav le rivolse uno sguardo allarmato, intuendo il pericolo per la Federazione; ma in presenza dei colleghi non disse nulla.

   Appena le pietanze furono pronte, la mezza Andoriana servì i tre Cardassiani. Così facendo li sentì accennare al fatto che la flotta dei Pacificatori aveva raggiunto il sistema bajoriano e l’attacco era imminente. «Desiderate altro?» chiese, cercando una scusa per bazzicare attorno a loro.

   «No, puoi andare, tesoro» ridacchiò il Legato, che aveva davvero messo gli occhi su di lei, anche se non per il motivo temuto inizialmente. Quando Jaylah si voltò per andarsene, il Cardassiano le assestò una sonora pacca sul fondoschiena, facendo ridacchiare i compari.

   Alla mezza Andoriana servì tutto il suo autocontrollo per andarsene senza reagire. Tornata al bancone, si disse che l’arrivo dei Cardassiani cambiava tutto. Non poteva accontentarsi di condurre una ricognizione: doveva far fallire i negoziati.

 

   A fine turno Jaylah tornò alla casa di Raav, che si era offerto di ospitarla per tutta la missione. Non era lì per riposare, ma solo per cambiarsi d’abito. Dismessi i panni della cameriera, indossò la tuta occultante e ridivenne la Banshee. In quell’assetto tornò alla sede dei negoziati. Cominciava la parte più rischiosa della missione, perché l’edificio era sorvegliato dai Voth, che disponevano di una tecnologia superiore. La corsara non aveva la certezza che l’Occultamento Sfasato la proteggesse dai loro sensori. Poteva solo dedurlo dal fatto che i sauri non avevano mai fornito ai Pacificatori degli strumenti in grado di rilevarla. Sempre che ciò non fosse dovuto alle loro leggi, che vietavano di condividere le tecnologie più sofisticate.

   Alzando gli occhi al cielo, la Banshee vide che lo Scudo Cittadino era stato attivato. La città sarebbe rimasta isolata sotto quella cupola perlacea per tutta la durata dei negoziati. La corsara confidava che l’Occultamento Sfasato le permettesse di uscire, in caso di necessità.

   Muovendosi con tutte le precauzioni possibili, senza mai uscire dall’occultamento, la mezza Andoriana s’infiltrò nell’Istituto. La sua esperienza della mattinata non le fu utile per orientarsi, perché in veste di cameriera non era mai uscita dalla zona ristoro, mentre ora doveva accedere alla parte più interna e protetta, dove si tenevano i negoziati. Vagò a lungo nei corridoi, finché ebbe la fortuna d’incrociare il Legato Azel e i suoi collaboratori.

   «Ci rivediamo» disse fra sé. «Avanti, teste a cucchiaio, fate il vostro lavoro! Non sarete qui solo per gozzovigliare e abbordare ragazze».

   Come sperava, i Cardassiani si stavano recando al summit. Seguendoli raggiunse un salone seminterrato in cui si erano radunati gli altri ambasciatori. Le luci erano basse, perché ad alcune specie l’illuminazione standard riusciva fastidiosa. La sala era quindi immersa nella penombra, nella quale i rettili si muovevano a loro agio. Ovunque la Banshee guardasse, era un dardeggiare di lingue forcute e un baluginare di occhi gialli. I Gorn torreggiavano su tutti gli altri: erano i più alti e robusti, oltre che quelli dai tratti carnivori più accentuati.

   «Ben arrivato, Legato Azel; ha fatto buon viaggio?» chiese una figura in penombra.

   «Non c’è male» rispose il Cardassiano. «Certo che se i federali sapessero della mia presenza qui, le conseguenze per la mia gente sarebbero spiacevoli».

   «Naturale; a nessuno piacciono i traditori» ringhiò il rappresentante Gorn, fissandolo con gli occhi sulfurei.

   «Predatore Raugh, la prego» disse colui che aveva parlato per primo. «Siamo qui per fini costruttivi. E poiché la tavola è al completo, direi di procedere». Il rettile si fece avanti, così che la fioca luce ne rivelò il volto. Era un Voth, e non uno qualunque: si trattava del Colonnello Corythos, uno degli ufficiali responsabili della conquista e dell’occupazione della Terra. Era stato lui a decimare la flotta della Keter nella Battaglia di Memory Alpha. E sempre lui aveva arrestato Frola Gegen, una dei pochi Voth contrari all’invasione; la poveretta aveva pagato con la vita la sua disobbedienza. A quel ricordo, la Banshee si promise di fare tutto il possibile per fargliela pagare.

   «Bene, signori, dichiaro aperto l’incontro» disse il Voth con aria pomposa. «Ciò che decideremo qui avrà conseguenze di portata storica. Come tutti avete constatato, l’era degli Umani, e dei mammiferi in generale, volge al termine. I sangue-caldo si sono rivelati inadatti a reggere le sorti della Galassia. Consideriamoli una breve parentesi, un ramo morto dell’evoluzione. È tempo per noi sangue-freddo di riprendere il predominio».

   «Ehm-ehm» intervenne Azel, «non approvo la vostra scelta dei termini. Le ricordo che noi Cardassiani abbiamo alcune caratteristiche da mammiferi, tra cui il sangue caldo».

   «Siete rettili a metà, arh arh!» rise il Predatore Raugh, con il suo vocione aspro da Gorn.

   «Suvvia, la mia era solo una figura retorica» disse Corythos, conciliante. «Ciò che vi propongo è la creazione di una Lega dei Rettili, svincolata sia dalla Federazione che dall’Unione. Questa terza potenza sarà indubbiamente l’ago della bilancia della Guerra Civile. Con la nostra forza combinata, aiuteremo l’Unione a domare la ribellione; ma i pianeti che conquisteremo resteranno in mano nostra. L’Unione, indebolita dal conflitto, non potrà che accettare il nuovo status quo. Vothan sarà la nostra capitale, e vedrete che col tempo altre specie rettili si uniranno a noi».

