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Autore: MauraLCohen    19/10/2020    1 recensioni
[Raccolta di flashfic]
Sandy e Kirsten a Berkeley.
Momenti importanti della loro storia, della loro quotidianità, prima di Newport.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La seguente fanfiction partecipa al Fall Color Event del gruppo Facebook di We are out for prompt. 
Il prompt è di Glass Heart, a cui spero piaccia il fill.
Parole
: 1479.
PromptKirsten/Sandy, Sono giovani e frequentano ancora l'università. Un giorno, Sandy si presenta davanti a lei, la prende per mano e inizia a correre.
"Sandy! Dove stiamo andando? Nevica."
"Fuggiamo come una coppia sposata."
"Ma noi non siamo sposati."
"Non ancora ma vedilo come un allenamento.”

 


Note dell'autrice:
Questo capitolo (e qualche altro che posterò nei prossimi giorni) verrà inserito all'inizio di questa raccolta, perché è cronologicamente antecedente a quelli già pubblicati. Altra piccola nota: so che la descrizione della scena in classe è più in linea con un liceo, ma concedetemi questa licenza poetica.

 


 
Come una coppia sposata 
 

Lui e Kirsten uscivano insieme solo da qualche mese e avevano deciso di andare con calma, di dare ad ogni cosa il giusto tempo; fu soprattutto di Sandy, quella decisione, perché sapeva quale fosse la reputazione che aleggiava attorno al suo nome dopo la rottura con Rebecca e non voleva che Kirsten credesse che la loro storia fosse un’avventura o che lei fosse solo un’altra futile conquista con cui passare una notte e basta.
Era innamorato di lei, di ogni sua più piccola mania e  di quel naso a bottoncino che si arrossava ai primi accenni di freddo. 

“A Newport non ci sono queste temperature. Lì non piove neanche” si giustificava ogni volta che lui la prendeva in giro per come si imbacuccava appena iniziava a soffiare un po’ di vento. 

Aveva completamente perso la testa per quella ragazza e sentiva dentro che non era solo una cosa temporanea: non aveva mai provato niente di simile con nessun’altra, neanche con Rebecca. Kirsten lo aveva cambiato, con quel suo modo di fare innocente, con quelle fossette che le impreziosivano il viso; aveva dato un senso a tutto il male che Sandy aveva vissuto e aveva cancellato dal suo cuore tutta quella rabbia che aveva covato dentro per tutta la vita.
Lo aveva migliorato, lei che, a bassa voce, sotto le coperte, gli confessava di aver paura di poterlo corrompere col proprio passato, col cognome che portava. 

“Non me lo perdonerei mai” gli diceva, mentre giocava con le loro dita intrecciate per cercare di ricacciare dentro le lacrime. Allora lui la stringeva a sé, pressando la sua schiena contro il proprio petto, e iniziava a baciarle il collo mentre continuava a ripeterle che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. 

“Tu sei la persona migliore che io conosca, la più buona, la più intelligente. Non c’è una sola cellula di cattiveria dentro di te.” Poi iniziava a ridacchiare contro il suo orecchio per farle il solletico. “Sei solo un po’ spocchiosetta” le diceva, e lei scoppiava a ridere, con quella risata contagiosa, spontanea, di cui Sandy non era mai stanco. Si sarebbe reso ridicolo per il resto della sua vita, se questo fosse servito a non farla mai smettere di ridere in quel mondo. 
Però, accadeva che smettesse. I suoi occhi non brillavano più come piccoli diamanti, quelle labbra sottili e appena rosate rimanevano impassibili ad ogni battuta o complimento, e lei sembrava spenta, svanita. 

Succedeva sempre quando arrivavano telefonate da Newport; ogni volta che lei parlava con il padre, poi affrontava giorni di inferno, in cui nulla riusciva a tirarla su di morale. Sandy, ormai, aveva capito l’antifona: Caleb Nichol rivoleva sua figlia a casa, ma lei non aveva alcuna intenzione di tornare. 

“Questa storia deve finire, vuoi studiare? Puoi farlo alla USC.” Kirsten le aveva raccontato la sua ultima telefonata col padre, ripetendogli esattamente quelle parole. Le stesse che ormai Caleb le ripeteva da mesi, ignaro - o forse no - del male che così le faceva. 

“Io non voglio tornare a casa. Non voglio studiare alla USC. Qui ho la mia vita, i miei amici, ho te. Possibile che mio padre non lo capisca? Conta così poco per lui che io sia felice?” 

Kirsten gli si buttava tra le braccia, piangendo come una bambina indifesa, e a volte Sandy aveva paura che avrebbe potuto romperla, se solo l’avesse stretta un po’ di più. In quei momenti, aveva paura anche lui. Si ritrovava spiazzato e con le spalle al muro: avrebbe smosso mari e monti per renderla felice, per far sì che nulla le togliesse quel meraviglioso sorriso che aveva, ma quando la vedeva così, capiva di non poterla sempre proteggere da tutto e quel senso di impotenza lo umiliava, come se non fosse all’altezza di stare con lei e tenerla al sicuro. 
E quella mattina, era uno di quei momenti. Kirsten stava a lezione, mentre lui aveva deciso di andarsene: tanto non riusciva a seguire quello che il professore di diritto privato stava spiegando; aveva in testa l’espressione atterrita con cui Kirsten aveva lasciato la camera all’alba, dopo aver passato la notte a piangere tra le sue braccia perché Caleb le aveva intimato che presto avrebbe fatto in modo che lei tornasse a Newport. 

