Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Capitolo 5: L’Emissario

 

   L’operazione Tempesta di Pace cominciò con l’assalto alla New Frontier. Anziché dividersi in schieramenti, Pacificatori e Breen avevano mischiato le loro navi, formando un fronte unico. La loro formazione d’attacco a mezzaluna sembrava una bocca famelica, pronta a richiudersi sulla stazione spaziale. Ma la New Frontier era un osso duro da digerire.

   Ilia tenne le sue forze radunate ad alcune migliaia di km dalla stazione, con l’intento di prendere i nemici nel mezzo. Ma le navi della Flotta Stellare erano appena un centinaio: poche per quella strategia. I Bajoriani contribuivano con appena venticinque navi e altrettanto facevano i Cardassiani; il resto delle loro forze proteggeva Bajor, nel caso in cui il nemico inviasse distaccamenti ad attaccarlo. Così le 150 astronavi federali si videro venire contro una flotta cinque volte più numerosa.

   Nel suo ufficio sulla Terra, la Presidente Rangda si spaparanzò sulla poltrona, sorseggiando la sua tisana di erbe preferita, mentre osservava la battaglia dall’oloschermo. La Zakdorn adorava vedere le sue armate che spazzavano via i ribelli. E le vittorie, in quel primo anno di guerra, si erano succedute con rassicurante regolarità. Considerando il vantaggio numerico, la Presidente era certa di assistere all’ennesimo trionfo.

 

   Protetta dall’occultamento, la navicella federale imboccò il Tunnel Spaziale. Superato il vortice dell’ingresso si trovò in una lucente galleria, con le pareti azzurre attraversate da fasci di verteroni che lo mantenevano stabile. A una normale navetta bastavano trenta secondi per percorrerlo nella sua interezza. La Gryphon era dentro da dieci, quando Vasa entrò in cabina. «Fermate la navicella» ordinò ai piloti.

   «Perché?» chiese uno di loro, voltandosi a mezzo.

   «Voglio aprire la teca e invocare l’aiuto dei Profeti» spiegò l’archeologa.

   «Finora non ce l’hanno dato» bofonchiò il pilota. Era Bajoriano, come il suo collega e le guardie, dato che venivano tutti dal personale di Deep Space Nine. Ma la loro fede nei Profeti era scalfita dagli ultimi eventi, soprattutto dall’incendio che era costato la vita a Shakaar.

   «Siamo attesi a New Bajor. L’ordine è di raggiungerlo al più presto» ricordò il copilota.

   «I Pacificatori stanno attaccando la New Frontier. Se prevarranno, com’è probabile, assumeranno il controllo del Tunnel. Dobbiamo fare un ultimo tentativo, finché possiamo» insisté Vasa.

   In quella la navicella sbucò nel Quadrante Gamma. Il Tunnel le vorticò dietro e si richiuse in un lampo. Anziché procedere verso la destinazione, i piloti si fermarono lì. «Passeremo dei guai per questo» disse il copilota, guardando di sottecchi il collega.

   «Anche se i Profeti ci ascoltassero, che si aspetta che facciano?» chiese il pilota.

   «Non so rispondervi... ma so che altre volte ci hanno salvati dal disastro» disse Vasa, con foga. «Pensate a quando distrussero la flotta del Dominio!».

   «In quel caso fu l’Emissario a intercedere per noi» obiettò l’altro.

   «Abbiamo qui il suo Cristallo!» insisté l’archeologa.

   «Le guardie...».

   «Le ho già convinte. Mancate solo voi» rivelò Vasa. «Avanti... non possiamo andarcene senza tentare. Lo dobbiamo a quelli che sono rimasti a combattere».

   «E va bene, dottoressa» cedette il pilota. «Faccia il suo tentativo. Le do un’ora». Girò la Gryphon e la diresse di nuovo nel Tunnel Spaziale. Ancora una volta la navicella percorse la galleria splendente di luce e particelle esotiche, punto di contatto fra l’Universo materiale e il piano etereo dei Profeti. Stavolta però si fermò a metà strada e rimase a galleggiare in assenza di gravità.

   «Grazie» mormorò Vasa, e lasciò la cabina. Tornò nella sezione mediana della navicella, dove si trovavano il Cristallo e i sorveglianti. «Hanno accettato» disse. «Ora devo chiedervi di lasciarmi. Aspettate in cabina».

   «Non dovremmo perderlo di vista...» obiettò una guardia, accennando al Cristallo che pur chiuso nella teca lasciava trapelare luce azzurra.

   «Vi prego. L’incontro coi Profeti esige raccoglimento» insisté l’archeologa.

   Le guardie si scambiarono uno sguardo rassegnato. Avevano già violato gli ordini; tanto valeva andare fino in fondo. Si recarono in cabina, lasciando Vasa sola con il Cristallo.

   Per prima cosa l’archeologa spense il carrello a levitazione su cui era posta la teca, facendolo adagiare sul pavimento. Dopo di che gli sedette davanti a gambe incrociate. Nel mettere mano alle ante, si accorse di tremare per la tensione. Non aveva mai interrogato un Cristallo dei Profeti, sebbene molti glielo avessero consigliato, dopo la terribile esperienza con Kosst Amojan. La verità era che non si sentiva degna, dopo ciò che aveva fatto sotto l’influsso del Maligno. Ma ora non aveva scelta. Aprì le ante e la luce azzurra si riverberò sul suo volto.

 

   La prima avvisaglia che le cose non sarebbero andate secondo i piani fu una serie di potenti esplosioni che investirono l’avanguardia degli assalitori. Le astronavi sussultarono per i colpi e alcune sbandarono, danneggiate.

   «Massima energia agli scudi anteriori» ordinò Radek, sentendo il Moloch che tremava come mai prima d’ora. «Cos’è che ci colpisce?».

   «Mine spaziali, Capitano» disse l’Ufficiale Tattico. «Di tipo XII, a giudicare dalla potenza».

   «Scansione anti-occultamento» ordinò il Rigeliano, sperando che non circondassero completamente la stazione.

   «Negativo, i sensori non penetrano la schermatura» riferì l’addetto.

   «Aprite il fuoco, massima dispersione. Dobbiamo aprirci un varco». Radek vide i raggi del Moloch unirsi a quelli delle altre navi: migliaia di bagliori solcarono lo spazio. Eppure non ci furono esplosioni davanti a loro. Le mine però c’erano e continuavano a colpire le astronavi, indebolendone gli scudi. I vascelli Breen, che avevano schermi più deboli, furono colpiti duramente: molti dovettero fermarsi e alcuni esplosero in fiamme, scombinando la formazione.

   «Perché non colpiamo le mine?» s’incupì Radek.

   «Credo che sfruttino l’Occultamento Sfasato» disse l’Ufficiale Scientifico. «Ne escono solo all’ultimo momento».

   «Aprire un canale con l’ammiraglia» ordinò subito il Rigeliano. «Capitano Radek a Takiah, consiglio di ritirarci, finché non riusciremo a individuare le mine».

   «Messaggio alla Flotta: l’Ammiraglio Vidkung ordina di proseguire l’attacco» riferì però l’addetto alle comunicazioni.

   «Frell» imprecò Radek. Era tipico di quel leccapiedi, seguire pedissequamente gli ordini di Rangda, anche quando costavano cari. D’altro canto, fermarsi ora era rischioso: il nemico poteva attaccarli durante la ritirata.

   Le navi danneggiate e quelle semidistrutte restarono indietro, ma ce n’erano ancora centinaia pronte a dare battaglia. La flotta proseguì l’attacco, come un’onda irresistibile, finché giunse a distanza di tiro. Sulla New Frontier, come sulle astronavi dei due schieramenti, fu impartito lo stesso ordine: «Fuoco a volontà».

 

   Lo spazio si riempì di raggi letali e siluri. La New Frontier rovesciò la sua immensa potenza di fuoco sul nemico, mentre i suoi scudi assorbivano la gragnola di colpi. Gran parte delle armi era diretta da sistemi automatici, più rapidi di qualunque artigliere nel seguire i movimenti dei vascelli nemici. Questi però avevano il vantaggio del numero e della mobilità: dopo un passaggio ravvicinato potevano ritrarsi e rigenerare gli scudi, mentre un’altra ondata partiva all’attacco. Quando tutti i ranghi avevano attaccato, in successione, i primi avevano ormai ripristinato le difese e potevano ricominciare. La stazione invece restava a fare da bersaglio: per quanto i suoi scudi fossero auto-rigeneranti, l’attacco continuo li indeboliva. I Pacificatori concentrarono il fuoco sul modulo centrale. Migliaia di raggi e di siluri lo bersagliarono, indebolendone le difese, come onde che consumano uno scoglio.

   A poche migliaia di chilometri, le navi federali ingaggiarono una lotta serrata con Pacificatori e Breen. Secondo gli ordini di Ilia, si concentrarono in particolare su questi ultimi, che avevano scudi più deboli. Le loro navi asimmetriche furono bersagliate sia mentre attaccavano, sia mentre cercavano di ritirarsi, mentre quelle dei Pacificatori al loro fianco erano quasi ignorate. Sulla sua ammiraglia, tenuta prudentemente in retrovia, Thot Rong notò la strategia della Flotta. Il casco della tuta gli trasmise gli aggiornamenti: dieci navi distrutte... venti... trenta.

   Vedendo che un gran numero di vascelli nemici si era incanalato tra la loro flotta e la stazione, Ilia decise che era il momento di far scattare la trappola. Al suo ordine, le navi federali si accostarono alla New Frontier, schiacciando i nemici nel mezzo. Un centinaio di navi attaccanti si trovò preso nel fuoco incrociato e ben presto fu ridotto a mal partito. Alcune astronavi si ritirarono, riunendosi al grosso della flotta; ma altre si trovarono con i motori fuori uso. Ai Capitani non restò che ordinare l’evacuazione. Centinaia di navette e capsule di salvataggio lasciarono le astronavi condannate. La Flotta Stellare, come suo solito, permise loro di andarsene. I vascelli però furono colpiti implacabilmente, per impedire che il nemico potesse recuperarli e rimetterli in sesto. Immani esplosioni punteggiarono lo spazio e i detriti si sparsero nella Cintura di Denorios.

   A manovra ultimata, le navi della Flotta Stellare si trovarono affiancate alla New Frontier. E qui si accorsero d’essere finite loro in trappola. Il nemico aveva forze così preponderanti che, pur con le perdite subite, poteva ancora accerchiarli. E così fece. La stazione e la flotta furono circondate da Breen e Pacificatori, più decisi che mai a distruggerle. Le navi federali, che combattevano ormai da tempo, accumulavano danni. Gli avversari invece erano ancora abbastanza numerosi da potersi dare il cambio, quando gli scudi s’indebolivano. La mattanza fu inevitabile. Quando una nave della Flotta era disabilitata e il suo equipaggio fuggiva, i Pacificatori si astenevano dall’infierire; ma i Breen non avevano gli stessi scrupoli.

   Per ordine di Thot Rong, che vedeva le sue perdite sempre superiori a quelle dei Pacificatori, i federali in fuga divennero bersagli. Le loro navette e capsule furono inseguite e distrutte per la maggior parte. Solo quelle che superarono le mine occultate riuscirono a mettersi in salvo. Nel frattempo i Pacificatori stringevano il cerchio attorno alla New Frontier, i cui scudi vacillavano.

   In quel marasma di assalti, esplosioni e inseguimenti, due navi si cercavano, senza perdere tempo con altri avversari. La Keter e il Moloch si erano sfidati per un anno, e ogni volta la nave ribelle era sfuggita a quella lealista. Ora non più. Sbucando dall’esplosione della nave Breen che aveva appena distrutto, la Keter assalì il Moloch, tempestandolo di colpi sul dorso. Il vascello dei Pacificatori reagì prontamente con le sue armi, simili a quelle nemiche, ma più numerose.

   Le due astronavi intrecciarono una danza mortale fatta di manovre evasive, finte ritirate e assalti furiosi. Ignorando il resto della battaglia, si concentrarono unicamente una sull’altra. Oltre ad avere la stessa formazione nella Flotta, Hod e Radek si conoscevano così bene che riuscivano ad anticipare le rispettive mosse. Lo scontro sarebbe stato equilibrato, se non fosse che il Moloch era nettamente superiore alla Keter. Terry cercò di abbattere le raffiche di siluri prima che giungessero a bersaglio, ma non era abbastanza. Allora Vrel diresse la Keter in un sorvolo ravvicinato della New Frontier, così che questa potesse aiutarli.

