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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 7: Kosst Amojan

 

   Il giorno decisivo per Bajor era arrivato. Fin dal mattino, entrando nel centro di comando, Sisko notò che gli ufficiali erano tesi sino al punto di rottura. In quei dieci giorni avevano quasi dimenticato la spada di Damocle che pendeva su di loro, emozionati com’erano dal ritorno dell’Emissario. Ma ora che il tempo stava per scadere, e che vedevano la flotta nemica schierata, il terrore stava riprendendo il sopravvento. Tutti i loro preparativi sembravano inutili contro la forza smisurata dei Pacificatori e dei Breen. Si sentivano come bambini che hanno costruito un castello di sabbia e che, nel momento in cui ammirano il frutto delle loro fatiche, vedono arrivare l’onda che lo cancellerà.

   Consapevole di questo, il Capitano fece un breve discorso d’incoraggiamento. I Bajoriani lo ascoltarono speranzosi, ma il loro morale era appeso a un filo. Sisko sapeva che lo stesso timore dilagava sulle astronavi, anche quelle della Flotta Stellare. Ma dovevano tenere duro, perché fuggire a quel punto avrebbe indotto altri mondi federali ad arrendersi.

   Le ore passarono veloci come minuti. Su Deep Space Nine, come sulle astronavi, gli equipaggi terminarono i preparativi. Alcuni ingegneri rimasero al lavoro fino all’ultimo minuto per riparare i danni della precedente battaglia. La stazione fu evacuata da tutto il personale non essenziale, finché anche Juri e Vasa furono richiamati.

   «Non posso tornare» disse lo storico, parlando al Capitano Hod da uno schermo del laboratorio. «Elvo ci ha promesso informazioni sul Cristallo, ma quella canaglia vuole aspettare l’inizio della battaglia».

   «Non le viene il sospetto che stia mentendo?» suggerì l’Elaysiana. «Magari vuole solo costringervi a rimanere lì, dove correte più rischi».

   «Non più di quanti ne corrano Sisko e gli altri» obiettò l’Umano. «Se le difese cedono, seguiremo il piano d’evacuazione».

   «Non posso dare ordini alla dottoressa Agni, ma a lei sì. Voglio che rientri» insisté Hod.

   «La prego, Capitano... lo devo fare» disse Juri, accorato.

   «Cosa cerca, redenzione? Lasci perdere!».

   «Capitano, voi avete la vostra battaglia contro i Pacificatori, ma noi abbiamo la nostra contro Kosst Amojan. E mi permetta di dire che non è meno importante» sostenne Juri. «Ce la lasci combattere».

   «E va bene» si arrese il Capitano. «Lei è... molto coraggioso. Spero che non dovrò rimpiangerlo». Con queste parole chiuse la comunicazione.

   Juri si rivolse a Vasa, che aveva appena avuto una conversazione analoga con il Ministro della Difesa bajoriano. «Posso restare» le disse.

   «Anch’io» confermò Vasa. «È quasi l’ora, andiamo».

   «Sì, Elvo dovrà sputare il rospo» convenne Juri. I due lasciarono il laboratorio, che non avrebbero mai più visto.

 

   A mezzogiorno in punto – ora della capitale – Pacificatori e Breen si mossero, lasciando dieci navi di guardia al Tunnel Spaziale. Puntarono direttamente contro Bajor, ignorando per il momento le colonie sugli altri pianeti. Quelle sarebbero cadute facilmente, una volta sconfitta la Flotta Stellare.

   I difensori erano schierati attorno a Deep Space Nine. Da un lato vi erano settanta navi della Flotta Stellare; dall’altro appena una sessantina di vascelli bajoriani e cardassiani. La stazione però era circondata da piattaforme orbitali, sottratte al perimetro difensivo del pianeta. Era il miglior schieramento possibile, date le circostanze; ma del tutto inadeguato contro gli oltre seicento vascelli nemici. Di conseguenza Sisko si era preparato alla peggiore delle ipotesi, la caduta di Bajor. Tutte le navi trasporto disponibili erano state radunate nell’orbita bassa, appena sotto lo Scudo Planetario. Erano stipate con gli Umani del pianeta, oltre a un certo numero di Bajoriani che, per il loro impegno nella Federazione, erano particolarmente esposti alle ritorsioni. Il convoglio avrebbe lasciato Bajor, se le difese avessero ceduto; ma tutti sapevano che i trasporti avevano ben poche speranze di sfuggire alle veloci navi da guerra nemiche.

   Pacificatori e Breen, sempre mischiati, si fermarono a poche migliaia di km dai difensori. Ancora una volta Radek fissò la Keter, mentre Hod scrutava il Moloch. Entrambe le navi erano state riparate dai lievi danni subiti nello scontro precedente e i Capitani erano decisi a non lasciarsi più interrompere. Quella sfida lunga un anno doveva giungere all’epilogo.

   «Bina...».

   «Radek...».

   Nello stesso momento anche le due navi ammiraglie, la Takiah e la Defiant, si fronteggiarono. La chiamata dei Pacificatori fu però diretta alla stazione.

   «Capitano Sisko» esordì Vidkung. «Speravo che questi giorni di tregua inducessero i Bajoriani a ritrovare la ragione. Ma il vostro schieramento lascia intendere che ciò non sia avvenuto. Li ha indotti lei a questa scelta scriteriata?».

   «Il governo bajoriano ha deciso in piena autonomia» rispose Sisko. «Piuttosto, dovreste chiedervi perché tanti mondi vi resistono fino all’ultimo. Forse non siete i liberatori che pensate. Forse siete solo degli invasori».

   «O forse siete voi ribelli che tenete in ostaggio Bajor» ribatté Modro, facendosi avanti. «Lo ammetto, fingere il ritorno dell’Emissario è stata una buona idea per tacitare le opposizioni. Ma cos’avete guadagnato, in realtà? Solo un’altra battaglia, in cui sarete sconfitti, e un trattamento più duro per Bajor. Voi non amate il mio pianeta... voi lo odiate, e volete fargli tutto il male possibile».

   «Mi spiace che la pensi così, nipote» disse Sisko, addolorato. «Avrei voluto incontrarti di persona, per farti capire che non sono ciò che pensi».

   «C’incontreremo, alla fine» disse Modro, più ostile che mai.

   «Ehm, ehm» tossicchiò l’Ammiraglio, riprendendo il filo del discorso. «Dunque rifiutate quest’ultima possibilità di resa?».

   «La rifiutiamo» confermò Sisko.

   «Possano i vostri figli perdonarvi» disse l’Ammiraglio, e chiuse la comunicazione. Pochi attimi dopo i Pacificatori e i Breen mossero all’attacco. Quando i loro colpi martellarono gli scudi della vecchia stazione, anche i Bajoriani più devoti si dissero che stavolta avevano chiesto un miracolo troppo grande.

 

   Sentendo tremare la stazione, Elvo lasciò la brandina e si mise in ascolto. Posò una mano sulla parete della cella, per meglio avvertire le vibrazioni. «Lo sentite anche voi, amici?» chiese in tono beffardo, guardando Juri e Vasa. «L’ora del Giudizio si avvicina. Il Signore dell’Eterno Fuoco sta per spezzare le catene».

   «Quella che senti è la battaglia contro i Pacificatori» lo corresse Vasa.

   «E chi vi dice che la battaglia non faccia parte del Suo piano?» ribatté il Gran Maestro, con un sorrisetto arguto.

   «Basta coi giochetti, Elvo» lo avvertì Juri. «Se non hai niente d’interessante da dirci, ce ne andremo. Per sempre».

   «Oh, sono certo che il vostro interesse si risveglierà, quando saprete ciò che la Kai e l’Emissario vi hanno nascosto!» disse il Bajoriano, accostandosi al campo di forza. Il suo volto era acceso dall’esaltazione. «Mia cara Vasa – posso chiamarti così? – dimmi, non è forse vero che i tuoi tentativi di distruggere il Cristallo di Fuoco sono miseramente falliti? Povera ingenua... non hai capito che il Cristallo è infrangibile, quali che siano le vostre tecnologie. Non si può sconfiggere Kosst Amojan... ma coi dovuti accorgimenti, ci si può convivere» rivelò.

   «Come?» chiese Juri.

   «Con un patto, naturalmente. Non è ciò che fate sempre voi federali? Accordarvi, trovare un compromesso? Dovrebbe piacervi» sogghignò Elvo.

   «Non ci si può accordare col Maligno!» insorse Vasa. «È il signore della menzogna!».

   «Questo chi ve l’ha detto? I Profeti! Sempre e solo loro!» ribatté Elvo. «Eppure i Profeti non impedirono che si combattessero guerre di religione in loro nome. Non fermarono i Cardassiani, quando vennero a conquistarci. Di certo non fermeranno i Pacificatori. E ancora dicono di amarci! Guardati dentro, Vasa, e chiediti chi sono i veri bugiardi».

   La Bajoriana sembrò colpita, ma si riebbe in fretta. «Non sono stati i Profeti a uccidere, in questi anni. È stato il tuo Kosst Amojan!» ricordò.

   «A volte l’unico modo per risanare la terra è bruciare le sterpaglie» ribatté Elvo. «Mi spiace che non l’abbia capito, tu che hai avuto l’onore di ospitare il Signore del Fuoco».

   Mentre i due battibeccavano, Juri andò alla consolle della sala di guardia e attivò la macchina della verità. Si trattava di un complesso apparato sensoriale che analizzava i segni vitali del prigioniero, confrontandoli con le letture degli interrogatori precedenti, per determinare se era sincero. Nel caso dei Bajoriani, l’affidabilità del dispositivo oltrepassava il 99%. Fatto questo, l’Umano tornò da Elvo. «Hai detto che ci si può accordare col tuo padrone» disse, richiamando la sua attenzione. «In che modo?».

   Il Gran Maestro sorrise e si rivolse all’Umano, mentre i tremiti della stazione aumentavano. «In primo luogo dovete aprire voi stessi la teca, prima che sia lui a uscire, e pronunciare l’invocazione rituale» spiegò. «Ma questo non basta. Per avere la benevolenza di Kosst Amojan, dovete compiere il più alto dei sacrifici».

   «Un sacrificio umano... dovevo immaginarlo» si rabbuiò Juri.

   «Umano! Che termine provinciale!» sbuffò il Bajoriano. «Dovete sacrificare un essere senziente, certo. E non uno qualunque. No... l’officiante deve togliere la vita alla persona che ama più d’ogni altra. Deve rinunciare per sempre al suo vero amore. Solo così otterrà una grazia dal Signore dell’Eterno Fuoco!».

   Juri e Vasa si guardarono angosciati, mentre la stazione vibrava per la battaglia e il campo di forza sfrigolava, compensando il calo di potenza. Quella rivelazione non giungeva del tutto inattesa. Era come se fosse aleggiata a lungo nel loro subconscio, e ora che si palesava non potevano che prenderne atto.

   «Ma guarda che piccioncini!» gongolò Elvo, godendo della loro disperazione. «State già pensando l’uno all’altra, vero? E il povero Modro non si è ancora unito alla brigata! Forse dovreste aspettarlo, e discuterne tutti e tre assieme!».

   «Sta’ zitto!» gridò Vasa, prossima alle lacrime.

   «Eh no, mi avete chiesto voi di parlare!» disse il Gran Maestro, leccandosi le labbra dalla soddisfazione. «Dunque lo farò sino in fondo... e voi mi ascolterete, perché non potete andarvene da qui con un quadro incompleto».

   L’archeologa gli rivolse le spalle, per non mostrare il dolore che le sfigurava il volto. Ma come aveva detto Elvo, non poté lasciare la camera di guardia. Juri non fece neanche quel gesto. Continuò a fissare il Bajoriano, senza realmente vederlo. Solo la sua voce gli riempiva il cervello.

   «Dunque, sappiate che il sacrifico è irreversibile» proseguì Elvo. «È logico, no? Non potete uccidere la vostra dolce metà e poi chiedere a Kosst Amojan di restituirvela... questo svuoterebbe di significato la prova. Per il resto, però, avete ampia facoltà di scelta. Potete chiedere al Signore del Fuoco di risparmiare voi e la vostra gente. Potete persino chiedergli di annientare i vostri nemici, ed egli lo farà. Vi piacerebbe, eh? Ammettetelo! Un vostro ordine e quei Pacificatori arroganti periranno tra le fiamme».