   «Questa proposta sa di già visto» disse Goriar, l’ambasciatore degli Xindi Rettili. «Un tempo accettammo l’alleanza con altre specie, dietro la promessa di grandi benefici; e abbiamo visto com’è andata a finire. Chi ci assicura che la vostra Lega non sarà una riedizione della Federazione e dell’Unione?».

   «Quelle organizzazioni erano dominate da mammiferi egocentrici che non potevano soddisfare le necessità dei rettili» rispose Corythos. «Ciò le ha condannate sin dal momento della loro creazione. La prima Federazione è durata meno di quattrocento anni, prima di crollare nella Guerra delle Anomalie. L’Unione ha meno di quarant’anni ed è già in agonia. E se questa nuova Federazione proclamata dai ribelli continua a disfarsi all’attuale velocità, le restano due anni di vita. Ma noi Voth siamo i signori del Quadrante Delta da venti milioni di anni. Abbiamo affrontato tutte le avversità possibili e le abbiamo sconfitte. Con la nostra guida, le vostre civiltà saranno altrettanto longeve».

   «Con la vossstra guida?!» sibilò Raugh. «Sarebbe a dire che dobbiamo obbedirvi. Ma noi Gorn non ci siamo mai inchinati a nessuno. Siamo sempre stati indipendenti e fieri di esserlo!» rivendicò.

   «È proprio questo il punto» disse il Voth. «L’errore della Federazione e poi dell’Unione è la pretesa di controllare in ogni minimo aspetto i suoi membri, cancellandone l’identità culturale e la sovranità politica. La nostra Lega non farà nulla di tutto ciò, anzi valorizzerà le peculiarità di ogni specie. Sarà insomma una confederazione, i cui membri avranno obblighi solo in questioni di politica estera e difesa dei confini, ma per il resto potranno autogovernarsi in piena autonomia. Avrete tutti i vantaggi dell’Unione, quali la difesa comune e la condivisione delle tecnologie, e nessuno degli svantaggi».

   «Ha detto la condivisione delle tecnologie?» chiese il Legato Azel. «Credevo che voi Voth non lo faceste mai».

   «Ehm, intendevo la condivisione volontaria delle tecnologie» spiegò Corythos. «Ogni specie sarà libera di decidere cosa mettere in comune e cosa tenere per sé».

   «Il risultato sarà che nessuno condividerà niente, sperando che siano gli altri a farlo per primi» obiettò il Cardassiano.

   «Non sia così cinico; ognuna delle nostre specie ha tanto da offrire» disse il Voth, ma evitò accuratamente di fare promesse. La cosa non sfuggì agli altri rettili, che si fecero sospettosi.

   Il negoziato si trascinò per ore, con i delegati che esponevano le loro condizioni per l’adesione alla Lega. Fu subito chiaro che sarebbe stato questo il vero scoglio. Parecchie specie fecero richieste esose, chiedendo la restituzione di pianeti che avevano controllato in passato, o che erano stati oggetto di contesa. Gli Xindi Rettili pretesero l’espulsione delle altre quattro specie Xindi dal loro pianeta. I Gorn chiesero la cessione di pianeti prossimi all’Egemonia, tra cui lo stesso Cestus III. La richiesta più esorbitante fu però quella dei Cardassiani, che pretesero la restituzione di tutti i mondi loro appartenuti all’epoca del massimo splendore, incluso Bajor.

   Era chiaro che i Voth non potevano soddisfare tutte queste richieste, o per meglio dire non volevano. Se si fossero impegnati a fondo, avrebbero anche potuto farcela; ma sarebbero serviti anni di guerra e migliaia di soldati sacrificati. Per gli antichi sauri, così poco disposti a immolarsi, era un prezzo troppo alto. Di conseguenza Corythos passò tutto il tempo a smorzare i toni e fare vaghe dichiarazioni d’intenti, prive di sostanza.

   La Banshee ascoltò tutto con attenzione, cercando di capire cosa si aspettassero realmente di ottenere i Voth. Poco alla volta si fece un’idea. Era chiaro che, essendo abituati a pianificare le cose nel lungo periodo, non si aspettavano di mettere subito in piedi una Lega dei Rettili. Però potevano convincere i Cardassiani a non aiutare Bajor, o persino a rivoltarsi contro i federali nel momento decisivo. Potevano indurre i Gorn ad aprire un nuovo fronte di guerra contro cui la Federazione non era minimamente preparata. Potevano riaccendere il conflitto su Nuova Xindus. Eccetera, eccetera. Insomma, potevano provocare danni catastrofici alla Federazione, tali da provocarne la caduta. A quel punto avrebbero anche potuto rimangiarsi la parola e aiutare l’Unione a domare le ultime resistenze. O magari chissà, disprezzavano a tal punto i mammiferi che volevano creare davvero una Lega dei Rettili sotto la loro influenza. Perché una cosa era certa: in questa lega i Voth l’avrebbero fatta da padroni. La loro forza tecnologica e culturale non aveva rivali tra gli altri rettili. Per quanto promettessero di non esercitare un controllo politico, era chiaro che volevano portarli nella loro sfera d’influenza. Ma l’avrebbero fatto con la tipica lentezza dei Voth, vale a dire così adagio che gli altri non se ne sarebbero resi conto.

   Dopo alcune ore, la trattativa cominciò a languire. I delegati avevano fatto le loro richieste, alcune delle quali erano in conflitto; toccava ai Voth sbrogliare la matassa. «Bene, si è fatto tardi e siamo tutti stanchi» disse Corythos. «Propongo di aggiornarci a domani. Stessa ora, stesso luogo».

   «E avrete le risposte alle nostre richieste?» grugnì Raugh.

