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Autore: Milagar    24/10/2020    6 recensioni
Bill Weasley ha appena rinunciato al suo incarico da Spezzincantesimi in Egitto per collaborare con l'Ordine della Fenice.
Fleur Delacour è appena stata assunta dalla Gringott per migliorare il suo inglese.
All'apparenza non possono essere più diversi, eppure un evento particolare li porterà ad avvicinarsi e scoprire che sono indispensabili l'uno per l'altra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Estate 1995
Erano passate poche settimane da quando Bill Weasley aveva chiesto il trasferimento dall’Egitto a Londra. Era stato abbastanza difficile dover rinunciare all’avventura, alle serate trascorse coi colleghi Spezzincantesimi, ai riti degli stregoni egiziani – gli stessi dai quali aveva deciso di farsi forare il lobo e che gli avevano regalato l’orecchino zannuto a cui teneva tantissimo – per rinchiudersi nell’Ufficio Eredità della Gringott, tra le scartoffie burocratiche e i Sigilli Testamentari da Spezzare[1].

Tuttavia, dopo gli eventi del ventiquattro giugno si era sentito in obbligo morale di stare il più vicino possibile ai suoi cari. Non si era facilmente dimenticato di quella riunione di famiglia, in cui Percy aveva voltato le spalle a loro e a Harry per seguire ambizioni personali – che cretino egoista! “Sarà meglio rimanga qui in Inghilterra” aveva sentenziato Bill, quando i suoi fratelli più piccoli erano ormai a letto e Percy aveva sbattuto la porta in faccia ai genitori. “Ho dato la mia disponibilità a Silente e l’Egitto è troppo lontano per interessarsi di queste questioni. E poi” aveva aggiunto, quasi in un sussurro rivolto a suo padre “C’è bisogno che qualcuno resti vicino alla mamma. Ne soffrirebbe troppo.”

Ed era così che Bill Weasley – i cui ruggenti venticinque anni si erano sempre nutriti di avventura e coraggio di vero Grifondoro – si era ritrovato tra i membri dell’Ordine della Fenice e con una missione, non certo facile, affidatagli da Silente in persona: convincere i folletti del ritorno di Tu-Sai-Chi. Bill si arrovellava il cervello per capire come fare: tra i colleghi aveva folletti che meritavano la sua stima, ma arrivare a Ragnok – una figura di riferimento per la comunità goblinese – si era rivelata un’impresa ardua, quasi impossibile.

Bill si riscosse dalla compilazione di diverse scartoffie quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.

“Bonjour! Et voilà, altre pratique pour toi!”

Bill si trattenne da alzare gli occhi al cielo. Aveva scoperto qualche giorno dopo il suo trasferimento negli uffici della Gringott, che era stata assunta la campionessa Tremaghi di Beauxbatons, Fleur Delacour. Bill la aveva riconosciuta subito: i lunghi capelli argentei, la bellezza travolgente e il suo desiderio di ameliorore il suo engleese che aveva suscitato tanta ilarità alla Tana – soprattutto da parte dei gemelli. Al di là della bellezza mozzafiato – che Bill non metteva assolutamente in dubbio, ma che su di lui non aveva gli effetti devastati provati da Ron – c’era in lei uno zelo eccessivo nel dimostrarsi attiva nel suo lavoro. Lavorava part-time alle Relazioni Esterne[2] e la sua mansione era poco più di quella di una segretaria. Volteggiava per tutto il tempo tra un ufficio e l’altro, consegnando pratiche da spicciare e gestendo gli appuntamenti dei vari capo-ufficio.

Bill aveva ben presto imparato ad associare l’arrivo di Fleur ad ulteriore carico di lavoro e al suo vano tentativo di parlare per più di due minuti solamente in inglese, ma anche alla tazza di caffè bollente che si trovava ogni mattina sulla scrivania. Non si spiegava il perché – a quanto aveva capito era l’unico a godere di quel privilegio da parte della nuova arrivata da Oltremanica - ma gli faceva comunque piacere iniziare la giornata con una buona dose di caffeina in corpo.