   «Perché mai Kosst Amojan dovrebbe obbedirci?» chiese Juri, cercando di razionalizzare. «In che modo il nostro sacrificio lo vincolerebbe?».

   «L’Universo si regge su un perfetto equilibrio, dottor Smirnov» rispose Elvo, alzando l’indice. «Il sacrificio di un’anima crea un vuoto che deve essere colmato. Se si cede qualcosa, si otterrà qualcos’altro; è inevitabile. Nemmeno i Pah-wraith possono sottrarsi a questa legge, anzi! Loro che sono più elevati di noi, più perfetti spiritualmente, sono vincolati a maggior ragione. Un’anima per una grazia; questo è il patto».

   «Do ut des» mormorò Juri, ricordando che gli antichi culti terrestri avevano concetti simili. Ma sulla Terra i sacrifici umani erano passati dal sacro al sacrilego molto tempo addietro. «Si può sacrificare se stessi, così che sia un alleato a beneficiarne?» chiese con un tremito.

   «Assolutamente no!» lo gelò il Bajoriano. «Solo chi compie il sacrificio acquista un credito, che può riscuotere esprimendo un desiderio. Se ti uccidessi da solo, il sacrificio andrebbe completamente sprecato».

   «Perché ci racconti questo?» chiese Vasa, sempre dando le spalle a Elvo. «Tu vuoi che il Maligno vinca, quindi non dovresti darci il potere di controllarlo».

   «Magari sono curioso di vedere che farete, ora che conoscete le regole del gioco» sogghignò il Gran Maestro. «Voi che vi considerate dalla parte del giusto, sacrificherete il vostro grande amore per il bene superiore? E in tal caso, cosa chiederete al Signore del Fuoco? Non sarebbe una buona idea fargli annientare gli invasori, prima che conquistino Bajor? Pensateci bene, amici miei... ma fatelo in fretta!». Così dicendo il Bajoriano tornò a stendersi sulla brandina, ridacchiando tra sé, mentre Deep Space Nine si scuoteva sempre più forte.

   Capito che non gli avrebbero cavato altro, Juri andò alla consolle, controllando i risultati della macchina della verità.

   «Ebbene?» chiese Vasa, con aria distante.

   «Se dobbiamo credere a questa ferraglia, Elvo ha detto il vero» ammise lo storico. «O almeno ne è convinto».

   La Bajoriana chiuse gli occhi per qualche secondo. Se lo aspettava; se lo sentiva nell’anima.

   «Ehi, il fatto che lui ci creda non significa che abbia ragione» argomentò Juri. «Sai a quante idiozie credono gli Adoratori! Questa sarà fuffa, come il resto».

   «Non è fuffa» disse però Vasa, fissandolo con sguardo tragico. «Mi sento come se lo avessi sempre saputo. Forse è una conoscenza che il Maligno ha lasciato in me, latente».

   «Potremmo chiedere conferma a Sisko e Nashir...».

   «Ora che la battaglia è in corso, non credo che riusciremmo a parlare con loro» obiettò Vasa. «In ogni caso, se ce l’hanno nascosto continueranno a negare».

   «Magari hanno una buona ragione per nasconderlo» borbottò Juri. «Tipo che non ci si può fidare di Kosst Amojan». Ricordò che la Kai gli aveva fatto promettere di non accordarsi mai con il Maligno, e anche i Profeti lo avevano esortato a non stringere patti. Forse lo avevano fatto in previsione di quel momento. «Andiamo via» disse, prendendo Vasa a braccetto. Lasciarono la sala di guardia, mentre la stazione scricchiolava sempre più forte. Come diceva Elvo, restava poco tempo per decidere.

 

   Nell’orbita di Bajor furoreggiava la battaglia. Pacificatori e Breen bersagliavano Deep Space Nine, cercando di perforarne gli scudi, come avevano fatto con la New Frontier. Oltre al fuoco della stazione e a quello dei vascelli nemici, tuttavia, subivano anche quello delle piattaforme difensive. Era una gragnola capace di soverchiare anche le navi più potenti. E come al solito, i federali si accanivano in particolare sui Breen, che avevano scudi più deboli. Le astronavi asimmetriche andarono in pezzi, ma Thot Rong ne inviò altre a riempire i vuoti. C’era sotto qualcosa di più dell’accordo con Rangda. Per la prima e unica volta nella loro storia, gli imperscrutabili alieni corazzati lasciarono perdere la strategia e si abbandonarono alla vendetta. Era dalla Guerra del Dominio che detestavano quella stazione, simbolo della loro sconfitta; questo era il momento di lavare l’onta. Il ritorno di Sisko, il loro vecchio nemico, accresceva la sete di rivincita. Così continuarono ad attaccare, incuranti delle perdite.

   Nel frattempo i Pacificatori cercavano di abbattere le piattaforme difensive; ma trovarono pane per i loro denti. Le piattaforme erano modelli cardassiani di ultima generazione; potevano sparare a getto continuo e girare sui loro assi per seguire il bersaglio. Molti timonieri, che pensavano d’essersi portati fuori tiro, si accorsero che quegli arnesi non avevano punti ciechi. A lungo andare i Pacificatori, più numerosi, avrebbero prevalso; ma per adesso pagavano un prezzo salato.

   In quel pandemonio, due astronavi si cercavano, disdegnando ogni altro scontro. La Keter e il Moloch si trovarono, si persero nella confusione e infine giunsero di nuovo a scontrarsi. Le loro evoluzioni attorno a Deep Space Nine furono riprese dalle altre navi ed entrarono nella leggenda. I cittadini dell’Unione dovettero ammettere che c’era qualcosa d’indomabile in quella nave ribelle, che non si sottraeva allo scontro con un vascello assai più potente. E i federali ammisero che anche i Pacificatori avevano coraggio, nel volare tra il modulo centrale e l’anello d’attracco, con il rischio di un impatto rovinoso. Le manovre delle astronavi e le decisioni dei Capitani furono studiate nelle accademie militari di ambo gli schieramenti. Ma questo a Hod e Radek non importava minimamente; la loro era una faccenda personale.

   «Dovremmo intervenire» suggerì Modro, osservandoli.

   «Negativo» disse Vidkung, che come al solito teneva la Takiah nelle retrovie. «Interverremo quando gli scudi della stazione cederanno. Lei è pronto a guidare la squadra d’assalto?».

   «Sì, signore» garantì il Bajoriano, sfiorandosi il phaser in fondina. La sua missione era recuperare il Cristallo di Fuoco, ma sperava che l’abbordaggio gli offrisse l’occasione per salvare Vasa. Se poi avesse incontrato il dottor Smirnov, tanto meglio.

 

   Quando Juri e Vasa chiesero di entrare nella camera del Cristallo, i sorveglianti li osservarono con sospetto. «Non pensavo che foste ancora qui» disse il caposquadra. «Dovete portar via l’artefatto? Perché io non ho ricevuto alcun avviso».

   «Senta, non c’è tempo per spiegare» s’innervosì Vasa. «Mi conosce, no? Su, ci faccia entrare» disse, accennando anche a Juri.

   «È tardi per i vostri studi... ma va bene, andate» cedette il Maggiore.

   L’archeologa digitò il proprio codice d’autorizzazione e passò il pollice sul lettore di DNA. Il portone di yiterium si sollevò, mostrando la camera blindata con il Cristallo nella sua teca. Le pareti erano annerite qua e là dagli incendi spontanei.

   «Grazie» sorrise Vasa, passando accanto al caposquadra. Mentre gli era vicina, allungò una mano e gli sottrasse il phaser dalla fondina.

   «Ehi!» fece il Maggiore, colto alla sprovvista. Cercò di riprendersi l’arma, ma Vasa scivolò nella camera blindata e attivò un comando che richiuse il portone. Solo Juri, che si aspettava una mossa del genere, ebbe la prontezza di entrare. Si tuffò in avanti e rotolò a terra, sfuggendo per un soffio al portone che si abbassava. Balzò di nuovo in piedi, estraendo il fulminatore elettrico che teneva nascosto nella manica. Nello stesso attimo anche Vasa alzò il phaser che aveva sottratto al Maggiore. Restarono immobili, a parte il respiro un po’ ansante, mirandosi reciprocamente al cuore.

   «Avanti, spara!» sbottò Juri.

   «No, spara tu!» ribatté Vasa.

   «Sapevi che ero armato. Volevi che ti uccidessi».

   «E tu sei entrato perché volevi che io ti uccidessi».

   «Okay, tutti e due volevamo che fosse l’altro a ucciderci» sbuffò l’Umano. «Ora che ne diresti di deporre le armi, così ne parliamo? E non pensare di auto-immolarti, perché Elvo è stato chiaro: il sacrificante deve uccidere un’altra persona».

   «C’è poco da discutere; io sono la scelta più logica» disse Vasa, senza deporre il phaser. «In passato sono stata strumento di Kosst Amojan; ora posso fermarlo. È ciò a cui ho lavorato per sei anni. Se questo è l’unico modo, mi sta bene».

   «Ma non sta bene a me!» obiettò Juri. «Ascolta, quand’ero coi Na’kuhl ho fatto cose orribili. Ero pronto a cancellare dalla Storia te, i miei colleghi, tutti! Per salvare un’unica persona».

   «E non è meglio sacrificare un’unica persona, per salvare tutti gli altri?» ritorse Vasa.

   «Non tu, maledizione... non accetto che sia tu!» inveì l’Umano. «Quand’eri influenzata dal Maligno non avevi scelta, mentre la mia alleanza con Vosk fu volontaria. Se c’è qualcuno che deve scontare, quello sono io» disse, gettando il fulminatore.

   «Che fai? Raccoglilo subito!» ordinò Vasa.

   «No... lo sai anche tu, che deve andare così» sospirò Juri. «Se muoio io, saranno in pochi a dolersene. Tu lasceresti un vuoto in molte più vite. Avanti, non starci a pensare... spara! Poi ordina al Maligno di tornarsene nelle Caverne di Fuoco e non uscire mai più».

   L’Umano allargò le braccia, pronto a ricevere il colpo mortale. Era convinto che di lì a un attimo sarebbe morto... e a differenza dei Bajoriani, non aveva la consolante certezza di una ricompensa ultraterrena. Ma preferiva finirla adesso, piuttosto che vedere i Pacificatori conquistare un pianeta dopo l’altro, cancellando la cultura umana.

   «Mi dispiace, Juri!» singhiozzò Vasa. Le lacrime le annebbiavano la vista, impedendole di mirare, e le mani le tremavano tanto che il phaser quasi le sfuggì. Si asciugò gli occhi col dorso della sinistra e rinsaldò la presa sull’arma. «Mi spiace tanto, amore mio!» mugolò, cercando di mirare il cuore.

   A pochi metri da loro la teca del Cristallo sfrigolò, come se Kosst Amojan pregustasse l’offerta che stava per giungergli.

 

   Dopo mezz’ora di battaglia, gli scudi di Deep Space Nine si erano indeboliti a tal punto che alcuni colpi nemici intaccarono lo scafo. Ci furono crepe e si aprirono un paio di falle. Ma il peggio doveva ancora venire.

   Vedendo che gli scudi stavano per cedere, un vascello Breen si fece avanti, superando l’intenso fuoco di sbarramento. Bersagliò l’anello d’attracco là dove lo schermo era più debole. Ilia notò subito il pericolo e ordinò di concentrare il fuoco. La Defiant colpì il vascello nemico sulla fiancata, col cannone a impulso e i siluri, danneggiandolo gravemente. Fiammeggiando dagli squarci, la nave Breen proseguì la sua traiettoria... dritta contro l’anello.

   «Raggio traente!» ordinò Ilia. La Defiant agganciò il vascello Breen, cercando di deviarlo, ma il Moloch si frappose, bloccando il raggio. Dietro quel riparo, i Breen continuarono l’attacco kamikaze, fino a collidere.