   «Non abbia fretta, esimio delegato» rispose flemmaticamente il Voth. «Rifletteremo sulle vostre richieste e vi presenteremo delle contro-proposte, allo scopo di armonizzarle. Dopo di che procederemo nelle trattative».

   «La mia specie non è famosa per la pazienza» avvertì il Gorn.

   «La mia invece sì» rispose il Voth. «Ed è nostro desiderio che nessuno esca da qui insoddisfatto. Dunque pazientate, per una volta, e vedrete che i guadagni compenseranno ampiamente i sacrifici. In fondo siamo tutti rettili: le cose che ci uniscono sono molte più di quelle che ci dividono» sostenne.

   «Staremo a vedere... mangiatore di foglie» sibilò Raugh, passandosi la lingua sui denti acuminati. Lasciò la sala, assieme ai suoi colleghi Gorn. Poco alla volta anche gli altri delegati se ne andarono con i loro staff. Rimasero solo i Cardassiani.

   «Spero che questi negoziati approdino a qualcosa prima che i Pacificatori attacchino Bajor» disse Azel. «Perché in caso contrario, la mia gente combatterà ancora dalla parte dei federali» avvertì.

   «Credo che più combatterete dalla loro parte e meno vi verrà voglia di farlo» disse Corythos, per nulla turbato. «Quando vi stancherete di stare con i perdenti, vi accoglieremo a braccia aperte».

   Il Cardassiano sembrò sul punto di rispondere aspramente, ma si trattenne. «Riflettete sulle nostre richieste» disse, e si ritirò con i suoi aiutanti.

   La Banshee pensò che fosse il momento buono per andarsene a sua volta. Da un lato avrebbe voluto restare, perché era probabile che Corythos contattasse l’Ammiraglio Hadron, il suo superiore, per chiedergli l’imbeccata. D’altro canto era lì già da un pezzo e sapeva che la lunga permanenza aumentava le probabilità d’essere rilevata. Decise che aveva già rischiato abbastanza. Seguì i tre Cardassiani fuori dal salone e su per corridoi e turboascensori, finché tornarono in una zona pubblica dell’Istituto. La mezza Andoriana si aspettava che si teletrasportassero sulla loro nave, per riferire ai superiori. Invece arrivò un inserviente che li invitò a seguirli nei loro alloggi al piano superiore. Dunque i Cardassiani avrebbero soggiornato lì per tutta la durata delle trattative. Ed era probabile, anzi quasi certo, che lo stesso valesse per gli altri delegati.

   Uscita dall’Istituto, Jaylah vide che in effetti lo Scudo Cittadino era ancora attivo. La città era isolata e lo sarebbe rimasta finché i negoziati fossero giunti a un punto di svolta. Lei poteva forse uscire dal campo di forza, ma non si azzardava a comunicare le sue scoperte alla Stella: il rischio d’intercettazione era troppo alto. Se mai avesse contattato la nave, sarebbe stato per farsi riportare a bordo. Ma non era ancora il momento: prima voleva capire se i negoziati sarebbero andati a buon fine. E in quel caso, avrebbe dovuto sabotarli.

 

   Sulla Stella, i corsari osservavano tutto ciò che accadeva nell’orbita, ma i loro sensori non penetravano la schermatura di Cestus City. L’unico modo di analizzare la città era in luce ottica, e per il momento non sembravano esserci novità. Ma l’arrivo dei Cardassiani aveva gettato una luce ancora più sinistra sui negoziati. Lo Spettro sapeva cosa avrebbe comportato il loro tradimento, sul piano bellico. Ed era sempre più in ansia per Jaylah.

   «Ehi, capo... c’è movimento» avvertì Siall, inquadrando la Nave Bastione. Il vascello dei Voth lasciò l’orbita e fece rotta verso lo spazio profondo. Le altre astronavi la imitarono. L’orbita di Cestus III rimase sgombra, a eccezione dei corsari occultati.

   «Sono andati in direzioni diverse» notò il Boliano.

   «Hanno teletrasportato qualcuno?» chiese lo Spettro.

   «Negativo, lo Scudo Cittadino è ancora attivo».

   «Dev’essere un gesto di fiducia che segna l’inizio delle trattative» indovinò l’Umano. «Si allontanano per mostrare che si fidano a lasciare gli ambasciatori».

   «Se attaccassimo, avremmo un margine di tempo prima che ritornino» notò Graush.

   «Un margine risicato» obiettò Jack, per nulla tranquillo. «Temo che ci aspetti una battaglia, e la Stella da sola non basta. Ci servono rinforzi... di questo ti occuperai tu. Prendi la Dullahan: è la navetta più sofisticata che abbiamo. Dì ai federali che mandino rinforzi, ma restino occultati finché non avremo recuperato la Banshee».

   «Sempre che siano disposti a mandarne» borbottò Graush. «E sempre che si preoccupino della sua incolumità».

   «Se ti sembra che non le diano valore, informali che è la figlia dell’Ammiraglio Chase» disse Jack. «Questo li tratterrà, spero. E se vedi che i federali non si smuovono, va’ su Amar, dai nostri alleati. Svelto!».

   «Agli ordini, Capitano» disse Graush, e lasciò subito la plancia.

   Lo Spettro confidò che ce l’avrebbe fatta. Dietro la faccia stropicciata e gli occhi rossi del Letheano batteva un cuore estremamente leale. Graush era infatti il fratello minore di Dauthka, il suo braccio destro al tempo dei primi colpi. Era uno dei prigionieri che avevano salvato dalle miniere Breen e da quel giorno aveva sostituito diligentemente il fratello, perito nell’impresa. Ora che aveva ricevuto la consegna, non sarebbe tornato senza portarla a termine.

