Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: time_wings    17/10/2020    1 recensioni
Uno il mondo lo vive al buio, abbagliato da sensazioni assopite, l'altro cerca colori dove non può trovarne. Scontrandosi, danno vita ad armonie di stoffa.
Dal secondo capitolo:
Poi una nota, una sola, si diffuse come trasportata da un’eco in tutta la sala e oleosa si sciolse tra i respiri avidi di chi attendeva.
Silenzio, pensò Eren, abbagliato da quell’unico riflettore brillante, com’era buio, il silenzio.
Una melodia semplice, quasi infantile si fece largo nella sala. Piccola, minuta, a bassa voce impose piano la sua presenza.
Poi, sorprendentemente, il pianista sembrò poggiare con distrazione un dito su un tasto delle ottave più basse. Come tirata a filo, la melodia infantile crebbe di volume, di intensità e di velocità, fondendosi con la triste voce baritonale che aveva preso a cantare partendo da quella sola nota che sembrava sbagliata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Se un grido sporcasse una tela

 



Le dita volavano inarrestabili, sospinte da un vento che non sembrava volerne sapere di placarsi, un’inquietudine che teneva gelosamente nascosta sotto le ciglia, assopita nei sospiri delle mattine piovose e del freddo pungente che lo colpiva superando gli strati difensivi di cappotti e maglioni.
Ecco, solo in quel caso lasciava che quest’inquietudine lo avvolgesse, che lo divorasse, che si esprimesse con il volteggiare frenetico delle dita che battevano con precisione ogni tasto, producendo note stridenti, spezzate e bellissime.
Riempivano l’aria, caricandola di una tensione antica e inaccessibile, un segreto musicale esplosivo, che intendeva trascinare a sé tutto l’ossigeno e portarlo a soffocare. Combattevano la monotonia, il nero, il bianco e il grigio.
I ciuffi corvini gli ricadevano sulla fronte imperlata di sudore di tanto in tanto, al ritmo della sua personalissima melodia, in un ultimo ed estremo sforzo verso una meta che rincorreva ogni volta e che sembrava perdersi sul riverbero dell’ultima nota.
Silenzio.
Com’era buio, il silenzio.

 

***

 
“Oh, no, sei ancora qui.” La donna sbuffò, aprendo uno spiraglio della porta dello studio e alzando gli occhi al cielo alla vista del nuovo arrivato.
“Sì, ecco, buongiorno, sono qui per…” Hanji gli rifilò un’occhiataccia.
“So perché sei qui, Eren,” tagliò corto, facendo per richiudere la porta, ma Eren la bloccò con un piede.
“Dammi quarantacinque secondi e ti convincerò.”
“Eren…”
Il ragazzo le mostrò il cartone che teneva nella mano destra e che fino a quel momento aveva nascosto dietro la schiena. “Ho portato il caffè,” tentò, chiudendo un occhio come se si fosse aspettato uno schiaffo.
Tuttavia Hanji si limitò a sbuffare. “Entra,” gli concesse a malincuore, dirigendosi verso la sedia della sua scrivania.
“Grazie.” Eren raccolse il pacco da terra e superò la soglia. “Allora…” iniziò, seduto con l’oggetto incartato in grembo e un entusiasmo incontenibile nella voce.
Hanji lo studiò da dietro le lenti doppie con dispiacere.
“Questo è un progetto nuovo. Mi sono ispirato ai colori dell’autunno. Ho cercato di metterci dentro la nostalgia, la malinconia, sai…” Eren si bloccò, fissando lo sguardo in quello di Hanji, “aspetta, te lo mostro.”
“Non ti aspettare troppo, lo sai che non posso convincere i clienti.”
“Lo so, lo so, ma questa volta è diverso.”
Eren scartò il pacco che teneva sulle gambe e mostrò l’opera all’amica. Gli occhi verdi che sbucavano grandi di speranza dal lato sinistro del quadro. Hanji lo studiò per qualche istante, mentre Eren restava col fiato sospeso.
“Che te ne pare?”
“Ci puoi lavorare,” si limitò a rispondere lei e vide la luce spegnersi nei suoi occhi.
“È un no, vero?”
Hanji sospirò. “Manca lo stupore, quello scatto, non so come fartelo capire. Quella scintilla che stai cercando di far uscire con la forza e che dovrebbe al contrario ispirarti. Non c’è dolore, Eren.”
Il ragazzo si strinse nelle spalle, la frustrazione che saettava nelle iridi chiare e la delusione che spegneva il suo entusiasmo.
“La pennellata è anonima, ma…”
“Non fa niente, forse aveva ragione mio padre, io non…”
“Ma sei bravo, dico sul serio.” 
Eren alzò uno sguardo titubante su Hanji. Apprezzava che cercasse di aiutarlo, ma non poteva migliorare i suoi quadri. Il fallimento rischiava di trafiggerlo fino a fargli sputare la vita fuori dai polmoni.
“Ti serve una svolta.” Eren la guardò confuso e una scintilla della vecchia e caratteristica follia illuminò lo sguardo di Hanji, “qualcosa che ti sconvolga, che ti cambi. Non devi chiuderti in casa a dipingere, sperando che un capolavoro ti balzi in testa. Devi vivere qualcosa di irripetibile e sentire la necessità di riportarlo su una tela.”
Eren inarcò un sopracciglio, “la necessità di riportarlo su una tela?”
Hanji annuì. “La grande ispirazione è là fuori,” disse, indicando la porta del suo studio.
“Mi stai cacciando?”
Lei alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. “Ti sto invitando a non piangerti addosso, ragazzo.”
Eren la guardò perplesso per un attimo, poi la consapevolezza delle sue parole lo illuminò come un raggio di sole che squarcia le nubi, imponendo la sua bizzarra presenza. “Ma certo! La grande ispirazione!”
“Esatto. E non la troverai certo qui.”
“Mi stai cacciando, vero?”
“Sì,” replicò solenne Hanji, come se la cosa non potesse ferirlo un po’.
“E va bene. Me ne vado.” Eren si alzò, recuperando il quadro e dirigendosi verso la porta.
“Grazie per il caffè! Ti aspetto la prossima volta con un capolavoro,” lo congedò la donna, portando il bicchiere di cartone alle labbra e salutandolo con una mano.
“Non ti deluderò,” replicò lui, con una nuova determinazione nello sguardo.
Mentre si richiudeva la porta alle spalle, però, non riuscì a non notare il leggero tono sconsolato nello sguardo di Hanji, che credeva di non poter esser vista. Eren incassò la testa nelle spalle e si diresse amareggiato all’ascensore.
Come diavolo avrebbe fatto? Era facile parlare di magia quando non la si doveva evocare.
Era facile parlare di successi quando non ci si ritrovava chiusi in una stanza in penombra ad ascoltare il vento rombare tra gli alberi fuori la finestra, cercando in tutti i modi di farne uscire un capolavoro.
In silenzio.
Com’era buio, il silenzio.

 

***

 
Levi alzò gli occhi al cielo, seguendo la luce del lampione pressare col suo alito opprimente sui tetti della città. Si strinse nel cappotto ed espirò pesantemente, poi si incamminò lungo la strada che portava dal locale a casa sua e sospirò, lasciando che il freddo che aveva scacciato poco prima, in un urlo disperato e febbrile del pianoforte, lo avvolgesse nuovamente, in un abbraccio soffocante e abitudinario.
Era tutto così grigio.
Abbassò infine gli occhi e, prima che potesse muovere anche solo un passo, qualcuno finì contro di lui.
“Scusa,” sussurrò quello che doveva essere un ragazzo, dalla voce affannata per la corsa, “non ti ho visto.”
Levi si voltò verso di lui, confuso e percepì gli occhi del suo interlocutore posarsi su di lui.
Il fiato gli si spezzò in gola inspiegabilmente e la testa prese a pulsare.
Un fruscio, e lo sconosciuto era sparito.
Azzurro.

 

***

 
Un tanfo di legno ammuffito e di sudore gli invase le narici, non appena aprì la porta del locale. Pareva che la puzza fosse in procinto di scardinarla e farla esplodere, tanto che era densa nell’aria.
Si diresse a passo spedito verso uno degli sgabelli liberi del bancone e vi si accomodò poggiando i gomiti sul banco di legno, passandosi distrattamente una mano nei capelli.
Un barista alto e con un taglio di capelli discutibile gli si avvicinò con un sorriso. “Che ti porto?”
“Whiskey,” esalò Eren, senza alzare la testa e continuando a fissare le venature sottili del legno correre sul bancone.
“Giornata difficile?” domandò il barista, dopo qualche minuto d’attesa, tornando con l’ordinazione di Eren.
Il giovane alzò per la prima volta lo sguardo su di lui. “Sì,” confessò con un cipiglio diffidente, “diciamo di sì.”
“Hai un aspetto terribile,” commentò, senza la minima traccia di ironia nella voce, era solo una fredda constatazione a dirla tutta un po’ antipatica. Eren gli rivolse un’occhiata offesa e a tratti nervosa. “Piacere, Jean,” continuò il ragazzo, ignorando bellamente la reazione del cliente e porgendogli una mano.
“Eren,” si presentò lui, accettando la stretta con diffidenza. “Perché se ne vanno tutti?” domandò, poi, dopo essersi guardato attorno.
Effettivamente, ad uno ad uno, tutti i clienti del bar stavano lasciando i tavoli vuoti. Non era poi così tardi per chiudere e, più le persone andavano via, più Eren si chiedeva cosa diavolo volesse significare.
“Non lo sai?” domandò il barman, un luccichio ironico nello sguardo lasciava intendere un principio di sfottò.
Eren fu costretto a dargli soddisfazione e a scuotere la testa in dissenso, con suo sommo rammarico.
Jean fece schioccare la lingua, fingendo delusione. “Qui vengono tutti ad ascoltare il pianista. Pare sia formidabile. Io non me ne intendo, ma vanno tutti pazzi per lui,” spiegò, indicando, con un cenno del capo, un pianoforte su un palchetto al buio. Eren si voltò a guardare. L’aria pareva ancora vibrare di tensione, le corde sembravano in ascolto e notò con una certa sorpresa che tutto, in quel locale, pareva essere rimasto in sospeso, in attesa della prossima nota.
Tornò con lo sguardo su Jean, aggrottando la fronte.
“Dovresti tornare domani. Potrebbe sorprenderti.”
Eren poggiò stanco una banconota sul legno e si alzò con disinteresse dallo sgabello, rialzando velocemente la zip del pesante cappotto invernale. “Sì, magari torno,” promise, lasciando intendere che non ne aveva affatto intenzione. Quel barista non gli stava simpatico.
“Dico davvero. Te lo sei perso per poco, è uscito un minuto prima che entrassi tu.”
Eren borbottò qualcosa in risposta, mentre si dirigeva a passo spedito verso l’uscita. Jean inarcò un sopracciglio confuso e prese ad asciugare il bancone con un panno che poteva avere intorno ai cinquant’anni d’età. “Non puoi saperlo,” gli urlò dietro poi. Una mano di Eren si era già stretta con disinteresse attorno al pomello della porta, “potrebbero bastare quarantacinque secondi a convincerti.”
Per la seconda volta in mezz’ora, il mondo sembrò sospendersi su uno strato di vibrante armonia, come un filo teso a dividerlo dal nero. Lo sguardo gli si posò inavvertitamente sul pianoforte che riposava inerme sul palchetto spento, poi mosse un passo e si voltò in direzione del barista. “Che cosa hai detto?”
“Cosa? Che potresti convincerti?” Jean sorrise strafottente, ma Eren non sembrava badarci più.
“Buona serata, a domani,” lo salutò poi e non riuscì a far altro che abbassare il capo e varcare di nuovo la soglia di quel locale anonimo.

 

***

 
Levi sospirò annoiato, decisamente annoiato, alzando la cornetta del telefono e rispondendo con quello che pareva più un verso minaccioso che un vero saluto. “Che c’è?”
“Potresti almeno mostrarti felice di vedermi.”
“Ah-ah, davvero divertente,” commentò Levi. Il suo tono era gelido. Chiunque avrebbe avuto paura di rischiare di morire da un momento all’altro, ma non lei.
“Com’è andata stasera?”
“Come al solito,” rispose vago lui. Era esausto e, anche al massimo delle sue forze, parlare di se stesso era una cosa che proprio non gli andava giù.
“È sempre un piacere parlare con te.”
“Allora non chiamarmi,” ribatté e la donna rise forte dall’altra parte del telefono, ancora una volta per nulla toccata dalle maniere del suo amico.
“Lo so che in realtà ti fa piacere. Non mi freghi.”
“Come credi. Abbiamo finito?”
“Altri quarantacinque secondi. I soliti.” Levi alzò gli occhi al cielo. “E va bene. Come vuoi.”
“Tanto lo so che t’interessa,” la donna non sentì altro che silenzio e sorrise consapevole dall’altra parte del telefono. Era la forma di assenso più potente che Levi potesse concederle e spesso anche l’unica, col suo caratteraccio.
Annuì comprensiva, alzando appena gli occhiali sul ponte del naso, come a raccogliere i ricordi e riorganizzarli.
“C’è un ragazzo che non è male, ma non riesce a sbocciare. È quasi scarico, le sue non sono altro che fiammelle, ma c’è qualcosa, sai…”
“Come fai a saperlo?” domandò Levi, la curiosità ben nascosta sotto un tono disinteressato, ma lei sorrise soddisfatta.
“Sesto senso,” si limitò a dire, con una scrollata di spalle, “secondo me potresti dargli una mano.”
Una risata amara percorse la gola di Levi, suonando per nulla ironica, solo profondamente rassegnata. “Io?”
“Sono paesaggi, volti anonimi, hanno un sottofondo di dolore troppo fievole per essere apprezzato, ma si può notare.”
Levi sospirò: l’aveva ignorato di nuovo. Parlare con lei era così frustrante, per più di un motivo. Per più di cento motivi, a dirla tutta. Eppure non poteva farne a meno. Maledetta.
“Grigio, nero, marrone, bianco sporco, nulla di che. Manca una variabile impazzita, una follia. Gli manca il rischio. Oh!” la donna si interruppe e Levi sgranò gli occhi, confuso. 
“Cosa? Che…”
“Tempo scaduto!”
Levi sospirò ancora annoiato, decisamente annoiato.
“Che c’è? Mi concedi altri quarantacinque secondi del tuo preziosissimo tempo?”
“Sei una vipera, Hanji.”
Ma glieli concesse, perché aveva bisogno dei suoi occhi.

 

***

 
Eren rincasò quando la luna era ormai già alta in cielo. Aveva avuto bisogno di quella che chiamava una boccata d’aria, ma che in pratica non era altro che una passeggiata sulla costa di torrenti e ruscelli, di quelli che si attraversavano grazie a bei ponti ad arco di un folle e profondissimo rosso, immersi nel verde di piccoli parchi cittadini.
L’aria era frizzante, fredda a tratti e gli aveva gelato la punta del naso. Le guance fresche di sera presero colore non appena varcò la soglia di casa, dove il solito tepore lo avvolse rassicurante.
Appese distrattamente il cappotto all’appendiabiti e si diresse come in trance al centro del salotto, dove una grande tela bianca risplendeva sotto la luce della luna. La osservò con interesse, come se avesse avuto in mano la sua pelle, la sua carne, il suo cuore e il suo futuro; la studiò come una nemica, come una tigre un attimo prima di sbranare la sua preda.
Intinse un pennello nell’acrilico e si fermò a un centimetro dalla stoffa spessa, come a saggiare con timore quel momento che precede una rottura dalla quotidianità di chi non ha ancora conosciuto il suo prossimo ostacolo.
Inspirò, l’aria che passava tra i denti come se avesse avuto paura a entrare, infine espirò tremante e, nello stesso tempo, le setole scure sporcarono la tela. Il polso tremò, lasciando una macchia irregolare al centro del bianco immacolato.
Dieci minuti dopo un solo colore dominava uniformemente l’intera tela. Un solo colore eppure Eren si allontanò e fissò il quadro come se fosse stato la più soddisfacente delle sue opere.
Un solo colore gli fece pensare che avesse finalmente e assolutamente incontrato quell’unica cosa che aveva rincorso invano per anni: l’ispirazione. Quel solo colore gliela mostrò finalmente, facendogli capire che non l’aveva mai incontrata davvero, che l’aveva sempre inseguita con troppo affanno perché la potesse veramente vedere.
Un solo colore, eppure Eren gli sorrise, perché ci aveva visto un inizio, una soglia, una possibilità.
Azzurro.








 


Note: Buonasera, questa è la fiera della follia, non so cosa ci faccio qui. Non ci conosciamo, ma saltiamo le presentazioni. Questa storia è la mia croce (che bel modo di farsi conoscere). Sono andata a controllare perché non volevo dire falsità e questo capitolo riposa nel mio computer da undici mesi, cioè da quando ero più o meno in questo fandom e invece il mio primo contributo arriva adesso (e non poteva non arrivare? Mi chiederete. E avete ragione). Allora, partiamo dal presupposto che questa storia è una XXX!AU dove 'XXX' sta per una cosa che non si può dire perché è spoiler e poi ho scoperto dopo un po' che è anche una Coffeeshop!AU. Non so come sia possibile, non me lo spiego neanche io. Ammetto che a un certo punto ho voluto prendere e cestinare perchè mi era passato un po' il momento ereri, ma questa idea mi ispira tanto e ormai ci vedo loro e non so tornare indietro. E in ogni caso sono super legata a questa storia perché mi mette in difficoltà su un mio enorme punto debole per quanto riguarda la scrittura e quindi è un buon modo di costringermi a starci attenta. Quindi eccola, stasera mi è venuto lo schizzo e ho detto "OOOOH, ideona, mo la pubblico" e quindi sì, benvenuti!
Questo per dire che ho un altro capitolo e mezzo da parte, quindi comunque andranno le cose uscirà presto il secondo. Poi vi giuro che ora la smettono di dire sempre quarantacinque, era una specie di introduzione, perché quarantacinque si capirà poi, datemi tempo, è il primo capitolo.
Se la domanda è "sì, ma quanti capitoli saranno?"
Non lo so ragazzi, io sono una tipa organizzata in genere con le storie, ma questa è la sagra della disorganizzazione, non lo so quanti capitoli saranno, forse 5, forse 45, poi vediamo.
Spero che la storia sia stata più convincente delle mie note, a presto e grazie mille per aver letto! <3

El.

 

 
   
 
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