   L’immane esplosione disintegrò la nave Breen, come anche un terzo dell’anello d’attracco. L’aria uscì a fiotti dai corridoi esposti, finché i campi di forza si attivarono, arginando la perdita. Innumerevoli detriti crivellarono il resto della stazione; alcuni erano così grossi che aprirono altre falle. Deep Space Nine vibrò in tutta la sua struttura; il personale fu scaraventato a terra, le consolle esplosero, i danni a cascata si propagarono nei sistemi. Nel centro di comando, Benjamin Sisko fu scagliato in avanti e rotolò due volte a terra, prima di riuscire a fermarsi; ancora pochi centimetri e avrebbe battuto la testa contro uno spigolo. Si rialzò prontamente, mentre gli allarmi squillavano a tutto spiano. Aiutò gli ufficiali a riprendersi e al tempo stesso dette ordini per salvare la stazione.

   Sulla Defiant, Ilia restò impietrita per qualche secondo. Vedere l’amata stazione che s’inclinava, con l’anello infranto e gli scudi abbassati, era un colpo al cuore. «Benjamin...» sussurrò, temendo per l’amico; ma non c’era tempo d’informarsi su di lui. «Ammiraglio Tarn a flotta, piano B» ordinò. Le astronavi si compattarono, cercando di respingere la marea nemica. La Keter si allontanò dalla stazione, inseguita dal Moloch.

   «Ammiraglio, la Takiah ha abbassato gli scudi» avvertì inaspettatamente l’Ufficiale Tattico.

   L’ammiraglia nemica era sempre nelle retrovie, ma il timoniere manovrò in modo che il collega avesse il tiro libero. La Defiant colpì, ma gli impulsi phaser si arrestarono contro gli scudi nemici, prontamente rialzati.

   «Ebbene?» chiese Ilia.

   «Hanno abbassato gli scudi solo per tre secondi, non ho fatto in tempo a colpirli» si giustificò l’Ufficiale Tattico.

   «È il tempo di un teletrasporto rapido» notò l’addetto ai sensori. «Ammiraglio, ho rilevato trenta tracce di teletrasporto dalla Takiah a DS9, divise in due gruppi. Hanno abbordato la stazione».

   «Peggio per loro» disse la Trill, osservandola. Le piattaforme orbitali si erano riconfigurate, dopo il suo ordine, e avevano smesso di sparare. Tutta la loro potenza andava ora agli scudi. Si attivarono simultaneamente.

   Fino a quel momento Deep Space Nine era stata difesa da uno scudo aderente, emanato dalla stazione stessa. Le astronavi potevano accostarsi e perfino fare evoluzioni tra il modulo centrale e l’anello d’attracco, rimanendo fuori dalla barriera. Ora non era più così. Un nuovo scudo, a forma di bolla, avvolse la stazione, generato dalle venti piattaforme che la circondavano. L’idea era venuta studiando la ragnatela tholiana, uno dei ritrovati bellici più efficaci e originali del Quadrante.

   Lo scudo a bolla scintillò nel momento dell’attivazione, poi divenne invisibile. Deep Space Nine era di nuovo schermata, ma quella breve finestra di vulnerabilità aveva lasciato delle conseguenze. Trenta Pacificatori si facevano strada al suo interno, contendendo il terreno alla Milizia Bajoriana. Una prima squadra era diretta al centro di comando, per neutralizzare l’Emissario. La seconda, guidata da Modro, puntava alla camera del Cristallo.

 

   L’impatto della nave Breen scaraventò Juri e Vasa contro la parete della camera blindata. Il campo di forza che proteggeva il Cristallo si disattivò e la teca cadde sul pavimento. Le sue ante si socchiusero, lasciando filtrare una lama di luce scarlatta. Accortosi del pericolo, Juri si precipitò accanto alla teca e la richiuse. Invece di rimetterla a posto la lasciò a terra, nel caso ci fossero altri scossoni simili.

   «Ohi... cos’è stato?» fece Vasa, rialzandosi solo in quel momento. Era dolorante per l’urto, ma aveva ancora il phaser.

   «Sisko a equipaggio, attenzione!». La voce del Capitano veniva dai comunicatori. «Una nave Breen ha impattato contro l’anello d’attracco. I campi di forza sigillano le falle e il supporto vitale è attivo, ma abbiamo una perdita al sistema energetico. Lo scudo ausiliario ci protegge, per ora, ma il nemico tornerà all’attacco. Abbiamo anche una violazione della sicurezza: una squadra nemica sul ponte 1 e un’altra sul ponte 15. A tutti gli agenti, convergere sugli intrusi. Agli ingegneri chiedo di sigillare la perdita. Ma tutto il personale deve tenersi pronto all’evacuazione. Sisko, chiudo».

   «Ancora non ha detto nulla del Cristallo!» borbottò Juri. «Se non fosse impossibile, direi che se l’è dimenticato. Beh, noi no. Avanti, Vasa... spara» disse, allargando di nuovo le braccia per fare da bersaglio.

   «Io... non posso» disse la Bajoriana.

   «Invece devi» la esortò l’Umano. «Hai sentito Sisko? La seconda squadra nemica è due ponti sopra di noi. Mi gioco la testa che vengono a prendere il Cristallo. Dobbiamo controllare Kosst Amojan prima che arrivino, o lo faranno loro».

   «I Pacificatori non sanno che si può controllare il Maligno» obiettò l’archeologa.

   «E se invece lo sapessero? Hai idea di cosa potrebbero fare?» fece Juri, sempre più ansioso. «Dobbiamo precederli... devi sparare».

   «Non posso, ti ho detto!» gemette Vasa.

   «Ma sono io che te lo chiedo!».

   «Non è per quello» disse l’archeologa, con voce incrinata. «Non credo che il sacrificio funzionerebbe». Si girò per celare gli occhi arrossati dal pianto.

   «Perché no? Se tu...» cominciò Juri, ma si bloccò. Per interminabili secondi regnò il silenzio. La realtà era ormai chiara all’Umano, che solo adesso comprendeva lo strazio della Bajoriana.

   «Capisco» disse Juri, nel tono senza enfasi della delusione. «Perché il sacrificio funzioni, devi uccidere la persona che ami di più. E io non sono quella persona. Peccato... se dovevo morire, speravo almeno che qualcuno mi rimpiangesse».

   «Tu... mi sei molto caro» disse Vasa, con voce arrochita. Gli dette un’occhiata furtiva per poi distogliere nuovamente lo sguardo. «Ma ci sono altri, nel mio cuore, che non posso scordare. Io... non sono certa di amarti più d’ogni altro, e non posso rischiare di ucciderti per niente».

   «Ho l’impressione che tu non ti riferisca ai tuoi parenti» disse l’Umano. «Quindi non resta che... lui. Dopo tutto ciò che ti ha fatto... dopo che tu stessa gli hai detto di non farsi più vedere... lo ami ancora» disse senza rabbia. C’era qualcosa di affascinante, in quella tragedia; l’ennesima prova della contraddittorietà dei sentimenti.

   «Modro e io siamo stati sposati per sette anni» mormorò Vasa. «Non posso scordare una fetta così importante della mia vita. Mi spiace, Juri...».

   «Ti spiace di che? Di avermi preso come tizio di rimpiazzo?».

   «Mi spiace che le nostre strade si siano incrociate di nuovo» disse la Bajoriana, tornando a fronteggiarlo. «Sarebbe stato meglio, per entrambi, che non fosse mai accaduto».

   «Però è successo, e siamo qui» insisté Juri. «I Pacificatori stanno arrivando...».

   «Sì, stanno arrivando». Vasa annuì vigorosamente. «Io non posso ucciderti, perché sarebbe inutile. Quindi devi essere tu a uccidere me. Fallo subito». Gli mise in mano il phaser, costringendolo a chiudere le dita attorno all’impugnatura. Dopo di che indietreggiò verso la parete e allargò le braccia, facendo da bersaglio.

   «Avanti, Juri. Se mi ami davvero, fa’ ciò che dico. E non preoccuparti per me... so che i Profeti mi accoglieranno» disse la Bajoriana, ma l’Umano si avvide che tremava come una foglia. Che credesse o meno a ciò che diceva, la vita le era cara.

   Lo storico la prese di mira. Il suo braccio sembrava diventato pietra; faceva una fatica terribile a tenerlo sollevato. L’indice, poi, rifiutava di premere il grilletto. «E se non funziona?» mormorò.

   «Deve funzionare!».

   «Perché deve?!» s’intestardì Juri. «Solo perché tutto il resto ha fallito? O perché ce l’ha detto Elvo? Se fosse tutto un suo inganno?».

   «Non ricominciare! Se c’è una possibilità su un milione che questo ci protegga dal Maligno, vale la pena tentare» insisté Vasa.

   «Proteggerci! Di solito i patti col Diavolo non finiscono bene» borbottò l’Umano. «Conosci il Faust?».

   «No, cos’è? Un trattato di demonologia terrestre?».

   «Lascia stare. Volevo solo dire che in questi accordi c’è sempre una pecca fatale» spiegò Juri. Abbassò il phaser e camminò nervosamente avanti e indietro. «Tipo che il demonio si prende la tua anima, o aggira gli ordini con qualche cavillo linguistico. C’è un motivo se tutti i racconti tradizionali mettono in guardia da questo tipo d’accordi. Anche Kai Nashir mi aveva avvertito! Mi ha fatto promettere che non sarei sceso a patti con Kosst Amojan. E dovrei rimangiarmi la parola? No».

   «Si tratta di salvare Bajor!».

   «Salvarlo da cosa? Se è da lui, troverà il modo di aggirare l’ordine» disse Juri, indicando la teca col Cristallo di Fuoco. «Se è dai Pacificatori, non ha senso abbassarci al loro livello; tanto varrebbe lasciarli vincere. Io dico di aspettare».

   «Aspettare cosa?».

   «Gli eventi. Se i Pacificatori vengono a prendersi il Cristallo, potrebbe nuocere più a loro che a noi. In ogni caso, se combattiamo per un ideale di giustizia, non vinceremo assassinando coloro che amiamo. Questa è la logica del nemico, e io la rifiuto». Gettò il phaser.

   «E se ti sbagli?» sussurrò Vasa.

   «Amen».

 

   «Tenete duro!» gridò Sisko, sovrastando il frastuono della sparatoria. La prima squadra dei Pacificatori aveva raggiunto il centro di comando. Per ora le guardie difendevano l’ingresso, ma c’era il rischio che i nemici entrassero in un altro modo. Ad esempio, con gli Sfasatori Dimensionali.

   Vedendo un tratto di muro trasformarsi in nebbia, Sisko comprese che i Pacificatori erano dall’altra parte e stavano per passare. Estratto il phaser, mirò a uno degli angoli, dov’erano piazzati i congegni che mettevano “fuori fase” la materia. Quando sparò, il primo agente stava già attraversando la paratia. Bastò distruggere uno dei quattro Sfasatori perché il metallo riacquistasse le sue proprietà. La paratia tornò solida, ma ora c’era il cadavere di un Pacificatore che sporgeva per metà nella sala, come una macabra marionetta. Sisko distolse lo sguardo, addolorato.

   «Ne abbiamo storditi quattro, gli altri si ritirano!» avvertì uno degli agenti appostati all’ingresso. «Credo che i nostri li abbiano presi alle spalle. Sì, è confermato: i Pacificatori sono in trappola».

   «E l’altra squadra?» chiese Sisko.

   «È rimasta ferma per un po’, ma poi è tornata in movimento. Ora sono al ponte 17» riferì Odo, consultando la consolle tattica. «Stanno per raggiungere la camera blindata. Mando rinforzi per aiutare i sorveglianti».

   «No, niente rinforzi» disse Sisko a sorpresa. «Anzi, faccia andare via le sentinelle che ci sono adesso. Morirebbero inutilmente».

   «Lei come fa a saperlo?» chiese il Mutaforma.

   «Lo so e basta. Deve fidarsi di me» rispose l’Emissario, con uno sguardo d’intesa.

   «D’accordo, ma Agni e Smirnov sono ancora là dentro. Dobbiamo tirarli fuori, prima che...».

   «C’è un solo modo affinché questa battaglia non termini con la distruzione di Bajor» avvertì Sisko. «Sto cercando d’indirizzare gli eventi verso quell’esito, ma ci sarà un prezzo da pagare».

   «E loro ne faranno le spese» intuì Odo.