 

   Le ombre si allungavano sul suolo disseccato di Cestus III. Jaylah e Raav camminavano sul limitare del deserto, appena dentro lo Scudo Cittadino. La mezza Andoriana, ancora tinta di blu, raccontava le scoperte della giornata e il Gorn le dava il suo parere.

   «Non credo che tutte le specie aderiranno alla Lega, ma ce ne sono alcune che mi preoccupano» disse la corsara. «Penso ai Cardassiani, che condannerebbero il Fronte Occidentale. E anche...».

   «Alla mia gente» completò Raav, senza enfasi.

   «So che tra di voi l’esercito ha sempre avuto grande peso politico» disse Jaylah. «Siete una specie guerriera e avete sempre voluto espandervi in questo settore, quindi... pensi che il tuo popolo accetterà?».

   «Difficile a dirsi; è da oltre un secolo che non vivo su Gornar» sospirò il cuoco. «E anche allora, non è che stessi gomito a gomito con le autorità. Sono sempre stato un plebeo, per così dire».

   «Sei troppo modesto. Mio padre diceva che ai tempi dell’Enterprise eri un ottimo consigliere» sorrise Jaylah. «Per questo vorrei il tuo parere».

   «Beh, il pericolo c’è» ammise il Gorn. «Siamo una specie guerriera, come hai notato, ma siamo anche in pace da parecchio tempo. Credo che molti dei nostri abbiano voglia di menare le mani, e la Guerra Civile è l’occasione perfetta».

   «Come temevo» disse la mezza Andoriana. Per un po’ camminarono in silenzio, immersi nei pensieri, mentre il sole era sempre più basso.

   «Hai avvertito i tuoi di ciò che hai scoperto?» chiese d’un tratto Raav.

   «Non ancora. Il rischio d’intercettazione è altissimo, perciò quando mi sembrerà di saperne abbastanza tornerò sulla Stella» spiegò la corsara.

   «Supponendo che i negoziati procedano, che farete?» chiese ancora il Gorn.

   «Non bombarderemo la città, se è questo che temi» lo rassicurò Jaylah. «Ma anche interrompere i negoziati con un attacco mirato non servirebbe a molto, perché li sposterebbero altrove. E non so come sabotarli senza svelarmi».

   Per qualche minuto regnò di nuovo il silenzio. Poi Jaylah udì un suono acuto, simile al richiamo di un animale. «Cos’è questo verso?» chiese.

   Raav inclinò la testa per ascoltare. «Ah, sì... è il richiamo di un falcone cestiano» riconobbe. «Sono nativi del pianeta: mangiano lucertole e serpenti del deserto».

   «Hai detto falcone, quindi è un volatore» disse la mezza Xindi, alzando lo sguardo. «Però mi sembra che il suono venga dal basso».

   «Eh già, è strano» convenne il Gorn.

   «È sempre più vicino» disse Jaylah, affrettando il passo. «Credo sia qui intorno». Esaminò il terreno, finché un movimento attirò la sua attenzione. Il falcone cestiano c’era davvero e si agitava al suolo, a poca distanza dallo Scudo Cittadino. Sembrava che cercasse di spiccare il volo, ma non ci riusciva.

   Jaylah si avvicinò per osservarlo. Era una creatura magnifica: somigliava a un rapace terrestre, ma era sensibilmente più grosso e aveva il collo lungo, quasi da airone. Anche il becco era lungo e appuntito. Il piumaggio era dorato, tendente al rosso sulle ali e sulla piccola cresta. Gli occhi si fissarono sulla nuova arrivata e non la persero di vista. La creatura smise di stridere, ma fece un verso più basso e ripetitivo.

   «Che ha?» chiese Jaylah.

   «Mi sa che ha sbattuto contro lo Scudo e si è spezzato un’ala» disse Raav, accennando all’arto piegato in modo strano. «Per un rapace che caccia tutti i giorni, significa la morte».

   «Uhm... quanto sono intelligenti questi animali?» volle sapere la mezza Andoriana.

   «Non si sa di preciso, ma ho sentito dire che sono tra i più furbi del pianeta».

   «Furbi del pianeta! Roac!» stridette il volatile.

   «Ha parlato?!» si stupì Jaylah.

   «Eh già, i falconi cestiani sono famosi per questo» ricordò il Gorn. «Possono ricordare una quantità incredibile di parole e anche intere frasi, e ripeterle a distanza di tempo. Se ben ricordo, lo fanno specialmente quando sono in condizioni di stress, come adesso».

   «Stress, come adesso!» ripeté la creatura. Continuava a muovere il collo, ma la testa – e quindi gli occhi – restavano puntati su Jaylah.

   «Sono aggressivi verso le persone?» chiese ancora la corsara. «Voglio dire, con quegli unghioni...».

   «Graffiano solo se provocati, e in quel caso possono conciarti male» spiegò Raav. «Perché, stai pensando di adottarlo?».

   «Beh, ci vuol poco ad accomodargli l’ala» disse la mezza Andoriana, tentata. «Dopo di che potremmo rimetterlo in libertà, appena lo Scudo sarà abbassato».

   «Potremmo, sì» convenne il Gorn. «Ti piacciono gli animali?».

   «Di questi tempi, più di tante persone» sbuffò Jaylah, osservando la sagoma dell’Istituto in lontananza. «In effetti ho sempre sognato di avere un volatile. Ma l’unico animale che ho avuto da piccola è stato un gatto. Una volta – avevo sette anni – gli alterai il DNA per fargli spuntare le ali, ma come puoi immaginare commisi qualche errore. Quando morì i miei genitori non vollero più prendere animali, temendo che facessi altri esperimenti. E da grande non ho più avuto il tempo e la voglia di prendermene uno. Comunque questo qui lo libereremo appena tornerà a volare».

   Così dicendo la mezza Andoriana si tolse la giacca, restando in maglietta. Avvoltolò l’indumento sino a farne una specie di nido e con quello si avvicinò al rapace. Un po’ di paura l’aveva, perché quegli artigli erano davvero lunghi, e anche il becco era affilato.