   I vascelli si affrontarono attorno alla stazione, che con la sua alternanza di pieni e vuoti offriva molte possibilità. S’inseguirono attorno al modulo centrale, si scambiarono colpi intorno all’anello d’attracco e sgusciarono tra i piloni per sfuggire al fuoco nemico, facendo attenzione a non urtare lo scudo energetico che aderiva alla stazione. Intanto la New Frontier continuava a bersagliare il Moloch, mettendone a dura prova gli scudi. Per quanto fosse la nave più potente dell’Unione, il vascello scuro aveva incassato una quantità spaventosa di colpi e i suoi scudi si erano molto indeboliti. Ma Radek non voleva arrendersi: vedeva la Keter che gli volteggiava davanti, evitando metà dei colpi, e sapeva che mancava poco per finirla. Così le due astronavi continuarono a colpirsi selvaggiamente, mentre attorno a loro, tra fuoco e stragi, si consumava la tragedia della Guerra Civile.

 

   Nel raccoglimento offerto dalla navicella, Vasa sedeva davanti al Cristallo dell’Emissario. Si era quasi abbagliata a forza di ficcare gli occhi nella sua luce, eppure non aveva avuto alcuna visione. Ad ogni momento lo sconforto cresceva in lei. Là fuori, migliaia di persone stavano morendo nel tentativo – eroico ma inutile – di arrestare la marea nemica. Lì nel Tunnel, i Profeti assistevano senza intervenire. E lei, che aveva il privilegio d’essere lì col Cristallo dell’Emissario, non riusciva a contattarli. «È colpa mia? O sono loro che non vogliono parlare?» si chiese, divorata dall’angoscia.

   «Potete sentirmi?» chiese, con le lacrime agli occhi. «Sono Agni Vasa e ho passato la vita a studiare i vostri Cristalli. Sono anche la moglie di Modro, l’erede del vostro Emissario» aggiunse con voce tremante. «Sei anni fa sono caduta in potere del Maligno e ho fatto cose orribili. Da allora sto cercando d’espiare, anche se finora non avevo osato interpellarvi. Poche ore fa ho tentato di distruggere il Cristallo di Fuoco, ma ho fallito, e tre uomini sono morti. Altre vittime sulla mia coscienza» disse, stropicciandosi le mani.

   «Ora sono qui, a implorare il vostro aiuto» riprese la Bajoriana. «L’Unione Galattica, che un tempo era nostra amica, ha inviato i Pacificatori a sottometterci. Mio marito è dalla loro parte. La Flotta sta provando a fermarli, ma non può riuscire. E tutta questa violenza non fa che rafforzare Kosst Amojan. La vostra parola, invece, non si ode più. Ci avete dimenticati? Avete smesso di amarci? Non vorrei crederlo, eppure... sono qui nel vostro Tempio, col Cristallo dell’Emissario, e non mi sono mai sentita così sola. Perché ci avete abbandonati? Perché mi avete abbandonata?!».

   Al colmo della disperazione, l’archeologa si portò le mani al volto, soffocando i singhiozzi. Avendo gli occhi coperti, non vide il lampo del Cristallo. Ma udì un suono ritmico, simile alle pulsazioni di un cuore. E avvertì una mano che le si posava dolcemente sulla spalla.

   «Non sei sola. Alzati» le disse una voce rassicurante.

   La Bajoriana si scoprì il volto. Non era più nel comparto della navicella, bensì sulla balconata di Deep Space Nine, dove spesso si soffermava a guardare le stelle. Accanto a lei c’era un uomo di carnagione scura, calvo ma con una corta barba nera sul mento. Indossava un’uniforme della Flotta Stellare d’altri tempi. Lo riconobbe all’istante, per averne visto il volto in centinaia d’immagini: era Benjamin Lafayette Sisko, l’Emissario dei Profeti.

   «Emissario! Siete davvero voi?!» gemette Vasa, scattando in piedi.

   «Hai il mio Cristallo e sei legata alla mia famiglia... quindi sì, ho pensato di doverti parlare» confermò Sisko, con un sorriso incoraggiante.

   «Oh, Emissario... temevo di non essere degna» confessò Vasa, inginocchiandosi.

   «No!» disse subito Sisko, prendendola per mano e inducendola a rialzarsi. «Non farlo mai. E non credere neanche per un istante d’essere indegna».

   «G-grazie» disse Vasa, tremando per l’emozione. «Emissario, sapete cosa accade in questo momento?».

   «Sì, purtroppo» si rabbuiò l’ex Capitano. «La Guerra Civile infuria e Bajor è sotto attacco. Conosco ogni cosa».

   «Quindi sapete anche di...».

   «Modro? Sì» disse Sisko, ancora più cupo. «Crede di seguire le mie orme, e non sa verso quale abisso si dirige».

   «Potete salvarlo?».

   «Non senza la sua collaborazione» rispose l’Emissario. «Ma non è questa la faccenda più pressante, dico bene?».

   «I Pacificatori e i Breen stanno per impadronirsi del sistema. Potete fermarli?».

   «Non è così semplice» sospirò Sisko. «Il dottor Smirnov non ti ha riferito per intero gli avvertimenti dei Profeti, vero?».

   «Juri? Perché, cos’altro gli hanno detto?».

   «Non possiamo vincere la guerra per voi» rivelò un Bajoriano che sembrava apparso dal nulla. Era Shakaar.

   «Colonnello? Lei è morto!» si stupì Vasa. «Ah, capisco... siete un Profeta» si corresse. Accanto a lei ne apparvero altri, tutti con le sembianze di persone viste di recente: Juri, Odo, il Ministro Parva, alcuni colleghi della squadra scientifica. Mancava solo Modro.

   «V’imploro, nobili Profeti. Aiutateci a salvare Bajor» disse l’archeologa. «Se non dai Pacificatori, almeno da Kosst Amojan».

   «Vuoi violare le regole del gioco» l’ammonì il finto Ministro.

   «Il gioco? Volete dire la vita? La realtà?» chiese Vasa, ricordando che in certe occasioni i Profeti si erano espressi in questi termini. «Ma Kosst Amojan non si fa problemi a violare le regole! E non era come voi, un tempo? Non lo avete scacciato dal Tempio Celeste? Dunque siete responsabili delle sue azioni».

   «Se affrontiamo il Maligno, ci sarà un prezzo da pagare» avvertì il finto Odo.

   «Anche per te» aggiunse il finto Juri.

   «Io?» fece Vasa, smarrita. «Quale prezzo?».

   I Profeti non risposero.

   «Non importa» disse la Bajoriana. «Pagherò qualunque prezzo, in cambio del vostro aiuto».

   «Pensaci bene» l’avvertì Sisko, che sembrava sapere di che si trattava. «Potresti cambiare idea».

   «Mentre la mia gente muore? Non credo» rispose Vasa, sostenendo il suo sguardo. «Fate ciò che è necessario. Quando verrà il momento, pagherò fino in fondo».

   «Così sia» disse solennemente il finto Shakaar.

   Ci fu un lampo bianco e Vasa si ritrovò nel comparto della Gryphon. Il Cristallo dell’Emissario scintillava davanti a lei. La Bajoriana sbatté gli occhi, cercando di raccapezzarsi. I Profeti avevano promesso d’intervenire, ma non le avevano detto come. Né l’avevano istruita sul da farsi. Adesso doveva portare il Cristallo a New Bajor, oppure riportarlo indietro? In mancanza d’indicazioni, pensò di attenersi al piano di volo. Stava per richiudere la teca, quando la reliquia tornò a brillare.

   L’archeologa arretrò in fretta, quasi aspettandosi un’altra visione. Ma non fu così. La luce azzurra del Cristallo salì a formare una specie di mandorla, alta fin quasi al soffitto. Vasa si fece scudo con la mano, per non esserne abbagliata. Quando i suoi occhi si furono abituati, riuscì a spingere lo sguardo nel biancore al centro della mandorla. E vide qualcosa prendere forma al suo interno. Una figura umanoide si stagliò contro la luce.

 

   Dopo un’ora di bombardamento incessante da tutte le direzioni, gli scudi della New Frontier cedettero. I raggi disgregatori dei Breen e quelli anti-polaronici dei Pacificatori tracciarono scie di fuoco sullo scafo. I siluri aprirono squarci da cui uscì l’atmosfera, talora trascinandosi dietro gli sventurati occupanti. A quel punto fu chiaro a tutti che le sorti della battaglia erano segnate. I difensori si aspettavano che i nemici mettessero fuori uso le loro armi, procedendo poi all’abbordaggio. Si sbagliavano.

   Breen e Pacificatori si allontanarono in fretta dalla stazione, che continuava a colpirli con i propri armamenti. Il Moloch indugiò, cercando di mettere a segno il colpo decisivo contro la Keter; ma trovandosi attaccato da altre navi della Flotta, tra cui la Defiant, dovette ritirarsi.

   «Non mi piace» mormorò il Capitano Hod, osservando i nemici che si allontanavano. «Devono avere in mente qualcosa».

   «La Takiah si è portata in prima linea» notò Zafreen, inquadrandola sullo schermo.

   Hod ne fu inquietata. Fino ad allora l’ammiraglia nemica era rimasta nelle retrovie, coerentemente con il carattere di Vidkung, poco propenso a correre rischi. Perché adesso si faceva avanti? L’Elaysiana notò che qualcosa si muoveva sulla parte inferiore dello scafo. «Ingrandire la zona ventrale» ordinò.

   I federali videro aprirsi i due hangar secondari della Takiah. Ma non ne uscirono delle navette. Al loro posto apparvero delle strutture aghiformi, con giunture snodate che le misero in posizione, rivolte in avanti. «Terry, cos’è quella roba?» chiese Hod, con un orribile presentimento.

   «Si tratta certamente di armi. Le letture sono compatibili con i cannoni al thalaron» rispose l’Intelligenza Artificiale.

   Il gelo cadde sulla plancia. Gli ufficiali conoscevano gli effetti delle armi thalaroniche, vietate dalle convenzioni interstellari. Sapevano che i Pacificatori possedevano quella tecnologia, ma speravano che non l’avrebbero mai usata. L’uso di armi illegali apriva un vaso di Pandora, perché ora anche la Federazione si sarebbe sentita legittimata a farne uso.

   «Estendere gli scudi a tutta la New Frontier» ordinò Hod.

   «Non abbiamo energia» avvertì Terry. «Gli scudi sono al 5%. Ci vorrà mezz’ora perché si rigenerino».

   Lo stesso accadeva sulle altre navi della Flotta: dopo la furiosa battaglia avevano tutte gli scudi al minimo, o persino assenti. Nessuno poteva salvare la New Frontier.

   Sulla Takiah, il Comandante Modro osservò la stazione indifesa con un groppo in gola. «Sono quindicimila persone» disse a mezza voce.

   «Cinquemila» corresse l’addetto ai sensori. «Oltre ai civili, i ribelli devono aver evacuato tutto il personale non essenziale».

   «Gli abbiamo offerto clemenza e l’hanno rifiutata. Ora devono scontarne le conseguenze» disse l’Ammiraglio Vidkung. «I cannoni thalaronici sono dispiegati?».

   «Sì, signore» disse l’Ufficiale Tattico.

   «Intimiamogli di nuovo la resa» propose Modro. L’Ammiraglio, che stava per impartire l’ordine, si arrestò, valutando il suggerimento.

   «Messaggio dai Breen» avvertì l’addetto alle comunicazioni. «Vogliono che apriamo il fuoco, o se ne andranno».

   «Non possiamo perderli» disse Vidkung, sapendo che in quel caso la guerra sarebbe diventata molto più difficile. «Non ci resta che accontentarli. Fuoco coi cannoni thalaronici».

