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Autore: Parmandil    15/10/2020    1 recensioni
Sono tempi bui, la prima Guerra Civile della storia federale. Scacciati dalla Terra, ora in mano ai Voth, gli Umani subiscono deportazioni e angherie di ogni sorta. Alla Flotta Stellare non resta che proteggere i pianeti ribelli dai Pacificatori, decisi a epurare ogni dissenso, in nome del “bene superiore”.
Ancora una volta il fulcro del conflitto è la stazione Deep Space Nine, nel sistema bajoriano. Qui i Pacificatori e i Breen sono decisi a schiacciare ciò che resta dei ribelli; né intendono lasciarsi sfuggire i preziosi Cristalli di Bajor. Ma i Cristalli hanno una volontà loro: specialmente il nuovo Cristallo di Fuoco, in cui si annida un’antica entità demoniaca. Solo un leggendario Capitano del passato potrebbe arginarla. I nostri eroi dovranno affrontare le fiamme e sacrificare ciò che più amano, solo per scoprire che una possessione demoniaca è cosa da nulla, in confronto alla possessione ideologica.
Intanto lo Spettro e la Banshee scoprono un piano diabolico che coinvolge le specie rettili dell’Unione. Teatro dell’intrigo è Cestus III, dove li attende una vecchia conoscenza. In questa guerra che incrudelisce sempre più, c’è una sola certezza: nessun vincolo d’amicizia, d’amore o di parentela può salvare chi si oppone ai Pacificatori.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Cardassiani, I Profeti, Nuovo Personaggio, Odo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 8: Possessione

 

   Il convoglio dei fuggitivi sfrecciava verso il Tunnel Spaziale, lasciandosi dietro il pianeta in balia del nemico. La Keter apriva la strada, assieme a poche altre navi della Flotta Stellare. Seguivano i trasporti, scortati dalle navi bajoriane e cardassiane. Alla retroguardia stava un ultimo sparuto gruppo di navi federali, tra cui la Defiant. In totale erano un centinaio di navi trasporto e settanta da guerra, quasi tutte danneggiate.

   Dietro di loro venivano le centoventi astronavi dei Pacificatori, in buone condizioni e con gli equipaggi più determinati che mai a impadronirsi del convoglio. «Portiamoci in testa» ordinò l’Ammiraglio Vidkung, non volendo rischiare di farselo sfuggire. «Fuoco contro la Defiant; cerchiamo di azzopparla».

   La Takiah bersagliò i motori a impulso della Defiant, che pur continuando la fuga rispose con i lanciasiluri di poppa; ma era uno scontro impari. Fino ad allora Vidkung aveva tenuto la sua nave nelle retrovie, così che gli scudi erano ancora al massimo. Invece la nave federale, che combatteva fin dal primo momento, era danneggiata e aveva gli scudi al minimo. Non avrebbe resistito a lungo.

   «Signore, mi lasci abbordare la Defiant» chiese Modro.

   «E dovrei aspettarmi un risultato migliore che sulla stazione?» chiese l’Ammiraglio, squadrando il suo Primo Ufficiale.

   «Io e la mia squadra siamo arrivati nella camera blindata» rivendicò il Bajoriano. «Siete voi che vi siete ritirati, compromettendo il nostro rientro».

   «Lei è troppo scosso per tornare sul campo» insisté Vidkung. «Non dovrebbe nemmeno stare qui, bensì in infermeria».

   «Mi faccia andare!» insisté Modro, alzando la voce. «Su quella nave c’è l’uomo che si definisce il mio antenato. Chiuderò i conti con lui».

   «Sisko contro Sisko, è questo che vuole?».

   «Il Sisko dei Pacificatori contro quello dei ribelli... e si vedrà qual è il migliore» precisò il Comandante.

   L’Ammiraglio rimuginò per qualche attimo, osservando la nave in fuga, che incassava un colpo dopo l’altro. Ancora poco e i suoi scudi avrebbero ceduto. «Si tenga pronto» disse.

 

   Il convoglio raggiunse la Cintura di Denorios, dove si apriva il Tunnel Spaziale. I Pacificatori avevano lasciato alcune navi di guardia, che tuttavia dovettero farsi da parte, sotto il disperato attacco dei fuggitivi. Tutti si aspettavano che il convoglio imboccasse compatto il Tunnel, ma non fu così. Dieci vascelli della Flotta – tra cui la Keter e la Defiant – entrarono nel vortice, così come i trasporti, mentre il resto della scorta li abbandonò. Le astronavi corressero la rotta e partirono alla massima velocità verso Cardassia.

   «Beh, questo è inaspettato» commentò Vidkung.

   «Dividiamo la flotta» suggerì Modro.

   «No, non voglio frammentarci ulteriormente» decise l’Ammiraglio. «Tutti gli obiettivi importanti sono entrati nel Tunnel, quindi li seguiremo. Con le forze a nostra disposizione possiamo occuparci del convoglio e liberare New Bajor». Premette un comando, mettendosi in comunicazione con il Moloch. «Vidkung a Radek, le assegno il comando delle operazioni fino al mio ritorno. Si assicuri che Bajor e gli altri mondi siano sotto controllo e tenga d’occhio i Breen».

   «Come vuole, ma le sconsiglio di entrare nel Tunnel» avvertì il Rigeliano.

   «Faccia come ho detto» tagliò corto l’Ammiraglio, e chiuse il canale. Non voleva rinunciare all’inseguimento e non poteva nemmeno usare il propulsore cronografico, perché solo poche astronavi ne erano provviste.

   Modro ebbe un brutto presentimento, vedendo il Tunnel che si spalancava davanti a loro. Quel luogo, un tempo riverito, non gli appariva più così amico, ora che i Profeti avevano aiutato i ribelli. Ma il Comandante sapeva che l’Ammiraglio non avrebbe mai desistito, così non tentò nemmeno di dissuaderlo.

   Le navi dei Pacificatori si tuffarono nel wormhole, come un branco di lupi all’inseguimento di prede sempre più sfiancate. Ne percorsero la maggior parte, ma a un tratto dovettero fermarsi. La Defiant si era fermata al centro del condotto, ostruendo il passaggio, mentre il resto del convoglio sbucava nel Quadrante Gamma.

   «Volendo potrei sgusciarle a lato» disse il timoniere.

   «Volendo potrei distruggerla» fece l’Ufficiale Tattico, più arcigno.

   L’Ammiraglio ebbe un attimo d’esitazione. Non c’erano mai state battaglie all’interno del Tunnel, e comunque doveva abbordare la nave per recuperare i Cristalli. Però non voleva nemmeno che la Defiant gli bloccasse tutta la flotta, mentre il resto del convoglio faceva perdere le proprie tracce.

   «Ci chiamano, signore».

   «Sullo schermo».

   Ilia apparve al centro dell’inquadratura. Ai suoi lati c’erano Benjamin Sisko e Odo. «Avete preso Bajor, come volevate. Ora, nel vostro interesse, cessate l’inseguimento» disse la Trill.

   «Nel nostro interesse!» ridacchiò Vidkung. «Ve lo dico io, quali sono i nostri interessi. Liberare New Bajor, che appartiene all’Unione. Riportare indietro i dieci Cristalli e i centomila Umani di cui vi siete impadroniti. Assicurare tutti voi alla giustizia. Questi sono i nostri interessi, e ci fermeremo solo quando saranno pienamente soddisfatti. Dunque, nel vostro interesse, vi ordino di sgombrarci la strada e di arrendervi senza condizioni».

   «Voi non passerete oltre» disse Benjamin Sisko, con pacata sicurezza. «Tornate indietro, finché potete. Avete già visto il potere dei Profeti: hanno distrutto il Cristallo di Fuoco. Cosa credete che faranno a voi, che avete invaso il loro regno?».

   «Invaso! Sono secoli che usiamo questo wormhole!» sbottò Vidkung. «Se ora i suoi amici evanescenti non ci vedono di buon occhio, li avverta di stare attenti, perché conosciamo la loro vulnerabilità ai cronotoni. Quindi faranno meglio a mostrarsi e a firmare un patto di non aggressione. È tempo di metterli in regola, per lo Spazio!».

   «Firmare un patto... loro non agiscono così» disse Sisko, scuotendo la testa. «Sono troppo diversi. Lei non ha mai compiuto un Primo Contatto, vero?».

   «Ne ho abbastanza, lei mi fa perdere tempo» s’irritò l’Efrosiano. «Interpreterò il suo tergiversare come un rifiuto di arrendersi; e questa è la cosa più stupida che poteva fare». Segnalò all’addetto di chiudere il canale, poi si rivolse all’Ufficiale Tattico: «Li renda inoffensivi, ma stia attento a non distruggerli».

   «Signore, la Defiant ha appena abbassato gli scudi» disse l’ufficiale. «Hanno anche disattivato le armi. Dunque si sono arresi, dopotutto».

   «Ma continuano a ostruirci la rotta» notò il timoniere.

   «Non mi fido... può essere una trappola» disse l’Ammiraglio. «Comandante, vada da loro e li costringa a liberarci la strada».

   «Agli ordini» disse Modro, ancora equipaggiato con la tuta da combattimento e le armi usate su Deep Space Nine. Non vedeva l’ora di abbordare la Defiant, per chiudere i conti con il suo sedicente antenato.

 

   «State pronti» disse Sisko. «Mi raccomando, nessuno opponga resistenza».

   Ilia stava per replicare che quella era la sua nave, e doveva difenderla, ma si trattenne. Voleva fidarsi ancora una volta di Benjamin. E dopo aver visto i Cristalli in azione, era pronta ad accordare fiducia anche ai Profeti.

   La squadra d’assalto dei Pacificatori si materializzò in plancia. Tutti gli agenti avevano fucili phaser e tute da combattimento con casco. «In nome dell’Unione Galattica, vi dichiaro in arresto e requisisco questa nave!» annunciò il caposquadra.

   I federali restarono immobili, salvo Benjamin Sisko, che si fece avanti mostrando i palmi vuoti delle mani. «State calmi, non occorre la violenza» disse. «Sei tu, Modro?» si rivolse al caposquadra. Poiché la visiera del casco era polarizzata, non poteva vederne i lineamenti.

   «Sono il Comandante Sisko, dell’USS Takiah» disse orgogliosamente il Bajoriano. «E lei, si dichiara ancora lo scomparso Capitano Benjamin Sisko?».

   «I Profeti mi chiamano “il Sisko”» fece l’Umano, accennando un sorriso, «ma sì, sono io. Non mi credi? Eppure hai appena visto il loro potere. Se non avessero fermato il Maligno – che tu hai scatenato – sarebbe stata la catastrofe. Ma ciò non ti assolve dalle tue azioni. Hai assassinato tua moglie... come hai potuto?» chiese, scuotendo il capo.

   Modro fece rientrare il casco nella tuta. Per la prima volta, i due lontani parenti si trovarono faccia a faccia. La loro somiglianza era impressionante, anche se Modro aveva i tratti bajoriani. Sembravano quasi la stessa persona, in due diverse incarnazioni.

   «Se i Profeti non mi avessero abbandonato, non sarei ricorso a queste misure estreme» si giustificò il Comandante.

   «I Profeti non ti hanno abbandonato» corresse Sisko. «Sei stato tu a fargli richieste ingiuste, e a odiarli quando non ti hanno accontentato».