   «Se vuoi lo faccio io» si offrì Raav. «Le scaglie mi proteggeranno».

   «Grazie, ma credo di esserci...» disse Jaylah, con la fronte un po’ sudata. Non aveva mai usato le sue facoltà telepatiche sugli animali, ma provò a calmare la creatura. Vedendo che il falcone si agitava di meno, radunò il coraggio e lo raccolse. L’animale stridette e si mosse un poco, ma nel complesso rimase calmo. «Così, bravo» sorrise la mezza Andoriana, lieta della sua docilità. «Ti ci vuole un nome, ragazzo».

   «Ragazza, direi» corresse Raav.

   «Ah. Beh, in questo caso... ti chiamerò Goldie, per via del tuo colore. Che ne dici?».

   «Goldie, roac! Che ne dici?» ripeté la creatura, come se approvasse.

 

   Jaylah non ebbe difficoltà a riportare Goldie a casa di Raav e ad accomodarle l’ala. Anche dopo aver saldato l’osso, però, occorrevano alcuni giorni prima che la creatura tornasse a volare. Siccome non volevano lasciarla sola in casa tutto il giorno, decisero di tenerla al ristorante, in una grande gabbia. Così avrebbe fatto anche da attrattiva per i clienti. Come disse Raav, era rarissimo avere un falcone cestiano in cattività. Per nutrirla bastava qualche pezzetto di carne, avanzato dalle cucine. Non erano le lucertole a cui era abituata, ma pochi giorni di cattività non le avrebbero fatto perdere l’istinto di cacciatrice. La novità fu apprezzata dal pubblico, tanto che nei due giorni successivi parecchi clienti vennero al ristorante al solo scopo di osservare la creatura; e nel frattempo ordinarono il pasto.

   Come Jaylah sperava, anche il Legato Azel si ripresentò al locale. Prese un tavolo vicino alla gabbia, sempre accompagnato dai suoi due tirapiedi. La mezza Andoriana era pronta a sfruttare l’occasione. Si sbottonò la camicetta, evidenziando la scollatura, e fece il sorriso più smagliante che poteva. In quella guisa si presentò a prendere le ordinazioni. Come previsto, il Cardassiano si distrasse, e di quella distrazione lei si avvantaggiò per leggergli nella mente. Percepì che le trattative non erano progredite, cosa che la rallegrò.

   «Ehi, bellezza, perché non ti siedi un po’ con noi?» propose il Legato, quando lei tornò con le pietanze.

   «Le mie scuse, eccellenza, ma come vede ci sono molti clienti» si giustificò Jaylah.

   «Ma lo sai chi sono io?!» s’inorgoglì il Cardassiano. «Sono un Legato! Scommetto che non hai mai servito uno come me».

   «In effetti no» ammise la mezza Andoriana. «Ma abbia pazienza, ora devo proprio andare. Se vuole distrarsi, ammiri la nostra femmina di falcone cestiano. È uno dei pochi esemplari in cattività e tra poco dovremo liberarla».

   «È magnifica» convenne Azel, dando una rapida occhiata alla creatura in gabbia. «Ma non è il genere di pollastra che preferisco». Così dicendo allungò la mano verso Jaylah, per costringerla a sedersi sulle sue ginocchia.

   «Un’altra volta, magari» disse lei, ritraendosi prontamente. Il Legato ghermì solo l’aria e la mezza Andoriana si allontanò in fretta. Per adesso il giochetto andava a suo vantaggio, ma si disse che doveva starci attenta: i Cardassiani avevano la brutta abitudine d’incaponirsi nei loro desideri.

 

   Un paio d’ore dopo, quando la mezza Andoriana stava per smontare il turno, accadde un fatto assai più preoccupante. Un manipolo di soldati Voth entrò nel locale; il caposquadra andò dritto verso Jaylah. «S’identifichi» disse con voce dura.

   La corsara si sentì perduta. Se i sauri l’avevano riconosciuta, non poteva evitare l’arresto. E se avessero perquisito la casa di Raav avrebbero trovato la tuta da Banshee, svelando la sua identità e incriminando anche il vecchio Gorn. «Mi chiamo Mala, lavoro qui part-time» disse con un filo di voce. Per i Voth era fin troppo facile controllare l’archivio civico e i registri dell’immigrazione, appurando che lei non era nata lì, e non era nemmeno giunta di recente.

   «Ehi, lasciatela in pace!» intervenne Raav. «Se avete problemi, parlate con me: sono il proprietario del locale».

   Inaspettatamente i Voth fecero proprio così: lasciarono perdere Jaylah e si concentrarono su di lui. «Lei è Raav?» chiese il caposquadra.

   «Lo sono da una vita» ironizzò il Gorn.

   «E ieri ha introdotto quell’animale nell’edificio?» chiese il Voth, indicando il falcone.

   «Beh, sì. Che problema c’è? Le guardie all’ingresso mi hanno permesso di portarlo dentro».

   «Il Colonnello Corythos è appassionato di specie esotiche e vorrebbe acquistarlo» disse a sorpresa il caposquadra. «È disposto a pagare cinquemila crediti dell’Unione».

   Raav sgranò gli occhi; non si aspettava quella richiesta. Si chiese se fosse una scusa per tramare qualcosa, ma concluse di no. Se i Voth sospettavano di lui e Jaylah li avrebbero senz’altro arrestati; non avevano bisogno d’inventare scuse. Quanto al desiderio d’accaparrarsi bestie esotiche, non era poi così strano, per gente ricca e viziata come i Voth. Cinquemila crediti erano tanti, ma non tantissimi, se confrontati con le cifre da capogiro che alcuni collezionisti erano disposti a versare.

   «Ebbene?» chiese il Voth, infastidito dal prolungato silenzio del cuoco.