 

   Il lampo verde si riverberò sullo scafo della New Frontier, mentre le particelle letali avvolgevano la stazione. Le navi della Flotta, dagli scudi indeboliti o assenti, dovettero allontanarsi immediatamente. Una venefica nube verde avvolse interamente la New Frontier, così come gli innumerevoli relitti che l’attorniavano. Su alcuni di quei relitti c’erano dei superstiti, dell’uno o dell’altro schieramento. Furono i primi ad essere colpiti.

   Il primo effetto delle radiazioni thalaroniche furono dolori atroci in tutto il corpo. Il dolore crebbe fino al più alto grado possibile, poi diminuì, perché le terminazioni nervose erano morte. Fu un bene, perché era solo l’inizio. L’effetto necrotizzante dei thalaroni colpì tutto il corpo, a partire dall’epidermide, che dapprima si scurì, poi divenne grigio cenere e cominciò a sfarinarsi. Le radiazioni scesero in profondità, corrompendo la carne e gli organi. Il sangue smise di scorrere nelle vene, divenendo una polvere bianca; persino le ossa cominciarono a disgregarsi. Per un attimo gli sventurati ufficiali rimasero paralizzati, come statue scolpite in pose agonizzanti. Poi caddero a terra, nelle loro pose irrigidite. E si frantumarono come se veramente fossero stati di gesso. Non c’era specie organica che fosse risparmiata dal fenomeno. Anche le gelatine bio-neurali dei computer s’ingrigirono e si sfarinarono.

   Sterminati i superstiti dei relitti, le radiazioni s’intensificarono, fino a superare lo scafo della New Frontier. Ponte dopo ponte, investirono l’equipaggio, uccidendolo allo stesso modo. Invasero le sale d’ingegneria e di controllo, le armerie e le camere di lancio siluri. Si fecero strada nelle infermerie, uccidendo i feriti assieme ai medici e agli infermieri che li stavano soccorrendo. Infine dilagarono nel centro di comando. Qui gli effetti furono minori, per via delle potenti schermature; ma gli ufficiali si accasciarono ugualmente, in preda a dolori lancinanti. I loro occhi divennero ciechi e l’epidermide s’ingrigì. Sarebbero morti anche loro, solo più lentamente. E i colleghi sulle astronavi non potevano trarli in salvo, perché il thalaron ad alte concentrazioni interferiva con il teletrasporto.

   Tra i pochi a vederci ancora, il Commodoro Fee’laur vide sullo schermo la flotta dei Pacificatori che manteneva la posizione. Stavano aspettando che le radiazioni facessero effetto, per poi prendere possesso della stazione, indisturbati.

   «No... non avrete questa soddisfazione» rantolò il Caitiano. Si trascinò fino alla sua poltroncina e attivò un oloschermo. L’immagine andava e veniva, perché anche il computer era colpito; ma i sistemi d’emergenza stavano deviando le funzioni primarie ai circuiti quantistici, bypassando le gelatine. Il Caitiano passò il pollice sul lettore di DNA, per confermare la sua identità. «Commodoro Fee’laur a computer, attivare sequenza di autodistruzione. Autorizzazione Fee’laur 2748 Omega-9» disse con voce roca. «Conteggio silenzioso di cinque minuti».

 

   Come ben sa ogni civiltà avvezza ai viaggi interplanetari, nello spazio i suoni non si diffondono. Dunque la nube letale avvolse la New Frontier nel più completo silenzio. Ma anche a bordo delle astronavi, dove l’aria c’era, non si udì alcun suono. Sulle navi dei Pacificatori non vi furono manifestazioni di vittoria, né su quelle della Flotta Stellare si ebbero scoppi di dolore o di collera. Tutti osservarono la nube verdastra in un silenzio sbigottito, come se solo allora realizzassero a che punto erano giunti.

   Sulla Takiah, Modro non riusciva a staccare gli occhi dalla stazione, appena visibile nella nube di thalaron. Certe armi andavano usate solo una volta o due, per dare l’esempio. Ma chi le usava sarebbe stato odiato per sempre. La Storia avrebbe ricordato che l’ordine veniva dall’Ammiraglio Vidkung, ma anche che lui era il secondo in comando, e non si era opposto. «O forse no» si disse il Comandante. Da quando Rangda aveva riformato l’Unione, la Storia era insegnata in modo più... pragmatico. Ciò che era utile alla concordia veniva tramandato, mentre ciò che poteva suscitare divisioni e rancori veniva accantonato. Forse sarebbe stato così anche per quell’evento.

   «Quanto ci vorrà perché la stazione ridiventi abitabile?» chiese l’Ammiraglio.

   «Considerando la concentrazione delle particelle, direi almeno 72 ore» rispose un ufficiale scientifico.

   «È troppo, il nemico ne approfitterà per una contromossa» disse Vidkung. «Inviate i synth a prenderne possesso». Questo termine gergale e vagamente denigratorio indicava tutte le forme di vita artificiali, come androidi e ologrammi.

   Poiché le radiazioni erano ancora troppo alte per consentire il teletrasporto, i sintetici furono inviati con le navicelle. Decine di navette da trasporto sciamarono verso la New Frontier, ciascuna piena di androidi e ologrammi, pronti ad assumere il controllo della stazione. Passarono indenni attraverso la nube radioattiva e si accinsero ad attraccare.

   Fu allora che la New Frontier esplose. Obbedendo all’ordine di autodistruzione, i reattori della stazione disattivarono i campi di contenimento dell’antimateria. Ci fu un unico lampo, più fulgido di una stella. Le navicelle cariche di sintetici furono vaporizzate e anche le astronavi subirono l’onda d’urto. Alcune, come la Takiah e il Moloch, si limitarono a sussultare. Altre, che avevano subito danni, se la passarono peggio. Ci furono esplosioni a bordo, feriti, vittime. Una nave dei Pacificatori fu investita da un grosso frammento della stazione, che tranciò in due la sezione a disco. Il resto della flotta indietreggiò, bersagliata dai detriti di quel colossale shrapnel.

   Nella loro ritirata, Pacificatori e Breen dovettero attraversare nuovamente il campo minato. Scoprirono così che nel corso della battaglia le mine occultate si erano spostate. I percorsi sicuri che le astronavi avevano aperto all’andata, ora erano di nuovo pericolosi. E stavolta i vascelli erano tutt’altro che in buone condizioni. Le esplosioni che in precedenza avevano indebolito gli scudi, provocando qualche scossone, stavolta lacerarono gli scafi. Alcune navi, troppo danneggiate per rischiare altri impatti, furono evacuate con il teletrasporto.

   La Battaglia della New Frontier si era conclusa con la vittoria dei Pacificatori, che si erano assicurati il controllo del Tunnel Spaziale, ricacciando i federali nel sistema interno. Ma scorrendo la lista delle navi distrutte e di quelle danneggiate, il Capitano Radek stentava a considerarla una vittoria. Se fosse stato lui al comando, si disse, avrebbero vinto più a buon mercato. Ma al comando c’era quell’idiota di Vidkung, piazzato lì da Rangda, che aveva commesso tutti gli errori tattici possibili. Solo il formidabile vantaggio numerico aveva permesso loro di uscirne vittoriosi. E per aggiungere al danno la beffa, la Keter era fuggita di nuovo.

   «Questo è solo il primo round» si disse il Rigeliano, osservando la Flotta Stellare che si ritirava verso Bajor. Quando la New Frontier era esplosa, i federali erano molto più lontani, così che non avevano riportato danni. Ma la loro esigua flotta era comunque falcidiata dalla battaglia. «Al prossimo scontro li annienteremo. E che sia dannato se la Keter mi sfugge un’altra volta!».

 

   Ricacciati verso Bajor, i federali avevano il morale a terra. Aver inflitto così tante perdite al nemico sembrava inutile, considerando che la New Frontier era distrutta e i Pacificatori controllavano l’accesso al Tunnel. Ora che li avevano visti usare senza scrupoli i cannoni al thalaron, sapevano di cos’erano capaci, pur di accaparrarsi la vittoria. Questo accresceva la preoccupazione per Bajor e le colonie del sistema.

   Sulla Defiant, Ilia leggeva la lista dei danni. Molte navi erano così malmesse che non potevano reggere un altro scontro. Se i Pacificatori avessero proseguito l’attacco, sarebbe stata la fine.

   «La Takiah ci chiama, Ammiraglio» riferì l’addetto ai sensori.

   «Sullo schermo» ordinò la Trill, irrigidendosi.

   I due Ammiragli si scrutarono.

   «La vostra fortezza è caduta, Ammiraglio Tarn, e non ne avete un’altra che regga il confronto» disse Vidkung. «Pertanto le rinnovo la mia offerta di resa. Le condizioni sono le stesse di prima».

   «E si aspetta che creda alle sue promesse? Lei è un criminale di guerra; ha usato un’arma illegale» accusò Ilia.

   «Ho agito in conformità al regolamento dei Pacificatori» si difese l’Efrosiano. «Potrei portare avanti l’attacco e distruggervi, ma preferirei chiuderla qui, senza altre vittime».

   La Trill rifletté in fretta. Per quanto i Pacificatori fossero spacconi, anche loro avevano riportato gravi danni e forse sentivano il bisogno di ripensare la loro strategia. «Le faccio una contro-proposta» disse. «Dieci giorni di tregua, a partire da ora. Così entrambe le parti potranno curare i feriti e dire addio ai morti. E noi rifletteremo sulla vostra offerta».

   «Vuole solo del tempo per fortificarsi» riconobbe Vidkung. «Magari spera che la Federazione le mandi dei rinforzi».

   «Ai Bajoriani serve tempo per riflettere su questi eventi. Se decideranno di arrendersi, noi abbandoneremo il sistema» promise Ilia. «Ma se attaccate subito, vi aspetta una battaglia ancora più dura. E anche se v’impadroniste del sistema bajoriano, vi scontrerete con la resistenza accanita degli abitanti. La vostra opinione pubblica ne sarà colpita. Mi pare che gli olo-romanzi sull’Occupazione di Bajor siano sempre di moda... dopo oggi, andranno ancor più a ruba».

   Vidkung ci ragionò su. Dopo aver visto cos’era accaduto alla New Frontier, c’era una buona probabilità che i Bajoriani si spaventassero e si arrendessero. Era un’occasione troppo ghiotta per sprecarla, anche perché l’alternativa era quella prospettata dalla Trill: una guerriglia perenne e simpatizzanti dei ribelli che si moltiplicavano nell’Unione. Dette un’occhiata al Comandante Modro, che annuì. Anche questo era un fattore da considerare: l’Ammiraglio non voleva inimicarsi i Bajoriani che militavano nei Pacificatori. «E sia!» disse, cercando di suonare magnanimo. «Avete dieci giorni di tregua: non un’ora di più».

   «Ci risentiremo allo scadere del tempo» disse Ilia. «Non superate l’orbita di Bajor IX, o la considereremo una rottura della tregua».

   «Noi non ci avvicineremo, ma voi non potete uscire» chiarì l’Efrosiano. «E se dei vostri rinforzi si avvicineranno a meno di un anno luce, mi sentirò autorizzato ad attaccare. Quindi pensi bene a ciò che fa» ammonì, e chiuse il canale.

   Le due navi ammiraglie comunicarono l’accordo alle rispettive flotte. I federali si ritrassero presso Bajor, lasciando solo qualche boa a presidiare il confine concordato. Gran parte delle loro astronavi richiedeva immediate riparazioni. I Pacificatori e i Breen restarono presso l’imboccatura del Tunnel Spaziale, dove i resti della New Frontier si stavano disperdendo. Stavano ancora facendo la conta dei danni, quando il Tunnel si aprì.

   «E ora che succede? Qualche detrito è entrato nel wormhole?» chiese Vidkung.

   «Negativo, Ammiraglio» rispose l’addetto ai sensori. «Una navetta di classe Gryphon è appena uscita».

   «Un bersaglio facile» notò l’Ufficiale Tattico, le mani già sui comandi delle armi.

   «No, mi sono appena accordato per la tregua» lo fermò l’Ammiraglio. «Lasciamo che se ne vada. Non può certo cambiare l’esito dello scontro».

   Ma la navicella non fuggì nello spazio profondo, come avrebbe fatto qualunque pilota di buon senso, vedendo la situazione. Al contrario, fece un breve salto a cavitazione che la portò nei pressi di Bajor, dove si radunava la Flotta. Sulla Defiant, l’arrivo non passò inosservato. «È la navetta della dottoressa Agni» riconobbe l’addetta ai sensori.