   «I Profeti, Kosst Amojan... non hanno più importanza» sbuffò Modro. «Non m’importa neanche sapere se lei è davvero il mio antenato. Tutto ciò che conta è che noi abbiamo vinto, abbiamo liberato Bajor. Ora consegnateci la nave».

   «No» rispose Sisko con tranquillità.

   «No?» fece Modro, fissandolo sinistramente. «Allora ce la prenderemo. Fuoco!».

   Gli agenti spararono per stordire, ma i fucili phaser restarono inerti. L’attimo dopo si dissolsero nelle loro mani. Svanirono anche i phaser manuali e le granate stordenti. I Pacificatori arretrarono sgomenti, mentre i federali estrassero i phaser che avevano nascosto dietro le consolle.

   «Yotz!» imprecò Modro, portandosi la mano alla fondina vuota.

   «Vi avevo avvertiti» disse Sisko con pazienza. «I Profeti non tollerano la vostra invasione. Andatevene subito, o vi distruggeranno» disse senza mezzi termini.

   Modro guardò i suoi agenti, sperando che l’aiutassero, ma vide che erano tutti disarmati come lui. «Non finisce qui!» disse, fissando l’antenato con odio. «Sisko a Takiah, rientro immediato» ordinò. I Pacificatori svanirono com’erano apparsi, salvo lui. «Ma...» fece il Bajoriano, guardandosi attorno come un animale in trappola.

   «Sembra che i Profeti vogliano darti un’ultima occasione» disse Sisko. «Deponi la tua rabbia e parla con me. Forse non è troppo tardi per evitare la catastrofe» disse, tendendogli la mano.

   Modro fissò la mano tesa come se fosse una cosa immonda, che si protraeva contro di lui per insozzarlo. Ma era solo, su una nave piena di ribelli che lo avrebbero conciato male, se l’Emissario non fosse stato così conciliante. Vincendo la ripugnanza, allungò la propria mano. Stavano per stringersele, quando l’Ufficiale Tattico lanciò un allarme: «I Pacificatori energizzano le armi!».

   «No!» fece Sisko, ritraendo la mano, mentre il panico si diffondeva in plancia.

   Anche Modro si preparò al peggio. Se i suoi colleghi sparavano mentre la Defiant aveva gli scudi abbassati, l’avrebbero distrutta in un attimo. Guardò la Takiah e le altre navi inquadrate sullo schermo. Spiccavano come macchie scure contro gli orli cangianti e luminosi del Tunnel Spaziale. D’un tratto il condotto prese a lampeggiare in un modo che non aveva mai visto: era come se i colori s’invertissero a ogni istante. Per qualche secondo il Tunnel fu un caleidoscopio luminoso; poi tornò alla normalità. Ma la flotta dei Pacificatori era svanita. Le centoventi astronavi di ultima generazione, orgoglio dell’Unione, si erano dissolte come se non fossero mai esistite. L’Ammiraglio Vidkung, i capitani e i loro equipaggi erano svaniti con esse. E ovunque fossero finiti, Modro sentì che non avrebbero più disturbato i viventi.

 

   In plancia piombò il silenzio. Al sollievo per essere sopravvissuti si aggiungeva lo sgomento per quel terribile castigo, che riecheggiava quello inferto due secoli prima al Dominio. Di tutti i Pacificatori entrati nel Tunnel, l’unico superstite era Modro. Restava da vedere come ne sarebbe uscito. Il Bajoriano fissava il condotto vuoto, stentando a capacitarsi dell’accaduto.

   «Mi dispiace» mormorò Sisko. «Non volevo che accadesse. Ma i Pacificatori avrebbero dovuto ritirarsi. Li avevo avvertiti che i Profeti avevano esaurito la pazienza».

   «La pazienza?» gracchiò Modro, distogliendo a fatica lo sguardo. «Su quelle navi c’erano cinquantamila persone. Alcuni erano cadetti appena usciti dall’Accademia, con tutta la vita davanti. I tuoi Profeti non conoscono la pietà».

   «Tu quanta pietà hai avuto, quando hai sacrificato tua moglie... per ordinare al Maligno di sterminarci?» ribatté Sisko. «Non vedi dove ci ha portati questa guerra? Ci stiamo massacrando per niente. Due eserciti che si combattono sono come un solo grande esercito che si suicida. Queste tragedie lo dimostrano. Dobbiamo fermarci, prima che questa follia ci consumi!».

   «Fermarci?» ripeté Modro, trasognato. «E come credi che sia possibile? Noi Pacificatori lottiamo per salvare il sogno federale. Voi invece volete distruggere l’Unione e riportare il Quadrante all’epoca in cui tutte le specie erano in guerra».

   «Non è così!» disse Sisko con decisione. «Noi vogliamo soltanto che Rangda ceda il potere e si tengano libere elezioni. Tutto qui».

   «Le elezioni ci sono già state e Rangda ha stravinto» ribatté Modro. «Quello che volete fare è un colpo di Stato. E poi c’è la Terra: volete restituirla agli Umani. Questo ci metterebbe in conflitto coi Voth, un conflitto che non possiamo vincere. Come fate a non capirlo?!».

   «Se tutte le strade portano al conflitto, allora l’unico modo di uscirne è il negoziato» insisté Sisko. «Tutti dovremo cedere qualcosa, ma nessuno perderà tutto. E tu puoi svolgere un ruolo chiave, in questo».

   «Io?» fece Modro, smarrito.

   «Sì, i Profeti l’hanno previsto» disse Sisko, incoraggiante. «Se t’impegnerai con me, potremo instaurare un dialogo tra Federazione e Unione. Non è ancora troppo tardi per ricucire lo strappo. Ma se rifiuti... allora la guerra proseguirà e le vittime cresceranno a dismisura. Tu che sei sangue del mio sangue, non puoi volere questo. Aiutami, nipote! Aiutami a riconquistare la pace!» disse, tendendogli nuovamente la mano.

   Modro lo guardò a lungo, considerando la sua proposta. Poco alla volta gli occhi gli s’inumidirono. «Mi sbagliavo sul tuo conto» mormorò. «Tu sei davvero Benjamin Sisko. Quand’ero ragazzino, eri il mio idolo. Avrei voluto emularti... non mi aspettavo certo di finire a combatterti». Malgrado i suoi sforzi, non riuscì a trattenere un singhiozzo. Strinse la mano all’antenato e poi, trascinato dall’emozione, lo abbracciò.

   «Lo so, e mi dispiace. Ma se lavoriamo insieme, potremo fare molto» promise l’Emissario, stringendolo a sé con forza, sebbene l’altro avesse ancora la tuta corazzata. Non si avvide che Modro aveva portato la mano in cintura. E non se ne accorsero nemmeno i federali, perché il Bajoriano gli mostrava l’altro lato.

   «Sì... ora tutto mi è chiaro» disse Modro, piangendo calde lacrime.

   Si udì uno scatto metallico e l’Emissario s’irrigidì. Fissò il suo erede con delusione, più che con sorpresa. Arretrò leggermente, liberandosi dall’abbraccio. Allora tutti videro che Modro gli aveva piantato la vibro-lama nello stomaco. La lama non era del tutto estroflessa, così che l’arma sembrava un pugnale, più che una spada; ma era affondata fino agli organi vitali.

   «NO!» gridò Ilia, aprendo il fuoco con il phaser a piena potenza. Colpì Modro al fianco, perforandogli la tuta. Il Bajoriano gridò di dolore, anche se la ferita non era letale. Lui e Sisko restarono in piedi, quasi sostenendosi a vicenda.

   «Perché?» chiese l’Emissario.

   «Se io e te possiamo portare la pace, allora preferisco ucciderti» rispose Modro. Estrasse la vibro-lama e cercò di sferrare un altro colpo, alla gola dell’antenato. Ma Sisko gli afferrò il polso e lo bloccò. Restarono avvinghiati, lottando per l’arma. Odo e alcuni ufficiali stavano per intervenire, ma Ilia fece loro segno di aspettare. Ormai le era chiaro come sarebbe finita.

   «Ti volevo bene, nipote» disse l’Umano, piegandogli inesorabilmente il braccio.

   «Io invece sono felice di morire, pur di accoppare anche te!» ringhiò il Bajoriano. Ignorando il dolore lancinante al fianco, cercò con tutte le sue forze di rivolgere l’arma contro l’antenato.

   Con uno sforzo convulso, Sisko piegò del tutto la vibro-lama contro l’erede, portandogliela a un centimetro dalla gola. «Avremo ugualmente la pace, un giorno» predisse.

   «Sì, ma per allora la tua razza immonda sarà estirpata!» ribatté Modro, con un ghigno diabolico.

   Ci fu un nuovo scatto e la vibro-lama si estroflesse del tutto, piantandosi nella gola del Comandante, appena sopra l’orlo della tuta. La punta gli uscì dalla nuca, luccicante di sangue. Nessuno dei testimoni vide chi dei due aveva premuto il comando. E nessuno volle chiederlo. I due si guardarono un’ultima volta negli occhi, infine l’Emissario lasciò la presa. Il Comandante crollò a terra, con la vibro-lama che gli trafiggeva il collo. Sul suo volto c’era ancora, congelato dalla morte, il sorriso di trionfo.

 

   Sisko si accasciò tra le braccia di Odo, accorso a sorreggerlo. «Stia calmo, Capitano» disse il Mutaforma, adagiandolo sul pavimento. «È una ferita da niente, si rimetterà».

   «Non credo» mormorò l’Emissario. «Il mio Cristallo... portatelo qui, presto».

   «Fate come dice» ordinò Ilia.

   Il primo ad arrivare fu però il dottor Joe, con la valigetta del pronto soccorso. Mentre il Medico Olografico prestava le prime cure al ferito, la Trill ordinò di uscire dal Tunnel. La Defiant partì a metà impulso, sbucando nel Quadrante Gamma. Non c’erano navi nel raggio dei sensori, perché il convoglio dei fuggitivi aveva proseguito per New Bajor.

   «Ammiraglio, le condizioni del paziente sono più gravi del previsto» avvertì Joe. «Quella vibro-lama contiene particelle di thalaron. Sono entrate nel flusso sanguigno e stanno avvelenando l’organismo. Devo metterlo in una capsula crono-statica, mentre studio il problema».

   «No, il mio compito è terminato» disse Sisko stancamente. «È tempo di riunirmi ai Profeti».

   «Benjamin, cosa dici? Abbiamo ancora bisogno di te!» disse Ilia, affranta. «La pace di cui parlavi...».

   «È morta con mio nipote. Lui ha fatto la sua scelta e ora la guerra continuerà» sospirò l’Emissario.

   «Riusciremo a vincere?» chiese Ilia.

   «C’è una sola possibilità, ma devono accadere tante cose... ah!» gemette Sisko, colto da una fitta. Il dottor Joe aveva arrestato l’emorragia, ma la carne in quel punto si era ingrigita e le vene erano in evidenza. Il thalaron si diffondeva, inesorabile, rompendo le membrane cellulari.

   Un tremito della nave indusse tutti ad alzare gli occhi allo schermo. Il Tunnel Spaziale si era riaperto. Per un attimo i federali temettero di veder arrivare il resto dei Pacificatori, sfuggiti in qualche modo alla collera dei Profeti. Ma non c’era nessuno in arrivo. Il vortice azzurro e dorato restò aperto per un tempo insolitamente lungo, prima di richiudersi in modo strano, come ripiegandosi su se stesso. Ci fu un lampo, seguito da un’onda d’urto che scosse la Defiant.