   «Io, ehm, sono stupito, tutto qui» farfugliò Raav. «Ho trovato quella bestiola due giorni fa, mentre passeggiavo in periferia. Aveva un’ala spezzata, quindi gliel’ho accomodata. Pensavo di rimetterla in libertà, appena sarà guarita».

   Jaylah notò che Raav aveva parlato al singolare, per distogliere l’attenzione da lei.

   «Non c’interessa la storia, vogliamo solo sapere se ci vende la creatura» tagliò corto il caposquadra.

   «Beh, come vi ho detto, non l’ho acquistata, quindi non so se posso considerarla mia...» si cautelò il cuoco. «Ora che ci penso, credo rientri tra le specie protette, quindi devo liberarla appena tornerà a volare».

   «La solita burocrazia!» sbuffò il Voth. «Senta, se teme di violare qualche legge, il Colonnello scriverà due righe per metterla al riparo dai guai».

   Raav pensò che considerarsi al disopra della legge era tipico dei Voth. E nell’attuale situazione potevano permetterselo. Non volendo attirare la loro attenzione, decise di accontentarli. Gli dispiaceva per l’animale, che non era fatto per stare a lungo in cattività; ma non poteva certo anteporlo alla sicurezza di Jaylah. «Quand’è così... prendetela, è vostra» disse con aria noncurante.

   «Oh, finalmente!» esclamò il caposquadra, che non amava perdere tempo dietro ai capricci del suo Colonnello. «I crediti le saranno versati sul conto entro oggi. Grazie della collaborazione, buona giornata».

   «Buongiorno a voi» disse Raav. Si fece indietro, mentre i soldati prendevano la gabbia. Il falcone, che fino a quel momento aveva dormito con la testa ripiegata sotto un’ala, si svegliò e lanciò uno strillo spaccatimpani. Prese ad agitarsi nella gabbia, perdendo penne e stridendo in modo insopportabile.

   «Urgh... ma fa sempre così?!» fece il caposquadra, turandosi i fori delle orecchie.

   «Finora mai» rispose onestamente Raav. «Forse non gli piace cambiare aria».

   «Che bestiaccia! Il Colonnello dovrà insonorizzare la gabbia» disse il Voth, e se ne andò con gli altri, mentre la povera bestia strepitava come se la stessero spennando. Parecchi clienti li seguirono con lo sguardo, stupiti e infastiditi dal chiasso.

   Andati che furono i Voth, Jaylah si accostò a Raav. «Credi che sospettino qualcosa?» sussurrò.

   «Penso di no. Non gli serviva questa messinscena, per indagare su di noi» rispose il Gorn. «Comunque cerca di non dare nell’occhio, neanche col tuo ammiratore cardassiano».

   «Ah ah, spiritoso».

   «Non sto scherzando» disse Raav. «Quel marpione è passato qui mentre non c’eri e ha chiesto di te: voleva sapere dove abiti. Gli ho detto che non lo so, dal momento che ti ho appena assunta. So che gli stai intorno per carpire informazioni, ma sta’ attenta. Quando i Voth si sono incapricciati del falcone, gliel’ho dato e la cosa è finita lì. Non vorrei che quel Cardassiano s’incapricciasse di te, perché in quel caso sarà più difficile da sistemare».

   «Ricevuto» sospirò Jaylah. Quella missione di spionaggio diventava sempre più complicata.

 

   Nei due giorni successivi la mezza Andoriana continuò a spiare i negoziati, che parevano giunti a un punto morto. Alcune specie avevano moderato le loro richieste, ma i Cardassiani e i Gorn restavano arroccati sulle loro posizioni. I Gorn, in particolare, davano segni d’impazienza e sembravano sul punto di abbandonare il summit. Nell’ultima riunione Corythos faticò parecchio a trattenerli. Dovette promettere di consultarsi con l’Ammiraglio Hadron, per convincerlo ad accogliere le loro richieste.

   La Banshee fu tentata di restare a spiare quella conversazione. Ma si accorse che anche stavolta era passato troppo tempo: trattenersi aumentava di molto le probabilità d’essere rilevata. E siccome di rischi ne stava già correndo fin troppi, decise di non prendersene altri. Lasciò la sala riunioni e poi l’Istituto, tornando a casa di Raav. Qui si tolse la tuta, riprendendo i panni di Mala.

   Di lì a poco anche il Gorn, finito il suo turno, rincasò. «Allora, com’è andata oggi?» chiese.

   Jaylah gli riferì la situazione. «Raugh sembra davvero sul punto di andarsene» disse. «Se domani Corythos non avrà risposte soddisfacenti, lo farà senz’altro. A quel punto è probabile che anche i Sauriani e i Selay se ne vadano. Però mi preoccupano le altre specie. Quelle sembrano interessate ad andare avanti».

   «E i Cardassiani?» chiese Raav, sapendo che erano i più pericolosi.

   «Le loro richieste sono immutate e Corythos continua a cincischiare, ma siccome sono più pazienti dei Gorn, restano al tavolo delle trattative» spiegò Jaylah. «Tutto dipende da domani. Se i Voth accetteranno le richieste del tuo popolo, sarà la catastrofe. Dovrei sabotare i negoziati, ma da sola non credo di riuscirci. E anche se torno sulla Stella, non possiamo fare nulla finché lo Scudo Cittadino è attivo. Non so, potrei metterlo fuori uso... ma a quel punto i Voth chiamerebbero la Nave Bastione in soccorso».

   «Brutta situazione! Cosa conti di fare?».

   «Prima di decidere, devo vedere cosa accadrà domani» rispose Jaylah. «Se i Gorn se ne vanno, resterò in osservazione qualche altro giorno, per vedere come procede coi Cardassiani. Ma se il tuo popolo resta, penso che tornerò sulla Stella a riferire. In quel caso potremmo non rivederci per molto tempo».