   «Che ci fa qui?!» s’irritò Ilia. «Avevano ordine di restare a New Bajor. Li chiami».

   L’archeologa apparve sullo schermo. Aveva un’espressione di trionfo, che stonava con la situazione. «Salve, Ammiraglio» salutò con tranquillità.

   «Perché siete tornati? Ci sono problemi col Dominio?» chiese Ilia, sebbene ciò contraddicesse la strana calma della Bajoriana.

   «Nessun problema, che io sappia».

   «Che lei sappia? Ma ci è stata o no?».

   «Spiacente, ma non è stato possibile. Dovevamo tornare al più presto» fu la sconcertante risposta.

   «Sarebbe a dire che avete ancora il Cristallo?!» s’indignò la Trill. «Avevate l’ordine di portarlo a New Bajor!».

   «Quell’ordine è superato, Ammiraglio. È accaduta una cosa meravigliosa... un miracolo!» disse Vasa, il volto acceso di gioia estatica. «Egli è di nuovo tra noi, per guidarci alla salvezza!».

   Ilia stava per chiedergli di chi parlava, ma si bloccò. Un uomo era appena entrato nell’inquadratura; uno che non era a bordo, al momento della partenza. La sua uniforme della Flotta Stellare era vecchia di almeno due secoli. Il suo volto... Ilia non lo avrebbe mai dimenticato.

   «Ciao, vecchio mio» disse l’Umano, come soleva fare coi precedenti Ospiti di Dax. «Quanto tempo, eh? Eppure certe cose non cambiano mai. Sapevo che ti avrei trovata al comando della Defiant». Benjamin Sisko, Capitano della Flotta Stellare ed Emissario dei Profeti, era tornato nel mondo dei vivi.

 

   Poche ore dopo, Ilia si recò nell’infermeria della sua nave e andò dritta filata nell’ufficio del Medico Capo. «Ebbene?» chiese, appena la porta si fu richiusa alle sue spalle.

   «I risultati delle analisi sono chiari. Quell’uomo è geneticamente identico a Benjamin Sisko» rispose il dottor Joe, ex MOE della Voyager e attuale Medico Capo della Defiant.

   «Non potrebbe essere un clone?».

   «Non ci sono segni di deterioramento genetico dovuto a tecniche di clonazione. E l’analisi dei telomeri indica che ha esattamente l’età di Sisko, nel momento della sua scomparsa» spiegò Joe. «Anche i test mnemonici e psicologici indicano che ha i ricordi e la personalità del Capitano».

   «Quindi a suo parere non può essere un inganno?» chiese Ilia. In cuor suo sentiva che non lo era; ma come Ammiraglio doveva vagliare tutte le possibilità, prima di annunciare pubblicamente il ritorno dell’Emissario.

   «Non vedo come potrebbe» disse Joe. «O è una replica così perfetta da ingannarmi... o quello è davvero Benjamin Sisko». Si accostò alla Trill, che stava osservando il nuovo arrivato attraverso la finestra trasparente dell’ufficio. L’Umano era seduto sul lettino delle analisi e scambiava parole cordiali con medici e infermieri, come un qualunque ufficiale della Defiant. «Se si sta chiedendo come accoglierlo, non posso aiutarla» disse l’MOE a mezza voce.

   «In circostanze normali mi prenderei del tempo per rifletterci e intanto lo sottoporrei ad altri test» disse Ilia. «Ma abbiamo solo dieci giorni prima della prossima battaglia. La flotta è a pezzi, gli equipaggi hanno il morale a terra e Bajor è nel caos. Se Benjamin Sisko può aiutarci, devo avvalermi di lui».

 

   «Signore, è molto strano» disse l’addetto ai sensori della Takiah. «C’è agitazione tra Bajor e le colonie. Capto centinaia di messaggi che parlano dell’Emissario».

   «Benjamin Sisko? Che c’entra lui?» fece l’Ammiraglio, dando un’occhiata a Modro che gli sedeva a fianco. Questi fece un’espressione come a dire: «E io che ne so?».

   «Forse lo sapremo da loro. La Defiant ci chiama».

   «Sullo schermo» ordinò Vidkung. «Ammiraglio Tarn... non avrà già cambiato idea, riguardo alla tregua?».

   «Niente affatto» lo rassicurò la Trill. «Ma ho qui una persona che vorrebbe parlare con il Comandante Sisko».

   «Di chi si tratta?» chiese Modro, sorpreso che la chiamata fosse resa pubblica. Per un attimo s’illuse che fosse Vasa, desiderosa di raggiungerlo.

   «Sono io» disse Benjamin Sisko, entrando nell’inquadratura. «Ciao, nipote. Posso chiamarti così? In realtà sei il mio pro-pro-pro-pro-pronipote, ma sarebbe poco pratico da dire ogni volta».

   Sulla plancia della Takiah calò il gelo. Modro si accorse che tutti, a partire dall’Ammiraglio, lo fissavano come aspettandosi una spiegazione. Ma lui era sbalordito quanto loro. «Chi è lei?» chiese all’uomo sullo schermo. «Ha l’aspetto del mio antenato, ma non può essere lui. Che razza di scherzo è questo?».

   «Nessuno scherzo, nipote» disse Sisko, facendosi serio. «Se conosci la mia storia, saprai che sono scomparso nelle Caverne di Fuoco, al termine della Guerra del Dominio. E saprai che da allora risiedo nel Tempio Celeste, non più limitato dal tempo lineare».

   «Così è stato tramandato» concesse Modro. «Non ho mai saputo se crederci. Voglio dire, ero certo che i Profeti ti avessero accolto con loro» si corresse. «Ma dalla morte non si fa ritorno. Tu non puoi essere il mio avo».

   «Tecnicamente non sono mai morto» rivelò Sisko, sollevando l’indice. «I Profeti mi hanno salvato con tanto di corpo, anche se... beh... non riuscirei a spiegarti in che modo ho abitato con loro. Per fare un paragone, immagina che sia rimasto sospeso nel buffer degli schemi del teletrasporto. Tutta l’energia e le informazioni del mio corpo erano nel Tempio Celeste, e con quelle i Profeti mi hanno ridato sostanza».

   «Perché l’hanno fatto solo adesso? Sarebbe stato più giusto farlo subito, per restituirti alla tua famiglia» ragionò Modro.

   «Sì, lo avrei voluto anch’io» ammise il Capitano, facendosi distante. I suoi pensieri andarono alla moglie Kasidy e alla figlia secondogenita Rebecca, che non aveva mai conosciuto. «Ma gli eventi dovevano andare così. Vedi, il mio cammino non prevede che resti a lungo nel tempo lineare. Anche ora sarò tra voi solo per un breve periodo» rivelò.

   «E perché ti sei scomodato a uscire?» chiese il Comandante, con una nota beffarda.

   «Per proteggere Bajor, prima che facciate ciò che i Cardassiani e il Dominio non poterono» rispose Sisko, scrutando con duro cipiglio i Pacificatori. «E anche per te, nipote».

   «Per me? Non mi serve il tuo aiuto» rispose Modro a muso duro. «Se vuoi farmi un favore, di’ ai Bajoriani di arrendersi, perché solo così saranno protetti. Se si ostinano a combattere dalla parte sbagliata, ci saranno altre morti inutili».

   «Loro non combattono dalla parte sbagliata, nipote» rivelò Sisko. «Tu sì. Ti sei schierato con una dittatura che ha pervertito tutti i valori federali. Deportate interi popoli, massacrate gli oppositori, cancellate la Storia e indottrinate i bambini affinché abbraccino la vostra ideologia. Siete diventati il male che dovevate combattere, e non ve ne accorgete. Se non vi fermate subito, non ci sarà più fine all’orrore».

   Il Capitano aveva parlato in tono ispirato, quasi apocalittico; ma si scontrò col muro di ostilità dei Pacificatori. Modro si accostò allo schermo, con aria sprezzante. «Ho pensato fin da subito che lei non fosse Benjamin Sisko, e ora ne ho la prova» disse, di nuovo formale. «Il vero Capitano Sisko non ci propinerebbe la propaganda dei ribelli. Lei è un ologramma creato per ingannarci, facendo leva sulla fama del mio antenato. Potrà truffare i Bajoriani più ingenui, che vedono in lei un salvatore; ma non me».

   Negli occhi di Sisko balenò l’orrore, ma anche una ferrea determinazione. «Ai miei tempi lottavamo per abbattere le barriere tra i popoli. Voi lottate per rialzarle. Avete ripristinato la segregazione razziale e osate chiamarlo progresso!» s’indignò.

   «Parla degli Umani? Sono vittime del loro egoismo e della loro intolleranza» ribatté Modro. «Quando impareranno la convivenza civile, li riaccoglieremo».

   «Sei consumato dall’ideologia. Fermati, prima che sia troppo tardi! O saranno coloro che ami a farne le spese» avvertì il Capitano.

   Il Comandante si rabbuiò. «Sta minacciando i miei cari? Insomma, chi c’è dietro di lei? Voglio parlare con una persona in carne e ossa, non con un synth».

   «Io sono in carne e ossa, anche se rifiuti di accettarlo».

   «E farà del male ai miei cari?» incalzò Modro.

   «No; lo farai tu stesso» avvertì Sisko.

   Per lunghi secondi ci fu silenzio. Modro fissava l’interlocutore, così simile al suo antenato, con disgusto. Qualunque cosa fosse, sentiva in cuor suo che non doveva fidarsi di lui. Era fin troppo evidente che cercava di confonderlo e di sviarlo. Ma otteneva solo l’effetto opposto: il Bajoriano non era mai stato tanto convinto d’essere nel giusto.

   «Molto bene, Capitano... Sisko» disse il Comandante, con una voce melliflua che tradiva la minaccia latente. «Dica ai suoi burattinai che l’operazione Tempesta di Pace ha lo scopo di liberare questo sistema dai terroristi. Siamo addolorati per le vittime collaterali, ma non ci fermeremo finché non avremo messo in sicurezza tutti i pianeti. Lo dobbiamo al popolo bajoriano. Fine trasmissione».

   Modro si accompagnò con un gesto, segnalando ai suoi di chiudere il canale. Il sole di Bajor riapparve sullo schermo, fioco per la distanza, mentre il pianeta era un puntino che si confondeva con le stelle. Il Comandante tornò a sedersi sulla sua poltroncina, come se nulla fosse accaduto.

   «È proprio sicuro che quell’uomo sia un impostore?» chiese l’Ammiraglio, che aveva seguito il confronto senza intervenire.

   «Al 99%».

   «E se ci trovassimo in quell’1% d’errore?» insisté l’Efrosiano.

   «In tal caso, il Capitano Sisko è diventato una gravissima minaccia» disse Modro, aggrottando la fronte. «Una minaccia che dovremo neutralizzare».

 

   La flotta federale si era raccolta attorno a Deep Space Nine, salvo per le poche navi che difendevano le colonie. Le riparazioni erano già in corso: Work Bee e droni saldatori percorrevano gli scafi butterati. Una navetta lasciò la Defiant e si diresse verso la stazione, dove entrò in uno degli hangar incassati nell’anello d’attracco.

   All’apertura del portello stagno, Benjamin Sisko si guardò attorno. I corridoi erano affollati di tecnici, che al suo arrivo interruppero i lavori, fissandolo con un misto di stupore e speranza.

   «Ah... non sembra passato un giorno» commentò il Capitano, osservando i luoghi familiari. Il suo sguardo si fermò su un umanoide diverso dagli altri. «Connestabile!» lo riconobbe.

   «Erano secoli che nessuno mi chiamava così» disse Odo, facendosi avanti. «Bentornato, Capitano. È stato via a lungo».

   «Troppo» ammise Sisko, porgendogli la mano.

   Il Mutaforma gliela strinse forte, come per sincerarsi che fosse vero e tangibile. «È al corrente della situazione?» chiese, un po’ esitante nell’approcciarsi all’amico redivivo.

