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"Togliersi la vita. Interessante
espressione: toglierla a
chi? Non è certo al morto che mancherà. La nostra
morte è qualcosa che capita a
chi resta. ~Sherlock~. La vecchia casa a Pall Mall era
immersa nella penombra. Era quasi l'imbrunire, Mycroft Holmes era
seduto
davanti al camino spento, l'unica luce era quella che filtrava dalle
finestre,
con le spesse tende di cotone damascato. Fissava un punto davanti a
lui senza
in realtà vedere oltre. Il suo elegante portamento era solo
un ricordo. Il bel
completo blu appariva sgualcito, come avesse affrontato una lunga
battaglia.
Aveva tolto la giacca sistemandola sulla sedia, abbandonando la
cravatta sul
tavolo. La camicia bianca ormai sciupata era arrotolata fino ai gomiti. La sua casa antica aveva preso
l'odore stantio della mancanza di aria, del chiuso. Sembrava
rispecchiare la
sua attuale vita. Era sempre stato soddisfatto di
quella casa ereditata dallo zio Rudy, ma ora non sentiva più
nulla per quel
posto che aveva tanto amato. Lo trovò decadente. Si verso due dita di liquore che
gli bruciò in gola facendolo tossire. Appoggiò il
bicchiere e i gomiti sul
tavolo portando le mani bianche al volto. Erano passati sei mesi dai fatti
accaduti a Sherrinford, sei mesi di inferno per Mycroft che non era
riuscito a
superare il dramma della sorella, rivedeva continuamente le vittime di
Eurus.
Si sentiva colpevole, angosciato, pieno di rimorsi, per non averla
fermata
prima. Eppure sapeva la pericolosità di Eurus, ma era sempre
sua sorella e
aveva tergiversato. Forse il colpo più
grosso lo aveva
ricevuto dai genitori, quando gli aveva dovuto rivelare l'esistenza
della
sorella. Le parole sferzanti della madre lo avevano destabilizzato.
Quell'idiota, che Violet gli aveva gettato in faccia, lo aveva
ferito più
di tutti gli anni passati a mentire. Lì si era rotto
qualcosa, che non
era più riuscito ad aggiustare. Benché Sherlock
gli avesse dato il suo
appoggio, il vaso di pandora si era aperto e le emozioni lo avevano
pervaso, e incapace
di gestirle, aveva perso il controllo di sé stesso e aveva
ceduto. Il vecchio orologio
scandì le ore e
lo fece sussultare. Ebbe un moto di paura, come se i morti di
Sherrinford
fossero tutti lì presenti. All'inizio era riuscito a
mascherare bene il disagio che lo prendeva, ma più il tempo
passava, più
faticava a resistere. Si allontanò dai legami
familiari
che lo circondavano, rimase a lungo solo, si sforzò di
trovare scuse per non
andare al lavoro. Placò le domande di
Anthea
preoccupata, frequentò poco Baker Street, e si
isolò consapevolmente sempre di
più. Si finse preso da chissà quale progetto di
governo. E sparì lentamente
senza rumore. Il corpo e la sua mente
reclamavano silenzio, stilava classifiche e brutali analisi di
coscienza. Una
vita spesa inutilmente, lo pensò con atroce dolore. Si accorse che il sole lentamente
tramontava, ci sarebbe stata poca luce tra poco, ma non gli
importò molto. Sul tavolo di noce, dove era
seduto,
c’era un foglio bianco con la sua bella calligrafia impressa.
Una penna
stilografica che gli era stata regalata per Natale, e poco
più in là c'era inquietante,
il revolver del suo ombrello, con un colpo in canna. Mycroft lo guardò e
tremò, si
sentì irrimediabilmente perduto, incapace di reagire, come
se qualcuno lo
spingesse a fare quello che aveva deciso. Ma era lui stesso che lo
esigeva,
nessuno lo istigava a farlo. Voleva finirla quel giorno
Mycroft, voleva chiudere il suo viaggio. Era stanco. Si prese il volto
fra le
mani e rimase così per alcuni minuti. La vecchia casa sembrava
vegliarlo, piena di rumori minacciosi, lui pensò a tutti gli
sbagli fatti, alla
vita che avrebbe potuto avere, se non si fosse arroccato in quel suo
modo di
essere fuori dagli schemi, manipolatore, freddo e solo. Sostanzialmente
solo. Adesso che le emozioni lo
prendevano, lo divoravano dentro, la sua incapacità di
richiuderle ancora, di
affossarle come aveva sempre fatto, lo faceva soffrire in modo atroce. Ora provava la mancanza di affetti
stabili, di sentimenti umani, di calore, di un bacio dato con passione.
Ora
avvertiva gli stessi sentimenti dei suoi detestati lenti,
pesci rossi. Ma
lui era il peggiore della specie. Per anni la sua vita era stata
tutta rivolta a proteggere la sua famiglia, a scalare le classifiche di
tutti i
livelli dello stato che governava. Aveva il potere di fare tutto o
quasi. E
spesso non gli bastava. Ma alla fine la cosa che lo
addolorava di più era di non essere riuscito a ricucire il
rapporto con
Sherlock, che dall'adolescenza si era irrimediabilmente interrotto. Il
lavoro
che lo aveva portato via da casa e il piccolo fratello non glielo aveva
mai
perdonato. Si era sentito abbandonato, e aveva preso strade difficili. Così era cominciato quel
continuo
prendersi e lasciarsi, quelle frasi dolorose che col tempo Mycroft non
riuscì
più a reggere. Quel sentirsi in difetto per qualsiasi cosa
facesse il fratello
minore. Mycroft sentiva, costantemente,
ogni volta, che la colpa era sua. Ma le frasi sprezzanti,
l'allontanamento che Sherlock gli impose, l'essere a volte violento, lo
avevano
fatto chiudere in un atteggiamento sprezzante nei confronti di
Sherlock. Il
rapporto fraterno si era chiuso nei meandri di frasi svilenti e
offensive da
entrambe le parti. Non esisteva fra loro nessun gesto
affettuoso. Quegli abbracci che il piccolo Sherlock gli donava erano
spariti,
come non li avesse mai ricevuti, ne dati. Le emozioni lo presero ancora
più
forte, strinse con la mano tremante la camicia sopra al cuore, dovette
fermarsi
di pensare. Mycroft sollevò la
testa e
prese la stilografica per lasciare ancora due righe al fratello.
Scrisse quello
che aveva appena provato, si scusò per il dolore di chi
restava e non certo di
chi se ne andava. Fece una breve pausa, aveva la
gola secca, si versò dell'altro liquore, lo bevve in un
fiato. Si lasciò
sfuggire un debole sospiro. Chiese a Sherlock di perdonarlo
per il male che stava per fargli, di continuare senza di lui, ma con
vicino
John e la piccola Rosie. Lui non poteva
più
proteggerlo era troppo stanco. Il suo compito lo aveva svolto fino alla
fine. La vecchia casa sembrava
stringersi insieme a lui, riprese la stilografica e firmò il
foglio scritto con
tanto dolore. Vacillò mentre prendeva
il
revolver, respirò incerto, in affanno. Resettò la
mente, portò la canna sulla
tempia. E chiuse gli occhi. Nello stesso, preciso istante, il
cellulare vibrò. Era lì sul tavolo, insistente,
che non smetteva di riportarlo
indietro. Mycroft sussultò, prima
incerto, poi incuriosito guardò quell'ultima chiamata.
Posò la pistola
trepidando. Sherlock. Dio! Si
ritrovò l'anima
in gola. Ansimò di dolore e rabbia, di interessata
apprensione che il suo amato
fratello, avesse ancora bisogno di lui. E rispose dandosi un contegno. "Sherlock, che cosa vuoi?
Sono impegnato." Mycroft cercò di essere
l'inespressivo, freddo fratello di sempre. "Ti cercano tutti,
fratellone, sei sparito? Sei a casa vero?" Sherlock sembrava incuriosito, ma
sentiva la voce di Mycroft incrinata, si avvicinò di
più alla casa di Pall
Mall. Perché Sherlock era
lì fuori, che
lo cercava con lo sguardo dalle finestre. Era da troppo tempo che non si
faceva sentire, anche Violet sua madre, chiedeva insistentemente di
lui. E
Sherlock aveva capito che Mycroft stava male. Lo sentiva nelle ossa, e
nel
cuore. "Dove devo essere Sherlock?
Sono a casa, sbrigo del lavoro e quindi dimmi cosa vuoi." Mycroft cercava di
recitare
bene la sua parte, ma era contento di sentire la sua voce. Dopo sarebbe
riuscito a chiudere i suoi conti con tutti, serenamente. Sherlock lo vide seduto al grande
tavolo, lo vide incurvato sulla sedia e tremò di paura. Il
revolver era
appoggiato sul tavolo. Non gli ci volle molto a capire. Lo intrattenne al cellulare, con
una scusa banale ed entrò piano in casa, lui lasciava sempre
aperto, sapeva
come entrare. "Sherlock per Dio!
Arriva al dunque! "Mycroft si stava irritando, trovava inutile
conversare
su delle cose futili. Sherlock era entrato senza far
rumore, gli fu rapidamente alle spalle. "Credo che prenderò in
prestito una cosa Mycroft. Questa!" Sherlock alle sue spalle
afferrò la rivoltella, mentre Mycroft si girò di
scatto e se lo trovò davanti.
Rimase immobile col cellulare in mano che quasi gli cadde. Mycroft impallidì e non
respirò
più. Sherlock credeva sarebbe svenuto, prese un bicchiere
d'acqua dalla cucina
e glielo porse costringendolo a bere. "Piano fratello, respira,
razza di idiota, cosa stavi per fare!" Mycroft tremava e non
riusciva a smettere, soprattutto per la vergogna di avere Sherlock,
lì davanti. Il fratello minore cercò
di
calmarlo, si sedette di fronte a lui, lo prese per le mani e le strinse
così
forte che Mycroft si lamentò. Era furioso e allo stesso
tempo sconvolto. Alzò
la voce quasi gridando. "Se avessi tardato pochi
minuti, avrei trovato il tuo amato cervello sparso sul tavolo. Cristo!
Cosa ti
è preso? Mycroft!" Sherlock implorava una
risposta sensata. "Mi volevi condannare a
ricordarti morto in questo modo, con il tuo sangue disseminato ovunque.
E per
quale misterioso motivo vuoi chiudere la tua vita fratello." "La mia vita è stata una
faccenda ignobilmente inutile, Sherlock!" Mycroft scattò in piedi
lasciando
la sua stretta. Gli occhi ridotti in due linee sottili, si morse
irrequieto le
labbra sanguinando. Portò le mani sulle tempie stringendole
tanto forte che
divennero bianche. "Inutile? Ma come sei giunto
a questo, per Dio? La tua vita inutile. Sei stato presente in ogni
attimo della
mia vita. Gesù, fratello, sei tu lo sconsiderato
adesso." Sherlock
rifletté per alcuni
secondi. "È stato per Eurus,
vero? Per
quello che lei ha fatto! E per mamma e papà! Per quello che
hai visto nei loro
occhi. Ma lo sai che era la scelta giusta da fare! Ti ho appoggiato." Sherlock si
rabbuiò in
volto. "Ma in parte è anche colpa mia, nel averti pensato
sempre
forte." Ora se ne rendeva conto con amarezza. Mycroft continuava a rimanere
muto, preso nel contorto giudizio di sé stesso. "Vestiti! Prendi il cappotto
usciamo da questa casa." Sherlock ebbe un moto di rabbia.
Si avvicinò a Mycroft che si lasciò guidare. Il
fratello minore lo aiutò a
mettere il Crombie nero e gli aggiustò la sciarpa. "Fa freddo fuori e tu
hai bisogno di schiarirti le idee. Semmai nei hai una che funzioni
lì
dentro." Mycroft continuava nel suo desolato silenzio. Presero la porta che dava sul
retro, che portava nella campagna e seguiva una mulattiera. Era
illuminata da
qualche fioco lampione, perché era giunto il buio. L'aria sferzò il viso
contratto di
Mycroft, che rabbrividì per il freddo. Si alzò il
bavero e ficcò le mani in
tasca. Non lo faceva mai per non rovinare i suoi costosi cappotti, ma
ora
niente aveva importanza. Un pensiero lo assalì.
Poteva già
essere morto da un'ora, sentì lo stomaco rivoltarsi, il
dolore salire fino a
farlo gemere dalla disperazione. Sherlock lo prese sotto braccio e
quasi lo forzò a camminare. "Non pensare a nulla fratello
mio, respira e seguimi. Forza." I due fratelli procedevano lenti,
senza parlare, nel buio della sera. Mycroft insicuro, incespicava
vicino a
Sherlock, si stringeva nel cappotto, abbattuto. Non poteva sorreggersi
con
il suo amato ombrello che Sherlock aveva requisito. Le mani strette in un pugno nelle
tasche. Sollevava la testa di tanto in tanto, guardando il fratello
minore. E
non riuscì più a trattenersi. Si fermò
improvvisamente. Mycroft sentì salirgli
una
sofferenza violenta che gli offuscò la vista. La sua mente
così unica cominciò
a vacillare, improvvisamente assente, era fisicamente distrutta. Si nascose il volto con
le
mani, smarrito. Sentiva le gambe cedere. E sarebbe crollato se non ci
fosse
stato suo fratello. Sherlock lo afferrò e lo
tenne
stretto, lo fece appoggiare al muretto. Poi lo abbracciò con
tutto l'amore che
poteva dimostragli. Myc affondò il volto sulla sua spalla e
soffocò la
disperazione, mentre diceva cose sconnesse, chiedendogli di perdonarlo. Sherlock avvertì tutta
l'angoscia
del fratello e rabbrividì. Non era più l'altero,
freddo
governo britannico, il Mycroft, scaltro e risoluto. Ora era solo suo
fratello
Myc, schiacciato dalla sofferenza e da un peso portato troppo a lungo.
Pieno di
dubbi e smarrito. Quando si calmò,
Sherlock lo fece
camminare ancora per qualche tratto, stemperando l'ansia che lo
avvolgeva. Gli
porse un bianco fazzoletto per asciugarsi il volto umido, Mycroft lo
afferrò
esitando, mormorando un timido. "Grazie" "Stasera vieni da noi a Baker
Street, prendi dei vestiti, starai con noi per qualche giorno.'" Mycroft non protestò,
sapeva che
era instabile e rimanere da solo poteva portarlo a riprovarci.
Guardò il
fratello e annuì senza parlare. Il bel viso di Sherlock si
addolcì. Aiutò il fratello maggiore ancora
stordito a prendere coraggio, mentre
il giovane Holmes realizzò quanto fosse andato vicino a
perderlo per sempre. La luna apparve e
illuminò il
volto teso di Mycroft, i suoi lineamenti una volta così
decisi ora erano appena
accennati. La stanchezza lo segnava. Eppure Sherlock vide una luce nei
suoi
occhi grigi, che lo rincuorò. Entrarono in casa, Sherlock prese
il foglio sul tavolo e lo diede al vecchio Holmes. "Se queste erano le tue
ultime parole Myc prendilo, mettilo via non voglio nemmeno vederlo."
Era
irritato e allo stesso tempo addolorato. Mycroft lo infilò dentro
la giacca
senza parlare. Ancora non riusciva a dire niente. Si limitò
a salire insieme a
lui in camera a prendere alcuni vestiti. Ma era mentalmente affaticato,
incapace di prendere qualsiasi decisione e Sherlock lo dovette aiutare. Gli mise un cambio dentro il
borsone, cercò di coinvolgerlo, ma Myc non reagiva. Sembrava lontano come la sorella.
Sherlock tremò, temendo che suo fratello andasse oltre, come
Eurus. Allora
perse la residua pazienza che gli era rimasta, e sferrò due
sonori ceffoni al
fratello. "Ora metti qualcosa in quella
borsa! Mycroft fa quello che ti dico!" Lui si scosse dolorante,
le
guance rosse, sembrò scuotersi, prese a connettere si
massaggiò il viso e
finalmente parlò. "Per Dio fratello, mi hai
fatto male. Hai delle mani pesanti." Sherlock fu contento di
risentire la sua voce. Quella che molte volte aveva giudicato
fastidiosa, ora
gli sembrò dolce. "Te ne darei mille se
servisse a farti ragionare." Sherlock gli sorrise finalmente
rasserenato. "Dio, fratello prima, mi
abbracci poi mi riempi di schiaffi. Ma devo dire che mi ha fatto bene." Mycroft increspò le
labbra e gli
restituì un debole sorriso. A Sherlock sembrò di
toccare il
cielo con un dito. Mai il volto sorridente di suo fratello gli era
stato così
caro. Salirono silenziosi nel taxi.
Sherlock portava il borsone del fratello, che gli pesava come una
intera vita.
Si sedettero vicini, Sherlock avvisò del suo arrivo con il
fratello al seguito. John fece poche domande sapeva che
quella scelta era stata dettata dalla necessità. Certo non
sospettava il
pesante perché. Mycroft guardava fuori dal
finestrino, si stringeva nel cappotto quasi avesse bisogno di
protezione. Aveva
portato con sé il laptop, residuo del suo potere,
già vuotato da rapporti
compromettenti. Non avrebbe lasciato nulla dietro di sé che
nuocesse alla sua
famiglia. Sherlock lo guardava ogni tanto,
non sapeva bene cosa fare con suo fratello. Non lo riconosceva
più, certo non era
il Mycroft di sempre. Era così immerso nel suo mutismo, da
farlo esasperare. Lo
scorse appoggiare la fronte sul vetro e lo chiamò. "Mycroft, girati per favore,
puoi guardarmi? A cosa stai pensando fratello." Lui scosse la testa, poi
finalmente disse qualcosa. "Nulla fratellino, non penso
a nulla, non sarà facile affrontare la compassione generale
che vorrete
affibbiarmi. Ma bada fratello che io non la voglio. Io avevo deciso
Sherlock,
lo capisci? Io ero sicuro della mia scelta." "Anche prima quando ti sei
lasciato andare, quando avevi capito l'errore che stavi per fare?"
Sherlock lo avrebbe picchiato per la sua testardaggine. "Guardami ora, dimmi
che non ti fa piacere vedermi e parlarmi. Ed essere vivo! Stupido!" Mycroft grugnì
sofferente. E
abbassò la testa. "Forse hai ragione
fratellino, ma a cosa mi condanni adesso? A fingere di stare bene? A
credere
che tutto tornerà come prima? A forzare un sorriso mentre
dentro mi piego alla
vostra volontà?" Mycroft si strinse il volto fra le mani.
"Dio!
Sherlock dimmi cosa devo fare perché io, non lo so! " Mycroft tornò a guardare
la strada
buia, mentre gli saliva prepotente la nausea. Sherlock, se ne accorse fece
fermare il taxi lo prese per le spalle e lo spinse fuori, appena in
tempo perché
Mycroft vomitò anche l'anima. "Va meglio fratello?
"Sherlock gli teneva la fronte, mentre piegato in due il vecchio Holmes
cercava di controllare il suo stomaco sottosopra. Faceva freddo, tutti e due
tremavano Sherlock lo guidò verso l'auto dove il tassista li
fissava perplesso. "Tra poco saremo a casa e
John si occuperà di te. Mycroft fammi un favore, cerca di
stare tranquillo.
Troveremo una soluzione insieme. Te lo giuro fratello non ti lascio. A
costo di
legarti." Myc annuì oramai allo
stremo.
L'unica cosa che voleva era un letto su cui distendersi. Sherlock lo
fece
risalire, chiamò John che scendesse in strada per dargli una
mano. Mycroft era
appoggiato con la testa sulla sua spalla e respirava pesantemente.
Teneva un
fazzoletto stretto nella mano e lo stropicciava senza sosta. Finalmente vide John sulla strada
vicino a Baker Street. Scese non gli disse una parola,
solo un "aiutami ti prego." John non ebbe bisogno di altro,
prese in consegna Mycroft pallido come un lenzuolo. Lo sorressero
entrambi. Il
taxi fu pagato velocemente, salirono con il vecchio Holmes che non
collaborava
per niente. "Dimmi cos'ha, che possa
intervenire." "Mettiamolo nella camera
degli ospiti, poi ti spiego." Mycroft si animò quel
tanto da
riconoscere John, ma la nausea lo limitava. Lo stesero nel morbido
letto e lui
si lasciò andare. John prese la sua valigetta e
cominciò a visitarlo. Sherlock lo aiutò a
spogliarlo, prese il borsone e tirò
fuori il pigiama. "Ha vomitato e non smette di
agitarsi." Il fratello minore era preoccupato. "Va prendere queste medicine
e queste fiale, porta qui tutto." John si occupò di Mycroft
lo chiamò, ma
lui non rispose subito. Poi ebbe un attimo di lucidità e lo
guardò con aria di
sfida. "Vuoi sapere cosa ho fatto,
mio buon Watson? Tanto te lo dirà mio fratello. Ho cercato
di spararmi. Volevo
mettere fine alla mia vita, se Sherlock non fosse arrivato, ora
staresti
preparando il mio funerale." John si fermò senza
fiato. Sapeva
la volontà di ferro di Mycroft e se aveva detto questo era
vero. Lo esaminò e
cercò di calmarlo. Poi pensò al dolore del
suo
compagno, e si irritò. "Non hai pensato alle persone
che ti vogliono bene? Cristo! Mycroft! " "Perché devo pensare
sempre
agli altri John, è tutta la vita che ci penso! Ma io
esistevo per voi? Quando
mai vi siete preoccupate per me?" Mycroft si agitò
parecchio, John
fu costretto a chiamare in fretta Sherlock per farsi aiutare a tenerlo. "Ora dormirai Mycroft,
ti farai una gran bella dormita, le discussioni le faremo in seguito." Sherlock tenne stretto il braccio
del fratello che si dimenava, fu veloce e abile John a infilargli l'ago
in vena
e finalmente Mycroft si addormentò stremato. John e Sherlock chiusero la camera
e lo lasciarono dormire. Sherlock era distrutto da quello che era
successo in
quelle ultime ore. Si sprofondò nella
vecchia
poltrona. Chiuse gli occhi con le mani giunte sotto al mento. John
confuso, si
sedette di fronte a lui, ma non disse una parola, sapeva che Sherlock
si stava
concentrando. La casa era insolitamente silenziosa, Rosie dormiva e la
sig.
Hudson era andata dalla sorella. Ed era stato meglio così
visto,
quello che era accaduto. Mycroft era fuori controllo e John non sapeva
nemmeno
lui cosa fare. Il fratello di Sherlock era il
fulcro degli Holmes, l'affidabile uomo del governo, dalle decisioni
veloci non
sempre legali, ma era sempre stato la sicurezza di tutti loro. Sherlock si scosse, aprì
gli occhi
e prese a raccontare al suo compagno quello che era successo. Non
tralasciando
nulla, un racconto doloroso che Sherlock interruppe più
volte. "John, se fossi arrivato
pochi minuti dopo, non avrei più un fratello, per Dio! Non
potevo aspettarmi
una reazione del genere da parte sua. Lui è sempre stato
così razionale. Sono
spiazzato. Devo decidere cosa fare per tirarlo fuori dal pantano in cui
sta
affondando." Sherlock aveva gli occhi lucidi,
pieni di sofferenza e rabbia. "Per adesso possiamo solo
sostenerlo, con farmaci adeguati che lo tengano tranquillo, che
stabilizzino
l'altalena delle sue emozioni. Dobbiamo convincerlo che per un certo
periodo li
dovrà prendere. Le crisi allo stomaco, sono dovute alla sua
mente, che si
contorce e traduce tutto in dolore fisico." "Non sarà facile
conoscendo
mio fratello." Sherlock sbuffò seccato. "Per un certo
periodo sarà
difficile lasciarlo solo, non voglio che possa riprovarci." "Siamo in due e troveremo
qualcuno che ci dia una mano." John era convinto di poter aiutare i due
fratelli Holmes. Sherlock intanto elaborava una condotta da tenere. "Poi c'è il problema del
posto che ricopre, se vengono a sapere che è sopravvissuto
ad un tentativo di
suicidio, avranno timore che sia instabile, che i segreti che conosce
siano mal
riposti. Lo potrebbero obbligare ad entrare in una delle loro case di
cura per
tenerlo a bada, e non ne uscirebbe più!" "Quindi cosa vuoi fare?
Tenerlo nascosto è quasi impossibile! " "Potrei trovare un accordo e
ricattarli. Nel suo laptop Mycroft ha cancellato tutto per proteggerci,
e
metterci al sicuro, ma posso farlo ripristinare, con quello che
c'è dentro,
fermarli. Lo farò dichiarare, momentaneamente incapace, ne
prenderò la tutela
legale a garanzia. Lo proteggerò in modo chiaro, lo
blinderò, non dovranno
toccarlo." "Non lo accetterà
facilmente,
Sherlock lui è troppo orgoglioso di sé stesso." "Lo era John! Ora ha bisogno
di sicurezze, questo è un modo per tenerlo al riparo da
ritorsioni e
soprattutto che possa restare con noi. Altrimenti lo perderò
di nuovo." "Dovrai parlargli se
sarà in
grado di comprendere, ora è decisamente indifeso." "Vedremo domani mio caro
John, vedremo quanto è compromesso!" Il vecchio orologio
segnava l'una di
notte. Nessuno aveva mangiato quella sera.