   «Intendi mai più?» chiese Raav.

   «Beh, no...».

   «Se tu e i corsari deciderete di colpire l’Istituto, spero ricorderete che ci lavorano molte persone innocenti, incluso il sottoscritto» disse il Gorn, indicandosi con una delle tozze dita artigliate.

   «Non bombarderemo, hai la mia parola» s’impegnò Jaylah. «Qualcosa però dovremo fare» aggiunse tra sé. Doveva discuterne con Jack e il resto della ciurma.

   In quella la luce proveniente dalla finestra fu parzialmente oscurata e si udì un suono picchettante. Il Gorn e la mezza Andoriana sobbalzarono, poi si girarono a guardare. Un grosso volatile dal piumaggio dorato si agitava davanti al cristallo infrangibile, battendovi sopra con il becco.

   «Non è possibile» mormorò Jaylah. «È Goldie? I Voth l’avevano portata via!». Fece per aprire la finestra.

   «Aspetta, vado io. Tu nasconditi, finché non avrò accertato che è davvero lei» disse Raav. In effetti, tra ologrammi e droni di sorveglianza non si poteva essere sicuri di niente. La corsara corse in cantina, dove indossò la tuta occultante, pronta ad attivarla in caso di bisogno. Il cuoco aprì la finestra, lasciando entrare il falcone: sembrava proprio Goldie, tanto che volò subito sul trespolo che le avevano preparato il primo giorno. Raav trasse da un cassetto un tricorder che si era portato dall’Enterprise e l’analizzò a fondo, per accertarsi che non fosse un simulacro. Non lo era.

   «È tutto a posto, puoi venire!» chiamò. «Questa è proprio la nostra Goldie. E non ha nemmeno tecnologia nascosta».

   «Mi chiedo perché sia tornata» disse Jaylah, risalendo dalla cantina.

   «Sembrava che i Voth non le piacessero. Forse ha approfittato del momento in cui la trasferivano in un’altra gabbia per involarsi da una finestra» ipotizzò Raav.

   «Mi dispiace, ma credo che dovrai restituirgliela» disse la mezza Andoriana, carezzando la creatura. «In fondo ti hanno pagato per averla. Se vedono che è di nuovo qui, potrebbero accusarti di truffa».

   «Con tutti i problemi che abbiamo, sarebbe il colmo!» sbuffò il Gorn. «Non bastavano gli ambasciatori alieni a combinare guai... ora ti ci metti anche tu» disse, rivolto al falcone.

   «Ambasciatori combinaguai, roac!» stridette la creatura. «Servono misure drastiche!».

   «Ehi, questo non l’ho detto» si stupì Raav.

   Udendo quelle parole, Jaylah drizzò le antenne. «Aspetta... hai detto che questi animali sono dei registratori naturali, specialmente nei momenti di stress. E credo che Goldie fosse molto stressata, nel tempo che ha trascorso con Corythos».

   «Vuoi dire che...».

   «Potrebbe aver ascoltato la conversazione tra lui e Hadron. Se è così, voglio saperla» disse la mezza Andoriana, lisciandole le penne. «Cara Goldie... non è che hai sentito qualcos’altro d’interessante?».

   «Che vuoi fare, una Fusione Mentale?» chiese il Gorn.

   «È impossibile con gli animali... anche se da quello che hai detto, questi falconi sono molto intelligenti».

   «Potrebbero essere la specie nativa più sveglia del pianeta, ma in ogni caso non sono come noi» precisò Raav.

   «Credo che dobbiamo stimolarla, ripetendo alcune delle parole che ha sentito» disse Jaylah. «Parole come... ambasciatori. Misure drastiche. Gorn. Cardassiani. Trattative». Distanziò bene le parole, mentre le pronunciava, e cercò persino d’imitare il tono di Corythos.

   «Trattative, roac! Non portano a niente!» strillò Goldie. «Bisogna scuotere questa gentaglia!».

   «Scuoterla come? Che hanno in mente di fare?!» chiese Raav, dimenticando per un attimo che non poteva farle domande e aspettarsi una risposta sensata.

   «Roac! Furbi del pianeta!».

   «Che dice?!».

   «Niente, è la prima frase che ha imparato quando l’abbiamo raccolta» sospirò Jaylah. «Dobbiamo rinfrescarle la memoria». Andò in cucina e prese alcuni pezzetti di carne. «Fa’ la brava, Goldie... dicci le parole. Le trattative non portano a niente. Bisogna scuotere questa gentaglia» disse, ripetendo le parole già rivelate dall’animale.

   «Loro non sapranno, roac! Daranno la colpa ai federali!».

   A queste parole, Jaylah si bloccò per un attimo. Il pennuto ne approfittò per ingollare un pezzetto di carne.

   «Colpa di cosa? Che succederà con le trattative?» incalzò la corsara. Prese un altro boccone tra le dita, ma lo tenne fuori portata. «Ambasciatori, trattative. Loro non sapranno, daranno la colpa ai federali» ripeté, sperando di sbloccare qualche altra frase.

   «Loro non sapranno che la Avalon è nostra. Roac! Vorranno vendicarsi. Peccato, mi piaceva questa città!». A forza di allungare il collo, il falcone riuscì a prendere la ricompensa dalle dita della corsara.

   «Aspetta, sta dicendo che distruggeranno la città?!» si allarmò Raav. «E perché? Insomma, chi sono “loro”?».

   «Credo che il soggetto delle frasi siano i Gorn. Sono loro i “combinaguai” che vogliono abbandonare il negoziato» ragionò Jaylah. «Sappiamo che i Voth vogliono trattenerli, anche per evitare l’effetto domino sulle altre specie. Perciò hanno deciso di adottare “misure drastiche”. Vogliono “scuoterli” in qualche modo».