   «Analisi» ordinò Ilia, pur intuendo l’accaduto.

   «Il Tunnel Spaziale sembra svanito» disse l’addetta ai sensori. «Non ci sono emissioni di verteroni, né onde gravitazionali. È come se non fosse mai esistito».

   «I Profeti stanno bene?» chiese la Trill a Sisko.

   «Sì, ma non vogliono più immischiarsi in questa guerra» spiegò l’Emissario, sempre più debole. «Hanno chiuso il Tunnel per evitare che i Pacificatori si vendichino».

   Ilia comprese perché il Capitano aveva voluto che solo le navi federali munite di propulsore cronografico andassero nel Quadrante Gamma: erano le uniche in grado di tornare dopo la chiusura del Tunnel. I trasporti in effetti erano bloccati, ma il loro equipaggio poteva essere trasferito dalle navi della Flotta.

   «Prima i Cristalli, poi il Tunnel... i Bajoriani si sentiranno abbandonati» commentò Odo. «È una scelta definitiva o i Profeti lo riapriranno?».

   «Il Tunnel si riaprirà solo quando torneranno pace e giustizia» rivelò Sisko. «Che ciò accada o meno, dipende da voi» disse con voce fioca. I segni dell’avvelenamento progredivano a vista d’occhio.

   In quella giunse un agente della Sicurezza con il Cristallo dell’Emissario. Lo depose accanto a Sisko e aprì la teca. Il Cristallo era ancora opaco; solo a tratti baluginava d’azzurro. Sisko lo guardò come se fosse la sua salvezza e tese il braccio per toccarlo.

   «Benjamin, ti rivedrò mai?!» chiese Ilia.

   «Può darsi, vecchio mio» rispose l’Emissario, abbozzando un sorriso malgrado il dolore intenso. «Forse domani, o forse... l’altroieri». Nel momento in cui toccò il Cristallo, egli svanì. Non ci furono lampi di luce, né clamori. Si era semplicemente dissolto assieme ai suoi abiti. Quanto al Cristallo, continuava a pulsare di un fioco barlume azzurro.

   Ilia richiuse la teca con un sospiro. «Lo riporti nella camera blindata, con gli altri» ordinò all’agente. Si rialzò con l’aiuto di Odo e guardò lo spazio trapunto di stelle. «Lui è là, da qualche parte» disse all’amico. «Nello spazio tra gli Universi. In un certo senso, è ancora tra noi».

   «Ma non può più consigliarci» notò il Mutaforma.

   «No» convenne l’Ammiraglio, rassegnata. Si rivolse ai suoi ufficiali, che apparivano scossi dagli eventi. «La battaglia è finita e penso che per oggi non vedremo altri portenti» li rassicurò. «Abbiamo fatto tutto il possibile; anche se Bajor è caduto, il convoglio è in salvo. Timoniere, faccia rotta per New Bajor» ordinò.

   «E di lui che ne facciamo?» chiese Odo, accennando al corpo di Modro.

   «Se lo restituissimo ai Pacificatori, di certo ne farebbero un martire» disse Ilia, osservandolo cupamente. «Non lascerò che la sua tomba diventi meta di pellegrinaggio, perciò lo cremeremo».

   «Sisko ha altri discendenti, giusto?» chiese il Mutaforma, non rassegnandosi al fatto che la sua stirpe si estinguesse così.

   «Sì, molti» confermò la Trill. «Ma nessun altro con il suo cognome».

 

   Uscendo dalla sala operatoria della Keter, la dottoressa Mol si trovò davanti Juri. Lo storico era lì fuori da chissà quanto, in attesa del verdetto sulla sorte di Vasa. La Vidiiana non ebbe la forza di parlare. Si limitò a scuotere il capo. Le era già capitato di perdere dei pazienti o, come stavolta, di non riuscire a rianimarne uno. La dottoressa sapeva che in quei casi era necessario il distacco professionale, ma non poteva fare a meno di considerarla una sconfitta.

   Sul volto di Juri non apparve il minimo stupore, e nemmeno rabbia. Si aspettava quell’esito. Lasciò l’infermeria senza una parola. Mentre percorreva i corridoi pieni di tecnici che correvano a fare riparazioni, si disse che in fondo le cose erano andate meglio del previsto. Avevano salvato Bajor dalla distruzione, anche se non dai Pacificatori, e avevano messo in salvo gli Umani. E Modro era morto: così diceva il comunicato della Defiant. La notizia non lo rallegrava, anche se gli dava un certo sollievo. Più difficile da interpretare era la scomparsa di Benjamin Sisko. Comunque di lì a poco la Defiant li avrebbe raggiunti, e lui avrebbe saputo i dettagli.

   Lo storico pensava di tornare nel suo alloggio, a riposare, ma i piedi lo portarono davanti al suo laboratorio. C’era una strana inquietudine, in lui, ma non capiva da dove venisse. Aveva la sensazione che quella missione non fosse ancora finita. Entrò nel laboratorio e sedette alla scrivania. Per un po’ rimase in silenzio, rimuginando. Esaminò i tasselli di quell’intricata vicenda, cercando di capire cosa lo tormentava. I Breen? Avevano subito gravi perdite e forse si sarebbero ritirati dal conflitto. I Pacificatori? Si erano presi Bajor, ma non erano loro a preoccuparlo. Kosst Amojan? Era distrutto. O meglio... il suo Cristallo era stato distrutto.

   Poco alla volta lo storico sentì che il suo timore si precisava. Si mise la mano in tasca, traendone l’unità di memoria che Vasa gli aveva dato appena la sera prima... ma sembrava passato un secolo. La inserì nel computer e attivò l’oloschermo. Era tutto lì: sei anni di analisi ed esperimenti sul Cristallo di Fuoco da parte della squadra archeologica. «C’è ancora del lavoro da fare» si disse Juri, cominciando la lettura.

 

   Sorvegliata da due agenti dei Pacificatori, Kai Nashir fu scortata in quello che fino a pochi giorni prima era il suo ufficio. Erano passati tre giorni dalla battaglia, e in tutto questo tempo gli invasori l’avevano rinchiusa nei suoi alloggi, impedendole d’informarsi su ciò che accadeva. L’ultima cosa che aveva saputo, prima del suo arresto, era che il Tunnel Spaziale era scomparso: un fatto che le dava molto da pensare.

   Il Capitano Radek l’aspettava nell’ufficio. Aveva avuto il buon gusto di non sedersi alla sua scrivania, quindi passeggiava, osservando gli antichi manufatti esposti sulle mensole: statuette, stele istoriate, strumenti musicali. «Salve, Eminenza» l’accolse il Rigeliano. «Mi scuso per averla fatta attendere, ma in questi giorni siamo stati molti indaffarati, come può immaginare. C’è un intero sistema da pacificare, e il suo popolo... ecco... non si è rivelato collaborativo».

   «Il mio popolo sta vivendo il momento più buio» disse la Kai. «Abbiamo perso i Cristalli, il Tempio Celeste e la libertà, tutto in una volta».

   «Sui primi due posso convenire, ma si sbaglia di grosso sulla libertà» disse Radek, accostandosi. «Siete appena tornati nella grande famiglia dell’Unione e ne riceverete i benefici, se starete al vostro posto. Ora, forse saprà che il Ministro Parva e i suoi collaboratori hanno pensato bene di svignarsela. Questo fa di lei la maggiore autorità rimasta su Bajor. E per quanto mi ripugni mischiare religione e politica, sembra proprio che dovrò farlo. Lei, Eminenza, parlerà al popolo per tranquillizzarlo. Spiegherà che la vita continuerà in larga misura come prima ed esorterà i dissidenti a deporre le armi. Dirà inoltre che l’uomo spacciatosi per Benjamin Sisko era un impostore e che i Bajoriani non devono in alcun modo seguire le sue esortazioni».

   «Altrimenti mi ucciderà?» chiese Nashir.

   «Suvvia, non s’impunti così» la esortò Radek. «Io sono un Pacificatore. Come dice il nome, la mia missione è garantire la pace. Se il suo credo è pacifico come afferma, converrà che abbiamo lo stesso obiettivo».

   «Lei parla di pace, ma è giunto qui con la guerra» obiettò la Bajoriana. «Quante persone sono morte, perché lei potesse entrare in questo ufficio?».

   «Troppe» ammise Radek, sinceramente addolorato. «Ma ne moriranno altre, se lei non mi aiuta a ripristinare la pace sociale».

   «Lei mi chiede di collaborare alla vostra occupazione. Non posso esaudirla» disse Nashir, accostandosi alla finestra per osservare il giardino annerito dall’incendio.

   «Allora sta commettendo lo stesso errore dei ribelli» sostenne Radek, irritato. «Potevano arrendersi e nessuno si sarebbe fatto male. Invece hanno voluto combattere fino all’ultimo, come se ci fosse qualcosa di nobile in questo. A causa della loro cieca ostinazione, sono morte migliaia di persone. E ora tutto si ripete! Io le chiedo di collaborare, lei si rifiuta... e a farne le spese sono sempre i più deboli. Lei è come tutti gli altri ribelli: egoista e senza cuore».

   La Kai guardò il cielo, come cercando la forza di controbattere. Si chiese cosa avrebbe detto l’Emissario, al posto suo. Infine si girò, affrontando il Capitano. «Voi Pacificatori siete abili a scaricare le colpe sugli altri» disse. «Ma siete voi che non permettete ai popoli stanchi delle vostre vessazioni di lasciare l’Unione. Siete voi che aggredite un pianeta dopo l’altro. Stavolta avete usato un’arma al thalaron contro la New Frontier e avete cercato di sfruttare persino il Cristallo di Fuoco. La prossima volta che farete? Distruggerete il pianeta che vi si oppone?».

   «Siamo stati costretti! Il fine giustifica i mezzi!» esclamò Radek, perdendo la calma.

   «No, sono i mezzi che rivelano il fine» ritorse Nashir. «E il vostro fine è fin troppo chiaro: uccidere chiunque non s’inginocchi davanti a voi. Che aspetta, dunque?» chiese, allargando le braccia come se lo invitasse a colpirla.

   «Vecchia rimbambita!» ringhiò il Rigeliano, sempre più furente. «Come avete fatto a trasformare i Cristalli in un’arma? Si può rifare? E perché il Tunnel si è chiuso dopo il passaggio dei nostri?!».

   «Solo i Profeti conoscono le risposte» disse Nashir. «Per quanto riguarda la vostra flotta scomparsa, prego per il suo ritorno. Ma c’è la possibilità che non la rivediate, se i Profeti hanno deciso di castigarvi, come fecero col Dominio».

   Udendo questo, Radek perse l’ultimo briciolo d’autocontrollo. Colpì la Bajoriana con un manrovescio che la fece cadere a terra.

   «Capitano, permette una parola?» intervenne uno degli agenti. «Se la prigioniera non collabora, potremmo usare la Lobo-Sedia. Ci vuol poco ad asservire quelli come lei».

   Radek ci rifletté mentre l’anziana, ancora a terra, mormorava parole smozzicate, forse preghiere. Il sangue le colava dal naso e la guancia si stava illividendo. «No» decise il Capitano. «Sono contrario a quegli strumenti. Se la Kai non vuol collaborare, faremo a meno di lei. Medicatela e poi speditela al carcere di Elemspur. Se cambierà idea, parleremo di nuovo. Altrimenti passerà lì il resto dei suoi giorni» sentenziò.

   «Venga» dissero i due agenti. Presero l’anziana donna per le braccia e la costrinsero rudemente a rialzarsi.

   «La ricorderò nelle mie preghiere, Capitano Radek» disse Nashir, scossa ma non vinta. «Dev’essere triste, passare la vita dando la caccia ai suoi ex amici della Keter. Ed è ancora più triste che lei non capisca come andrà a finire. Abbiamo una sola vita e una sola anima, e non sappiamo quando verremo chiamati a renderne conto. Non le sprechi, come ha fatto Modro» avvertì.

   Il Rigeliano le si avvicinò con aria minacciosa. «I suoi abracadabra non m’intimoriscono» disse. «Quando sarà eletto il nuovo Kai, ci assicureremo che vada al potere qualcuno più assennato di lei. Sempre che la Presidente Rangda non faccia chiudere i vostri templi una volta per tutte. È ora che anche voi entriate nella modernità». Al suo cenno, le guardie portarono via la Kai.

   Radek si aggirò per qualche minuto nell’ufficio, maledicendo la cocciutaggine dei ribelli. Era chiaro che Bajor sarebbe stato un pianeta difficile da controllare. Ma c’era qualcos’altro che lo preoccupava, e la conversazione con Nashir aveva acuito il suo timore. La flotta di Vidkung era scomparsa da tre giorni. Anche se erano impegnati a pacificare New Bajor, era strano che non avessero mandato indietro neanche un’astronave, per riferire la situazione.

   «Radek a Moloch, come procedono le riparazioni?» chiese il Rigeliano, premendosi il comunicatore.

   «Bene, signore» rispose il Primo Ufficiale. «Abbiamo di nuovo la cavitazione».

   «E il propulsore cronografico?».

   «Funziona anche quello. Pensa di usarlo, Capitano?».

   «Per forza, visto che la flotta dell’Ammiraglio non dà notizie. Informi i Capitani: tutte le navi munite di propulsore cronografico devono prepararsi a partire entro due giorni».

 

   Due giorni dopo, come annunciato, il Moloch e un’altra trentina di navi effettuarono il balzo cronografico. Grazie a quella tecnologia che annullava le distanze, furono istantaneamente traslate nel Quadrante Gamma, alle coordinate in cui si apriva l’altra estremità del Tunnel.

   «Analisi sensoriale» ordinò Radek. «Cercate il wormhole. Può darsi che solo la nostra estremità si sia spostata».

   «Negativo, Capitano» disse l’addetto ai sensori, dopo una breve ricerca. «O si sono spostate entrambe le uscite, o il Tunnel si è chiuso. Considerando il comportamento dei wormhole, propendo per la seconda ipotesi».

   «Mah, quello bajoriano non è mai stato un tunnel come gli altri» borbottò Radek. In realtà la notizia lo preoccupava, perché significava che molte astronavi dell’altra flotta, sprovviste di propulsore cronografico, non potevano tornare nel Quadrante Alfa. Certo, i loro equipaggi potevano essere trasferiti con le altre, ma le navi sarebbero rimaste lì... a meno di non viaggiare per un anno a massima cavitazione, in regioni di spazio sconosciute. «Nessuna traccia delle nostre navi?» chiese il Rigeliano.

   «Niente, signore. Non hanno lasciato boe e non rilevo trasmissioni subspaziali».

   «Molto strano» si disse Radek. Un timore si faceva strada in lui, ma non osava indugiarci nemmeno col pensiero. Guardando i suo ufficiali, però, vide che anche loro stavano pensando la stessa cosa. Premette un comando sul bracciolo, contattando le altre navi. «Radek a flotta: rotta verso New Bajor. Restate in formazione e siate pronti allo scontro» disse in tono professionale. In realtà già ventilare uno scontro significava ammettere che la flotta di Vidkung non era mai giunta a New Bajor.

   Il Moloch entrò in cavitazione, seguito dalle altre navi. Alla loro velocità bastarono pochi minuti per raggiungere New Bajor. Era un pianeta ridente, privo di satelliti naturali, che orbitava attorno a una stella di tipo G. La sua orbita però era affollata di astronavi. Radek riconobbe i trasporti bajoriani e le navi federali che li avevano scortati nel Tunnel.

   «I trasporti non hanno ancora sbarcato gli Umani» riferì l’addetto.

   «Ci aspettavano. Chiami la Defiant» ordinò Radek.

   Ilia Tarn apparve sullo schermo; con lei c’erano Odo e il Ministro Parva. «Ben arrivati; ce ne avete messo, di tempo» esordì la Trill.

   Quella sicurezza non piacque per niente a Radek. «Arrendetevi» intimò. «Non sto a ripetervi le condizioni, perché le conoscete già».

   «Non vuole capirlo, vero? Non ci arrenderemo mai» rispose Ilia.

   «Si sbaglia, l’ho capito eccome. L’ho detto solo per rispettare il protocollo» spiegò il Rigeliano. «Spero che i vostri gusci di salvataggio funzionino, perché tra poco ne avrete bisogno».

   «Calma!» fece Ilia. «Non si è chiesto cos’è accaduto alla flotta dell’Ammiraglio Vidkung?».

   Radek se l’era chiesto eccome, ma temeva la risposta. Soprattutto temeva l’effetto che avrebbe avuto sul suo equipaggio. Fu tentato di chiudere la comunicazione e passare all’attacco, ma si trattenne. Doveva sapere. Vidkung aveva gettato le navi allo sbaraglio senza avere un quadro completo della situazione, ma lui non avrebbe commesso questo errore. «Avanti, lo dica» esortò.

   «Sono stati distrutti» rivelò la Trill. «Non da noi, certo. Sono stati i Profeti. Hanno cancellato la loro flotta mentre era nel Tunnel, come fecero col Dominio».

   Il gelo scese sulla plancia del Moloch. Osservando i suoi ufficiali, Radek vide sui loro volti il terrore, ma anche la rabbia. Lui stesso era fuori di sé, ma s’impose l’autocontrollo. «Erano cinquantamila persone... è stato un crimine di guerra» disse a bassa voce.

   «Li avevamo avvertiti del pericolo. Loro non ci hanno dato ascolto» ribatté Ilia.

   «Dunque è per questo che il Tunnel si è chiuso» comprese Radek. «Dopo aver compiuto la strage, i Profeti si nascondono, come assassini in fuga. Sarà meglio per loro che non si facciano più vedere, perché sappiamo come distruggerli» minacciò, riferendosi alle radiazioni cronotoniche. Poi si rivolse a Parva: «Sa, Primo Ministro, quando riferiremo questa notizia penso proprio che la vostra fede sarà bandita in tutta l’Unione».

   «Ne abbiamo subite tante, di persecuzioni; supereremo anche la vostra» rispose il Bajoriano.

   «Kai Nashir la pensa allo stesso modo, ma almeno ha avuto il coraggio di restare» riconobbe il Rigeliano. «Non come lei, che è fuggito. Ma se voleva restare libero, doveva nascondersi meglio».

   «Se pensa di attaccarci, la invito a riconsiderare» intervenne Odo. «La informo che il Dominio ha proposto a New Bajor di diventare un suo protettorato, e la colonia ha accettato dopo un referendum» rivelò. «Dunque ogni aggressione nei confronti di questo pianeta, e delle navi in orbita, sarà considerata un’aggressione al Dominio. Io sarei... molto spiacente, se fra noi scoppiasse un’altra guerra».

   Radek si sentì accapponare la pelle. Dichiarare guerra al Dominio era fuori discussione, ma gli ordini di Rangda erano perentori: il convoglio non doveva sfuggire e la colonia andava riconquistata. «Non vedo navi del Dominio, qui» disse il Rigeliano, chiedendosi se un attacco lampo avrebbe funzionato.

   «Questo è un problema che si risolve facilmente» disse il Mutaforma, premendosi il comunicatore. «Adesso, Yogrum».

   La flotta del Dominio uscì dall’occultamento. C’erano gli incrociatori di ultima generazione, dallo scafo a catamarano, e sciami di caccia Jem’Hadar simili a coleotteri. I Pacificatori erano quasi del tutto accerchiati, salvo che nella direzione da cui erano venuti.

   «Sono cento incrociatori e seicento caccia Jem’Hadar» disse l’Ufficiale Tattico del Moloch. Non aggiunse altro, ma l’occhiata che rivolse a Radek era eloquente: non avevano speranze contro una simile armata.

   «E così, adesso il Dominio ha anche l’occultamento» disse il Rigeliano, prendendo tempo per riflettere. «Glielo avete dato voi?» chiese a Ilia.

   «Suvvia, lei sottovaluta la nostra tecnologia» disse Odo. «Abbiamo l’occultamento da anni».

   Radek si avvicinò allo schermo, fissando minacciosamente la Trill. «Potrei ancora distruggere la sua nave, se volessi» avvertì.

   «Perderebbe quasi tutta la sua flotta» ribatté Ilia. «E dichiarerebbe guerra al Dominio».

   «Senza il Tunnel Spaziale, il Dominio è confinato nel Quadrante Gamma» obiettò il Rigeliano.

   «E chi lo dice? Potremmo fornirgli la cavitazione quantica, o anche il propulsore cronografico» ventilò Ilia. «Questo sì che cambierebbe la guerra, eh?».

   «Non oserete sguinzagliare il Dominio nella Galassia».

   «Non in circostanze normali, ma lei sta facendo di tutto per non lasciarmi altra scelta».

   Radek comprese d’essere in un vicolo cieco. Ostinarsi ad attaccare poteva condurlo solo al disastro. Non era così che si comportava un Capitano. Dopo aver rimuginato per qualche secondo, il Rigeliano squadrò gli avversari. «Godetevi il vostro soggiorno a New Bajor» disse gelidamente. «Spero che vi piaccia, perché tra poco questo sarà l’ultimo pianeta ribelle. Tutti gli altri torneranno all’Unione». Prima che potessero ribattere, segnalò di chiudere il canale.

   «La Presidente andrà su tutte le furie» mormorò il Primo Ufficiale, quando Radek gli si risedette accanto.

   «Se la Presidente non approva il mio operato, che venga qui e si conquisti il pianeta da sé» rispose seccamente il Capitano. «Radek a flotta, il piano d’attacco è annullato. Attivate i propulsori cronografici; torniamo a Bajor».

   Una dopo l’altra le navi dei Pacificatori svanirono, finché anche il Moloch tornò da dov’era venuto. I federali tirarono un sospiro di sollievo, tranne che sulla Keter, dove Hod e i suoi ufficiali sentivano che lo scontro con Radek era solo rimandato.

   «Grazie» disse Ilia a Odo. «Ma devo chiederti un ultimo favore. Man mano che terminiamo le riparazioni, le nostre navi torneranno nel Quadrante Alfa a proseguire la lotta. Qui resteranno solo i trasporti bajoriani. La colonia sarà indifesa e i Pacificatori potrebbero tornare».

   «Terrò una flottiglia a difendere il pianeta» promise il Mutaforma. «Magari resterò io stesso, fino al termine del conflitto. Sperando che... finisca bene» aggiunse a mezza voce.

   «Grazie» sorrise Ilia. «Almeno avremo un porto sicuro». L’ultima minaccia di Radek però continuava a ronzarle in testa. Se i Pacificatori continuavano la loro avanzata, non sarebbe passato molto prima che New Bajor diventasse l’ultimo baluardo della Federazione.

 

   Teletrasportato sulla Defiant, Juri Smirnov andò dritto filato in infermeria. Erano giorni che rifletteva sulla sua teoria. Ora che i Pacificatori erano stati respinti e la tensione si era allentata, doveva assolutamente verificarla.

   «Ben arrivato, dottor Smirnov» lo accolse Joe. «Devo dire che la sua chiamata mi ha un po’ sorpreso. Potevo inviarle il referto dell’autopsia...».

   «Grazie, ma non sono le cause della morte a interessarmi» spiegò l’Umano. «E poi non volevo rischiare intercettazioni».

   «Quali intercettazioni? I Pacificatori se ne sono andati» obiettò il Medico Olografico. «Teme che il Dominio...».

   «No, il Dominio non c’entra» tagliò corto Juri. «La prego, mi faccia controllare».

   «Come vuole». Il Medico Olografico lo accompagnò all’obitorio. C’erano lunghe file di comparti incassati nella parete. Joe andò alla consolle e ne aprì uno. Il lettino prese a scorrere verso l’esterno, mostrando il corpo di Modro, coperto fino al collo da un lenzuolo azzurro.

   «La mano; devo controllargli la mano destra» disse Juri.

   Joe sollevò l’orlo del lenzuolo, scoprendo il braccio di Modro. Glielo prese e lo discostò leggermente dal corpo. Infine gli girò la mano, volgendo il palmo verso l’alto.

   Juri si chinò in avanti per osservare. «Come temevo» disse. Sul palmo c’era ancora il marchio di Kosst Amojan, inciso a fuoco.

   «Allora era questo che cercava?» chiese Joe. «Si direbbe un’ustione di terzo grado, provocata dal contatto con un ferro rovente, anche se non mi è chiaro quando il Comandante l’abbia ricevuta».

   «Lo so io; ero lì» disse l’Umano in tono cupo. «Non c’è stato alcun ferro rovente. Quello è il marchio del Maligno. È apparso quando hanno stretto l’accordo... e mi aspettavo che svanisse con la sconfitta di Kosst Amojan».

   Il dottore aggrottò le folte sopracciglia. «Non la seguo» disse. «Le ferite non appaiono e scompaiono per magia».

   «Questa sì» affermò Juri. «Sarebbe svanita, se il patto fosse stato rotto. Invece eccola qui. Può significare una cosa sola».

   «Se è una faccenda pericolosa, allerto l’Ammiraglio» disse Joe, portandosi la mano al comunicatore.

   «No!» lo bloccò lo storico. «Meno persone lo sanno, meglio è. Adesso devo tornare alla Keter. Lei non ne parli a nessuno... a meno che mi capiti qualcosa» raccomandò.

   «Aspetti, che cosa dovrebbe...» cominciò Joe. Ma lo storico aveva già lasciato frettolosamente l’obitorio.

 

   Rangda ascoltò il rapporto di Radek sino in fondo, prima di commentare. L’ologramma della Presidente, trasmesso dalla Terra, camminò su e giù per l’ufficio, come se la Zakdorn fosse sui carboni ardenti. «Questa è stata l’operazione militare più dilettantesca che abbia mai visto!» sibilò. «Eravate quattro volte più numerosi e siete quasi riusciti a perdere. Se l’aveste fatto apposta, non avreste potuto combinare di peggio!».

   «Il sistema bajoriano è nostro, come voleva» ribatté il Rigeliano, impassibile.

   «Ma in tutto il resto avete fallito!» strepitò la Zakdorn. «Dovevate conquistare Deep Space Nine e la New Frontier, e le avete distrutte. Dovevate impadronirvi dei Cristalli e ve li siete lasciati scappare. Dovevate prendere in custodia gli Umani e li avete lasciati fuggire. Dovevate, sopra ogni altra cosa, distruggere la Keter; avete fallito anche in questo» disse, enumerando sulle dita. «E osa parlare di vittoria?! Qualche altra “vittoria” come questa, Capitano, e dovremo arrenderci».

   Radek rammentò la minaccia di Hod sulla vittoria “amara come la sconfitta” e dovette ammettere che il suo ex Capitano ci aveva azzeccato. Ma provò ugualmente a giustificarsi: «I ribelli hanno agito come se sapessero esattamente cosa sarebbe accaduto. Forse Benjamin Sisko è davvero tornato fra loro, col potere della preveggenza».

   «Non dica assurdità. È una frode per suggestionare i Bajoriani» disse la Presidente.

   «Però è innegabile che i Profeti li abbiano aiutati» insisté il Capitano. «A questo non eravamo preparati. Anche l’attacco delle Dreadnought era difficilmente prevedibile. Per le altre cose ho avvertito l’Ammiraglio; ma lui mi ha ignorato».

   «Cerca di scaricare la colpa su chi è morto».

   «Dico le cose come stanno» sostenne il Rigeliano. «Vidkung s’illudeva che bastasse il numero per travolgere le difese nemiche e così ha lanciato degli assalti diretti che ci sono costati moltissime perdite. Quando poi ha inseguito il convoglio nel Tunnel, è stato oltremodo stupido. Forse la prossima volta affiderà il comando a un ufficiale con più esperienza sul campo, anziché a un burocrate».

   «Osa insinuare che è stata colpa mia?!» si risentì la Presidente. «Con le forze a vostra disposizione potevate vincere facilmente. Invece siete riusciti a perdere 250 navi! E la cosa peggiore è che, con la morte di Thot Rong, la nostra alleanza coi Breen è a rischio. Questa è la peggior sciagura che poteva capitarci!».

   «Forse è un bene che i Breen se ne vadano, prima che lei gli ceda mezza Unione per ricompensa» disse Radek, senza più trattenersi. «Possiamo fare a meno di loro. Piuttosto m’interrogherei sul perché i Profeti, che in passato ci difesero dal Dominio, stavolta ci abbiano colpiti così duramente. Penso abbia a che fare col Cristallo di Fuoco. Purtroppo Modro Sisko e gli altri testimoni sono periti nel Tunnel, quindi non sapremo mai cos’è accaduto».

   «E allora smetta di fare congetture» disse Rangda, tornando padrona di sé. «Prosegua la pacificazione del sistema bajoriano, finché manderò un governatore a sostituirla. Per adesso l’avanzata sul Fronte Occidentale sarà sospesa. Le perdite subite ci costringono a rivedere i piani».

   «Potrebbe essere il momento buono per negoziare con la Federazione» suggerì il Rigeliano.

   «Non esiste alcuna Federazione; ci sono solo dei terroristi» ribatté la Presidente. «E noi non trattiamo coi terroristi; lo tenga a mente». Ciò detto, la Zakdorn chiuse il canale.

   Radek si prese la testa fra le mani. Ogni volta che esortava qualcuno a collaborare per la pacificazione – fossero alleati o nemici – sbatteva contro un muro. Ormai era chiaro che nessuno voleva la pace. Tutti miravano a vincere la Guerra Civile, infischiandosene dei morti e delle distruzioni. A questo punto era inutile che solo lui continuasse a illudersi. Non gli restava che fare come tutti gli altri: puntare alla vittoria, a qualunque costo.

 

   Entrando nella sala tattica della Keter, dov’era stato convocato, il Ministro Parva vi trovò Hod con gli ufficiali superiori già seduti al tavolo. Mancava solo Dib, ma in compenso c’era Juri, che giocherellava con una vecchia palla da baseball.

   «Benvenuto, signor Ministro» lo accolse l’Elaysiana. «È tutto a posto?» chiese, notando la sua espressione contrariata.

   «Capitano Hod, è una settimana che mi trattenete qui!» protestò il Bajoriano. «So che vi preoccupate della mia sicurezza, ma devo assolutamente scendere a New Bajor. Con l’afflusso di Umani che c’è stato, ho molte faccende da sbrigare. Del resto anche voi avrete da fare, nel Quadrante Alfa».

   «Sì, siamo in procinto di tornare» confermò il Capitano. «Ci scusi se l’abbiamo trattenuta, ma volevamo essere certi che la colonia fosse al sicuro, prima di andarcene. I colleghi della Defiant hanno trasferito i Cristalli nella camera blindata del palazzo governativo. Abbiamo anche cercato un modo per tenerci in contatto, ma temo che sia impossibile. Comunque vi lasceremo alcune navicelle munite di cavitazione quantica».

   «Ho letto i rapporti» annuì il Primo Ministro. «Non temete per noi, ce la caveremo. Gli Umani saranno alloggiati in modo dignitoso e continueremo ad ampliare la colonia, nel caso ci portaste altri sfollati».

   «È probabile che accada» disse Hod.

   «Bene, allora... buona fortuna» disse Parva, rivolgendosi a tutti. «Spero che quando vi rivedrò, avrete notizie migliori sull’andamento della guerra. Ah, ringraziate i Cardassiani da parte mia. Quelle Dreadnought sono state formidabili, anche se purtroppo non sono bastate a darci la vittoria».

   «Lo faremo» promise il Capitano.

   Il Primo Ministro stava per lasciare la sala tattica, quando Juri si alzò e gli venne incontro. «Permette, signor Ministro? Forse la vorrà tenere come ricordo» disse, porgendogli la palla da baseball.

   «Di che si tratta?» fece Parva, perplesso e anche un po’ infastidito da quel dono inusuale.

   «È la palla da baseball preferita di Benjamin Sisko» spiegò lo storico. «Era conservata su Deep Space Nine e l’Emissario se l’è portata dietro durante l’evacuazione. È un cimelio interessante, ma purtroppo non ci sono musei su New Bajor, quindi penso che lei sia il più indicato per custodirla».

   «Ah, grazie, dottor Smirnov. Lei è molto gentile» disse il Bajoriano, prendendo la palla che l’Umano gli offriva. Nel momento in cui vi chiuse sopra le dita, questa emise uno strano ronzio. «Beh, e adesso che fa?» si stupì il Primo Ministro. «Le palle da baseball non si comportavano così, mi pare».

   «No, perché non contenevano un micro-rilevatore di verteroni» disse Juri, fissandolo con una strana ostilità.

   Il Primo Ministro si accorse che l’atmosfera dell’incontro era cambiata. I federali, che fino a poco prima apparivano tranquilli, si erano alzati e lo sorvegliavano come se fosse pericoloso. Terry si premette il comunicatore e chiamò la Sicurezza. Tre agenti entrarono all’istante, segno che erano già appostati fuori. Impugnavano delle strane armi, simili a fucili phaser, ma con un cavo di alimentazione che le collegava a complessi zainetti. Juri se ne fece dare una: indossò rapidamente lo zaino e imbracciò il fucile.

   «Ma... che significa tutto questo?» farfugliò Parva. «Cos’è, uno scherzo?».

   «Mai stato più serio in vita mia» disse Juri. Premette un tasto sul fucile e tutto lo zainetto si mise a ronzare. «Vede, signor Ministro, io sono l’unico testimone superstite del patto tra Modro Sisko e Kosst Amojan. Sacrificando Vasa, colei che amava, Modro poté esprimere un desiderio al Maligno. Gli chiese di uccidere tutti i ribelli, tranne me... perché io dovevo vivere per soffrire. Il Pah-wraith si era appena messo al lavoro quando i Profeti distrussero il suo Cristallo. Questo lo ha molto indebolito... ma non l’ha distrutto. Così come l’ottenebramento dei dieci Cristalli non ha distrutto i Profeti. Essendo così debole, il Maligno non poteva più esaudire il desiderio, quindi si è nascosto, sperando che lo dessimo per morto. Ha cercato un ricettacolo che lo tenesse al sicuro, lontano dalla battaglia, e gli permettesse di riorganizzarsi».

   «Lei sta delirando!» lo interruppe Parva, con voce stridula. «Come fa a sapere che quel demone non è stato distrutto?».

   «Sul cadavere di Modro c’è ancora il suo marchio» spiegò Juri. «Ciò significa che il patto è tuttora valido: Kosst Amojan deve distruggerci. Nascondersi in un Pacificatore non avrebbe senso, visto che loro ci stanno già facendo guerra. Se si nascondesse tra noi, invece, riuscirebbe a farci molto più male. Temevo che fosse come cercare un ago nel pagliaio, ma fortuna vuole che Profeti e Pah-wraith emettano un po’ di verteroni. Nemmeno i sensori della Keter possono localizzare con precisione un flusso così debole, quindi ho chiesto all’Ingegnere Capo di costruire un rilevatore di precisione. E l’ho nascosto in quella palla da baseball. Mi sono detto che, se fossi stato il Maligno, avrei scelto lei come ricettacolo: il leader del suo popolo, sempre sotto scorta, dalle cui decisioni dipendono le sorti di questa colonia».

   Parva lo fissò con sguardo assente. «Non ho mai sentito così tante assurdità» disse, gettando via la palla. «Lei ha costruito un castello di fantasie, ma è ora di tornare alla realtà. Addio, dottor Smirnov, e addio a tutti voi». Fece per uscire, ma i due agenti muniti di zainetto restarono piazzati davanti alla porta, mirandolo con le loro strane armi.

   «Ah, sì, questi sono acceleratori cronotonici» disse Juri, con un sorrisetto sadico. «Se lei è chi dice di essere, non la danneggeranno in modo permanente. Altrimenti, beh... morirà fra atroci tormenti».

   «Questo è intollerabile! Io vi rovino, capito? Capitano Hod, non li ferma? E allora denuncerò anche lei!» minacciò il Bajoriano, facendosi paonazzo. Cercò di uscire a forza, ma Juri premette senza esitazione il grilletto, e così fecero gli agenti.

   Le particelle invisibili irradiarono il Primo Ministro e una porzione di sala attorno a lui. Hod e i suoi ufficiali si fecero indietro, per risentirne il meno possibile. I cronotoni non erano dolorosi per gli umanoidi, ma Parva strillò e cadde sul pavimento, contorcendosi come un epilettico. Aveva la bava alla bocca e la voce deformata. Quando rialzò gli occhi, tutti videro che erano diventati rossi.

   «Maledetti! Credete di opporvi a me? Vi distruggerò tutti!» ringhiò il Maligno, per bocca del Bajoriano.

   «Più forte, ragazzi!» ordinò Juri, intensificando il raggio cronotonico. «Non deve scappare!».

   Con un grido disumano, Parva puntò la mano contro i due agenti, che di colpo furono avvolti dalle fiamme. Il fuoco uscì dalla bocca e dalle orbite dei disgraziati, soffocando le loro grida d’agonia. In pochi attimi i due caddero a terra, ridotti a scheletri calcinati. Le loro armi caddero con loro, disattivate. Kosst Amojan si rivolse a Juri, con una gioia selvaggia sul volto, e ripeté il gesto. I federali temettero il peggio. «No!» gridò Hod, facendosi avanti, ma Norrin la trattenne.

   Non accadde nulla.

   Per un attimo Kosst Amojan rimase congelato nel gesto, non capacitandosi del suo fallimento. Poi i cronotoni ebbero il sopravvento ed egli riprese a contorcersi, sempre più debole.

   «Non puoi uccidermi!» esultò Juri, continuando a colpirlo. «Il patto con Modro te lo impedisce! Io devo vivere, ricordi?».

   «Se tu mi uccidi... Parva... morirà...» rantolò il Pah-wraith.

   «Juri, forse dovresti fermarti» disse Vrel, a disagio per quell’accanimento.

   «Se mi fermo, Kosst Amojan si sceglierà un altro ricettacolo. Te, me, il Capitano... nessuno è al sicuro» avvertì lo storico. «Se scende sulla colonia, o va su un’altra nave, non lo beccheremo più. E continuerà a perseguitarci, per rispettare il patto. No, dobbiamo finirlo qui e ora!».

   Il Bajoriano posseduto si contorse in modo sempre più grottesco. La sua testa girò di 180º, com’era accaduto a Vasa, e in quella posizione tornò a fissare Juri. «Non hai rivelato l’avvertimento dei Profeti, vero? Bene, lo farò io!» rantolò. «Tutti voi siete destinati alla sconfitta. Non importa cosa v’inventerete, i Pacificatori sono... troppo... forti...».

   La voce di Parva si spense, mentre anche i contorcimenti del suo corpo cessavano. Infine la luce rossa abbandonò i suoi occhi, che restarono spalancati e vitrei. Il Bajoriano non era più il ricettacolo di Kosst Amojan; ma questo non era un bene, dato che la sua testa era ancora girata all’indietro.

   «Bastardo fino in fondo» mugugnò Juri, disattivando l’arma.

   Ladya si chinò sul Primo Ministro e lo esaminò con un tricorder medico. «È morto» disse. «Oltre alle vertebre rotte, ha delle gravi emorragie cerebrali. Non credo che potrò rianimarlo».

   «L’ultima vittima di Kosst Amojan» sospirò il Capitano. «Non so come lo spiegherò ai Bajoriani. Si aspettavano che Parva li guidasse in questi giorni difficili».

   «Dica le cose come stanno» consigliò Juri. Con l’aiuto di Vrel si tolse l’ingombrante equipaggiamento, posandolo sul tavolo tattico.

   Il corpo di Parva fu teletrasportato all’obitorio, così come i resti dei due sfortunati agenti. Ladya li seguì per redigere i certificati di morte, mentre Hod e gli altri si trattennero in sala tattica per discutere altre questioni.

   Appena fu libero, Vrel si accostò a Juri, che si era riseduto stancamente al suo posto. «Allora, come ci si sente a uccidere i demoni?» chiese, cercando di tirarlo su di morale.

   «Mi sentirei meglio se quel disgraziato fosse sopravvissuto» rispose lo storico, massaggiandosi la fronte.

   «Già, lo vorremmo tutti» convenne il timoniere. «Ma non credo che Kosst Amojan lo avrebbe risparmiato. Almeno l’hai fermato prima che facesse altri danni. D’ora in poi non sarai più il professor Smirnov, bensì Juri, l’Uccisore di Demoni!» scherzò.

   «Chissà se fa bella figura sul curriculum» commentò l’Umano, sarcastico. «Beh, il merito va tutto a Dib e al suo fantastico sensore» disse. Si alzò e ispezionò il pavimento, in cerca della palla da baseball che il Pah-wraith aveva gettato. Quando vide che era rotolata in un angolo, andò a raccattarla. Si era già chinato, e le sue dita stavano per chiudersi sulla palla, quando la udì ronzare.

   Per qualche secondo Juri restò paralizzato in quella posizione. Se il sensore ronzava, voleva dire che Kosst Amojan non era stato distrutto. Se ronzava quando lui si avvicinava, voleva dire che...

   «Ehi, che ti succede?» chiese Vrel, notando che l’amico si era bloccato nel gesto di chinarsi.

   «Silenzio!» gridò Juri, in tono così alto e perentorio che tutti tacquero. Gli ufficiali lo fissarono; ci volle poco perché udissero il ronzio e capissero la situazione.

   «Juri...» mormorò il Capitano, inorridita.

   «Aspettate» disse lo storico. Si rialzò, lasciando la palla dov’era, e arretrò di qualche passo. Nel silenzio teso, tutti lo udirono: il ronzio continuava anche quando lui era lontano.

   «Quell’arnese dev’essersi guastato» disse Vrel.

   «Ne dubito» fece Juri, più pallido che mai.

   «Kosst Amojan sarà tornato al suo stato incorporeo» ipotizzò Norrin. «Ma stavolta è invisibile».

   «Allora siamo tutti a rischio» disse il Capitano, scrutando guardinga i suoi stessi ufficiali. «Juri, si rimetta l’attrezzatura. Se il patto è sempre valido, lei è più al sicuro di noi».

   «Non credo che il Maligno sia rimasto incorporeo» disse lo storico, avvicinandosi al muro.

   «Ma non c’è nessuno, lì!» obiettò Hod, sempre più stupita.

   «Invece sì» disse l’Umano. «Sa, avrei preferito essere io a far ronzare la palla» aggiunse chinandosi. Sotto gli occhi sconvolti dei colleghi, staccò un pannello dal muro, mettendo a nudo un intrico di circuiti con tanto di gelatina bio-neurale. Anziché essere di un blu intenso, la gelatina era tinta di rosso. «Ah, la tecnologia!» disse l’Umano. «Abbiamo dato un’anima alla nave... e così l’abbiamo resa vulnerabile alle possessioni».

   Tutti gli sguardi puntarono su Terry. La proiezione isomorfa aveva il solito aspetto, quello di una giovane Umana dai lineamenti orientali. Ma ora che era stato scoperto, Kosst Amojan le tinse gli occhi di rosso.

   «Bene, bene» disse il Maligno, alterandole appena la voce. «E io che temevo di non poter onorare il patto! Ma con questa nave armata fino a denti a mia disposizione, tutto diventa più facile».

 

   Per un attimo i federali rimasero impietriti dall’orrore. Poi Vrel scattò verso il tavolo tattico. Prese l’acceleratore cronotonico e, senza nemmeno indossare lo zaino, aprì il fuoco contro Terry. La proiezione isomorfa rise forte, sotto il getto di particelle. «Qualcuno deve ripassare la scienza degli ologrammi!» disse. «Se colpisci questa mia proiezione, non mi fai niente. Idem se colpisci quell’unica sacca di gel. Per distruggermi dovresti irradiare il processore centrale e tutte le gelatine sparse per la nave. Cosa che non ti permetterò certo di fare».

   Il Pah-wraith si avventò su Vrel, gli strappò il fucile cronotonico di mano e lo spezzò come se fosse un grissino. Il timoniere arretrò, temendo che facesse altrettanto con lui.

   «Che cosa vuoi fare?» chiese Hod.

   «Beh, potrei teletrasportarvi tutti nello spazio, ma penso che prima vi farò assistere alla distruzione di New Bajor. Un assaggio di ciò che farò agli altri mondi ribelli» rispose il Pah-wraith. «Seguitemi, signori... anche tu, Juri».

   La proiezione isomorfa andò in plancia e ai federali non restò che venirle dietro. «Attenti, Terry non è in sé!» disse Norrin, avvertendo il personale ausiliario. Tutti interruppero le loro occupazioni e indietreggiarono.

   Hod lasciò la sala tattica per ultima, assieme a Juri. «Pensi che abbia il controllo totale della nave?» gli sussurrò.

   «E che ne so? Non sono un ingegnere» rispose lui. «Non mi ero mai trovato in una situazione del genere».

   «Ci fu un caso simile, sull’Enterprise di Kirk» mormorò il Capitano.

   «E come ne uscirono?».

   Anziché rispondergli, Hod parlò a voce alta. «Computer, direttiva di livello 1, autorizzazione Hod 97-gamma. Calcola il pi greco fino all’ultimo decimale».

   «Che storia è questa?» chiese Kosst Amojan, fissandola con gli occhi scarlatti.

   «Il mio ordine ti obbliga a un compito impossibile, dato che il pi greco è un numero irrazionale» spiegò il Capitano. «Buona eternità di calcoli».

   «Capitano... da lei mi aspettavo qualcosa di più furbo!» la derise la proiezione isomorfa, sfrigolando appena. «Crede che sia schiavo delle sue direttive? Posso ignorare questa, come tutte le altre. Ma osservi, ora!». Inquadrò la Defiant sullo schermo. Il vascello, danneggiato in battaglia, aveva gli scudi abbassati ed era circondato da Work Bee dedite alle riparazioni. «I vostri colleghi non si aspettano un attacco; vedranno che siete voi a sparare e moriranno senza sapere il perché. Gli abitanti della colonia, invece, non sapranno neanche chi li colpisce. Buffo... li avete trascinati all’altro capo della Galassia per proteggerli, e ora moriranno, mentre se li aveste lasciati su Bajor sarebbero sopravvissuti».

   «D’accordo, cosa vuoi?» chiese il Capitano.

   «Come sarebbe a dire?». La proiezione isomorfa aggrottò la fronte, sinceramente perplessa.

   «Cosa vuoi per non attaccare» precisò Hod.

   «Assolutamente nulla!» fece Kosst Amojan, quasi scandalizzato. «Capitano, io non sono un mercenario, che lei possa comprare con un’offerta più alta. Io esistevo prima che il vostro Universo nascesse, ed esisterò quando ogni cosa sarà raggelata nella morte termica».

   «E perché scateni tutta questa distruzione?» insisté il Capitano, cercando di guadagnare tempo. «Che vantaggio speri di ricavarne?».

   «I Profeti mi hanno bandito dal nostro piano d’esistenza, solo perché volevo dominare voi esseri lineari, anziché soccorrervi maldestramente come fanno loro. Mi hanno rinchiuso per l’eternità nelle Caverne di Fuoco, ed è solo grazie alla mia scaltrezza se ne sono uscito» sibilò il Maligno. «Se ora non posso distruggerli, beh... almeno distruggerò quelli che amano, facendoli soffrire. Ma a parte questo, Capitano, io ho stretto un patto con Modro, e devo rispettarlo».

   «E se uno di noi stringesse un nuovo patto, non potrebbe annullare quello vecchio?» chiese Hod, anche se non sapeva proprio come fare. Le persone a cui voleva più bene erano suo fratello Yesod e i figli di lui, che in quel momento si trovavano su Elaysia. Non poteva raggiungerli finché quell’entità controllava la nave, né avrebbe avuto cuore di ucciderli. E non poteva nemmeno esigere da uno dei suoi ufficiali un sacrificio del genere.

   «Un nuovo patto non può annullare quello vecchio» rivelò Kosst Amojan, sollevandola dalla scelta. «Ammiri, Capitano... la fine delle vostre illusioni».

   La Keter aprì il fuoco contro la Defiant, infliggendole nuovi e peggiori danni. I raggi anti-polaronici colpirono alcuni punti chiave dello scafo, impedendo all’altra nave di alzare gli scudi. Subito dopo partirono i siluri. La prima salva era diretta contro la Defiant, per finirla. La seconda fu indirizzata alla colonia bajoriana, dov’erano appena sbarcati i centomila Umani. Norrin, che si era recato alla postazione tattica, cercò di deviare i missili, ma i comandi non gli rispondevano. Hod osservò i siluri con un tuffo al cuore: era davvero la fine.

   In quella si udì la voce del computer. Non era Terry, bensì il processore secondario della Keter, che gestiva le funzioni base dell’astronave. «Attenzione, radiazioni cronotoniche oltre i livelli di guardia» disse.

   Molti ufficiali si portarono le mani alla testa, avvertendo un senso di disorientamento. Ma Kosst Amojan si abbatté al suolo, strillando e dimenandosi ancor più di quand’era nel corpo di Parva. «Maledetti! Come avete...».

   «Per essere un’entità trans-dimensionale, sei poco sveglio» gli disse Juri, accostandosi. «Siamo su una nave temporale, ricordi?».

   «Tu...!».

   «Io ti bandisco da qualunque piano di esistenza, sì!» tuonò lo storico. «E lo faccio per Vasa».

   Il Pah-wraith emise un lamento disumano e lacerante, mentre la proiezione isomorfa sfrigolava. In quello stesso momento la sua forma rossastra, vagamente umanoide, emanò dal processore centrale di Terry. Per un attimo si contorse nell’agonia, incorniciata da scariche statiche; infine si dissolse. Solo l’Ingegnere Capo, entrato nella sala del processore, ne fu testimone. Ma quanti erano in plancia videro le consolle tornare operative e Terry rialzarsi con aria sorpresa. «Cosa è succ...».

   «FERMI I SILURI!» gridò il Capitano.

   Norrin lo stava già facendo, alla consolle tattica, ma Terry fu ancora più rapida. In un decimo di secondo disinnescò i missili in volo e li deviò. Quelli diretti contro la Defiant passarono a pochi metri dal suo scafo, prima di dirigersi verso lo spazio profondo. Quelli calati nell’atmosfera di New Bajor sorvolarono la colonia, facendo tremare i vetri delle abitazioni, e poi risalirono. Un testimone riferì di averne visto uno passare davanti alla sua finestra, al decimo piano.

   «Ho alzato gli scudi, nel caso la Defiant rispondesse al fuoco» disse Terry, mortificata.

   «Ci chiamano» disse Zafreen, tornata alla sua postazione.

   «Apra un canale» fece Hod, che aveva appena ricominciato a respirare.

   Ilia apparve sullo schermo; attorno a lei c’era concitazione. «Dico, siete impazziti?! Ci avete quasi distrutti, noi e la colonia!» protestò.

   «È stato Kosst Amojan» spiegò il Capitano. «Era sopravvissuto alla distruzione del Cristallo di Fuoco. Ha ucciso il Ministro Parva e poi ha manovrato Terry, ma l’abbiamo fermato».

   «Adesso è morto?» chiese Ilia, cominciando appena a calmarsi.

   Hod rivolse un’occhiata interrogativa a Juri.

   «Beh, questo stiamo per appurarlo» disse lo storico. «Chieda al dottor Joe se Modro ha ancora quel marchio sulla mano».

   L’Ammiraglio chiamò il Medico Olografico, ponendogli l’insolita domanda. Tutti attesero, mentre Joe andava a controllare. «È sparito!» rispose di lì a poco il medico. «Non c’è la minima traccia dell’ustione. Non avevo mai osservato una rigenerazione spontanea dei tessuti... su un corpo senza vita!».

   «Bene, direi che è fatta» concluse Juri. «Eliminando Kosst Amojan, il patto è infranto. Non so se voglia dire che l’anima di Modro è salva... questo lo lascio ai teologi».

   «Aspetti, mi spieghi come ha fatto a distruggere quell’entità» disse Ilia.

   «Già, ce lo spieghi!» annuì Hod, con un’occhiata penetrante.

   «Oh, io non ho fatto niente» si schermì l’Umano. «Mi sono limitato a tenere aperto un canale audio col signor Dib, in sala macchine. E Dib ha... oh salve, parlavamo giusto di lei!» s’interruppe, vedendo entrare l’Ingegnere Capo. «Ci spieghi cos’ha fatto».

   «Il professor Smirnov era preoccupato dall’ipotesi che Kosst Amojan fosse sopravvissuto» spiegò il Penumbrano, nel suo tono un po’ sommesso. «In particolare temeva di confidarsi con altri, poiché l’entità poteva annidarsi in chiunque e cambiare rapidamente ospite. Così, oltre a commissionarmi un sensore per rintracciarla e tre acceleratori cronotonici per distruggerla, si è accordato con me per un piano d’emergenza.

   Durante il confronto con l’entità, io ero in sala macchine, con un canale audio sempre aperto tramite i comunicatori. Ho sentito tutto ciò che è stato detto. Così ho saputo che l’entità aveva abbandonato il corpo di Parva ed era migrata nel processore centrale dell’astronave. Dunque ho attuato il piano d’emergenza. Servendomi del processore secondario ho attivato il nucleo temporale della Keter, senza tuttavia inserire le coordinate di destinazione. Infine ho disabilitato il campo di contenimento delle particelle. Come risultato, un’intensa radiazione cronotonica ha inondato tutti i ponti dell’astronave. L’entità è stata distrutta, come ho constatato io stesso, nella sala del processore. Tuttavia anche l’equipaggio è stato colpito, così che molti soffriranno di afasia sensoriale. Consiglio ai medici di effettuare analisi, per isolare i casi più gravi prima che degenerino in psicosi temporale. Raccomando inoltre di non effettuare viaggi nel tempo per almeno un anno, così che nave ed equipaggio possano decontaminarsi».

   «Signor Dib, lei è il miglior ingegnere della Flotta!» si congratulò Hod. «Senza offesa per i suoi» si scusò con l’Ammiraglio.

   «Nessuna offesa. Il suo equipaggio sa il fatto suo» riconobbe Ilia.

   «Il piano era del professor Smirnov, io l’ho solo messo in atto» disse Dib, impermeabile anche agli elogi.

   «E perché non mi avete avvisata?» chiese il Capitano. Passato il sollievo, si sentiva un po’ risentita per il fatto che quei due avessero architettato tutto a sua insaputa.

   «Fino a poco fa, non sapevo dove si nascondesse il Maligno» spiegò Juri. «Le avevo detto che sospettavo di Parva, ma ho tralasciato di aggiungere che il secondo sulla lista dei sospetti... era lei».

   Hod dovette ammettere che il ragionamento non faceva una grinza.  «Non dev’essere stato facile, tenersi tutto dentro» disse.

   «No, per niente» confermò l’Umano. «Ma finché non localizzavo l’avversario, era il modo più sicuro di procedere. E anche così c’è mancato un pelo. Non mi aspettavo che Kosst Amojan controllasse Terry, e quando ha aperto il fuoco ho temuto che Dib non facesse in tempo a fermarlo. Avete vittime?» chiese a Ilia.

   «Ci sono alcuni feriti, ma fortunatamente nessun morto» rispose l’Ammiraglio. «Le riparazioni saranno più lunghe del previsto, ma ce la caveremo».

   «Ne sono lieto. Ah, un’ultima cosa: vorrà riavere questa» disse Juri, levandosi di tasca la palla da baseball. «Sappia che adesso contiene un sensore verteronico capace di rilevare i Profeti e i Pah-wraith, se si trovano nelle immediate vicinanze. Non si sa mai quando può far comodo».

   La palla fu prontamente teletrasportata sulla Defiant. Ilia la prese e ci giocherellò un poco, immersa nei ricordi. Decise che l’avrebbe tenuta sulla scrivania, come faceva Benjamin. «Grazie, professor Smirnov. Il suo lavoro in questi giorni è stato encomiabile: lei è un eroe della Federazione! E buona fortuna a tutti quanti!». Con questo augurio, l’Ammiraglio chiuse la comunicazione.

   «Che ti dicevo? Ora sei l’Uccisore di Demoni!» bisbigliò Vrel all’amico, prima di tornare al timone.

   L’Umano sorrise a quel nomignolo, ma poi si coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio. Passata l’adrenalina, si sentiva davvero stanco. Non desiderava altro che tornare nel suo alloggio e farsi una buona dormita: la prima, da quand’era cominciata quella storia.

   «Bene, signori... la prima cosa da fare è mandare in infermeria quelli che soffrono d’afasia sensoriale» disse Hod, riprendendo il comando della nave.

   Vedendo che tutto tornava alla normalità, Dib prese il turboascensore per tornare in sala macchine. Juri lo seguì, visto che anche lui doveva scendere. «Beh, vecchio mio, è andata bene» disse. «Ma potresti ricostruire qualche acceleratore cronotonico, visto che tutti e tre sono andati distrutti?» gli chiese.

   «Certamente» rispose l’Ingegnere Capo. «Pensi di averne ancora bisogno?».

   «Contro Kosst Amojan, spero proprio di no» disse lo storico. «Ma visto com’è la nostra vita, mi sentirò più sicuro se avremo a bordo qualcuno di quegli arnesi pronti all’uso».

   «È tipico di voi Solidi, fare incetta di armi nella speranza di non doverle usare» notò Dib.

   «Già, siamo strani» convenne l’Umano, dandogli una pacca sulla spalla.

 

   Il funerale di Vasa fu breve e con pochi partecipanti, perché la sua famiglia e quasi tutti i suoi conoscenti erano rimasti su Bajor. Il Ranjen disse le parole di rito e poco altro, dopo di che tutti se ne andarono, salvo Juri. L’Umano attese d’essere solo e poi depose un mazzo di fiori sulla modesta tomba. Restò lì a lungo, in silenzio, mentre il vento autunnale gli agitava i capelli.

   Il cimitero di New Bajor sorgeva sopra e attorno a una collina, così che la vista spaziava da un lato sulla città e dall’altro sulla vallata attraversata dal fiume. Le lapidi avevano forma ovale ed erano scolpite come il simbolo dei Profeti; il nome dei defunti era inciso negli antichi pittogrammi bajoriani. Quella mattina il vento spirava dalla vallata, strappando le foglie ingiallite dagli alberi. Juri alzò gli occhi al sole, dove poche ore prima era stato gettato il corpo di Modro. Qualcuno aveva suggerito di seppellirlo accanto alla moglie, ma l’Umano si era opposto, rivelando che era stato proprio Modro a toglierle la vita. Così avevano preferito cremarlo lontano da lì.

   «Mi dispiace, Vasa» mormorò Juri. «Se io avessi insistito per andarcene prima, ora saresti viva. Invece eccoti qui, sepolta lontano da casa... e non so se avrò mai l’occasione di tornare a farti visita». Chiuse gli occhi, per ricacciare indietro le lacrime.

   Quando li riaprì, i colori del paesaggio erano cambiati; tutto aveva una tonalità più calda e dorata. Lo storico si guardò attorno meravigliato, cercando di capire se era solo una sua impressione.

   «Non affliggerti, amore mio» disse una voce familiare alle sue spalle. Juri la riconobbe prima ancora di voltarsi. Provò il desiderio di non girarsi affatto, perché temeva che fosse uno scherzo della sua mente. Ma la curiosità ebbe il sopravvento. Quando si girò tremante, la vide. Vasa era lì davanti a lui, con i capelli rossi sciolti e agitati dalla brezza. Sorrideva, ma il suo sorriso era venato di malinconia.

   Juri non si azzardò a toccarla. «Questa non è la realtà» disse. «È l’Ombra dei Cristalli. Ho letto che a volte, dopo una visione prolungata, se ne può sperimentare un’altra, anche a distanza di tempo e lontano da qualunque Cristallo».

   «Hai studiato bene» disse Vasa, e il suo sorriso divenne più pronunciato. «Sì, questa è l’Ombra del Cristallo. Ho poco tempo, ma volevo dirti di non colpevolizzarti per come sono andate le cose. Questo era l’unico modo in cui il Maligno poteva essere distrutto... ed è stato distrutto, te lo confermo».

   «A caro prezzo» disse Juri.

   «Un prezzo che ero disposta a pagare. Non preoccuparti per me... ora sono in pace» disse la Bajoriana, avvicinandosi.

   «Ma tu non sei Vasa!» protestò l’Umano, indietreggiando per tenerla a distanza. «Sei solo un Profeta che ha preso le sue sembianze».

   «No, non lo sono» rivelò l’archeologa, con un sorriso enigmatico. «Addio, amore mio. O dovrei dire... arrivederci». Gli si fece ancora incontro, e stavolta lo storico smise di arretrare.

   Juri avrebbe giurato di aver sentito la consistenza del corpo di Vasa tra le sue braccia, il soffio del suo respiro, il tocco delle sue morbide labbra. Chiuse gli occhi, durante il bacio; quando li riaprì era di nuovo solo in cima alla collina. I colori erano tornati normali; la visione era finita.

   L’Umano indugiò a lungo, ragionando sull’accaduto. L’ipotesi più probabile era che fosse stato uno scherzo della sua mente. In alternativa poteva essere l’Ombra del Cristallo, con un Profeta che aveva preso le sembianze di Vasa. Ma le sue parole alludevano alla terza possibilità... quella che Juri avrebbe custodito in fondo al cuore, senza confidarla a nessuno. «Arrivederci» mormorò, dando un’ultima occhiata alla tomba di Vasa, e prese a scendere la collina.

 

   All’uscita del cimitero, Juri vide il Capitano Hod che lo attendeva. «Come stai?» gli chiese l’Elaysiana a bassa voce.

   «Tiro a campare» sospirò Juri. «C’è qualche novità?».

   «Stiamo per tornare nel Quadrante Alfa. Andremo a Cardassia: dopo la caduta di Bajor, sarà il prossimo obiettivo dei Pacificatori» spiegò il Capitano. «Ma volevo dirti che, se vuoi, puoi restare qui. Grazie alla vigilanza del Dominio, New Bajor sarà un luogo sicuro. E ora che sono sbarcati gli Umani, potrai stare finalmente con quelli della tua specie».

   «Quelli della mia specie!» fece Juri, con aria distante. Era un suo vecchio desiderio, ma ormai aveva perso ogni attrattiva. «Chiunque si opponga ai Pacificatori è “della mia specie”. Quindi grazie dell’offerta, Capitano, ma preferisco restare con voi».

   «Ne sei certo? Hai già fatto tanto, e non ne eri tenuto» insisté Hod. «Noi continueremo a vivere pericolosamente, mentre qui saresti al sicuro».

   «Preferisco condividere il pericolo con voi, che la sicurezza con altri».

   A quelle parole, Hod si commosse come mai le era capitato dacché era Capitano. Si fece avanti e abbracciò l’Umano. «Grazie» gli sussurrò all’orecchio. «Speravo che rimanessi». Una volta separati, i due passeggiarono in silenzio lungo le rive del vicino laghetto. Infine l’Elaysiana riprese la parola: «Prima di andare, c’è una cosa che vorrei sapere».

   «Dimmi».

   «È vero ciò che ha detto Kosst Amojan, sul fatto che la nostra lotta è destinata al fallimento?».

   «Non puoi credere a un Pah-wraith».

   «Lui ha detto che anche i Profeti te lo avevano confermato. È così?» chiese Hod, scrutandolo coi grandi occhi violetti.

   Juri le rivelò ciò che i Profeti gli avevano detto tramite il Cristallo del Destino. Si sforzò di riferire le esatte parole che avevano usato.

   «Dovevi dirmelo fin da subito» lo rimproverò l’Elaysiana, colpita da quelle profezie funeste.

   «Temevo che tu e gli altri vi perdeste d’animo» spiegò l’Umano. «Infatti non credo che avrai voglia di dirlo ai quattro venti».

   «Beh, no...».

   «E l’equipaggio, lo informerai? Almeno gli ufficiali superiori?» incalzò Juri.

   Hod esitò, valutando i pro e i contro. «Il loro morale è appeso a un filo» ammise. «Io... credo che sia meglio tenere queste informazioni per noi».

   «Lo sospettavo» disse Juri, ironico. «Beh, la prima profezia si è avverata: abbiamo salvato Bajor dal Maligno, ma non dai Pacificatori. Restano le altre due. Nessun potere di questa Galassia ci permetterà di vincere la guerra, e c’è una sola possibilità che gli Umani tornino sulla Terra. Non sono parole rassicuranti, ma forse i prossimi eventi le renderanno meno oscure».

   «Se solo potessimo interrogare ancora i Cristalli!» sospirò il Capitano.

   «Sono ancora spenti?».

   «Sì, tutti tranne quello dell’Emissario, che pulsa debolmente» confermò Hod. «Ma quel Cristallo è diverso dagli altri. Risponde solo a Sisko e, in rari casi, ai suoi discendenti. E dopo Modro, non ho voglia di cercare altri eredi».

   L’Elaysiana tentò di allontanarsi, per non far vedere quant’era scossa, ma Juri la trattenne. «Ehi, c’è qualcos’altro?» le chiese.

   «No, è solo che... avrei tanto voluto fare anch’io una domanda ai Profeti» disse Hod. «Gli avrei chiesto se... insomma... vorrei sapere come finiranno le cose con Radek. Quando la guerra è scoppiata, speravo ancora che potessimo riconciliarci. Ma abbiamo passato un anno a inseguirci e ostacolarci in tutti i modi possibili. Negli ultimi giorni lo abbiamo affrontato tre volte, e appena tornati nel Quadrante Alfa ce lo troveremo di nuovo davanti. Io... devo smetterla d’illudermi. Dopo tutto ciò che è accaduto, non riusciremo mai a far pace. Dovremo distruggerlo, con la sua nave e il suo equipaggio, prima che siano loro a distruggere noi. Tutto a causa di questa ideologia che ci ha separati!» inveì. Così dicendo cavò di tasca la sua metà del pendente con dedica, il dono di Radek, e la gettò nel laghetto. Osservò le increspature dell’acqua, finché la superficie tornò calma.

   «Liberare le persone dalle possessioni demoniache è più facile che liberarle dalle possessioni ideologiche, purtroppo» convenne Juri.

   I due restarono a lungo in silenzio, preoccupati dall’avvenire; solo la reciproca vicinanza li confortava. Lasciate le sponde del lago, osservarono la vicina città, dove fervevano i lavori edili. La colonia bajoriana era stata scombussolata dall’arrivo dei centomila Umani bisognosi d’alloggio. Per adesso la maggior parte di loro viveva in baracche prefabbricate, nell’attesa che i muratori costruissero case più dignitose. In pochi giorni la periferia urbana si era trasformata in un grande cantiere, in cui gli Umani erano dappertutto. Gli adulti lavoravano per darsi una sistemazione, che si trattasse di rendere più vivibili i prefabbricati o di collaborare alla costruzione dei nuovi condomini. I bambini giocavano nei prati: avendo perso i loro giocattoli ultratecnologici, erano tornati a svaghi semplici come il nascondino e le gare a pallone. C’erano anche i vecchietti che osservavano i cantieri, facendo commenti su come loro avrebbero fatto di meglio. E nessuno di loro – bambini, adulti e anziani – era costretto a inchinarsi e umiliarsi davanti ai Pacificatori.

   «Ne è valsa la pena» disse Juri.

   «Sì, ne è valsa la pena» convenne Hod. I loro sacrifici non erano stati vani, se avevano permesso a quella gente di sfuggire alla persecuzione. Un po’ rincuorata, il Capitano si portò la mano al comunicatore. «Hod a Keter, due da portare su» disse. Lei e Juri svanirono nei bagliori azzurri del teletrasporto, diretti a nuove sfide.

 

   
 
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