   «So quanto serve» annuì l’Umano. «Compreso il fatto che il Dominio ha offerto protezione a New Bajor. Devo ringraziarla, Odo; questo sarà fondamentale. Ora dobbiamo far fruttare questi dieci giorni di tregua».

   «Prima dobbiamo regolarizzare la tua posizione, Benjamin» avvertì Ilia. «Vieni in sala tattica; il Ministro Parva vuole parlarti. C’è agitazione qui, e non solo per la battaglia. La stazione ha appena perso il suo comandante».

   «Shakaar» annuì Sisko. «Conoscevo un suo antenato. Non incolpatevi dell’incidente. Sono i poteri di Kosst Amojan che si rafforzano».

   «E lei sa come fermarlo?» chiese Juri, uscendo dalla folla. «Dottor Smirnov, consulente della Keter» si presentò. «Onorato di conoscerla, Capitano. Suppongo che la sua esperienza nel Tunnel le abbia rivelato molto sul nostro avversario».

   Sisko gli lanciò un’occhiata indecifrabile. «Parleremo del Maligno a tempo debito. Ora mi scusi, devo andare». Il Capitano si avviò con Ilia e Odo, lasciando Juri insoddisfatto.

   Solo allora Vasa uscì dalla camera stagna. «Hai visto? I Profeti si sono ricordati di noi. Ci hanno restituito l’Emissario!» si emozionò.

   «Sei stata tu? Hai usato il Cristallo mentre eri nel Tunnel?» chiese Juri, che non condivideva il suo entusiasmo.

   «Dovevo tentare» annuì Vasa. «Ora abbiamo una speranza».

   L’Umano cercò di conciliare il ritorno di Sisko con le drammatiche predizioni ricevute dai Profeti. Qualcosa non quadrava. «Lui o i Profeti ti hanno detto qualcosa sul futuro?» chiese.

   «Parlavano come se i Pacificatori fossero inarrestabili, ma... in quel caso non ci avrebbero restituito l’Emissario, ti pare?» fece l’archeologa. Non disse che aveva promesso di pagare un prezzo, per quel miracolo. Non voleva che Juri si preoccupasse per lei, e comunque l’Umano non poteva cambiare le cose.

   «Chissà...» fece lo storico, meditabondo. «Ma tu stai bene?».

   «Mai stata meglio» sorrise Vasa, celando le preoccupazioni. «A questo punto resterò, almeno finché l’Emissario non ci spiegherà cosa fare col Cristallo di Fuoco».

   «Sempre che lo sappia» pensò Juri, la cui inquietudine non si era affatto placata.

 

   Al suo ingresso in sala tattica, Sisko vi trovò il Primo Ministro con parte del suo entourage. «Benjamin Sisko!» lo salutò Parva, venendogli incontro. Gli strinse calorosamente la mano. «Il suo ritorno è provvidenziale. Solo lei può indurre il nostro popolo a ritrovare l’unità e ispirarlo a resistere, in questo momento buio».

   «Farò ciò che posso» promise Sisko.

   «Ti servirà una legittimazione» ribadì Ilia. «Potrei reintegrarti nella Flotta Stellare, anche se il regolamento mi vieterebbe di rimetterti subito in servizio».

   «Aspetti... non vorrà portarcelo via!» obiettò il Primo Ministro. «L’Emissario non può andare su una delle vostre navi. Deve rimanere con noi, per far sentire la presenza dei Profeti. E credo di sapere come». Il Bajoriano fece una breve pausa e poi si rivolse direttamente all’interessato. «La tragica morte del Colonnello Shakaar ha lasciato questa stazione senza una valida guida. Trovo che lei sarebbe un eccellente successore. In fondo l’ha già comandata per sette anni».

   «Ma Deep Space Nine ora è amministrata dalla Milizia Bajoriana» notò Sisko.

   «Coi poteri speciali di cui dispongo in tempo di guerra, posso nominarla Capitano seduta stante» propose il Primo Ministro. «Avrà il comando della stazione e sarà consulente strategico della Flotta. Che ne dice?».

   Sisko scambiò un’occhiata con Ilia. «Accetto l’incarico, signor Ministro» disse.

   «Splendido! Allora... Benjamin Sisko, le conferisco il grado di Capitano della Milizia Bajoriana e il comando di questa stazione» disse Parva, appuntandogli i gradi sul colletto. Li aveva già con sé, certo che l’Umano avrebbe accettato. «Il suo primo incarico consiste nell’ottimizzare le nostre difese. Come saprà, abbiamo solo dieci giorni prima che i Pacificatori tornino all’attacco».

   «Ho chiesto rinforzi al Fronte Orientale. Forse per allora arriverà qualcuno» suggerì Ilia.

   «Non ci conterei troppo» disse Sisko, con una strana sicurezza. «E dobbiamo stare attenti ai Cardassiani. È già capitato che cambiassero schieramento, in base all’opportunità del momento».

   «Tu... sai cosa accadrà?» chiese la Trill.

   «Ora che sono di nuovo nel tempo lineare, non ho le stesse prerogative che avevo nel Tunnel. Non prevedo il futuro come i Profeti» rivelò Sisko. «Ma rispetto ai vecchi tempi, sono più consapevole delle alternative e dei risultati. Cercherò d’indirizzare gli eventi verso l’esito migliore».

   «Cominci subito» raccomandò il Primo Ministro. «Ora devo tornare su Bajor. Se le serve qualcosa, mi contatti». Stava per lasciare la sala, quando si arrestò. «Ah, c’è un’altra cosa. Kai Nashir è salita a bordo con me. L’attende al tempio».

 

   «Fate passare, per favore!» disse Odo, invitando i Bajoriani che si erano assembrati a farsi indietro.

   Benjamin Sisko si diresse a passo svelto verso il tempio, ignorando le domande e le preghiere che salivano dalla piccola folla. Non aveva tempo per questo. Entrò nel luogo sacro, dove la Kai lo attendeva.

   «Benvenuto... o dovrei dire bentornato, Emissario» lo accolse l’anziana donna.

   «Mi considera ancora tale?» chiese l’Umano. Nella sua vecchia vita, i rapporti con le Kai erano stati burrascosi. Dopo che Kai Opaka lo aveva riconosciuto come Emissario, le era subentrata Kai Winn, che invece lo aveva ostacolato in ogni modo, essendo invidiosa del suo ruolo.

   «I test hanno accertato che lei è Benjamin Sisko. Assodato questo, come potrebbe non essere più l’Emissario? Se era vicino ai Profeti prima di raggiungerli nel Tempio Celeste, lo è a maggior ragione adesso, che ha vissuto con loro» ragionò Nashir. «Posso?» chiese, accostandogli la mano all’orecchio.

   «Certo» disse Sisko, girando un poco la testa.

   La Kai gli strinse saldamente il padiglione e chiuse gli occhi. Dopo qualche secondo lo lasciò andare. «Non avevo mai avvertito un pagh come il suo. Lei cammina nella luce dei Profeti».

   «È più corretto dire che cerco faticosamente di seguire un barlume» disse però Sisko. «Sono qui per Bajor, ma non posso salvarlo da tutte le avversità. Vi attende un periodo di prove».

   «I Pacificatori?».

   «Sono troppi, e troppo determinati».

   «E il Maligno?».

   «Se ne avvantaggerà». Sisko si accostò all’altare, quasi dando le spalle alla Kai. «Ha informato la dottoressa Agni e i suoi collaboratori di tutto ciò che sa sul Cristallo di Fuoco?».

   «No» ammise Nashir. «Ho temuto di metterli ancor più in pericolo. Ho sbagliato?».

   «No, ha fatto bene».

 

   I due discussero a lungo, mentre all’esterno del tempio la folla rumoreggiava, chiedendo all’Emissario di mostrarsi. A nulla valsero i richiami degli ufficiali, che ordinavano ai sottoposti di tornare al lavoro. Alla fine i Bajoriani furono accontentati: Sisko e Nashir uscirono fianco a fianco.

   «Salutate Benjamin Sisko, ora e sempre Emissario dei Profeti!» proclamò la Kai, alzando le braccia in gesto benedicente.

   La folla proruppe in acclamazioni. Ai Bajoriani non sembrava vero di riavere la più importante figura religiosa della loro storia. Come il Ministro Parva aveva intuito, Sisko era l’unico che poteva ridargli coraggio e unità.

   «Basta, vi prego» disse Sisko, tacitando gli applausi con un gesto. «Sono qui come Capitano, per fare la mia parte in questo conflitto. E per riuscirci, ho bisogno che ciascuno di voi faccia la sua parte. Il lavoro sarà più utile delle preghiere. Tornate alle vostre occupazioni e mettetecela tutta. Quando il nemico arriverà, dovremo essere pronti».

   I Bajoriani scattarono con uno zelo che avrebbe soddisfatto qualunque supervisore. Sisko si accomiatò dalla Kai, che tornò su Bajor, e si recò al centro di comando.

   Il salone era ancora annerito dal terribile incendio, che aveva distrutto le consolle, fondendo persino i rivestimenti metallici. Questo avrebbe dovuto essere impossibile; ma non era un fuoco normale quello che si era diffuso. I tecnici che sostituivano le apparecchiature se n’erano accorti fin dal primo momento. Sisko rivolse loro qualche parola d’incoraggiamento e poi si recò nel suo ufficio.

   Sebbene fossero trascorsi oltre due secoli, la stanza sembrava rimasta congelata nel tempo. Sedia e scrivania erano quelle originali; su quest’ultima c’era persino l’antica palla da baseball con cui Sisko amava giocherellare. Solo i computer erano stati sostituiti da modelli moderni.

   «Sì, è tutto come l’hai lasciato» confermò Ilia, che lo attendeva lì. «Dopo di te ci sono stati altri comandanti, ma nessuno ha voluto stravolgere l’ambiente. Poi la stazione è diventata un museo. E quando l’hanno rimessa in servizio, sei anni fa, Shakaar non ha voluto modificare l’ufficio».

   «Troppa premura» disse Sisko, sedendo in poltrona. Prese la palla da baseball e se la palleggiò un paio di volte tra le mani, con un sorriso fanciullesco, prima di rimetterla a posto.

   «Benjamin, devi parlare ai Bajoriani» disse Ilia. «Non ai pochi della stazione, ma a quelli del pianeta. Dopo l’ultimatum di... tuo nipote, sono esplose le violenze. I simpatizzanti dei Pacificatori chiedono la resa e nel frattempo, con la scusa di protestare, saccheggiano le città. E c’è di peggio». La Trill posò le mani sulla scrivania e si chinò in avanti, fissando l’amico. «Le richieste di Modro hanno scatenato la caccia agli Umani».

   «Lo so» disse Sisko, cupo. «Farò il mio discorso, ma dobbiamo predisporre fin da subito l’evacuazione degli Umani. Comunque vada a finire, non potranno più vivere qui».

 

   Chiusa nel suo ufficio, dove passava gran parte delle giornate, la Presidente Rangda scorreva il bollettino di guerra. Era sempre più insoddisfatta. L’operazione Tempesta di Pace, che avrebbe dovuto spazzare via i ribelli, si era fermata dopo la prima battaglia. Una battaglia in cui la New Frontier era stata distrutta dai suoi stessi occupanti, pur di non cederla. E le perdite erano molto superiori al previsto. Quaranta astronavi dei Pacificatori erano state distrutte e altre dieci erano così danneggiate che non si poteva rimetterle in sesto in tempo utile. Fin qui erano perdite fastidiose, ma tollerabili. Il problema erano i Breen.

   I principali alleati dell’Unione avevano perso centoventi astronavi, vale a dire il triplo del previsto. Le mine occultate avevano fatto la loro parte, ma c’era sotto qualcos’altro. Le navi della Flotta, come anche la New Frontier, avevano concentrato il fuoco su di loro. Lo scopo era convincere i Breen che stavano pagando un prezzo troppo oneroso, inducendoli a ritirarsi dal conflitto. Il guaio era che poteva funzionare.

   Puntuale come un orologio, arrivò la chiamata subspaziale di Thot Rong. Sebbene avesse il volto celato dal casco e la voce tradotta elettronicamente, la Presidente avvertì la sua fredda collera. «I federali si sono accaniti contro le mie navi; il costo di questa alleanza sta diventando eccessivo» disse l’alieno. «Porteremo a termine la conquista del sistema bajoriano, come da accordi, ma in seguito dovremo rinegoziare il nostro impegno militare».