   «Sì, Ambasciatore. Ne faranno le spese» sospirò l’Emissario.

 

   Eccitato dalla battaglia, Modro accelerò il passo. Era vicinissimo, ormai. Aveva passato giorni a studiare la planimetria della stazione: ne conosceva ogni corridoio e ogni svolta. Si era addestrato sul ponte ologrammi, imparando a superare ogni possibile ostacolo. Ora la sua marcia era ancor più rapida del previsto. Già si vedeva consegnare il Cristallo alla Presidente, ricevendone gli elogi. Con quel successo, avrebbe potuto chiedere il trasferimento. Il suo sogno era comandare Deep Space Nine, facendone il baluardo per l’avanzata nel Fronte Occidentale... ma stava correndo troppo. Doveva concentrarsi sul presente.

   Un fruscio sulla destra lo avvertì del pericolo. Il Bajoriano si arrestò prima dell’incrocio, si sporse nel corridoio laterale e sparò. Un agente della Milizia cadde a terra, stordito dal raggio phaser. Il suo collega contrattaccò; Modro sentì il raggio ronzargli a pochi centimetri dalla testa. Anche se indossava una tuta semicorazzata con casco, il Comandante sapeva che un raggio ad alta energia gli sarebbe stato fatale. Ciononostante tenne la posizione e sparò ancora. Il secondo avversario cadde a terra privo di sensi.

   «Via libera» disse Modro, facendosi avanti. In testa alla sua squadra oltrepassò i nemici storditi, percorrendo il corridoio fino al suo termine. La camera blindata era lì, senza altri agenti a difenderla.

   «Non mi piace... è stato troppo facile» disse un Pacificatore. «Potrebbe essere una trappola».

   «Forse il Cristallo è stato spostato» ipotizzò un altro.

   «Ora lo scopriremo» disse Modro. Posizionò gli Sfasatori Dimensionali sul portone e li attivò, aprendo un varco. «Dentro!» ordinò.

 

   Vedendo che il portone diventava lattiginoso, Vasa afferrò il phaser che Juri aveva lasciato cadere e si nascose dietro il sostegno del Cristallo.

   «Lascia stare, alla fine passerebbero. Siamo pochi per difendere la camera» le disse l’Umano, fatalista. Aveva appena parlato che i Pacificatori fecero irruzione, con i fucili phaser spianati. Indossavano le tute da combattimento che ormai erano d’ordinanza, per le squadre d’assalto.

   «Mani in alto, federali! Gettate le armi!».

   Juri obbedì al primo ordine, ma tenne il fulminatore elettrico nascosto nella manica. Invece Vasa, che impugnava il phaser, dovette per forza gettarlo. In un attimo i due furono circondati dai Pacificatori, che li perquisirono. Li privarono dei comunicatori, mentre l’arma di Juri era così piccola che sfuggì alla rapida ispezione.

   «Lui dov’è?» chiese Vasa con rabbia. «Aveva detto che sarebbe tornato. Non ha avuto il fegato?».

   «Sono qui, amore» disse Modro, entrando nella camera blindata. Fece rientrare il casco nella tuta, per farsi riconoscere dalla moglie. «Ma guarda... mi aspettavate insieme» commentò, passando lo sguardo da lei a Juri. «Chi di voi aveva il phaser?».

   «Sua moglie, signore» riferì un agente.

   «Devi odiarmi proprio tanto» commentò il Comandante, guardandola con rimpianto.

   «Sorvegliavo il Cristallo» ribatté lei.

   «Non avete più sentinelle?» s’insospettì Modro.

   «Se è il Cristallo che vuoi, prendilo e vattene» intervenne Juri.

   «Nessuno ti ha detto di parlare, Umano!» berciò il Comandante. Poi si rivolse di nuovo alla moglie. «Tu verrai con me» le disse.

   «No, mai» fece Vasa, ritraendosi.

   «È per il tuo bene... ora sei confusa, ma un giorno mi ringrazierai» disse Modro, afferrandole il polso. La Bajoriana si divincolò, cercando di sfuggirgli.

   «Lasciala, bastardo!» ringhiò Juri. Estrasse il fulminatore elettrico dalla manica, ma due Pacificatori gli furono addosso prima che potesse sparare. Lo immobilizzarono e gli strapparono l’arma.

   Modro lasciò la moglie e si concentrò sul rivale. «Ancora tu» disse. Gli si avvicinò con studiata lentezza. «Che volevi fare, eh? Mi volevi uccidere? Ci hanno provato in molti, ma tu... tu sei una nullità».

   Inaspettatamente il Comandante consegnò il phaser a uno degli agenti. Giunto davanti a Juri, gli posò la mano sinistra sulla spalla, sorridendo in modo inquietante. Poi, senza preavviso, lo colpì al plesso solare col pugno destro, facendolo piegare in avanti. «Te l’avevo detto, che non te la cavavi» gli sussurrò all’orecchio. Lo colpì una seconda e poi una terza volta, sempre allo stomaco, finché l’Umano cadde in ginocchio, boccheggiante.

   «No, fermo! Lascialo stare!» gridò Vasa.

   «E verrai con me?» chiese Modro.

   «Io... sì, ti seguirò» si arrese la Bajoriana.

   «Vasa, no...» gemette Juri, cercando di rialzarsi, ma il suo diaframma non ne voleva sapere.

   «Sei fortunato, verme» gli disse il Comandante, e gli sputò addosso. Al suo cenno, il Pacificatore a cui aveva ceduto il phaser gli puntò l’arma alla tempia. «Se il dottor Smirnov pronuncia un’altra parola, o fa un qualunque movimento, uccidilo» ordinò Modro. Dopo di che tornò dalla moglie. «Hai dato la tua parola» le ricordò.

   «Sì, vigliacco!» sbottò Vasa. «Ma ti odierò per il resto dei miei giorni. Che i Profeti ti perdonino, perché io non lo farò mai».

   «Non credo che i Profeti s’interessino dei nostri mali» sospirò Modro. «Bene, farò a meno di loro». Raccolse il Cristallo di Fuoco, ancora nella teca. In quella un segnale d’emergenza giunse al suo comunicatore.

   «Takiah a squadra 2, attenzione. Siamo sotto attacco da parte di rinforzi nemici. Il vostro rientro è compromesso».

 

   A un’ora dall’inizio, la battaglia giunse a un punto di svolta. Pacificatori e Breen avevano circondato i federali e stavano per schiacciarli, quando i sensori rilevarono un centinaio di nuovi segnali. Erano piccoli e dirigevano compatti contro gli attaccanti.

   «E adesso che succede?» fece Vidkung, esasperato. «Sullo schermo».

   Erano oggetti di forma oblunga, dagli angoli smussati, lunghi cento metri. Lo scafo era marroncino, mentre i motori a curvatura e i deflettori erano gialli. Avanzarono come uno sciame, correggendo la rotta per evitare i detriti spaziali.

   «Non ci sono forme di vita a bordo» disse l’addetto ai sensori. «Credo siano missili a ricerca automatica del bersaglio. La traccia di curvatura è cardassiana».

   L’Ammiraglio impallidì. I Cardassiani avevano portato all’apice lo studio di quei missili, detti Dreadnought. Li avevano dotati di scudi formidabili, di una testata ad antimateria capace di spaccare in due una piccola luna e d’Intelligenze Artificiali programmate per dirigerli contro il bersaglio designato. Se li avessero messi in produzione avrebbero cambiato radicalmente il modo di combattere, ma la sconfitta nella Guerra del Dominio e la successiva smilitarizzazione gli avevano impedito di costruirne molti. In seguito i loro studi sembravano caduti nel dimenticatoio... ma evidentemente non era così. «Vidkung a flotta, colpite quelle Dreadnought!» ordinò l’Efrosiano, rattrappendosi contro la poltroncina.

   Le navi dei Pacificatori cambiarono immediatamente bersaglio e così fecero i Breen. Una gragnola di raggi phaser, anti-polaronici e disgregatori si abbatté sulle Dreadnought, ma queste tirarono dritto. Solo quando furono bersagliate dai siluri fecero brusche variazioni di rotta per evitarli. Alcune Dreadnough, colpite più volte, esplosero lungo il tragitto. Ma la maggior parte resistette finché giunse a bersaglio. Lo spazio si riempì d’immani esplosioni. Ogni Dreadnought esplodeva con la violenza dell’antimateria di cui era stipata, soverchiando gli scudi delle navi più potenti. Le loro IA le indirizzarono contro Breen e Pacificatori, evitando accuratamente le navi federali.

   Due Dreadnought sfrecciarono contro l’ammiraglia di Thot Rong, che aveva gli scudi indeboliti dal duro scontro. Una fu distrutta strada facendo dal fuoco concentrato della nave Breen. La seconda la colse nella giunzione tra i due scafi ricurvi. Ci fu un lampo accecante e il vascello fu tranciato in due. Uno dei tronconi fu squassato da esplosioni sempre più grandi, che lo disintegrarono. Restava però lo scafo principale, nel quale si trovava la plancia. Gli occupanti, che erano stati scagliati a terra dall’impatto, si rialzarono.

   Thot Rong aveva la tuta termica annerita e il casco graffiato dall’esplosione di un giunto di potenza. Dovette darsi un colpetto in testa affinché le strumentazioni tornassero in linea. Allora poté leggere il rapporto danni all’interno del casco. Sebbene fosse costruita a compartimenti stagni, la nave era troppo danneggiata per continuare a combattere, e anche per andarsene. Erano alla deriva, senza scudi, in mezzo alla raffica di missili. Un altro colpo come quello ed erano spacciati. Il Breen stava per ordinare l’evacuazione, quando vide che dietro ai missili veniva un’astronave diversa dalle altre. Aveva lo scafo verde, le fiancate alte e la prua irta di disgregatori. La riconobbe: era la Stella del Polo, la nave dello Spettro. L’aveva inseguita per anni, nell’Ammasso Nero e in altre zone di confine, senza mai riuscire a distruggerla.

   Appena giunse a distanza di tiro, la nave corsara aprì il fuoco contro i resti dell’ammiraglia Breen. Thot Rong sentì il suo vascello scricchiolare e seppe che gli restava forse un minuto di vita. Accettò il fatto con la gelida imperturbabilità della sua specie, e così fecero gli ufficiali.

   «La Stella ci chiama» disse l’addetto alle comunicazioni.

   «Sullo schermo» ordinò il Thot, chiedendosi se non ci fosse la possibilità di contrattare la resa.

   Lo Spettro e la Banshee apparvero fianco a fianco, mascherati come al solito, ma fu il primo a parlare. «Salve, Thot Rong» salutò il corsaro. «È stata una lunga caccia, la nostra: dieci anni! Mi è arrivato vicino, certe volte, ma allearsi coi Pacificatori è stato un grosso errore».

   «Mi arrendo» disse il Breen, mentre la sua nave si disfaceva sotto i colpi della Stella. «Per il codice della Flotta, deve interrompere l’attacco».

   «È anche a causa sua, se la Flotta mi ha radiato» ribatté lo Spettro. «Ora sono un corsaro e faccio ciò che voglio. Molti mi biasimeranno, per questo; ma non lo faccio solo per vendetta. Vede, se la elimino, forse il suo governo la smetterà di appoggiare Rangda».

   «Sì, è logico» ammise Thot Rong, senza particolare emozione. Le consolle esplodevano attorno a lui: restavano pochi secondi. Girò lievemente il casco, osservando la Banshee, della quale ignorava ancora l’identità.

   «Sono passati i tempi in cui correvo sui treni a levitazione, perché lei potesse nascondere i suoi misfatti» disse la fuorilegge, ricordando la prima missione della Keter.

   Passato l’attimo di perplessità, Thot Rong comprese il significato di quelle parole. La misteriosa compagna dello Spettro non era altri che Jaylah Chase. Sì, tutto tornava, si disse il Breen. Erano stati lui e Rangda a spingere la figlia dell’Ammiraglio sulle tracce dello Spettro, per eliminare il testimone dei loro traffici illeciti. Ma invece di uccidersi, quei due si erano alleati, e ora eccoli lì, fianco a fianco. Se i Breen avessero avuto il senso dell’umorismo, Thot Rong avrebbe riso. Siccome non l’avevano, restò in silenzio, mentre le esplosioni dilaniavano la sua nave da poppa a prua. L’ultimo scoppio vaporizzò anche la plancia, uccidendolo con tutti i suoi ufficiali. L’identità della Banshee, compromessa per pochi secondi, era di nuovo al sicuro.