   «Non è facile scuotere la mia gente» disse Raav, a disagio. «Com’era quel discorso sulla vendetta e la città distrutta?».

   «Vorranno vendicarsi. Peccato, mi piaceva questa città» ripeté Jaylah, che aveva una memoria fotografica. «Sembra che i Voth vogliano fare qualcosa di terribile... un gesto dimostrativo che scuoterà i Gorn, anzi li indurrà a vendicarsi. Daranno la colpa ai federali».

   «Vediamo se ho capito: i Voth distruggeranno la città e ne incolperanno i federali» disse Raav, sempre più allarmato. «Ma come la distruggeranno? Ci servono indizi!».

   «C’era un’altra frase... riguardava la Avalon» disse Jaylah, prendendo un altro bocconcino. «So che è un’astronave federale. Astronave Avalon» ripeté, per indurre il falcone a spifferare qualcos’altro.

   «Roac! Loro non sapranno che la Avalon è nostra. Daranno la colpa ai federali. Vorranno vendicarsi, roac!». Anche il terzo boccone sparì nella gola del rapace che, ormai sazio, mise la testa sotto l’ala e si addormentò.

   «Oh, frell» imprecò Jaylah. «Hai capito? La Avalon è una nave della Flotta, o lo era. La vidi all’inizio della guerra, quando ci fu l’adunata a Kronos. L’ultima volta che ne ho sentito parlare era dalle parti di Bellatrix, quindi non lontano da qui. Ma Hadron – le parole devono essere sue – ha detto che la nave è in mano loro. Significa che i Voth l’hanno conquistata di recente e la notizia non è ancora trapelata. La useranno per bombardare questa città... e allora sì che sarà facile incolpare i federali!».

   «Ma gli ambasciatori...».

   «Corythos non può avvisarli, per non smascherarsi».

   «Quindi moriranno» concluse Raav.

   «Temo proprio di sì. Del resto non erano molto concilianti» notò Jaylah. «Naturalmente Corythos e gli altri Voth si metteranno in salvo prima del bombardamento. A cose fatte la Avalon se ne andrà, prima che arrivino le navi degli ambasciatori. Dai sensori risulterà che era una nave della Flotta, non dei Pacificatori, e infatti solo la Flotta ha interesse a impedire questo negoziato. Ma i Gorn non lasceranno impunito l’affronto. Manderanno altri delegati a incontrare i Voth in un luogo più sicuro, e stavolta saranno motivati a firmare. Gli altri rettili li seguiranno a ruota. Entreranno nella Lega per punire la Federazione di un attacco che, in realtà, è stato orchestrato dai Voth».

   «Diabolico!» rabbrividì Raav. «Come li fermiamo? Non possiamo semplicemente andare dagli ambasciatori e spiattellargli tutto. Non ci crederebbero e ci farebbero arrestare. Devi tornare sulla Stella e avvertire i tuoi soci».

   «La Avalon è una nave potente... la Stella non può affrontarla da sola» ammise la corsara. «L’unico modo d’impedire l’attentato è trattenere Corythos, e questo può farlo solo la Banshee». Come al solito, Jaylah parlava della sua alter-ego in terza persona.

   «Ne sei certa? Se i Voth sono determinati ad andare sino in fondo, potrebbero anche sacrificare il loro Colonnello» avvertì il Gorn. «E comunque, se ti riveli ti troverai assediata. Non resisterai a lungo».

   «Non serve che lo faccia» disse la mezza Andoriana. «Dobbiamo resistere solo finché le navi dei rettili rileveranno il pericolo e verranno a salvare i loro ambasciatori. A quel punto la Avalon sarà in svantaggio e dovrà andarsene. La Nave Bastione dei Voth non potrà far niente, perché altrimenti il loro piano verrebbe a galla. Ma ci penserò io a informare gli ambasciatori».

   «In tutto questo, chi informerà la Stella della situazione?».

   «Tu, e lo farai solo quando arriverà la Avalon. Non prima, perché questo indurrebbe i Voth a cambiare i piani».

   «Così però c’è un rischio» notò Raav. «Se la Avalon è appena caduta in mano al nemico e la notizia non è ancora trapelata, i tuoi soci potrebbero cadere nel tranello e uscire dall’occultamento, contando sul suo aiuto».

   «Jack non è così avventato» disse Jaylah, sebbene il timore la sfiorasse. «Comunque tu invierai il messaggio appena comparirà la Avalon. Dopo di che...» la sua voce si smorzò.

   «Dopo di che sarò un bersaglio per Voth e Pacificatori» concluse il vecchio Gorn.

   «No, è un rischio troppo grosso. Troveremo un altro modo» disse la corsara.

   «Non c’è» sospirò Raav. «Se avvisiamo la Stella in anticipo, è facile che i Voth c’intercettino e cambino piano. Se d’altro canto non avvisiamo affatto i tuoi soci, il complotto andrà a buon fine. E se tu attacchi l’Istituto senza un briciolo di copertura, sei spacciata. No, dobbiamo fare le cose al momento giusto».

   «Quando ho chiesto il tuo aiuto, non volevo portarti a questo» disse Jaylah. «Perdonami se sono piombata in casa tua, stravolgendoti la vita e mettendoti in pericolo».

   «Ero già in pericolo, senza saperlo» obiettò Raav. «Se tu non fossi giunta a indagare, i Voth avrebbero compiuto l’attentato indisturbati e io sarei morto assieme agli altri. Così, almeno, ho una possibilità di cavarmela».

   «Mi fai sembrare nobile, ma io sto in pena lo stesso» insisté la mezza Andoriana.

   «Non devi» disse il Gorn. «Fa’ la tua parte, figliola, e io farò la mia. Grande Suchos, non permetterò che questi mangiafoglie dei Voth attirino la mia gente nella loro guerra!» disse, facendo balenare i denti da carnivoro.

 

   
 
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