   «Se vi offrissi di più?» chiese Rangda.

   «Ci ha già promesso molti pianeti, ma deve ancora mantenere» le ricordò Thot Rong.

   «Ci vuole tempo per i trasferimenti» si giustificò la Zakdorn. «Ma potrei darvi qualcosa di più immediato. Che ne dice dei Cristalli di Bajor? Sono la chiave per straordinarie scoperte scientifiche. Potrei cedervene uno o due...» disse, pensando ai più innocui.

   «Tutti» corresse il Breen.

   «Suvvia, posso arrivare a quattro...» mercanteggiò Rangda.

   «Tutti. Questa non è una richiesta, ma una condizione. Altrimenti porrò fine all’alleanza» minacciò Thot Rong.

   «E va bene, li avrà» cedette la Presidente. «Ma lei faccia il suo lavoro. Allo scadere della tregua, mi aspetto che non cessiate l’attacco fino alla conquista di Bajor. Anzi, dell’intero sistema!» esclamò, e chiuse la comunicazione.

   Per qualche minuto la Zakdorn restò immobile sulla poltrona, masticando veleno. Non si mosse neppure per sfamare i Mu-mu, le bestiole simili a porcellini d’India incredibilmente obesi che allevava in una gabbia dietro alla scrivania. Finalmente prese una decisione. Attivò l’oloschermo e chiamò l’Ammiraglio Hadron.

   «Salve, signora Presidente» esordì il Voth.

   «Ammiraglio» fece Rangda, mostrando la propria insoddisfazione. «Lo sa che la liberazione di Bajor non sta andando come previsto? I Breen hanno perso molte navi e ora minacciano il disimpegno».

   «Sarebbe una disdetta» convenne Hadron. «Cosa conta di fare?».

   «Me li terrò stretti, naturalmente» brontolò la Zakdorn. «Ma ci sarebbe un modo assai più semplice di risolvere il problema. Se lei mandasse una decina di Navi Bastione, o anche solo la sua Nave Fortezza, l’operazione finirebbe in un giorno».

   «Temo che questo non sia possibile» disse il sauro, unendo le punte degli artigli.

   «Perché no? La sua flotta è qui ferma da mesi, senza fare nulla» obiettò Rangda.

   «Nulla? Stiamo gestendo il trasferimento dignitoso di dieci miliardi di persone, oltre ad aver avviato la colonizzazione di Vothan. A me sembra che siamo in piena attività» ridacchiò Hadron.

   «Sa perfettamente cosa intendo!» si scaldò la Presidente. «Questa guerra è scoppiata a causa vostra...».

   «A causa degli Umani. I vostri notiziari dicono così» la corresse l’Ammiraglio.

   «Lo dicono per farvi un favore! Ma io e lei sappiamo come stanno le cose!» insisté la Presidente. «La vostra pretesa sulla Terra» disse riesumando il vecchio nome «avrebbe scatenato una guerra rovinosa; così vi sono venuta incontro. A causa della mia generosità, l’Unione è sprofondata nella Guerra Civile. I vostri pianeti prosperano, mentre i nostri bruciano. Il minimo che possiate fare è aiutarci a vincere il conflitto. Vi costerà comunque meno di una guerra contro tutta l’Unione».

   «Non è semplice come crede» spiegò Hadron. «Non posso partire in quarta con la mia flotta e conquistare Bajor per voi».

   «Perché no? È partito in quarta per conquistare la Terra; e quello era più difficile».

   «La missione mi era stata affidata dal Consiglio degli Anziani» ricordò l’Ammiraglio. «Dovevo reclamare il Mondo Perduto, possibilmente in modo pacifico, altrimenti con un rapido colpo di mano, limitando i danni collaterali. È quanto ho fatto. Lo sforzo militare finisce qui. Ora il mio incarico è, appunto, trasferire gli abitanti e sovrintendere alla colonizzazione. Ogni ulteriore coinvolgimento nel vostro conflitto è un favore che le faccio. Vi sto rifornendo di armi e sto sostenendo la vostra economia. Non è abbastanza? Beh, sappia che non posso fare di più».

   «Non può o non vuole?» insinuò Rangda.

   Le scaglie del Voth si fecero arancioni per l’esasperazione, prima che egli riuscisse a dominarsi. «Vede, da quando il dottor Lambeos è tornato alla capitale a fare rapporto, il Consiglio degli Anziani è spaccato in due. C’è chi vorrebbe investire risorse per sostenervi, ma c’è anche chi ritiene che siamo troppo coinvolti nelle vostre beghe» spiegò. «Sa quante delle risorse che avevo chiesto mi sono arrivate? Un quarto. Il senatore Towt ha presentato una mozione per farmi destituire, con l’accusa di abuso d’ufficio. In questo momento ci sono degli ispettori governativi, sulla mia nave, che stanno vagliando tutto ciò che ho fatto nell’ultimo anno. Se trovano qualche sgarro, sarò riportato indietro in manette. E stia pur certa che chiunque mandino al mio posto, non sarà così disponibile nei suoi confronti. Ecco perché, in questo momento, non posso lanciarmi in nuove imprese. Aspettiamo che si calmino le acque, e allora vedrò cosa posso fare».

   «Per allora la guerra potrebbe essere finita» disse Rangda in tono acido.

   «Su, non faccia la vittima» la rimproverò Hadron. «Lo so che non vedeva l’ora di sbarazzarsi della Flotta Stellare e riformare l’Unione in senso autoritario. Il nostro interesse per il Mondo Perduto le ha dato l’occasione per fare ciò che voleva. Se adesso non è contenta, beh... dovrebbe stare più attenta ai suoi desideri». Con queste parole l’Ammiraglio chiuse la comunicazione.

   La Presidente trascorse qualche altro minuto a rimuginare. L’indolenza e l’opportunismo dei Voth erano ancora più esasperanti delle richieste dei Breen. L’operazione Tempesta di Pace si stava rivelando un pantano. Ma la Zakdorn non intendeva mollare. Fece una terza chiamata, stavolta all’Ammiraglio Vidkung.

   «Presidente, che succede?» chiese l’Efrosiano, strappato al sonno nel suo alloggio.

   «Ho letto il rapporto tattico e sono molto delusa» disse Rangda. «Lei ha condotto l’attacco in modo dilettantesco, permettendo ai ribelli d’infliggervi gravi danni. E cos’è questa storia che Benjamin Sisko sarebbe tornato dal Tunnel Spaziale?!».

   «Il mio Primo Ufficiale è convinto che sia un impostore» rispose Vidkung. «Del resto, come potrebbe essere il vero Sisko? Quell’uomo è morto da più di due secoli».

   «Uhm... non bisogna mai sottovalutare gli Umani. Quando sembra che siano estirpati, rispuntano come erbacce» mugugnò la Zakdorn. «Si assicuri che Sisko – vero o finto che sia – non sopravviva alla battaglia. Poi si accerti di recuperare tutti i Cristalli. E per finire, distrugga la Keter; sono stanca di ripeterlo».

   «Vuole che attacchi subito? Senza aspettare lo scadere della tregua?» chiese l’Efrosiano.

   Rangda avrebbe tanto voluto rispondere di sì. Attaccare i ribelli mentre si leccavano le ferite sembrava un buon modo per sopraffarli. Ma pensò ai negoziati di Cestus III. Se i Cardassiani cambiavano schieramento al momento giusto, la conquista di Bajor sarebbe diventata molto più facile.

   «No» decise la Zakdorn. «Rispetti la tregua, così avremo tempo per portare i Cardassiani dalla nostra. Ma comunque vadano le cose... Bajor deve cadere. Su questo non transigo».

   «Come desidera, Eccellenza» deglutì l’Efrosiano.

   Rangda chiuse la comunicazione, augurandosi che i suoi ordini fossero eseguiti. Era stanca d’essere circondata da incapaci, ma che ci poteva fare? Le altre specie non avevano il fine istinto tattico degli Zakdorn.

   In quella la Presidente sentì i suoi Mu-mu che mugolavano, chiedendo d’essere nutriti per la settima volta in quel giorno. «Eccomi, tesorucci!» disse, scattando in piedi. «Non mi sono dimenticata di voi!». Andò al replicatore e ordinò una ciotola colma di quel pastone marrone che gli piaceva tanto. Poi tornò alla gabbia e sfamò le bestiole, ingozzandole con grandi cucchiaiate di sbobba. La deliziava vedere i suoi animaletti – albini e ciechi per i ripetuti incroci – che diventavano sempre più grassi e felici. Un giorno, si disse, tutti gli abitanti dell’Unione l’avrebbero amata così.

 

   I dieci giorni della tregua concordata tra la Flotta e i Pacificatori furono i più frenetici nella storia recente di Bajor. Il ritorno dell’Emissario aveva galvanizzato i Bajoriani. La consapevolezza che il loro più grande eroe era di nuovo tra loro li unì come nient’altro avrebbe potuto fare. Bastò un discorso di Sisko, diffuso a reti unificate in tutto il sistema, per far cessare le persecuzioni contro gli Umani. Dopo giorni di saccheggi e notti d’incendi, le città ebbero pace.

   Al tempo stesso i Bajoriani si dedicarono anima e corpo a riparare i danni della battaglia e rafforzare le difese. Sulle astronavi danneggiate, gli ingegneri lavoravano giorno e notte, dandosi il cambio affinché i lavori non s’interrompessero mai. Gli armamenti di Deep Space Nine furono testati e la stazione fu circondata da un nugolo di piattaforme difensive. La Milizia Bajoriana preparò rifugi segreti e organizzò squadre di operativi, i cui dati furono cancellati dagli archivi. Bisognava infatti prepararsi alla peggiore delle ipotesi: la caduta del pianeta e l’inizio di una nuova guerriglia di liberazione. Il governo allestì ospedali da campo e rifugi per la popolazione. Quasi tutti questi preparativi in realtà erano già in corso, ma con l’arrivo dell’Emissario i lavori conobbero un’accelerazione straordinaria.

   Da Deep Space Nine, dov’era acquartierato, Sisko dirigeva le operazioni con energia instancabile. Era spesso in giro per la stazione, controllando il lavoro di ufficiali e ciurma. Aveva attenzione per tutti; per ognuno trovava qualche parola d’incoraggiamento. Nessuna richiesta, grande o piccola, restava inascoltata. Con una sola, notevole eccezione.

   Juri e Vasa avevano cercato più volte di parlargli del Cristallo di Fuoco, ma il Capitano aveva sempre qualcos’altro da fare. Considerata l’importanza del suo lavoro, i due studiosi dapprima lasciarono correre, promettendosi di riprovare in un altro momento. Ma giorno dopo giorno, le loro richieste di colloquio furono respinte. I sorveglianti non li lasciavano nemmeno entrare nel centro di comando. E quando riuscivano a beccare Sisko in uno dei suoi giri per la stazione, il Capitano li respingeva sempre con garbo, sostenendo di avere troppo da fare. Accennava vagamente al fatto che li avrebbe ascoltati appena possibile, ma non fissava mai un appuntamento. Poco alla volta, l’Umano e la Bajoriana si resero conto che Sisko li evitava volutamente.

   Ad accrescere la stranezza, Kai Nashir ordinò che tutti e dieci i Cristalli dei Profeti fossero radunati nel suo monastero. Si trattava di una mossa pericolosa, perché se Bajor fosse caduto i Pacificatori li avrebbero presi in un colpo solo. Era paradossale che, mentre tanti tesori artistici venivano divisi e nascosti, gli artefatti più preziosi fossero raccolti in un luogo noto. Il provvedimento non fu motivato, sebbene molti Vedek avessero espresso la loro contrarietà.

   «Qui gatta ci cova» disse Juri, la vigilia della battaglia. «L’atteggiamento di Sisko e Nashir sembra concordato. È come se avessero una strategia, che però non vogliono rivelare a nessuno. A meno che in realtà neanche loro sappiano cosa fare, e non vogliano ammetterlo, per non scatenare il panico. Ma allora perché radunare i Cristalli? È come se volessero usarli per qualcosa».