 

   Modro depose la teca del Cristallo, ascoltando gli aggiornamenti trasmessi dal comunicatore. La voce era distorta dalle interferenze, ma il senso del discorso era chiaro. «Siamo sotto attacco – brzzz Dreadnought cardassiane. Thot Rong è morto e l’alleanza coi Breen è a rischio. Frssshhh... Vidkung ordina la ritirata... frssshhh».

   Il Comandante guardò i suoi agenti, senza realmente vederli. La loro flotta invincibile... in ritirata. Era colpa dell’Ammiraglio: aveva commesso un errore tattico dopo l’altro e poi, al crescere delle difficoltà, si era spaventato. Modro sentì il mondo crollargli addosso: aveva davvero sperato di liberare Bajor. Invece il suo amato pianeta sarebbe rimasto in preda ai ribelli – e al falso Emissario – per chissà quanto. A meno che...

   «Signore, quel nuovo scudo creato attorno alla stazione è ancora attivo» avvertì un Pacificatore. «I nostri non possono teletrasportarci. Siamo in trappola».

   «In trappola?!» si riebbe Modro. «Non lo pensi nemmeno! Finché abbiamo questo, siamo noi a dettar legge» disse, accennando al Cristallo.

   «Che hai in mente? Non puoi usarlo...» disse Vasa.

   «Sì, invece. Prima di venire qui ho fatto due chiacchiere con una vecchia conoscenza. Mi ha detto cose molto interessanti» ribatté Modro, parlando come chi cerca di convincersi. «Venga avanti, Elvo!».

   Il Gran Maestro entrò nella camera blindata, attraverso il portone sfasato. Era ammanettato e sorvegliato da due Pacificatori che gli puntavano i fucili alla schiena, ma sul suo viso c’era un ghigno trionfale. «Beh, amici miei... avete avuto la vostra occasione e l’avete sprecata» disse a Juri e Vasa. «Evidentemente vi amate troppo, oppure amate troppo poco la vostra causa. Ora tocca a lei, Comandante. È pronto a rinunciare al suo vero amore?».

   Modro fissò la moglie, con il dolore scolpito in volto. «Oh, Vasa... perché sei rimasta qui?» mormorò.

   L’archeologa sentì un tuffo al cuore. «Non ascoltarlo, è un bugiardo! Vuole solo vendicarsi!» esclamò, indicando Elvo; ma era impallidita.

   «La macchina della verità indica il contrario» obiettò Modro. «E nella mia squadra c’è un telepate che conferma la sua sincerità». Il Pacificatore appena nominato fece un cenno per rendersi riconoscibile. Era uno dei due che sorvegliavano Elvo.

   «Il fatto che quel pazzo creda una cosa non significa che abbia ragione» insisté Vasa. «Credeva che il Maligno avrebbe vinto, sei anni fa, e si sbagliava».

   «Gli ordini della Presidente sono chiari» proseguì Modro, come se non l’avesse sentita. «Questo sistema va riconquistato ad ogni costo. E io non lo lascerò un giorno di più in mano ai ribelli. Se i Profeti non rispondono alle mie preghiere, ebbene... Kosst Amojan risponderà ai miei ordini».

   «E se non lo facesse? Se si limitasse a distruggere tutto?» insisté Vasa, con le lacrime agli occhi. «Non puoi credere a un fanatico!».

   Vedendo che il Comandante esitava, Elvo prese la parola. «Che ci facevano sua moglie e Smirnov qui dentro? Volevano compiere il rituale! Uno dei due doveva uccidere l’altro!» esclamò. «Anche loro sanno che funziona, ma gli è mancata la fermezza per andare fino in fondo. Sono stati deboli ed egoisti. Vuole esserlo anche lei, Comandante Sisko?».

   Modro vacillò, quasi schiantato dal dolore. Diverse voci gli urlavano nella testa: gli ordini di Rangda, le insinuazioni di Elvo, il disperato appello di Vasa. Tutti quei doveri in conflitto lo dilaniavano; era come se gli facessero l’anima a brandelli. Avrebbe tanto voluto spararsi in testa e farla finita... ma non poteva scappare dalle sue responsabilità. Doveva prendere una decisione. E siccome non poteva accontentare tutti, non gli restava che accantonare le pretese altrui, confidando unicamente nella sua coscienza.

   «Oh, Modro... io so quanto soffri» disse Vasa. Lo abbracciò, anche se il marito non poteva sentire il suo tocco attraverso la tuta corazzata. «È stata la guerra a spingerti fin qui... ma in fondo al cuore sei una brava persona. Io lo so. Sei l’erede dell’Emissario! Perciò non mi ucciderai a sangue freddo per liberare quel demone». Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi.

   Anche Modro pianse, e nel far questo la baciò. «Ti amo, Vasa» sussurrò poi, carezzandole la guancia. «Ti amo più della mia vita. Sei il mio unico, vero amore». Ci fu uno scatto, il suono attutito di una stilettata. «Per questo devo ucciderti» concluse il Bajoriano, estraendo la vibro-lama dal suo petto. Aveva avuto l’accortezza di trafiggerle il cuore, perché la morte fosse rapida.

   «NO!» gridò Juri, dimenticando che Modro aveva ordinato di ucciderlo, se avesse detto un’altra parola. Ma il Pacificatore che lo teneva sotto tiro non sparò: anche lui era scioccato dall’accaduto.

   Vasa fissò il marito con un misto di sorpresa, dolore e cocente delusione. Le restavano le forze per dire qualche parola, ma non le venne in mente nulla. Tutto era superfluo, ora che il colpo era stato sferrato; così restò in silenzio. Quando le forze l’abbandonarono, Modro l’adagiò delicatamente al suolo e poi indietreggiò, mentre la chiazza di sangue le si allargava intorno. La Bajoriana tossì debolmente, fissando il marito con nient’altro che commiserazione. Poi anche quella abbandonò i suoi occhi, che rimasero vitrei e inespressivi.

   A quella vista, Modro buttò indietro la testa e gridò con quanto fiato aveva nei polmoni. Fu un grido lungo, inarticolato e lacerante. Quando si fu sfogato, guardò la sua vibro-lama, ancora coperta di sangue.

   «Bravo!» esultò Elvo, unico tra i presenti a sprizzare gioia da ogni poro. «Ora completi il rituale, presto! O sarà stato vano!».

   Modro lo fissò come se volesse uccidere anche lui. Invece raggiunse a grandi passi l’artefatto dei Pah-wraith, ancora posato a terra. Spalancò la teca piramidale, mettendo a nudo il Cristallo. «Kosst Amojan, guardami! Kosst Amojan, ascoltami! Kosst Amojan, parlami! Kosst Amojan, guidami alla vittoria!» invocò il Bajoriano. Lasciò che il sangue caldo di Vasa gocciolasse dalla vibro-lama sul Cristallo, che lo assorbì come una spugna.

   La luce del Cristallo, prima color fiamma, divenne di un rosso cupo. Si udì un sordo brontolio e la camera blindata tremò. I Pacificatori si guardarono attorno, spaventati. C’era un’elettricità nell’aria, che faceva rizzare i peli e instillava il terrore anche nei veterani più incalliti. Ma Juri non aveva occhi che per Vasa; sapeva che la sua morte era solo l’inizio dell’Apocalisse.

   D’un tratto la teca andò completamente in pezzi e il Cristallo sprigionò una colonna di fuoco e fumo, alta fino al soffitto. L’ondata di calore costrinse tutti ad arretrare verso le pareti. Le fiamme turbinarono, avvitandosi su se stesse, e presero consistenza. Gradualmente si delineò una forma umanoide con lunghe braccia brancolanti, una bocca sulfurea e occhi d’indicibile malvagità. Nell’aria fuligginosa aleggiò una risata malefica, che fece tremare tutti fino al midollo. «Finalmente... libero!» esultò il demone.

 

   Nel centro di comando, Sisko si portò una mano alla fronte. Il gesto non sfuggì a Odo, che gli stava accanto. L’attimo dopo la stazione tremò e gli schermi sfarfallarono, come per un calo di potenza.

   «Che succede, Capitano?» chiese il Mutaforma.

   «Quello che doveva accadere» rispose Sisko, cupo. «Non c’è tempo da perdere». Premette un comando sul bracciolo della poltroncina. «Sisko a equipaggio, evacuare la stazione! Ripeto, evacuazione immediata!».

   L’ordine creò sconcerto tra gli ufficiali. «Ma signore... stiamo vincendo! Il nemico arretra!» obiettò il vice-comandante, accennando al tavolo tattico che riportava l’andamento della battaglia.

   «I Pacificatori arretrano, ma è arrivato qualcosa di peggio» avvertì l’Emissario. «Fidatevi di me, se vi dico che questa stazione ha i minuti contati. Via, ho detto!».

   Davanti a quell’ordine perentorio, gli ufficiali si rassegnarono a obbedire. In effetti la stazione tremava sempre più e i sistemi saltavano uno dopo l’altro. Poiché non c’era tempo di correre all’anello di attracco, e comunque non vi erano navette per tutti, i Bajoriani abbassarono lo scudo, dopo aver avvertito la Flotta Stellare e la Milizia. I teletrasporti cominciarono all’istante.

   «Questo è il futuro che diceva, l’unico in cui ci salviamo?» chiese Odo.

   «È ancora presto per dirlo» rispose Sisko.

 

   Mentre Kosst Amojan prendeva consistenza, Modro avvertì un dolore lancinante alla mano destra. Era come se qualcuno gli premesse un ferro rovente sul palmo. Il Bajoriano sganciò il guanto della tuta, per controllare che gli stava accadendo. Vide con orrore che il simbolo dei Pah-wraith gli si era inciso a fuoco sul palmo, come se lo avessero marchiato. Era il segno che Kosst Amojan accettava il patto. Il Comandante si rimise il fretta il guanto, non volendo che altri vedessero il suo marchio, ma la cosa non era sfuggita all’occhio vigile di Juri.

   «Mio signore!» esultò Elvo, inginocchiandosi davanti al Maligno. «Ero certo di rivedervi! Sono stato io a favorire la vostra liberazione!».

   «Sei stato un servitore devoto» convenne Kosst Amojan, parlando con una voce sibilante che veniva da tutto il suo corpo di fiamma.

   «Ma ho compiuto io il sacrificio» rivendicò Modro, fronteggiando la spaventosa entità. «Ora tu mi obbedirai! Un’anima per una grazia, questo è il patto».

   «Sì, un’anima per una grazia» confermò il Pah-wraith, chinandosi sul Comandante. «Sono ai tuoi ordini, chiedimi ciò che vuoi. Ma sappi che non è l’anima di tua moglie, quella che ho guadagnato».

   «Come sarebbe? Io l’ho sacrificata!» si meraviglio il Bajoriano.

   «Sì, e col suo sangue hai firmato il nostro patto» sibilò Kosst Amojan. «Ma l’anima che verrà da me, alla fine, sarà la tua. Io e te avremo tutta l’eternità da passare assieme!». La risata del Maligno fu raccapricciante; le sue fiamme crepitarono e si fecero ancora più roventi.

   Modro restò come fulminato; non cercò nemmeno di sottrarsi al calore. Alle sue spalle, Juri arrancò verso Vasa e la prese tra le braccia, anche se il contatto con il corpo senza vita dell’amata gli spezzava il cuore. Con quel peso tra le braccia si allontanò dal demone, ritirandosi in un angolo. Quanto ai Pacificatori, ormai lo ignoravano; si erano raccolti vicino all’uscita, in preda al terrore.

   Accanto a Modro restava solo Elvo. Il Comandante si girò verso di lui, trovandolo allegro e soddisfatto. «Tu sapevi?!» chiese.

   «Beh, diciamo che potrei aver tralasciato qualche dettaglio, quando vi ho spiegato la natura dell’accordo» ridacchiò il Gran Maestro, passando lo sguardo da lui a Juri. «Comunque non ho mai mentito! Infatti le vostre macchine e i vostri telepati hanno confermato la mia onestà».

   «La tua onestà, eh?» fece Modro, avventandosi su di lui. «Se sei così onesto, va’ a ritirare la tua ricompensa!».

   Elvo arretrò precipitosamente, ma era ancora ammanettato e non poteva difendersi in alcun modo. «Padrone, aiutami!» invocò, alzando lo sguardo su Kosst Amojan.

   «Perché dovrei?» fece il Pah-wraith, con un ghigno sadico.

   Dopo aver intrappolato il Gran Maestro nell’angolo, Modro lo trafisse con la stessa lama che aveva strappato la vita a Vasa.

   «Inutile... Comandante...» rantolò Elvo, fissandolo con perfidia. «Io non ho venduto l’anima al Signore del Fuoco... tu sì. E lui riscuoterà prima di... quanto... credi...». Il sangue gli colò dalla bocca, trasformando le ultime parole in un gorgoglio.

   «Vacci tu, prima!» ringhiò Modro. Estratta la vibro-lama, afferrò l’avversario per un braccio e lo scaraventò contro Kosst Amojan. Il Gran Maestro rotolò sul pavimento, scomparendo nella colonna di fuoco che avvolgeva il Cristallo. Ci fu uno sfrigolio, seguito da una vampata, e la camera blindata si riempì dell’odore di carne bruciata.

   Ansante, Modro si guardò attorno, finché vide Juri rannicchiato in un angolo, con il corpo di Vasa sulle ginocchia. Tutti pensarono che avrebbe ucciso anche lui.

   «Attendo il tuo ordine» disse però il Pah-wraith. «Mi aspetto che tu esprima un desiderio importante, visto quanto l’hai pagato, e quanto lo pagherai».

   «Oh, sì» confermò il Comandante, con una luce di follia negli occhi. «Sto per chiedere la cosa più importante di tutte, quella che porrà fine alla guerra». In qualche modo riuscì a calmarsi. Fu quella calma a spaventare Juri più di quant’altro fosse accaduto.

   «Ascoltami, Kosst Amojan!» tuonò Modro, alzando le braccia. «Io desidero che tu incenerisca tutti coloro che si ribellano all’Unione e le si oppongono in armi. Uccidili tutti, ovunque si nascondano!».

   «Pazzo! Sono miliardi di persone!» gridò Juri, annichilito dalla crudeltà di quell’ordine.

   «Tutti tranne uno» si corresse Modro, alzando l’indice. «Devi risparmiare il dottor Smirnov. Voglio che lui sopravviva, per vedere il trionfo dell’Unione». Così dicendo si rivolse allo storico. «Sarai l’ultimo ribelle della Galassia, consapevole che tutti i tuoi complici sono morti a causa tua. Perché non hai avuto il coraggio di fare ciò che andava fatto, quando ne hai avuta la possibilità» sogghignò, accennando al corpo di Vasa. «Avresti dovuto ucciderla tu... rimpiangerai di non averla uccisa tu». Si rivolse di nuovo al Maligno, in tono imperioso: «Questo è il mio ordine. Ora sbrigati a eseguirlo!».

   «Con immenso piacere!» rise l’entità, facendosi ancora più grande. «Ma ti consiglio di lasciare in fretta la stazione, perché tra poco le cose si faranno... scottanti».

   «Sentito, ragazzi? Missione compiuta, si torna a casa» disse Modro ai suoi agenti, come se tutto fosse andato secondo i piani.

   «Signore... quell’entità farà davvero ciò che ha detto?» chiese uno dei Pacificatori, sconcertato.

   «Me lo auguro. Vogliamo tutti che la guerra finisca, no?» fece Modro, dandogli una pacca sulla spalla. «Su, fuori di qui, così i nostri potranno teletrasportarci. Quanto a te, prendi!». Gettò a Juri il comunicatore che gli agenti gli avevano sequestrato durante la perquisizione. L’Umano lo prese al volo. «Va’ dove vuoi, tanto non ci vedremo più» infierì il Comandante. Lui e la sua squadra lasciarono la camera blindata attraverso il portone, ancora permeabile grazie agli Sfasatori. Juri rimase solo con il demone.

   «Muoviti, nullità... ho molto lavoro da sbrigare!» rise Kosst Amojan, che tuttavia non poteva nuocergli, per via dell’ordine di Modro.

   Juri si appuntò il comunicatore, poi sollevò il corpo di Vasa e se ne andò con quel peso tra le braccia.

   «Vuoi seppellirla? Che tenero! Ti lascerò due metri quadri di suolo intatto, su Bajor!» promise il Maligno.

   L’Umano non si voltò. Attraversò il portone sfasato e appena fu dall’altra parte depose il suo triste carico. Modro e gli altri erano già spariti; di certo erano tornati sulla loro nave. Nei corridoi risuonava il segnale di evacuazione. Già provato dallo sforzo, Juri si premette il comunicatore. «Smirnov a Keter, mi sentite?» ansimò.

   «Affermativo, che succede là dentro?» rispose il Capitano Hod.

   «Teletrasporto per due, ora!» gridò Juri. Sperava che la sua presenza sulla Keter la proteggesse, almeno per un po’. Ma probabilmente Kosst Amojan era in grado di trasferirlo altrove, prima di distruggere la nave.

   Il raggio azzurro prelevò l’Umano e il corpo senza vita della Bajoriana, mentre alle loro spalle le fiamme divampavano. La forma umanoide di Kosst Amojan svanì nell’incendio dilagante. Le pareti della camera blindata si fusero, pur essendo di durissimo yiterium. Il liquido colò a terra, ma da lì fu attratto dal Cristallo. Tonnellate di metallo fuso si riversarono nell’artefatto, che le bevve tutte, aumentando di dimensione. Più s’ingrandiva, più cresceva in potenza, così da fondere e attirare a sé sempre più materia. Crebbe con la voracità di un buco nero, distruggendo un ponte dopo l’altro. E questo era solo l’inizio.

 

   Erano ormai trascorsi parecchi minuti da quando l’Ammiraglio Vidkung aveva ordinato la ritirata.

La sua nave, la Takiah, si era recata oltre l’orbita dei satelliti di Bajor. Poco alla volta le altre navi dei Pacificatori si disimpegnarono dagli scontri e la seguirono. Il Moloch venne per ultimo. Era stato colpito da due Dreadnought, che non erano bastate a distruggerlo, ma gli avevano fatto perdere gli scudi. Con le difese abbassate, Radek sapeva che era un suicidio restare in mezzo ai ribelli. Così ordinò di abbandonare l’orbita, maledicendo la fortuna della Keter, che gli sfuggiva ancora una volta tra le dita. Anche i Breen arretrarono. La loro flotta era malmessa, dopo la prolungata battaglia, e la perdita di Thot Rong lasciava un vuoto di potere.

   I federali rimasero raccolti attorno a Deep Space Nine, quasi increduli di avere respinto il nemico. In realtà era presto per cantare vittoria. Ai difensori restavano appena settanta navi, quasi tutte danneggiate. E l’afflusso di Dreadnought stava cessando. Gli ultimi missili cardassiani furono abbattuti dai Pacificatori prima di giungere a bersaglio.

   Con il passare dei minuti divenne chiaro che il nemico non si era veramente ritirato. Pacificatori e Breen si erano solo disimpegnati, ponendosi appena fuori tiro, per riorganizzarsi. Appena fossero stati certi che non c’erano altre Dreadnought in arrivo – e non ce n’erano – sarebbero tornati all’assalto. E nonostante tutte le perdite subite, avevano ancora i numeri per vincere. La Stella del Polo si affiancò alla Keter e alla Defiant, pronta a un’ultima resistenza.

   Fu allora che Sisko ordinò di evacuare Deep Space Nine. Lo scudo a bolla fu disattivato e l’equipaggio fu teletrasportato sulle navi superstiti. Sisko e i suoi ufficiali apparvero sulla plancia della Defiant; con loro c’era anche Odo.

   «Benjamin, che ti prende?!» protestò Ilia. «Abbiamo centinaia di navi nemiche pronte a tornare all’assalto. Non è il momento di abbandonare la stazione! E perché, poi?».

   «Credimi, non c’era alternativa» spiegò l’Emissario. «Kosst Amojan è stato liberato; la stazione è perduta».

   «Perduta?! Ma...» fece Ilia, non avvezza a quel fatalismo. «Benjamin, comincio a dubitare di te» lo avvertì.

   «Capirai tra poco, vecchio mio» sospirò Sisko. «Ma ora mettimi in comunicazione con Kai Nashir. Abbiamo un canale protetto, ti dirò codice e frequenza».

   La Trill lo guardò incerta, come temendo che fosse impazzito, o che non fosse realmente lui.

   «Fidati di me, d’accordo? Non c’è tempo per spiegare» la pressò il Capitano.

   «D’accordo... ma farai meglio ad avere una buona giustificazione, dopo» mugugnò Ilia. Al suo cenno, l’addetta alle comunicazioni permise a Sisko di accedere alla sua consolle.

   «Sisko a Kai, mi ricevete?» chiese il Capitano, regolando il segnale. «È il momento che aspettavamo. Portate i Cristalli all’aperto e poi allontanatevi. Ormai tutto è nelle mani dei Profeti».

 

   Reduci dal terribile scontro con il Moloch, il Capitano Hod e i suoi ufficiali furono lieti di sentire la chiamata di Juri. Ma quando lo videro apparire in plancia con il corpo di Vasa tra le braccia, tutti i sorrisi si spensero.

   «È morta» confermò Juri, rialzandosi. «L’ha uccisa Modro. L’ho portata solo per non lasciarla lì».

   «Forse i medici possono ancora rianimarla» disse Hod, notando che l’archeologa aveva ricevuto un’unica stilettata. L’addetto al teletrasporto la trasferì immediatamente in infermeria.

   «Non credo, o l’accordo con Kosst Amojan sarebbe vanificato» disse Juri.

   «Quale accordo?» s’inquietò Hod.

   L’Umano glielo spiegò rapidamente. Quando ebbe finito, i federali erano senza parole.

   «Lei crede che Kosst Amojan abbia il potere di esaudire Modro?» mormorò il Capitano, pallida come uno straccio.

   «Beh, non in uno schiocco di dita» rispose Juri, mimando il gesto. «Ma i suoi poteri crescono in fretta, ora che è libero. La prima a farne le spese sarà Deep Space Nine».

   A quelle parole, Zafreen la inquadrò sullo schermo. La leggendaria stazione spaziale era avvolta dalle fiamme, che sfidando le leggi fisiche bruciavano sul metallo e si protendevano nel vuoto dello spazio. Il fuoco sprizzava dal modulo centrale e in breve si espanse al settore abitativo e poi a ciò che restava dell’anello d’attracco. Risalì lungo i piloni come se fossero stati di legno. In pochi minuti tutta la stazione divenne un immenso rogo.

   «Sisko l’ha fatta evacuare» disse Hod, perché Juri non pensasse che l’equipaggio era morto.

   «Non importa, Kosst Amojan c’inseguirà ovunque» mormorò l’Umano, pessimista. «Modro ha voluto che solo io fossi risparmiato, per vivere nel rimpianto. Mi spiace, Capitano... ho fallito».

   «Se avesse agito diversamente, avrebbe perso la sua... anima» obiettò l’Elaysiana, non sapendo se credere a questa parte della storia.

   «Sarebbe stato il male minore. A meno che...». Lo sguardo dello storico si fece distante. Gli era appena tornata in mente la sua esperienza con il Cristallo del Destino. «Col nostro aiuto, respingerete a caro prezzo solo una delle due minacce» aveva detto il Profeta, riferendosi a Kosst Amojan e ai Pacificatori. Possibile che, potendo scegliere, le creature del Tunnel consentissero la vittoria del loro arcinemico?

   «A che pensa?» chiese Hod, accorgendosi che lo storico aveva avuto un’intuizione.

   «Non ne sono certo, ma... forse non è detta l’ultima parola» rispose Juri, meditabondo. «Dobbiamo attendere».

   «Possiamo fare qualcosa, per aumentare le chance?».

   «No, ormai non dipende da noi».