A parte i convenevoli che si scambiavano le volte in cui Fleur entrava nel suo ufficio con le pratiche che libravano davanti alla sua bacchetta, la ragazza era di poche parole. Bill sentiva gli occhi azzurrissimi della ragazza su di sé, su quell’orecchino zannuto che doveva sicuramente detestare – proprio come sua madre – e su quei capelli raccolti spesso in una crocchia fermata da una matita. Il ragazzo si stupì quando quel giorno Fleur, prima di uscire dall’ufficio, si fermò, voltandosi verso di lui.

“Tu sei amico di Arrì Pottér” constatò Fleur, prendendo completamente alla sprovvista Bill, che, dallo stupore, fece cadere una grossa goccia di inchiostro sulla pergamena. Cogliendo lo sguardo incredulo del ragazzo, Fleur trillò in una risatina. “Ma non ti ricordi? Sci siamo jià visti, prima della Terza Prova, a Hogvàrt”.

Ma certo che Bill si ricordava di lei. Era la campionessa Tremaghi; per un anno intero giornali e radio avevano parlato di lei e degli altri tre campioni. Come poteva non conoscerla? Ma lei, come poteva ricordarsi di lui, uno tra molti? Biascicò un sì in risposta, ma lei continuò, come se la risposta di Bill fosse irrilevante.

“Ti ho visto parlar con Arrì. Sei paronte con il suo amico rouge, c’est vrai? Vi asomiliate, ma lui non porta quello” disse lei, indicando l’orecchino zannuto che gli pendeva dall’orecchio.

“Oh… anche tu ce l’hai con questo? Mia madre lo odia” disse Bill, le cui orecchie stavano assumendo un leggero color fuoco e lo stomaco che faceva capriole per chissà quale motivo.

“No, mi piasce. Ti sta bien”. E così dicendo, uscì, mulinando i lunghissimi capelli biondi.

E così a Fleur Delacour piaceva il suo orecchino zannuto. Bill non capiva perché la prima cosa che Fleur gli dicesse al di fuori dell’ambito lavorativo fosse proprio riferito al suo orecchino. Poco male, pensò il ragazzo, almeno poteva portare argomenti a suo favore nel caso sua madre avesse avuto da ridire ancora sulla sua adorata zanna.
Con spirito fiducioso, Bill prese in mano la pratica che gli aveva lasciato Fleur e scoprì che – finalmente – avrebbe dovuto Spezzare un’eredità al di fuori delle quattro mura dell’ufficio. Il rapporto riportava queste parole:

Tinworth – Cornovaglia – Cottage appartenuto ai defunti Louis Dupaty e Dominique, sua moglie.
Assenza di eredi diretti.
Probabile presenza di oggetti forgiati dai folletti e denaro.
Sospetto Incantesimo di Adesione Permanente a forziere contenente gran parte dell’eredità.
Necessità di Spezzincantesimi.

La relazione era firmata da Brutus Bartleby, Capo Ufficio Eredità[3] e il più grande lavativo che Bill avesse mai conosciuto. A tratti, si chiedeva come facessero i folletti a tollerarlo, all’interno della Gringott, vista la sua scarsissima voglia di adempiere ai compiti che gli spettavano.

Nonostante la poca considerazione che Bill nutriva per il superiore, si preparò di buon grado per la missione affidatagli. Giunse nel luogo indicatogli da Bartleby e si trovò davanti ad un paesaggio che riempiva cuori e polmoni di bellezza; i Babbani lo avrebbero definito un luogo “magico”. Il mare scrosciava contro le scogliere, una piccola spiaggia si srotolava davanti ad un cottage incrostato di conchiglie. Il sole faceva brillare le onde e la spuma e donava alla spiaggia un gradevole colore dorato. L’aria salmastra sferzava contro il mantello di Bill e gli scompigliò i capelli. Il cottage, era un edificio con stanze piccole ma graziose, scale strette e suggestivi scorci sul mare, che rendevano gli ambienti molto luminosi. Lo Spezzincantesimi eseguì tutte le procedure di Incanti di Rivelazione e constatò che la casa era disabitata da almeno un mese. Non ci mise molto a trovare ed aprire la cassaforte, dentro cui era conservato uno scrigno abbastanza grande da contenere manufatti dei folletti e denaro – come aveva sospettato Bartleby. Bill seguì le procedure necessarie per rimuovere l’Incanto di Adesione Permanente, ma niente si mosse, e il bauletto rimase incollato dentro la cassaforte. Tentò con ogni mezzo in suo possesso, ma non valse a niente. Provò per un’ora abbondante tutte le controfatture che era solito applicare per Spezzare gli incantesimi. Nulla. Se non che, si accorse che sul lucchetto d’ottone era apparsa una scritta – chissà da quanto tempo – in una sottile grafia tondeggiante.

Ne me quitte pas

Fossero state Rune, non avrebbe avuto alcun problema. Ma quello era francese. E lui, di francese, sapeva ben poco. Ma sicuramente c’era qualcuno che poteva fare al caso suo. Guardò nell’orologio: probabilmente a quell’ora quel qualcuno stava ancora veleggiando per i corridoi a consegnare pratiche. Ma poteva fare un tentativo: evocò un Patronus, lo istruì e lo inviò a Londra.

Non passarono più di quindici minuti, e Fleur Delacour apparve sulla spiaggetta del cottage. Il soprabito grigio perla svolazzava mosso dalla brezza marina e i capelli biondo-argentei rilucevano al sole. Bill la osservava dalla finestra, mentre risaliva verso il cancello; si trovò per la prima volta a osservarla nella sua andatura sinuosa, nel suo sguardo fiero e chiarissimo, che dimostrava tutta la sua determinazione. Sentì una capriola all’altezza dello stomaco a pensare alla breve chiacchierata che avevano avuto quella mattina: Fleur si ricordava di lui per via dell’orecchino zannuto, che le piaceva pure…

“Bill. È susceso qualcosa? Ho riscevuto il Patronus e mi sono Smaterializzata subìto” disse la ragazza, gli occhioni spalancati mostravano la sua preoccupazione.
“È per questo scrigno. Devo Spezzare gli incantesimi, ma dopo una controfattura sono apparse delle scritte sul lucchetto. Sono in francese”.

Fleur alzò un sopracciglio, tra il serio e il divertito. “Et alors?”

 “Io non conosco il francese” si scusò Bill, trafitto dalla risata amara di Fleur.

“Per fortuna, sci sono io” disse Fleur, veleggiando verso la cassaforte, la lunga chioma ondeggiante sulle sue spalle. Si chinò appena per esaminare il lucchetto.
“Scè scritto: Non lasciarmi” disse sbrigativa Fleur dopo l’analisi del manufatto.

“Tutto qui? azzardò a chiedere Bill.

Oui. Se non sbalio, qui sc’era una vecchia couple di sposi”.

“Sicuramente” confermò Bill. “Ho visto casi simili coi faraoni d’Egitto. Dedicavano cose simili alle loro concubine”.

“Sì, ma qui è diferonte. Lo sonto. Ho riconosciuto l’incantesìmo…”

Bill la guardò. “Come fai a riconoscere gli incantesimi senza usare una bacchetta?”

 “Me lo ha insegnato mia nonna Veela” rispose Fleur, la sua aria altezzosa e il suo solito fare pratico.

“Capisco” disse Bill spazientito “Ma non si riesce a staccare. È come un Incantesimo di Adesione Permanente, ma molto più potente…”

Mentre Bill parlava, Fleur, dopo aver agitato la bacchetta in un modo che il ragazzo non aveva mai visto, prese senza sforzi in mano lo scrigno.
“Che disci, excuse moi?” trillò lei, mostrandoglielo, il viso contratto in una smorfia di sfida.

“Ma.. ma… come hai fatto?” chiese Bill, incredulo. Non aveva mai fallito nella ricerca dei tesori. Erano anni che lavorava con grandi successi e ora, una stagista poco più che maggiorenne era riuscita in un intento che gli sembrava impossibile.

“Strano che non comprondi” disse lei, continuandolo a fissare. “Non è dificìle”.

Bill sbatté le palpebre e non riuscendo a comprendere il modo in cui Fleur era riuscita a togliere lo scrigno dalla cassaforte, pensò che la missione era ampiamente conclusa e che poteva tornare alla Gringott.

“Grazie mille, Fleur. Ti devo un favore” disse Bill, mettendo in una sacca il forziere.

Lei agitò una mano. “Di nionte. Ansi. Potresti impararmi l’engleese” disse Fleur, l’espressione sempre algida in volto.  

“Fleur, si dice insegnare l’inglese, non imparare” la corresse Bill. Gli aveva sempre dato fastidio sentire errori grammaticali.

“Voi engleesi non fate oltro che corregger-moi” disse spazientita Fleur. “A parte la Gringòtt, non ho molti posti dove parlar” continuò, a mo’ di scusa.

“Non hai amici qui in Inghilterra?” le chiese Bill, mentre uscivano dal cottage e venivano sfiorati dalla fresca brezza della Manica. Fleur scosse la testa in segno di diniego.
“Sono partita da sola. Mes amis sono rimasti tutti in France”.

Fleur doveva aver avuto del coraggio, si disse Bill, a lasciare la Francia per raggiungere l’Inghilterra, soprattutto in un periodo che non si prospettava dei migliori, con il ritorno di Tu-Sai-Chi e la società magica sull’orlo di una guerra.

Mentre camminavano verso la spiaggia, Fleur annunciò che aveva portato il pranzo con sé e gli stava chiedendo di fermarsi in pausa pranzo con lei, sulla spiaggia. Bill accettò volentieri: aver sentito dire a Fleur Delacour che era sola in Inghilterra e le occasioni per parlare con qualcuno lo avevano un po’ sciolto e si era ripromesso di passare del tempo con lei – almeno per impratichirla a parlare inglese.

Si sedettero all’ombra di una scogliera e Fleur tirò fuori il pranzo per entrambi. Iniziarono a chiacchierare, del più e del meno, del loro lavoro. Bill le raccontò un po’ della sua vita in Egitto e lei di quella a Beauxbatons. Fleur si sbilanciò anche a parlare della sua famiglia: a quanto pareva, avrebbe dato tutta se stessa per i suoi cari esattamente come lo avrebbe fatto anche Bill. Fu un’ora piacevole, trascorsa tranquillamente e senza preoccupazioni. Bill, almeno, riuscì a staccare dai pensieri per il lavoro e per le missioni dell’Ordine – una cosa che difficilmente poteva condividere all’infuori della sua famiglia.

Mentre stavano sparecchiando, Fleur parlò, lo sguardo fisso verso l’orizzonte del mare. “Qui è bellissimo. Mi piasce vivere al mare. Anche noi, in Provence, abbiamo il mare viscino, anche se i colori sono differonti”. Bill la affiancò, mentre sistemava la sacca sulla spalla.

 “Sai, Bill” continuò lei, mentre rivolgeva lo sguardo verso il cottage “Ponso che se un domani mi capita di rimanere qui, in Enghilterra… magari se mi sposo… vorrei passare in questo posto il resto della mia vita”. Si voltò a guardarlo. I capelli biondi, mossi dal vento, le sferzavano il viso, nascondendole in parte un accenno di sorriso.
Bill guardò alternativamente lei e il cottage incrostato di conchiglie. Lui non aveva mai pensato a quando si sarebbe sposato. Quando era partito per l’Egitto, aveva messo la parola “fine” alla sua storia con Linda Hildemore[4] e poi non aveva più pensato ad avere una relazione stabile. Era completamente assorbito nel lavoro, nell’avventura. Sposarsi per lui avrebbe significato la fine del suo lavoro all’estero, avrebbe anche voluto dire darci un taglio con i vestiti da Sorella Stravagaria, i capelli lunghi e gli orecchini zannuti.

Eppure, al lavoro in Egitto aveva già rinunciato per entrare nell’Ordine e stare vicino alla sua famiglia. La verità, è che non si era mai davvero innamorato e a sistemarsi non ci aveva mai pensato seriamente. Un giorno, forse capiterà seguitava a dirsi.

Alors, torniamo alla Gringott?” La voce di Fleur ridestò Bill dai suoi pensieri.
“Certo. Arrivo”. Si Smaterializzarono insieme e riapparvero appena fuori dalla banca.
 
***
 
Alors, come ponsi di fare con questo scrigno?” le chiese Fleur, una volta tornati negli uffici della Gringott. Era primo pomeriggio e un vago sole entrava dalle finestre. Bill sospirò: la verità è che non sapeva da che parte farsi.

Fleur era riuscita inspiegabilmente a farlo uscire dalla cassaforte e ora il piccolo forziere sembrava fissarlo, la scritta indelebile sul lucchetto.

“Mi ci vorrà tempo, ma ci devo riuscire. In Egitto ci riuscivo senza problemi”.

“Posso dare te una mano?” chiese Fleur, agitando i capelli ed ergendosi in tutta la sua statura. Bill la squadrò, dondolandosi sulla poltrona della sua scrivania, una mano a grattarsi il mento. Lo credeva davvero così idiota solo perché – non sapeva bene come – era riuscita a staccare uno stramaledetto forziere da una cassaforte? Chi si credeva di essere?

“No, tranquilla. Ce la farò. Vai pure a casa” le disse, cercando di mantenere la calma. Fleur storse la bocca in una smorfia che a Bill non piacque per niente e uscì senza troppi convenevoli.

Iniziò così un intenso pomeriggio in cui Bill provò tutti gli incantesimi e fatture che conosceva per far aprire i forzieri. Nulla. L’orgoglio del ragazzo si stava lentamente frantumando: non aveva mai fallito nel suo lavoro di Spezzincantesimi e quello sarebbe stato il primo. Non sapeva esattamente se ridere o piangere, vista l’apparente banalità del compito. Il tempo scorreva inesorabile, tra gli sbuffi di Bill che entrava e usciva dall’ufficio alla ricerca di grossi tomi presi in prestito dalla biblioteca della banca; i capelli elettrizzati erano stati raccolti in un’alta crocchia, che Bill era solito farsi quando era più agitato.

Il giorno volgeva ormai al terime, era tardi. Gran parte dei colleghi era uscito dalla Gringott. Bill controllava compulsivamente l’orologio. Non poteva fare tardi: di lì ad un’ora sarebbe iniziata una riunione dell’Ordine e non poteva mancare. Quando ormai le ombre si stavano allungando, sentì qualcuno bussare alla porta. Apparve Fleur. A quanto gli disse, era rimasta per spicciare alcune pratiche ed era passata solo per salutare. O per venirmi a rinfacciare che da solo non sono in grado di farcela, pensò fra sé Bill.

“Che sci fai oncora qui? Vai a casa. Sei stonco. Sci pensi domain”.

Bill la guardò, e affondò gli occhi in quelli di lei: erano duri, alteri, ma vi si poteva scorgere un’apprensione quasi materna, che al ragazzo ricordò incredibilmente i cipigli di sua madre.

In effetti, Fleur non aveva tutti i torti. Bill aveva perso fin troppo tempo. Era scoraggiato, frustrato. Si rassegnò all’evidenza che, almeno per quel giorno, non avrebbe ottenuto niente di meglio che altri sonori sbuffi.

“Agli ordini… ci penserò domattina” disse mogio Bill, mentre si risistemava i capelli nella solita coda. Fleur continuava a fissarlo mentre si allacciava il mantello.

“Ma scerto, domani andrà melio, vedrai” disse la ragazza, spicciativa, mentre uscivano dalla banca.

Si salutarono velocemente, augurandosi buona serata. E mentre Fleur si incamminava svelta lungo la via principale di Diagon Alley, Bill si perse per la seconda volta in quel giorno a guardarla, mentre la sua mente vagava a quel sadwitch sulla spiaggia condiviso con lei.

Il mattino seguente, quando Bill entrò in ufficio alla Gringott, si sorprese di trovare il suo ufficio occupato da Fleur Delacour.

“Cosa ci fai tu qui?” chiese Bill, che quella mattina aveva lasciato la cortesia a casa. Aveva dormito male a causa delle cattive notizie provenienti dall’Ordine: il Ministero aveva tolto a Silente il ruolo di Capo Supremo del Wizengamot e la Gazzetta del Profeta aveva iniziato una campagna carsica e meschina contro Harry che aveva causato non poche lamentele da parte della signora Weasley. La loro posizione non era sicuramente ben accetta, in quel periodo. E ora ci si era messa di mezzo anche Fleur Delacour e la sua saccenza.

La ragazza si voltò di scatto non appena aveva sentito le scortesi parole di Bill, fulminandolo con lo sguardo.

“Dovresti solo dirmi grasie” disse lei, la voce roca e un cipiglio freddo e infuriato allo stesso tempo. Si scostò dalla scrivania di Bill, dove il ragazzo si sorprese di trovare lo scrigno. Aperto.

Bill sbatté più volte le palpebre prima di capire. All’interno di quel pozzo impenetrabile c’era parecchio oro, diviso tra monete e gioielli.

“Come… come ci sei riuscita? Non me lo so spiegare….” balbettò Bill, mentre Fleur, mulinando la chioma irritata, stava recuperando alcuni faldoni.

“Ponsi che io non sia capasce di fare nionte come ponsano tutti qua dentro, c’est vrai? Ponsi che sia solo una stupìda fronscese, non?” Fleur aveva alzato il tono della voce. Non stava urlando, ma era imponente e aveva occhi infuocati. Probabilmente era la parte da Veela arrabbiata che si stava rivelando. “Io so che incantesìmo è necessaire per aprir lo scrigno. Ma tu non vuoi ascoltar me!”

“Fleur… Io…”

“Zitto!” esclamò lei. “Se hièr tu mi facevi restare, avevi risolto!”

“Scusami, Fleur… Io non pensavo…”.

Bill sospese il discorso vedendo lo sguardo penetrante di Fleur, che sembrava intimargli di tacere. Non sapeva se controbattere o incassare il colpo. Non poteva biasimarla: in effetti era riuscita lei a fare tutto quello che c’era da fare sullo scrigno. E lui non ne era stato capace. Era arrabbiato con se stesso per il suo primo fallimento, ma doveva anche riconoscere il merito di Fleur.

“In ogni modo hai fatto” disse spicciativa Fleur, avvicinandosi alla porta, i faldoni impilati che svolazzavano davanti a lei guidati dalla sua bacchetta.

“Aspetta!” esclamò Bill, prima che la ragazza uscisse imbronciata dall’ufficio. La verità è che archiviato un problema, ne stava arrivando un altro. Le monete che Bill vi trovò dentro non erano né galeoni, né falci, né zellini. Erano monete nuove, che era sicuro di avere già visto da qualche parte, ma non di certo in Inghilterra. Li prese in mano e ne analizzò la fattura: doveva essere oro dei folletti, ma le rune che vi erano incise sopra rimandavano ad un tempo lontano.

“Sono bajoux[5]” disse Fleur guardandolo seria. “L’antica moneta dell’Occitaine. Ogni tonto in Fronscia si trova encor”. 

Bill la scrutò. Era in piedi, una spalla appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate, i lunghi capelli biondi che le ricadevano di lato. Gli occhi color cielo lo perforavano, dardeggianti; vi si poteva leggere la sua mente che fremeva per liberarsi dalle catene del pregiudizio che Bill e l’intera Gringott sembravano averle legato attorno.

“Non penso che tu sia una stupida francese” disse Bill, sostenendo quello sguardo ardente. Il volto contratto di Fleur parve ammorbidirsi leggermente. “E penso anche che la gente ti sottovaluti troppo. Tu sei molto di più”.

Lei continuava a guardarlo, seria e interessata. “Et alors?”

“Lascia perdere quelle pratiche. Mettiamoci a lavorare”.
***

Ci misero una giornata intera. Iniziarono a controllare e inventariare il materiale. Fleur era abilissima a convertire il valore dei bajoux occitani in galeoni correnti e in quell’occasione Bill ebbe la conferma della smisurata abilità della ragazza nelle conoscenze magiche. Non aveva voluto staccare all’ora di pranzo - era completamente assorbita nel suo lavoro. Le pratiche che era solita consegnare di persona erano state stregate e spedite con un incanto ai rispettivi uffici.

Era talmente assurdo che i colleghi la considerassero soltanto “la bella francesina” – a malapena si ricordavano il suo nome: era così che Bill l’aveva sentita chiamare da Bartleby, il Capo Ufficio, durante una bevuta al Paiolo Magico nel dopolavoro. Anche Bill – per via della sua smania riuscire a fare le cose da solo – aveva poco considerato le doti di Fleur. Gli ultimi due giorni lo avevano portato a rivalutare e apprezzare le sue brillanti intuizioni, la sua sensibilità, la sua determinazione.

Eppure, non poteva negare la tanto decantata bellezza di Fleur. Bill – che pensava di essere immune da quei lineamenti perfetti, quelle labbra piene, quegli occhi azzurrissimi, quei capelli chiarissimi che danzavano sulle sue spalle – si perse più di una volta a guardarla lavorare con assiduità e passione, gli occhi le brillavano.

La notte stava calando su Diagon Alley, quando Bill guardò fuori dalla finestra, gli occhi che gli bruciavano e uno sbadiglio che gli sfuggì dalle labbra.
“C’est finì!” esclamò Fleur, finendo di scribacchiare qualcosa sulla pergamena dell’inventario. “Domaine andiamo dai folletti, così fasciamo veder il lavoro”.

Bill la guardò, sorridendo stanco. Lei ricambiò, sciogliendo per la prima volta quell’espressione concentrata che l’aveva accompagnata tutto il giorno. Bill ci pensò più di una volta, mentre lei si stava sistemando il soprabito. Poi, prima che fosse troppo tardi, la sua bocca si aprì, e uscirono quelle parole che aveva pensato bene o male per tutto il tempo che avevano lavorato assieme, gomito a gomito.

“Usciamo insieme, questa sera?”

Fleur si voltò, come se non avesse compreso pienamente le parole di Bill. Gli occhi – brillanti ancora più di quanto erano stati tutto il giorno – lo perforarono.

“Con piascere”.

Bill non sapeva esattamente cosa stava facendo, ma si lasciò guidare da Fleur, che sembrava di sapere già cosa aspettarsi da quella serata.

Uscirono da Diagon Alley. Vagarono per i sobborghi di Londra, chiacchierando. Nonostante ci fosse nato, Bill la conosceva davvero pochissimo. Fleur, invece, a quanto pareva, sapeva benissimo dove stava andando. Entrarono in un bristò babbano. Aveva l’aria bohemienne, che a Bill non dispiacque. Per certi aspetti, gli ricordava vagamente la sala da tè di Madame Piediburro, ma era molto meno zuccheroso come ambiente. Notò che le catene appese ai suoi pantaloni, la coda di cavallo e l’orecchino zannuto non stonavano nel complesso degli avventori, che portavano larghi pantaloni, un po’ demodé, e maglioncini a collo alto. Fleur gli spiegò durante la cena – davvero deliziosa – che aveva scoperto quel posto, gestito da parigini, durante la sua prima settimana a Londra. “Avevo bisogno di qualcuno con cui condividere questo posto secrét” bisbigliò lei, allungandosi verso Bill.

La cena scivolò via, tra le mille chiacchiere che poco avevano a che fare con il lavoro, in cui Bill vide aprirsi davanti a sé una Fleur che non aveva mai visto. Gesticolava, sgranava gli occhi interessata, ma soprattutto rideva. Rideva di gusto, a cuore aperto, in modo cristallino. Sembrava che la sfuriata del mattino le avesse scrollato di dosso una corazza che l’aveva avvolta dal suo primo giorno di lavoro alla Gringott. A Bill piacque pensare che forse quella che aveva lì di fronte era la vera Fleur Delacour e non quella fredda ragazza che lasciava pratiche negli uffici.

Quando uscirono dal locale, la luna era già alta nel cielo. Si incamminarono nuovamente verso Diagon Alley, dove Fleur aveva un appartamentino.

“Dove stai esattamente?” chiese Bill, mentre picchiettava con la bacchetta sui mattoni del giardino del Paiolo Magico.

“Sopra al Ghirigoro. Sto in monsarda”.

“Posso accompagnarti?” Bill fu audace nella richiesta e immaginò subito che Fleur avrebbe declinato. Invece, la ragazza annuì.

Arrivarono al Ghirigoro e si fermarono davanti a portone di legno che conduceva ai piani superiori.

Tacquero per quelli che a Bill sembrarono tantissimi minuti. Stavano in piedi uno davanti all’altra, senza parlare. Le viscere di Bill sapevano esattamente cosa fare, ma la sua testa no. È una collega. Non puoi. È anche una mezza-Veela, ti sta solo ammaliando perché è nella sua natura. Eppure le sue viscere continuavano a ripetergli di agire, di fare…

Alors, buonanotte Bill” Fleur sospirò, fece un passo verso Bill e si alzò in punta di piedi per baciargli le guance, che gli iniziarono ad ardere al solo tocco. Ron te lo aveva detto! Dovevi crederci…

Bill rimase impalato. Non si aspettava un gesto così intimo da parte di Fleur. D’altronde, si conoscevano poco, avevano condiviso solo quei due giorni assieme.
Fleur aveva già recuperato dalla borsa le chiavi di casa ed era intenta ad aprire il portone d’ingresso. Prima che la sua chioma argentea scomparisse dietro al pesante portale di legno, Bill trattenne il battente.

“Fleur…”. La ragazza si girò. Si ritrovarono coi volti a pochi centimetri l’un dall’altro; gli occhi chiari di lei persi dentro quelli castani di lui.

È una collega. Non puoi.

“Grazie per questi due giorni” fu tutto quello che Bill riuscì a dire, la gola secca e il cuore che batteva incessante nel pomo d’Adamo. Percepì la ragazza fremere sotto al braccio teso che tratteneva la porta. Lei si limitò a sorridere, gli occhi brillanti. Lo ringraziò a sua volta con voce roca e gli diede nuovamente la buonanotte. Si voltò e corse su per una ripida scalinata. A metà, però, si voltò, mulinando i capelli. Bill era ancora lì, che la guardava. Si scambiarono veloci un sorriso nuovo, che era intriso di altri sentimenti, che andavano oltre al reciproco rispetto lavorativo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Ufficio Eredità: un dipartimento della Gringott di mia invenzione, presso cui ho immaginato che Bill inizi a lavorare dopo il suo ritorno a Londra per collaborare con l’Ordine della Fenice. Allo stesso modo anche i Sigilli Testamentari sono una mia invenzione, che tornerà utile più avanti nella storia.
[2] Relazioni Esterne: altro ufficio della Gringott di mia invenzione.
[3] Brutus Bartleby: Capo Ufficio Eredità presso la Gringott. Personaggio di mia invenzione.
[4] Linda Hildemore: studentessa di Grifondoro, coetanea di Bill, con il quale ha avuto una storia. Personaggio di mia invenzione.
[5] Bajoux: come dice Fleur, è l’antica moneta corrente dell’Occitania, di mia invenzione.

Cari lettori, vi ringrazio se siete arrivati fin qui, perché vuol dire che avete deciso di aprire questa storia e leggerla. Siamo solo al primo capitolo di una storia che so già che non avrà molti capitoli, poichè sappiamo già come andrà a finire. Ma è sempre stato il mio sogno raccontare come si sono conosciuti e innamorati Bill e Fleur, a mio avviso una delle coppie più solide di tutta la saga! Non so quanto sarò regolare con gli aggiornamenti, ma ho già ben chiaro come procedere e spero di accontentarvi!
Un abbraccio
Ilaria
  
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