   Lo storico passeggiava avanti e indietro nel laboratorio di Vasa. Si rivolse alla collega, che lo ascoltava seduta su uno sgabello. «Ti risulta che i Cristalli possano essere usati in combinazione, o anche tutti assieme?» chiese.

   «Veramente no» rispose lei. «Del resto non ne hanno mai avuta occasione. Li abbiamo sempre tenuti separati, per evitare che qualcuno li rubasse in un colpo solo».

   «E adesso invece sono tutti nella capitale: il primo posto in cui i Pacificatori li cercheranno» si accigliò Juri. «Ascolta, devo dirti una cosa».

   «Sigh... cosa mi hai nascosto?» sospirò la Bajoriana.

   «Ecco, io... aspetta, come sai che ti ho nascosto qualcosa?».

   «Ti conosco, caro mio. Su, spara».

   «Quando ho interrogato il Cristallo del Destino, i Profeti sono stati... poco incoraggianti» rivelò Juri. «Hanno detto che, anche col loro aiuto, non possiamo salvare Bajor da tutte le minacce. Lo salveremo dai Pacificatori, oppure da Kosst Amojan... ma non da entrambi».

   «Hanno detto proprio così?! Sei certo di non aver frainteso?» si allarmò Vasa, irrigidendosi sullo sgabello.

   «Parlavo con loro come con te adesso. Sono stati fin troppo chiari» disse l’Umano. «Converrai con me su qual è lo scenario peggiore. I Pacificatori imporranno il loro regime, ma il Maligno distruggerà ogni forma di vita. Se fossi in Sisko, mi concentrerei di più su quel fronte. Invece si sta occupando di tutto, tranne che di quello».

   «Ma dicevi che lui e Nashir sembrano avere un piano...».

   «Sì, un piano che non vogliono condividere con noi. Mi chiedo perché» sospirò Juri. «Forse tenerci all’oscuro è l’unico modo per farci agire in un certo modo... perché se lo sapessimo, ci rifiuteremmo».

   «Non è un comportamento da Emissario» obiettò Vasa.

   «Oh, andiamo!» esclamò Juri. «Hai letto la biografia di Sisko? Anche lui è dovuto scendere a compromessi, certe volte. Magari il suo piano non gli fa onore, per cui cerca di nasconderlo, tanto più in un momento in cui tutti pendono dalle sue labbra. Vorrei solo che sapessimo di più sul Cristallo di Fuoco, così capiremmo cos’ha in mente!» si lamentò.

   Vasa restò assorta per qualche attimo, poi si riscosse. «Forse c’è il modo» disse.

   «Di che si tratta?» la incalzò Juri.

   «Elvo» disse l’archeologa con disgusto. «Il capo degli Adoratori potrebbe sapere cose che noi ignoriamo. E siccome si trova qui sulla stazione, è facile interrogarlo. Finora mi ero astenuta, perché temevo che quel criminale mi raccontasse delle menzogne. Lo temo ancora. Ma ormai, che abbiamo da perdere?».

   «Niente» convenne Juri. «E va bene: se Sisko non vuole riceverci, andremo da Elvo. Almeno non potrà dirci che è troppo occupato».

 

   Ottenuto il permesso dal vice-comandante della stazione, i due studiosi si recarono nel settore detentivo. C’erano parecchie prigioni, dato che la stazione era stata costruita dai Cardassiani; ma solo una era occupata.

   Elvo Jizu, ex generale della Milizia Bajoriana e Gran Maestro degli Adoratori, sedeva sulla sua brandina, leggendo tranquillamente un antico libro rilegato. Si era lasciato crescere una corta barba ed era un po’ ingrassato dall’ultima volta che l’avevano visto; colpa senz’altro della scarsità di moto. All’arrivo dei visitatori sorrise. «Salve. Mi chiedevo quando sareste stati abbastanza disperati da rivolgervi a me» disse. Solo allora alzò lo sguardo dalle pagine e vide chi erano i visitatori. «Dottoressa Agni... è incantevole come l’ultima volta che l’ho vista. Dottor Smirnov... è ancora a caccia di demoni?».

   «Perché no? È più interessante che scontare l’ergastolo» rispose lo storico, accostandosi al campo di forza che faceva da parete.

   «Se lo dice lei... ho sentito che ha maturato una certa esperienza di galera» lo canzonò Elvo. Mise da parte il libro e si alzò.

   «Mai quanto la sua» ribatté Juri. «Allora, cosa sa degli ultimi eventi?».

   «Tutto quel che dicono i notiziari» ghignò il Bajoriano, che aveva il permesso di tenersi informato. «Più altre cose che solo i veri credenti conoscono».

   «Quindi sa del ritorno dell’Emissario» puntualizzò l’Umano.

   Il Gran Maestro fece una smorfia rabbiosa. «L’Emissario è tornato tra i vivi, solo per morire» disse. «Non crederete che il Signore dell’Eterno Fuoco gli permetterà di ostacolare i suoi piani? La resa dei conti sta per arrivare e stavolta nessuno potrà ostacolarlo. Chi s’inginocchia sarà risparmiato, ma chi si ostina nella miscredenza...».

   «Sarà fatto alla griglia, sì, lo so» lo interruppe Juri. «Sa, ho chiacchierato coi Profeti, qualche giorno fa. Sembrano convinti che i Pacificatori s’impadroniranno di Bajor» rivelò, tacendo l’altra e peggiore eventualità.

   «Davvero?» fece Elvo, interessato suo malgrado. «La loro vittoria sarà di breve durata. Il Signore del Fuoco giudicherà anche loro».

   «Se non trovano il modo per distruggere il suo Cristallo. Se non lo nascondono nel passato, nel futuro o dall’altra parte dell’Universo» corresse Juri. «Sono Pacificatori: non hanno i nostri scrupoli nei confronti di chi ne pagherà le conseguenze».

   «Se giocano col fuoco, ne saranno scottati» rispose Elvo. «Ma voi cosa vi aspettate di sapere da me?».

   Juri ebbe un attimo d’esitazione e Vasa ne approfittò per prendere la parola. «Lei era il Gran Maestro degli Adoratori. Potrebbe sapere qualcosa, riguardo al Maligno, che non è di pubblico dominio» disse. «Se è così, questa è la sua occasione per comunicarcelo. Non ne avrà altre, perché domani i Pacificatori attaccheranno questa stazione. Ci sono buone probabilità che s’impadroniscano del Cristallo. E se questo luogo sarà distrutto, com’è accaduto alla New Frontier, le sue conoscenze moriranno con lei».

   «Avevo ragione su di voi... siete davvero disperati!» sghignazzò il prigioniero. «Ma come, il vostro Emissario tornato dalla morte non sa consigliarvi? E Kai Nashir nemmeno? Eppure ci sono cose che dovrebbero sapere, se non altro perché sono scritte nelle antiche pergamene. Ma forse non hanno voluto dirvele. Hanno preferito lasciarvi brancolare nel buio, per timore di ciò che fareste, sapendo ciò che sanno loro. E dove vi ha portati, tutto questo? Di nuovo da me!». Così dicendo il Bajoriano tornò a sedersi in brandina. Si appoggiò alla parete con le braccia incrociate dietro la testa e un ghigno soddisfatto.

   «Se vuol dirci qualcosa, lo faccia. Altrimenti ce ne andremo e non ci rivedrà più» disse Juri.

   «Ci rivedremo quando io lo vorrò» corresse il Gran Maestro, improvvisamente minaccioso. «Domani, allo scadere della tregua coi Pacificatori, tornate qui. E saprete la verità che il vostro salvatore vi ha nascosto».

   «Perché non vuol dircela adesso?» s’insospettì Juri.

   «C’è un tempo per ogni cosa» rispose Elvo, tra il serio e l’ironico. «Divertitevi, stasera. Mangiate a sazietà, ascoltate buona musica... godete alla faccia di Modro, se vi aggrada. Perché domani vi attende una scelta definitiva». Ciò detto, riprese il libro e s’immerse nella lettura.

   Juri e Vasa non provarono a fargli altre domande; sarebbe stato inutile. Lasciarono la sala di guardia e solo quando furono nel corridoio si scambiarono le impressioni.

   «Quel bastardo sa qualcosa d’importante» disse Juri, scuro in volto. «Vuole dircela all’ultimo minuto perché così non avremo il tempo di meditarci sopra».

   «Sempre che non menta» obiettò Vasa. «Forse ha voluto prendere tempo, per inventarsi qualcosa che ci danneggi».

   «Ho il sospetto che non gli serva mentire, per danneggiarci» mormorò Juri. «La verità potrebbe funzionare altrettanto bene».

 

   Un’altra giornata di lavoro massacrante, ma a suo modo esaltante, si avviava alla conclusione. Quella sera però non era come le altre. Il giorno dopo, a mezzogiorno, scadeva la tregua stipulata con i Pacificatori. La battaglia sarebbe riesplosa e stavolta non si sarebbe fermata fino alla sconfitta di una delle due parti. Tutti lo sapevano, perciò furono ben pochi coloro che, nell’uno e nell’altro schieramento, riuscirono a dormire sonni tranquilli.

   Lasciato il centro di comando, Sisko non si recò immediatamente al suo alloggio. Preferì passeggiare davanti ai vecchi negozi e locali della Passeggiata, chiusi da tempo immemorabile: la sartoria di Garak, il ristorante klingon... e anche...

   «Ma guarda» pensò l’Umano. Le luci nel bar di Quark erano accese. Attirato come una falena, Sisko vi entrò. Per un attimo ebbe l’impressione d’essere tornato indietro nel tempo. Il murale giallo-rosso, i tavolini, la ruota del dabo, il bancone... ogni cosa era come la ricordava. Mancava solo la consueta folla di clienti, camerieri, giocatori incalliti, ragazze-dabo, perdigiorno e intrallazzatori. Il Capitano poteva benissimo illudersi che fosse una serata come le altre, negli anni Settanta del XXIV secolo, e che Quark avesse appena chiuso il locale. C’era persino...

   «No, non può essere».

   Morn era lì al bancone. Il grosso Luriano, dal faccione grigio e lungo, era seduto sullo sgabello, con l’immancabile bicchierino in mano. Vedendo entrare Sisko lo guardò per qualche attimo, sbattendo gli occhietti, ma non disse nulla.

   «Bello, vero? Il curatore del museo ha pensato che dovesse esserci» disse Ilia, entrando in quel momento.

   «Buonasera, vecchio mio» l’accolse Sisko. «Sapevo che Morn era un cliente fisso, ma non mi aspettavo di trovarlo ancora qui. Qualcuno gli ha detto che il locale è chiuso?».

   «Spiritoso» disse Ilia. Andò dietro al bancone, dove prese una bottiglia e un paio di bicchieri. «Dopo Quark, il locale ha avuto parecchi gestori. Ma quando la stazione divenne un museo, il curatore volle riportarla ai suoi anni d’oro... i tuoi anni» precisò, versando da bere per entrambi. «Così il bar ha ripreso questo aspetto. I replicatori funzionano e le bevande nel sottobancone sono vere. L’ologramma di Morn fa parte dell’arredamento. Il curatore pensava che il locale fosse incompleto, senza di lui».

   «Sono certo che Morn ne sarebbe felicissimo» scherzò Sisko, ma poi si fece serio. Prese il bicchiere che la Trill gli porgeva, senza vuotarlo subito. «Lo sai, vero, che tutti questi preparativi servono solo a ritardare l’inevitabile? Possiamo rallentare i Pacificatori, infliggergli dei danni... con un po’ di fortuna comprometteremo la loro alleanza coi Breen. Ma non possiamo fermarli. A un certo punto dovremo evacuare la stazione, prima che si ripeta la tragedia della New Frontier».

   «Noi siamo pronti» confermò Ilia. «Ma mi piacerebbe conoscere per intero il tuo piano».

   «Vedi, non c’è un solo piano... molto dipende da cosa faranno gli altri giocatori della partita. Inclusi i Profeti e i Pah-wraith» rivelò Sisko, giocherellando col bicchiere.

   «Ma guarda» disse Odo, affacciandosi nel locale. «C’è una rimpatriata, e non me l’avete detto?» ironizzò.

   «Connestabile... mi scusi, ambasciatore» si corresse Sisko. «Venga avanti!».