   Sotto gli occhi dei federali, il fuoco di Kosst Amojan divampò sempre più intenso. Per qualche secondo Deep Space Nine sembrò una reggia infernale, avvolta dalle fiamme che ne arrossavano lo scafo. Poi iniziò a fondersi, sempre più in fretta. I piloni si deformarono, puntando verso l’interno. I resti dell’anello d’attracco si ruppero e di lì a poco l’anello abitativo si spezzò a sua volta. Anziché disperdersi nello spazio, tutti i detriti – solidi o liquefatti – precipitavano verso il centro, come se un buco nero li attirasse. Infine anche il modulo centrale fu smangiato dall’interno. La gloriosa Deep Space Nine, fulcro della storia federale, collassò in un ammasso di metallo fuso. Infine anche quel globo incandescente svanì, risucchiato nel Cristallo di Fuoco. Ma il Cristallo non era più il piccolo artefatto che si poteva reggere in mano. Era diventato gigantesco e continuava a crescere, man mano che attirava a sé i detriti.

   «Quella cosa ha assorbito tutta la massa della stazione» confermò Zafreen dopo una rapida analisi. «Se cadesse su Bajor...».

   I federali osservarono con orrore l’ottaedro che galleggiava nello spazio. Era ancora circondato dalle piattaforme orbitali, che si riattivarono. Il campo di forza a bolla riapparve, non più per proteggere il suo contenuto, ma al contrario per isolarlo e impedire che nuocesse a quanti stavano fuori.

   «Non basterà» previde Juri.

   Le sue parole ebbero conferma immediata. Le piattaforme si arrossarono e si fusero, com’era accaduto alla stazione. Il campo di forza sfrigolò e s’indebolì, man mano che i generatori si guastavano; infine si dissolse del tutto. I resti liquefatti delle piattaforme furono attirati dal Cristallo, che s’ingrandì ulteriormente.

   «Se aprissimo il fuoco, cosa pensa che accadrebbe?» chiese Hod.

   «Uhm, cattiva idea» fece Juri. «Mi sa che lo rendereste ancora più forte. Questa non è una lotta risolvibile con le armi».

   Alcuni Capitani non erano dello stesso avviso: le navi bajoriane e cardassiane spararono contro l’artefatto. I loro colpi furono assorbiti dalla sua superficie simile a lava. Persino i siluri vi svanirono dentro senza esplodere. Il Cristallo però crebbe a vista d’occhio, segno che aveva assorbito la loro energia.

   «Sisko a flotta, sospendere l’attacco! Così non fate che rafforzarlo!» avvertì l’Emissario.

   Le astronavi cessarono il fuoco, anche perché gli equipaggi ne avevano constatato l’inutilità. Ma il peggio doveva ancora venire. Sulle navi ribelli, già provate dalla battaglia, divamparono incendi spontanei. Le  fiamme scaturivano dalle consolle, dai circuiti, dai mobili degli alloggi; insomma da qualunque cosa potesse prendere fuoco. E anche da parecchie cose che in teoria non potevano. Ci furono incendi e scoppi nelle armerie, nelle sale macchine, tra le delicate strumentazioni dei deflettori. Gli ufficiali ricorsero agli estintori nel tentativo di domare le fiamme, ma si avvidero di non essere davanti a fenomeni naturali. Il fuoco ardeva a lungo anche sotto il getto dell’estintore e quando finalmente si spegneva, un altro scaturiva nelle immediate vicinanze. Alcuni ufficiali furono avvolti dalle fiamme dopo che una sola scintilla li aveva toccati; a nulla valsero le tute ignifughe.

   «Incendio in sala macchine!» avvertì Zafreen.

   «Evacuate il personale, inviate i droni d’emergenza» ordinò Norrin. «I nostri scudi sono ancora alzati?» chiese poi a Terry.

   «Affermativo» rispose la proiezione isomorfa. «Ma non ci proteggono dall’attacco. Non capisco... è scientificamente impossibile».

   «Magari dovrebbe ampliare la sua definizione di “possibile”» disse Juri, caustico. Si allontanò da tutte le consolle, nel caso prendessero fuoco. «Come sta Bajor?» volle sapere.

   «Le montagne del nord stanno eruttando, come l’altra volta» disse Zafreen, inquadrando una porzione del supercontinente. Colonne di fumo e cenere si alzavano dai monti circostanti le Caverne di Fuoco, disegnando scie scure nell’atmosfera. «Ci sono terremoti ovunque, anche lontano dalle zone di faglia» proseguì l’Orioniana. «La costa orientale è a rischio tsunami. E lo Scudo Planetario ha ceduto».

   Con un tragico senso d’impotenza, Hod guardò il Cristallo che galleggiava nello spazio. Tutte le loro armi e la loro esperienza erano inutili, contro quella cosa che sfidava le leggi fisiche. Mentre Norrin dava ordini per contrastare gli incendi, il Capitano si accostò a Juri. «Se ci ritirassimo col resto della flotta?» sussurrò, perché gli altri non la udissero.

   «Guadagneremmo tempo» disse lo storico. «Ma Modro ha chiesto al Maligno di distruggerci tutti, quindi i suoi poteri ci raggiungeranno, prima o poi».

   «Se... se evacuassimo le navi?» bisbigliò Hod, prossima alla disperazione.

   «L’ordine era di distruggere i ribelli, non solo le astronavi» rispose cupamente lo storico.

   «Frell, non può andare peggio di così!» imprecò l’Elaysiana.

   «Non lo dica...» consigliò l’Umano. In quella la Keter sussultò.

   «Colpo agli scudi di prua» rilevò Terry. «Sono loro, Capitano... sono tornati all’attacco» disse, inquadrando di nuovo lo spazio aperto.

   Pacificatori e Breen avevano approfittato della confusione che regnava tra i federali per sferrare l’assalto finale. Le loro navi si slanciarono in avanti, sparando a volontà. Davanti a tutte c’era il Moloch, che si accaniva ancora una volta sulla Keter. Un avversario onorevole avrebbe intimato la resa, a quel punto. Ma aspettarsi l’onore dai Pacificatori era come voler cavare il sangue da una pietra.

   «Terry, risponda al fuoco» ordinò Hod, pur sapendo che era inutile. Con gli incendi sovrannaturali che divampavano a bordo e il panico che si diffondeva tra l’equipaggio, stavolta erano spacciati.

 

   Il primo segno della catastrofe fu un cupo brontolio che sorse dal terreno. Gli abitanti di Ashalla si stavano chiedendo di che si trattava, quando il suolo cominciò a tremare. Un terremoto, ecco che cos’era. I cittadini non erano avvezzi a questo fenomeno: Bajor aveva poche faglie tettoniche, e in ogni caso la capitale sorgeva in una zona sicura. Eppure le scosse c’erano, ed erano intense. Alcuni edifici si creparono, i monumenti più antichi crollarono e persino il manto stradale si sollevò fratturandosi. Gli abitanti terrorizzati si riversarono in strada, talvolta portando con sé gli effetti personali, ma più spesso a mani vuote. In certi momenti le scosse cessavano, ma poi riprendevano, provocando nuovi danni.

   Nel cortile del suo monastero, Kai Nashir sentì i rintocchi delle campane. Non le suonava nessuno: era la forza delle scosse che le agitava. La Bajoriana alzò gli occhi al cielo, dove la causa di quella catastrofe era visibile a occhio nudo, anche in pieno giorno. Il Cristallo di Fuoco scintillava come un secondo sole, rosso e malevolo.

   «Eminenza, dovremmo andare» consigliò il segretario personale della Kai.

   «Fuggire è inutile» obiettò Nashir. «I federali hanno fatto il possibile, ma ora tutto dipende dai Profeti» disse, accingendosi al suo compito.

   Negli ultimi giorni, su indicazione dell’Emissario, la Kai aveva radunato i dieci Cristalli dei Profeti: un fatto senza precedenti. Le misure di sicurezza erano state innalzate al massimo, per proteggerli dai ladri e dagli Adoratori dei Pah-wraith. Appena Sisko le aveva dato il segnale, Nashir li aveva fatti disporre in giardino, sopra dei sostegni già predisposti. I nove Cristalli più antichi erano sistemati in cerchio, mentre quello dell’Emissario si trovava al centro. Restava un’ultima cosa da fare.

   Congedati gli inservienti, la Kai passò da una reliquia all’altra, aprendo le teche. Fece in modo che le ante si aprissero verso l’interno del cerchio, così che ogni Cristallo guardasse verso quello dell’Emissario. Ognuno aveva un colore diverso, come se fossero intagliati in gemme preziose. Nashir mormorò i loro nomi, man mano che li apriva. «Anima... Destino... Profezia e Cambiamento... Tempo... Verità... Memoria... Saggezza... Unità... Contemplazione... e infine...».

   In quell’attimo i cespugli e le chiome degli alberi avvamparono tutt’intorno a lei. Il suo segretario, che era vicino a una siepe, fu raggiunto da una fiammata e arse come una torcia. Il fuoco si propagò sull’erba, dritto verso Kai Nashir. La Bajoriana avrebbe potuto affrettarsi verso il vialetto di ghiaia, dove sperava d’essere al sicuro, ma a quel punto l’incendio l’avrebbe separata dai Cristalli. Oppure poteva finire il lavoro e trovarsi circondata dalle fiamme. Non c’era tempo per starci a pensare.

   «Abbiate pietà» mormorò la Kai, entrando nel cerchio luminoso. Si affrettò alla teca centrale e l’aprì, scoprendo il Cristallo dell’Emissario, splendente di luce azzurra. Anziché limitarsi ad aprire le ante, stavolta Nashir estrasse del tutto l’artefatto. Poi raccolse la teca vuota e arretrò fin dove poteva. Il fuoco aveva ormai circondato il cerchio dei Cristalli, impedendole la fuga. La Kai si accorse però che le fiamme non dilagavano all’interno, sebbene anche lì vi fosse erba. Qualcosa le tratteneva.

   Mormorando un’invocazione ai Profeti, la Bajoriana si accucciò a terra, con la schiena rivolta al fuoco. Posò la teca e si coprì gli occhi con le mani, perché la luce dei Cristalli cresceva in modo intollerabile. Ora che non vedeva più nulla, avvertì i ronzii. Ogni Cristallo emetteva una vibrazione particolare; all’inizio erano diverse, ma si uniformarono nell’arco di qualche secondo. L’energia saliva all’interno del cerchio, tanto che il copricapo della Kai volò via e la sua crocchia si disfece; i capelli grigi si agitarono nell’aria. Stava per succedere qualcosa. I Cristalli stavano radunando un’immensa energia, che in qualche modo doveva sfogarsi. Era questione di attimi.

   «Emissario...» sussurrò la Kai.

 

   Il Cristallo di Fuoco ardeva nell’orbita, suscitando cataclismi su Bajor, nonché incendi spontanei sulle navi federali. Tutt’intorno i difensori arretravano sotto i colpi implacabili di Pacificatori e Breen. Il Moloch si accostò alla Keter, colpendola con il potente cannone a impulso di prua. Quando la nave ribelle cercò di allontanarsi, riuscì a bloccarla con un raggio traente.

   «Perché, Bina?» si chiese Radek, osservando la Keter che incassava colpi. «Perché hai voluto a tutti i costi condannare il nostro equipaggio?».

   In quel momento, nel monastero della Kai, i Cristalli antichi emisero ciascuno un fascio d’energia. I nove raggi luminosi, ognuno di un colore diverso, colpirono il Cristallo dell’Emissario che si trovava al centro. Questo raccolse la loro energia, fondendola in un unico abbagliante raggio bianco che fu proiettato verso l’alto. Dritto contro il Cristallo di Fuoco.

   Coloro che combattevano nell’orbita videro il fascio luminoso colpire in pieno il bersaglio. Quando l’energia incommensurabile dei Profeti si scontrò con quella dei Pah-wraith, gli effetti si fecero sentire in tutto il sistema. Le astronavi persero energia, gli incendi spontanei cessarono e tutti i telepati percepirono lo scontro titanico. Per un interminabile minuto, il raggio rimase attivo. In certi momenti l’energia bianca colpiva la superficie del Cristallo di Fuoco; in altri era quella rossa che risaliva il flusso, cercando di raggiungere gli artefatti a terra. In un paio d’occasioni ci arrivò molto vicina. Infine, con un ultimo sforzo che fece tremare i dieci Cristalli e spalancare il Tunnel, il raggio bianco l’ebbe vinta.

   Il Cristallo di Fuoco si frantumò in un’infinità di schegge, che a loro volta si sfarinarono in innocua polvere spaziale. Un’onda d’urto ad anello si allargò nello spazio, perpendicolarmente alla direzione del raggio. Travolse un paio di piattaforme orbitali e le distrusse. Alcune astronavi, che ne furono appena sfiorate, vennero scagliate a grande distanza, come fuscelli in un uragano. Il Moloch, che era piuttosto vicino, fu investito in pieno.

   Il vascello corazzato fu proiettato in avanti, dritto contro una nave Breen. La tranciò in due, provocandone l’esplosione, e proseguì come un bolide verso lo spazio profondo. A bordo, i membri dell’equipaggio furono scaraventati contro le pareti; molti rimasero feriti e alcuni morirono. Radek si era premunito, attivando le cinghie di sicurezza della sua poltroncina, quindi non rimase ferito. Vide le stelle vorticare sullo schermo, udì gli allarmi e seppe d’essere fuori dai giochi. Sarebbero servite ore, forse giorni di lavoro per rimettere in sesto il Moloch. Già questo era umiliante. Ma il peggio fu vedere la sua timoniera, una giovane e promettente Valakiana, riversa a terra con il cranio sfondato.

   Appena gli smorzatori inerziali ebbero stabilizzato la nave, Radek sganciò le cinghie e si precipitò dalla Valakiana. Un rapido esame gli confermò che era morta sul colpo; il danno cerebrale era troppo esteso per tentare di rianimarla. L’aveva persa... e non solo lei. Assieme al rapporto danni, venne la conta delle vittime: erano tredici. Il Rigeliano si rialzò, con il volto indurito dalla collera.

   «Capitano Hod... mi sei sfuggita un’altra volta, ma non sarai sempre così fortunata. Un giorno saremo solo io e te. Allora pagherai per questo» si promise, contemplando il corpo senza vita della timoniera.

 

   Ora che non udiva più alcun suono, Kai Nashir osò rialzare la testa. Levò le mani dal volto e si guardò attorno. La terra aveva smesso di tremare e anche gli incendi si erano estinti, almeno per quanto poteva vedere. Il giardino era annerito e fumante, salvo per la zolla verde, miracolosamente illesa, entro il cerchio dei Cristalli. Lassù in cielo, il bagliore maligno del Cristallo di Fuoco si era estinto.

   «Sia lode ai Profeti... il Maligno è sconfitto!» esultò, levando le braccia al cielo. Dopo di che si rialzò, con un certo sforzo. Fu allora che vide il prezzo della vittoria.

   I Cristalli avevano perso la loro luce, come se lo sforzo immane li avesse prosciugati. A vederli sembravano pietre grigie, dalla superficie irregolare. La Kai si coprì la mano con un lembo della veste e sfiorò il più vicino: era freddo.

   «E questo che significa?» mormorò, turbata. Quando l’Emissario le aveva svelato il suo piano, non aveva accennato a questo. I Cristalli sarebbero mai tornati come prima? E se no, che conseguenze ci sarebbero state per il popolo? Certo, per sconfiggere il Maligno nessun prezzo era troppo alto; ma perdere quelle reliquie era un duro colpo.

   La Kai esaminò i Cristalli uno ad uno, sperando di trovarne qualcuno ancora attivo. Ma quando completò il giro, dovette arrendersi all’evidenza: erano tutti grigi e smorti. In quella, però, colse uno scintillio con la coda dell’occhio. Il Cristallo dell’Emissario conservava un flebile barlume azzurro nelle sue profondità. Avvicinatasi, Nashir constatò che la luce pulsava debolmente. In certi momenti il Cristallo sembrava spento come gli altri, ma a tratti si rischiarava d’azzurro. Che significava? La sua luce e i suoi poteri si sarebbero rigenerati? Era presto per dirlo.

   Un suono sopra la sua testa distolse la Kai da questi pensieri. Una navicella di classe Gryphon calò dal cielo, atterrando nel giardino annerito. I cespugli carbonizzati si polverizzarono sotto il suo peso. Il portello laterale si aprì e ne uscì Odo. «Eminenza, è ora di andare» disse.

   «Come, andare? Il Maligno è sconfitto...» farfugliò la Kai, ancora sotto shock.

   «Ma i Pacificatori sono tornati all’attacco» spiegò il Mutaforma. «Sisko dice che i Cristalli devono andare a New Bajor, dove saranno al sicuro. Se la guerra finirà bene, ve li riporteremo».

   «Sì, ora ricordo» disse Nashir. L’Emissario le aveva accennato a questa eventualità. Osservò Odo e una mezza dozzina di federali che caricavano frettolosamente i Cristalli, incluso quello dell’Emissario.

   «Venga, Eminenza» disse il Mutaforma, facendole segno di seguirlo nella navicella.

   «No, io... non posso» mormorò la Kai. «Devo restare col mio popolo, per spiegare l’accaduto. Dopo questi disastri ci sarà tanta gente spaventata».

   «I Pacificatori stanno arrivando» avvertì Odo. «Lei sarà di certo arrestata. Potrebbero torturarla e persino ucciderla».

   «Facciano pure ciò che vogliono; il mio posto è qui» disse la Bajoriana. «Ma lei vada, Odo. Porti i Cristalli al sicuro. Ringrazi l’Emissario da parte mia e dica che gli sono vicina, almeno nello spirito» si commosse.

   «Come vuole» cedette il Mutaforma. «Arrivederci, Eminenza. Spero di rivederla un giorno, per renderle i Cristalli». La navicella aveva già cominciato a sollevarsi quando Odo richiuse il portello. Prese rapidamente quota, diretta alla Defiant.

   Nashir la osservò finché scomparve nel cielo pomeridiano. Poi, con un sospiro, lasciò il giardino devastato dal fuoco. Oltre le mura del monastero risuonavano le sirene d’allarme: pompieri, ambulanze, polizia. Il terremoto e gli incendi avevano fatto danni. E sebbene Kosst Amojan fosse stato sconfitto, l’arrivo dei Pacificatori significava che le sofferenze erano appena cominciate.

   «Sia fatta la volontà dei Profeti» pensò la Kai, rassegnata.

 

   Sulla plancia della Takiah, Modro assistette con sentimenti contrastanti alla distruzione di Deep Space Nine. Aveva sperato di riconquistarla per l’Unione e magari di comandarla lui stesso, un giorno. Ma l’ostinazione dei ribelli aveva distrutto il suo sogno, costringendolo a un’azione inimmaginabile. Ora che aveva ucciso sua moglie e forse perduto la propria anima, non gli restava altro che la vendetta. Così al rimpianto si sommò anche una feroce soddisfazione. Il Comandante voleva vedere Kosst Amojan dare la caccia ai ribelli, distruggerli uno per uno. Solo così il suo sacrificio avrebbe avuto un senso. Quando l’Ammiraglio Vidkung ordinò alla flotta di tornare all’attacco, gli disse che non era necessario, perché il Pah-wraith avrebbe fatto tutto. Ma l’Efrosiano lo guardò come se fosse tocco e confermò l’ordine. Le astronavi avevano appena ingaggiato i ribelli quando dal pianeta venne il raggio bianco.

   Modro lo guardò allibito; gli ci volle qualche secondo per comprendere che veniva da un Cristallo, o forse da tutti i Cristalli assieme. Il raggio luminoso colpì il Cristallo di Fuoco, disintegrandolo; l’onda d’urto travolse alcune navi, tra cui il Moloch. La Takiah, che era molto più lontana, tremò appena. Il Comandante si lasciò cadere sulla sua poltroncina, senza parole.

   «Tutto qui?» lo riprese Vidkung. «Sembra che lei abbia scelto l’alleato sbagliato. Mi aveva assicurato che Kosst Amojan ci avrebbe liberati dai ribelli; ed è riuscito a distruggere solo una stazione vuota. Francamente mi aspettavo di più».

   «Anch’io» ammise Modro, con la bocca secca. In realtà non sapeva se essere dispiaciuto o sollevato. Aveva perso l’occasione di annientare i ribelli; ma se il Maligno era distrutto e non poteva esaudire il suo desiderio, allora il patto era rotto. Il che era un’ottima notizia per la sua anima. «Ma Vasa è morta» si disse il Bajoriano, sentendo tornare la rabbia. «L’ho uccisa per niente... e ho anche lasciato andare Smirnov!».

   «Quel raggio veniva dal monastero della Kai» disse l’addetto ai sensori. «Una navetta della Defiant vi è atterrata in questo momento».

   «I Cristalli; sono stati i Cristalli» comprese Vidkung, tamburellando sul bracciolo. «E ora i ribelli vogliono portarli via. Senta un po’, Comandante... i suoi Profeti, da che parte stanno? Pensavo fossero dalla nostra, o tutt’al più neutrali. Invece hanno aiutato il nemico!» sbuffò.

   «Io... non so che dire» sussurrò Modro, desiderando sprofondare. «Tutto ciò che credevo di loro è falso».

   «Beh, è il momento di portare a fondo l’attacco» tagliò corto l’Efrosiano. «Ammiraglio Vidkung a flotta, riprendete l’avanzata. Stavolta non ci fermeremo fino alla presa del pianeta».

 

   Erano le fasi finali della battaglia. Da una parte Pacificatori e Breen, a dispetto delle gravi perdite, avevano ancora la netta superiorità numerica. Dall’altra i difensori si trovavano ormai con poche navi, quasi tutte danneggiate. Deep Space Nine non c’era più e anche le piattaforme orbitali erano in gran parte distrutte. Nessuno poteva dubitare di come si sarebbe conclusa la battaglia.

   Fu allora che l’Emissario attuò l’ultima parte del suo piano. «Sisko a flotta, è il momento dell’esodo» ordinò.

   «Tocca a noi» disse Hod, conoscendo il ruolo assegnato alla Keter nell’evacuazione. I teletrasporti della nave entrarono in funzione. Il Primo Ministro Parva fu trasferito a bordo con la sua squadra di governo e così accadde allo Stato Maggiore della Milizia. Solo i volontari che si erano offerti di restare furono lasciati a terra. Fatto questo, la nave corazzata fece rotta verso lo spazio profondo, sparando a tutto spiano per aprire un varco nello schieramento nemico. I trasporti bajoriani le si accodarono, mentre le navi da guerra superstiti si disposero ai lati per scortarli. Anche la Stella del Polo si unì a loro. Per ultima venne la Defiant, appena ebbe imbarcato i Cristalli. Il convoglio abbandonò Bajor, diretto al Tunnel Spaziale.

   Pacificatori e Breen, che avevano lottato così duramente per aprirsi la via, si trovarono d’un tratto padroni del pianeta. Ma non potevano restare tutti lì, dimenticando i fuggitivi. Così, per ordine di Vidkung, si divisero. Centoventi navi dei Pacificatori, scelte tra quelle in condizioni migliori, partirono all’inseguimento del convoglio. Le rimanenti, così come tutti i vascelli Breen, rimasero presso Bajor, per completare la conquista. Dapprima distrussero le ultime piattaforme, assicurandosi il controllo dell’orbita. Dopo di che presero di mira gli edifici del governo e le basi militari, intimando la resa incondizionata. Consapevoli degli effetti devastanti di un bombardamento orbitale, ai Bajoriani non rimase che arrendersi.

   Subito i Pacificatori cominciarono a sbarcare le truppe d’occupazione. Presero il controllo della capitale e delle basi militari, delle centrali energetiche, degli snodi informatici e delle telecomunicazioni. Alcuni distaccamenti fecero lo stesso sui cinque satelliti del pianeta. Infine i Pacificatori inviarono parte della flotta a conquistare gli altri mondi colonizzati del sistema. Questi erano pressoché indifesi, tanto che si arresero senza opporre resistenza. Entro poche ore, l’intero sistema bajoriano era saldamente in mano ai Pacificatori e il Federal News poté mostrare le truppe che sfilavano trionfalmente lungo le vie di Ashalla.

 

   
 
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