Vagava per il campus senza meta, cercando di trovare un modo per alleviare il suo dolore, per farla sorridere di nuovo, ma tutto sembrava o troppo banale o inutile. In fondo, chi meglio di lui poteva capire cosa si provasse a sapere che per il proprio padre non conti niente? 
Sentì i primi fiocchi di neve posarsi tra i suoi capelli corvini, inumidendogli le punte. 

“Perfetto!” pensò, “Ci mancava solo questo.”

La neve era un altro bel fardello con cui fare i conti: significava niente surf, niente uscite con Paul e gli altri, ma soprattutto era un ulteriore ridimensionamento dei suoi piani per Kirsten. 
Arrivò davanti alla facoltà di Arte e corse sotto la tettoia per ripararsi, sbirciò dentro dalle vetrate del portone, per cercare di capire se fosse fattibile imbucarsi. E lo era, fortunatamente, così lo fece. Varcò la soglia e si fiondò nel corridoio principale, passando in rassegna, aula dopo aula, tutte le porte che incontrava. Cercava quella che nascondeva Kirsten, meditando, intanto, come farla uscire di lì e, soprattutto, cosa fare una volta che sarebbero stati insieme. 

Le avrebbe fatto dimenticare tutto il resto, questo era certo. 

Come un matto, iniziò a gesticolare alla rinfusa per cercare di attirare la sua attenzione dalla piccola finestrella che stava sulla porta, ma non funzionò. Così, senza pensarci due volte, e già sghignazzando, entrò in aula con disinvoltura, interrompendo la lezione. Tutti si voltarono verso di lui e poi verso Kirsten, che intanto si stava già nascondendo il viso tra le mani. 

« Scusi, signor Miller! Non volevo interromperla, ma mi manda la segreteria. La signorina Nichol è richiesta. » 

L’ometto baffuto, la cui pancia a stento stava nello spazio tra la sedia e la cattedra, rivolse lo sguardo al ragazzetto che stava al lato, sulla porta, e lo osservava in attesa di una risposta. Si sistemò gli occhiali rotondi sul naso, consapevole del fatto che gli fosse appena stata raccontata una balla. 

“Va bene!” disse, comunque. “Signorina Nichol, può andare!” L’uomo ricordava bene come fosse avere vent’anni, essere alle prese con i primi amori; conosceva Sandy Cohen, spesso lo incrociava sui gradini della facoltà che attendeva paziente la sua ragazza. 

“Una strana accoppiata, questi due” pensò, mentre osservava la sua studentessa raccogliere libri e quaderni per avvicinarsi alla sua scorta. 

« Arrivederci, professore » disse lei, educata, rivolgendogli un sorriso garbato e rispettoso. 

« Buona giornata, signorina! Anche a lei, giovanotto. » 

Con un cenno del capo, Sandy si congedò dal professore e dalla classe, aprendo la porta a Kirsten per farla passare.
Nessuno dei due proferì parola finché non superarono l’aula, arrivando all’ingresso. 

« Tu sei tutto matto! » ridacchiò lei, portandogli le braccia al collo per sfiorargli le labbra con un bacio. 

« Lo so! Ma è colpa tua, mi mancavi troppo. Non potevo aspettare fino a pranzo per vederti. » La prese per i fianchi, attirandola a sé ancora di più, per esortarla ad approfondire quel bacio. 

« Ruffiano » lo incalzò lei, trascinandolo fuori dalla facoltà, ma continuando a tenere i loro visi vicini con l’ausilio della mano che gli premeva sulla nuca. « Dove vuoi andare? » domandò, convinta che quel bacio fosse una piccola anticipazione di ciò che Sandy voleva fare. 
Lui, invece, non aveva alcuna intenzione di richiudersi in casa, per quello avrebbero avuto tutta la notte. Aveva avuto un’idea geniale, mentre attendeva la risposta del professore e aveva tutta l’intenzione di metterla in atto. 
Così le prese la mano e si mise a correre sotto la neve, con lei dietro. 

« Sandy! Dove stiamo andando? Nevica! » protestò lei, cercando di stare al passo. 

Sandy sorrise, anche se Kirsten non poteva vederlo. 

« Fuggiamo come una coppia sposata » chiosò, mente la conduceva fuori dal campus.

« Ma noi non siamo sposati. »

« Non ancora, ma tu vedilo come un allenamento » ridacchiò, ma quelle ultime parole congelarono Kirsten sul posto, obbligando anche lui a fare lo stesso. Si voltò a guardarla e la vide con un sorriso indescrivibile stampato sul viso mentre i suoi occhi gli trasmettevano mille emozioni diverse, le stesse che stava provando lui. 

« Non ancora, eh? » fece da eco lei, avvicinandosi a Sandy, tremante. 

Lui fece spallucce, sorridendo sornione. « Beh, prima o poi dovrai acconsentire a sopportarmi per sempre. Meglio che inizi a rassegnarti. » E dicendolo, lasciò scivolare le mani sotto le sue natiche per issarla come se non pesasse niente, portandola abbastanza in alto da farla sembrare più alta di lui. 

« Ti amo da morire » le mormorò, mordendole il labbro inferiore. 

« Io di più » gli rispose lei, rispondendo al bacio con un ampio sorriso.

   
 
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