   «Capitano...» fece Odo. Mentre si accostava al bancone si guardò intorno, ammirando il locale ricostruito. «Straordinario» disse. «L’unica cosa che manca è Quark che ne combina una delle sue. Ci sono altri ologrammi da attivare? Perché in tal caso potremmo mettere in giro qualche Ferengi» suggerì.

   «A che servono quelli finti, quando ce n’è una vera?» commentò una donna Ferengi, entrando in quel momento. «Tenente Smig, della Keter» si presentò. «Faccio il turno di notte. Prima di prendere servizio volevo dare un’occhiata a questo luogo. Sapete, Quark è un personaggio storico piuttosto famoso, tra la mia gente. I pezzetti essiccati del suo corpo si vendono ancora a peso di latinum».

   Gli altri tre storsero il naso, nel sentirsi ricordare quella macabra usanza Ferengi, ma non fecero commenti.

   «Vi andrebbe di sedervi?» chiese Smig. «Se i replicatori funzionano e questa roba è buona» accennò alle bottiglie «penso di poter mettere assieme una cena dignitosa. L’ultima nel bar di Quark! Credete che alla fine potrei tenermi qualche bottiglia, come – ehm – ricordo?».

   «Chiuderò un occhio» disse Sisko, comprensivo.

   «Anche due» fece Ilia, meno benevola. «Prego, Tenente».

   I tre si accomodarono a un tavolo vicino. Smig venne da loro a prendere le ordinazioni e in men che non si dica preparò una cena coi fiocchi. Intanto l’ologramma di Morn restava al bancone, sorseggiando ogni tanto il bicchiere, senza vuotarlo mai.

   Fu una strana serata, dal tono agrodolce. Sisko, Dax (o ciò che ne restava) e Odo erano gli ultimi superstiti di un equipaggio leggendario. Si erano ritrovati in quel luogo quando ormai lo credevano impossibile e sapevano che quasi certamente non sarebbe più capitato. Potevano chiacchierare del più e del meno, illudendosi che quei due secoli non fossero passati, dimenticando persino la battaglia incombente; ma la mancanza degli amici di un tempo pesava.

   Com’era prevedibile, Sisko parlò poco di sé. Qualunque cosa avesse passato nel Tunnel Spaziale, non era descrivibile, oppure c’erano motivi per non descriverla. Odo parlò del Dominio, spiegando che si era un po’ addolcito, da quando aveva condiviso le sue esperienze con gli altri Fondatori. Ma fu soprattutto Ilia a dominare la serata, raccontando le sue vite di Trill Unito, in particolare l’ultima. Narrò gli anni avventurosi dell’Enterprise-J e quelli trascorsi al Comando di Flotta. Infine rivelò come aveva perso il Simbionte Dax, così che i medici avevano dovuto impiantarle un sostituto. Parlare di quei terribili momenti fu difficile, ma le fece bene; fu come togliersi un peso. Dopo essersi abbandonata ai ricordi, la Trill si ricompose quando vide avvicinarsi Smig.

   «Devo tornare alla Keter, tra poco comincia il mio turno» spiegò la Ferengi. «Salute a lei, Ammiraglio. Ambasciatore... Capitano...».

   «Buona fortuna, Tenente» la salutò Ilia. «Mi dica solo una cosa: si trova bene coi suoi colleghi?».

   «Il turno di notte? Beh, direi di sì. Hanno le loro manie, ma sono bravi ragazzi» rispose Smig.

   «Si goda ogni momento» raccomandò Ilia.

   La Ferengi annuì e lasciò il bar, portandosi sottobraccio alcune bottiglie particolarmente pregiate.

   «Beh, credo che anche per noi sia ora di andare» disse Sisko. Così dicendo levò il bicchiere, imitato da Ilia e Odo. «Al miglior equipaggio che un Capitano possa desiderare» disse, riecheggiando l’ultimo brindisi che aveva fatto con loro. «Non importa cosa ci riserverà il futuro; non importa dove andremo. Una parte di noi... una parte molto importante... resterà qui, su Deep Space Nine».

   I tre amici bevvero fino a vuotare i calici. Poi riordinarono in fretta, in silenzio. Piatti e posate tornarono nel replicatore, dove furono riconvertiti in energia. Le bottiglie furono riposte nel sottobancone. I tre andarono alla porta e, dopo essersi scambiati gli ultimi saluti, presero strade diverse. Ilia tornò alla Defiant; Sisko e Odo ai rispettivi alloggi sulla stazione. Solo l’ologramma di Morn restò nel bar deserto, a sorseggiare il drink che non avrebbe mai finito.

 

   «Questo è tutto il mio lavoro sui Cristalli» disse Vasa, porgendo a Juri un’unità di memoria. «Vorrei che lo avessi, quando... tornerai sulla Keter». I due erano nel laboratorio dell’archeologa, ormai vuoto: i colleghi di Vasa erano tornati su Bajor.

   «Siamo di nuovo agli addii, eh?» fece Juri. Prese malvolentieri l’unità e la ripose in tasca. «Pensavo che avresti aspettato domani».

   «Domani potrebbe succedere di tutto. Non so se avremo il tempo di salutarci come si deve» spiegò la Bajoriana.

   «Sta diventando sempre più difficile» confessò l’Umano. «Dirti addio, intendo. Dimmi almeno se conti ancora di andare a New Bajor».

   «Credo di sì. Nel caso che Bajor cada, Sisko ha predisposto un convoglio per trasferire lì gli Umani e altra gente a rischio» rispose Vasa.

   «Sempre che raggiungiate il Tunnel» disse Juri, sapendo che quella zona era presidiata dal nemico. «E se invece venissi con me?».

   «Sulla Keter?» si stupì Vasa. «Ma io non appartengo alla Flotta!».

   «Nemmeno io».

   «Tu sei lì per un accordo speciale. Io non credo che potrei...».

   «Metterò una buona parola per te col Capitano Hod».

   «Juri, sei molto dolce» sorrise Vasa. «Ma non credo di poterlo fare».

   L’Umano non insistette. La Keter era una nave da guerra, che si cacciava nelle situazioni più rischiose. A ben vedere, Vasa sarebbe stata più al sicuro su New Bajor. «Già, hai ragione» ammise, con aria infelice. «Allora... ci vediamo domani, per discutere con Elvo». Fece per andarsene.

   «Aspetta» lo trattenne Vasa. «Mi sono piaciuti questi giorni che abbiamo trascorso assieme. Se questa è l’ultima serata, credo che... debba essere indimenticabile».

   «Intendi...».

   «Sì».

   Juri esitò. Si erano già confessati i loro sentimenti, ma c’era un motivo se fino ad allora la loro relazione era rimasta platonica. «Sei ancora sposata con Modro» le ricordò.

   «Formalmente sì» sbuffò Vasa. «Ma non tornerò mai più con lui».

   «Credevo che i vostri voti fossero vincolanti, finché non farete il Rito della Separazione» precisò Juri, pur sapendo di darsi la zappa sui piedi.

   «Io credo che... che i rituali siano al servizio delle persone, non viceversa» balbettò Vasa, arrossendo leggermente. «Anche se non ci siamo separati con tutti i crismi, ormai mi considero libera».

   Juri si accostò, carezzandole la guancia, e si perse nei suoi occhi verde smeraldo. Si era chiesto spesso come sarebbe stata la sua vita, se le cose tra loro fossero andate diversamente. Almeno adesso ne avrebbe avuto un assaggio... anche se questo avrebbe reso ancor più dura la separazione. «È bello sapere che la pensiamo allo stesso modo» disse.

   Si baciarono a lungo, carezzandosi con delicatezza, come se temessero di farsi male, dopo tutti i dolori che avevano patito. Confortati da quei primi gesti, andarono nell’alloggio di Vasa, il più vicino dei due. La Bajoriana si disfece la crocchia; i capelli sciolti le circondarono la testa come un’aura fiammeggiante, quando si adagiò sul letto. Ma erano fiamme, queste, di cui Juri non si sarebbe mai stancato.

 

   In quello stesso momento, Modro lasciò la Takiah a bordo di una navetta. Il suo viaggio era stato autorizzato dall’Ammiraglio Vidkung, che sperava di trarne vantaggio; ma nasceva da ragioni squisitamente personali.

   Il Comandante si diresse verso il Tunnel Spaziale, avendo l’accortezza di tenere gli scudi alzati: la zona era ancora piena di detriti della New Frontier. Ogni volta che pensava alla stazione distrutta, aveva male al cuore. Si chiedeva se avrebbero potuto fare diversamente. E ogni volta si rispondeva che no, non c’era altro modo. I ribelli avevano rifiutato l’offerta di pace, quindi non restava che sconfiggerli. Era la guerra, e non l’aveva voluta lui; da buon ufficiale poteva solo cercare di concluderla il prima possibile.

   Il Tunnel si spalancò in tutta la sua gloria di luce turbinante. Modro diresse la navetta all’interno, ma una volta lì compì un arresto totale e disattivò i motori. La navetta restò a metà del condotto, come aveva fatto quella di Vasa, dieci giorni prima.

   Il Bajoriano lasciò i comandi e andò nel comparto posteriore, dove aveva predisposto un piccolo altare con il simbolo dei Profeti. Accese due candele, s’inginocchiò e recitò le solite preghiere. In quel momento d’incertezza, confidava che i Profeti gli mandassero una visione. Certo, era difficile averne una senza disporre di un Cristallo. Ma lui era l’erede dell’Emissario, e in passato aveva accolto in sé un Profeta, ed era nel Tempio Celeste. Tutto questo doveva pur valere qualcosa. Modro ricordò quando era stato lì sei anni prima, con il Cristallo dell’Emissario, implorando aiuto per salvare sua moglie. In quell’occasione i Profeti lo avevano soccorso, anche se non c’era stato un vero e proprio dialogo: l’entità era entrata in lui e Modro l’aveva lasciata fare. Ora però sperava ardentemente in un colloquio, che gli chiarisse qual era la giusta via da seguire.

   Passò il tempo. Esaurite le preghiere, Modro si rivolse direttamente ai Profeti: «Aiutatemi, vi prego. Domani mi attendono scelte difficili e ho timore di sbagliare. Devo compiere il mio dovere verso i Pacificatori, ma ho un dovere anche nei confronti di mia moglie, sebbene lei non mi ami più. Già in passato è stata in pericolo, a causa del Maligno. Con le mie sole forze non avrei potuto aiutarla, ma voi mi avete sostenuto... mi avete dato il potere di salvarla. Fatelo di nuovo, vi scongiuro».

   Il suo accorato appello non ebbe risposta. Modro era isolato nella navetta; solo le sue angosce gli facevano compagnia.

   «Perché non rispondete? È forse perché non ho un Cristallo con me? Eppure sono certo che mi sentite! Sono Modro Sisko, erede del vostro Emissario. Credo di avervi reso un servigio, quando contribuii a scacciare il Maligno. Allora perché m’ignorate, come se non esistessi? Insomma, fatevi sentire! Devo credere che non siate onniscienti? Oppure... devo credere che non siate buoni?!».

   Modro continuò a pregare e inveire per un’ora, in toni sempre più esasperati, finché dovette accettare la realtà. Quale che fosse il motivo, i Profeti non si sarebbero palesati. Era solo, alla vigilia del giorno più difficile – forse l’ultimo – della sua vita. Più solo di quanto si fosse mai sentito in vita sua.

   «Mi hanno abbandonato» mormorò, passandosi una mano sul volto e trovandolo bagnato di lacrime. «Oh, misero me... mi hanno abbandonato». Spense le candele con un soffio e si rialzò. «Ebbene, se devo andare in battaglia senza la vostra benedizione, così sia!» gridò in tono di sfida. «Vincerò con le mie forze, costi quel che costi!».

   Tornato in cabina, il Comandante girò la navicella e la diresse nuovamente nel Quadrante Alfa. Uscito dal Tunnel, passò tra le navi dei Pacificatori e dei Breen, finché riconobbe la sagoma imponente della Takiah. Nel vederla, un sorriso gli increspò le labbra. Ciò che non aveva ottenuto dai Profeti con le preghiere, se lo sarebbe conquistato lui stesso con le armi.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil