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Autore: Artemys22    25/10/2020    0 recensioni
Il viso di Vanya si gelò in un grido senza fiato e sena voce.
(Ricorda-)
Era andato.
E improvvisamente non riusciva più a ricordare per quale motivo si sentisse così sconvolta. Non era del tutto sicura di cosa stesse facendo lì, comunque - seduta in un angolo buio, tutta sola?
Confusa, Vanya si rimise sulle sue gambe tremolanti. Aveva camminato nel sonno?
L'aria sapeva di fulmine. Come di elettricità.
Che strano.
//L'esistenza di Cinque è essa stessa un paradosso; il tempo si deve sistemare in qualche modo.
Solo poche cose sono certe nell'universo, e una di queste è che i frateli Hargreeves non possono prendersi una pausa.
In questa versione gli Hargreeves tornano nel 2019 da Dallas, ma non c'è nessuna Sparrow Academy; trovano le cose esattamente come le hanno lasciate. Beh, più o meno. Si vedrà...
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Diego Hargreeves / Kraken / Numero 2, Five, Klaus Hargreeves / Medium / Numero 4, Vanya Hargreeves / Violino Bianco / Numero 7
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allison si svegliò con un fastidioso mal di testa. Borbottò sommessamente scendendo le scale in punta di piedi per farsi una tazza di tè. Erano quasi le otto, solitamente avrebbe dormito più a lungo.

Entrò in cucina, raggiungere il baratolo dell'aspirina era il suo obiettivo attuale. La donna si sorprese nel vedere che qualcun altro era già lì.

"Vanya?" salutò con uno sbadiglio. Sua sorella stava facendosi un sandwich sul tavolo e idossava un adorabile pigiama che sembrava andarle ancora bene dopo diciassete anni.

"Giorno" le sorrise guardandola oltre la spalla. Allison si accigliò. Perché i suoi occhi erano umidi?

"Stai bene?" le chiese in tono delicato, riducendo lentamente la distanza fra loro.

"Perché non dovrei esserlo?" chiese confusa.

Allison alzò un sopracciglio. "Stai piangendo."

La sorella posò il coltello ricoperto di burro di arachidi e portò una mano al viso. Sentì lacrime bagnate sui polpastrelli, corrugò la fronte con fare interrogativo.

"Non lo so" disse infine, piano.

Allison ingoiò saliva e raggiunse il barattolo dell'aspirina. "Forse dovresti sederti."

"Forse" Vanya alzò le spalle tornando al suo sandwich. "Onestamente? Non sono neanche sicura del perché stia facendo un panino al burro di arachidi. Non mi piace neanche un gran che."

"Forse sei sonnambula" suggerì Allison.

Con sua sorpresa, la donna rise e si sedette per mangiare il suo sandwich.

"In realtà ho avuto un'esperienza simile l'altra sera" ammise.

"Oh?"

Vanya la guardò di sfuggita, mandando giù un boccone. "Sì, sono piuttosto sicura di aver avuto un episodio di sonnambulismo ieri notte. Ero seduta in un angolo al piano di sopra, fissavo un muro. Ricordo che ero molto agitata per qualcosa... ma poi credo di essermi svegliata."

Allison ingoiò la sua pillola, chiudendo gli occhi per un secondo. "Devi aver sognato qualcosa. Però non ricordavo che fossi sonnambula da bambina."

"Sì, non credo di averlo mai fatto prima" alzò le spalle. "Ma d'altra parte, come potrei saperlo, giusto? Forse sono stata sonnambula per anni e semplicemente non ne sapevo niente."

Allison mormorò in risposta, gli occhi vagavano verso la finestra dove i primi raggi del sole mattutino si spingevano entro la cucina ombrosa.

"Quindi, che si fa?" chiese a bassa voce, più a se stessa che a Vanya.

Lei rispose lo stesso. "Quello che vogliamo. Ma preferirei se stessimo insieme questa volta. Niente più silenzio radio, sai?"

Allison le diede un'occhiata in ritorno, ricambiando il suo sorriso. "Proprio ora, tutto ciò su cui voglio concentrarmi è riavere Clair nella mia vita. Non l'ho vista per due anni."

Prese un sorso del suo caffè, poi storse il naso in sorpresa – era così amaro che lo stava per sputare. Chi aveva portato quella miscela?

E perché si era dimenticata di aggiungere lo zucchero e il latte? Non beveva mai il caffè nero.

Allison ci passò sopra pensando di essere solo assente al momento, troppo impegnata a pensare a sua figlia.

"Lo sai, sei una persona molto diversa ora da com'eri due anni fa" disse Vanya sorseggiando il suo succo d'arancia. "Otterrai i diritti di visita in un batter d'occhio."

Aveva ragione, Allison lo sapeva. Il tempo speso nel passato l'aveva davvero resa una persona migliore e aveva imparato ad amare la nuova lei.

"Già" rispose. "Vorrei solo... che Ray potesse essere qui."

Il sorriso di Vanya vacillò, e un dolore tanto profondo da ferire fisicamente il cuore di Allison si palesò nei suoi occhi marroni.

"Lo capisco" disse piano.

Pensava a Sissy, ovviamente.

Entrambe si erano innamorate là, ed entrambe erano state costrette a lasciare andare.

E faceva male. Allison non aveva mai amato un uomo quanto aveva amato Ray – ed era così tremendamente ingiusto che non avrebbe passato il resto della sua vita con lui.

"Ce la faremo" disse poi, posando la sua mano su quella di Vanya.

Sua sorella voltò la testa, guardandola da sotto le ciglia.

"Sei cambiata anche tu" osservò Allison, e non mentiva. Vanya era una persona molto diversa ora che aveva smesso di prendere le medicine, ora che aveva davvero trovato se stessa. C'era una luce nei suoi occhi che non c'era prima – era stata offuscata dal suo passato abusivo, ma ora era tornata.

"Hai perso Sissy e Harlan, sì, ma... sei molto più forte e molto più aperta" aggiunse. "Hai già provato a suonare il tuo violino?"

Il dolore negli occhi di Vanya si dissipò. "Probabilmente è al mio appartamento. Dovrei andarci."

Allison versò il latte nel suo caffè. "Vuoi andarci insieme?"

"Sì, mi piacerebbe."

_____________________
 

Diego passò le dita sul tavolo nella sala da pranzo. Il legno era molto curato, ma vecchi solchi ancora narravano la sua storia. Sorrise lievemente ad uno particolarmente distintivo – sembrava che fosse stato fatto da uno dei suoi coltelli, anche se non ricordava fosse successo. Non sedeva nemmeno in quel posto – era... un posto vuoto. È così, nessuno sedeva lì.

Buffo, pensò Diego. Come si fosse dimenticato così tanto di ciò che era successo fra quelle mura, di tutti gli anni che aveva vissuto lì.

Diego ricordò una domenica pomeriggio particolarmente soleggiata, in cui loro padre era di umore particolarmente buono. Aveva concesso loro di andare in spiaggia con Grace, e quel pomeriggio fu una delle cose migliori di tutta la sua infanzia. A sette bambini che a malapena mettevano il naso fuori casa era stata finalmente concessa la libertà di essere semplicemente bambini per un po'.

...Nah, sei.

Proprio così. Sei bambini. Lui e Luther volevano vedere in una competizione chi poteva nuotare fino al ponte più veloce – Diego era sempre stato un gran nuotatore, perciò aveva vinto. Allison, Klaus e Vanya avevano lavorato ad un maestoso castello di sabbia, e Ben aveva raccolto conchiglie con... nessuno. Da solo. Giusto. O forse aiutato da Grace.

"Heyy" Diego alzò la testa sentendo Klaus salutarlo dalla porta. "Che fai?"

"Sto solo pensando" ammise. "Per caso ti ricordi come ci è finito qui questo?"

Passò le dita sulla profonda ammaccatura nel legno e Klaus si avvicinò per dare un'occhiata.

"Huh" sorrise. "Quella è da un coltello. Ora fammi pensare – chi in questa casa ha una morbosa ossessione per i coltelli?"

Diego roteò gli occhi. "Te lo sto dicendo, non ricordo di averlo fatto."

Klaus alzò le spalle. "Beh, ragazzo dei coltelli... A dire il vero stavo per chiederti se avevi in mente di sbarazzarti di quei tuoi, uh, capelli?"

Il vigilante portò le mani alla testa, carezzandosi le ciocche sulla difensiva. "No. Mi piacciono. Antonio Banderas."

Diego adocchiò il fratello, sospettoso. "Tu taglierai i tuoi?"

"No. È boemo. Li adoro."

"Hey ragazzi?" Luther spuntò sulla porta, facendoli saltare entrambi. "Scusate."

"Hey, ragazzone" lo salutò Klaus. "Dormito bene?"

"Il mio letto è troppo piccolo" ammise l'uomo corrugando la fronte.

Diego sbuffò. "Hai provato la cheto?"

"Per l'ultima volta, non sono grasso" ringhiò Luther, i suoi occhi dardeggiavano contro il fratello.

Sentirono delle risatine dal corridoio e girandosi videro che Allison e Vanya stavano salendo su per le scale. Le notarono e cambiarono direzione.

"Che sta succedendo qui?" chiese Allison incuriosita.

"Niente" rispose Diego con un ghigno. "Ci stiamo solo scambiando i 'buongiorno'."

Vanya alzò le sopracciglia, scettica.

"Hey, uh, che facciamo adesso?" Klaus riempì il silenzio. "Tipo... abbiamo appena fermato l'apocalisse – per la seconda volta – e siamo tornati dagli anni '60. Ma adesso?"

Diego ripensò alla sua passione di vigilante, proprio quello che amava fare. Era ciò che lo faceva alzare dal letto la mattina, ciò che gli faceva fare un giro di piegamenti in più, ciò che lo faceva dormire ogni notte con un coltello sotto il cuscino.

Ripensò alla angusta stanza sul retro della palestra, i muri sporchi, i pochi beni matriali che possedeva.

"Immagino che torneremo dove eravamo" disse lentamente, il pensiero lo rese sorprendentemente depresso.

Klaus si morse un labbro senza dire niente, lanciando invece un'occhiata alle ragazze.

"Ho una penthouse a Manhattan" disse Allison fissando un punto lontano. "Ci vado stasera e penserò a cosa fare dopo."

"Io devo tornare all'orchestra" annuì Vanya. "Sono primo leggio adesso e questo comporta molte responsabilità. Non mi sono esercitata per un mese."

Gli altri annuirono lievemente all'unisono.

"Klaus?" lo interogò Diego. "Hai un posto dove andare?"

L'uomo si risvegliò da pensieri profondi, scuotendosi sotto il suo sguardo. "Io? Oh, sììì, certamente. Certo."

"Bene."

Allison allora gettò uno sguardo a Luther. "E tu?"

Il loro Numero Uno rimase silenzioso per un po'. "Beh, sono sicurissimo che non tornerò sulla luna, quindi... Credo che starò qui per ora."

"Bene, allora" Klaus sospirò cercando di alleggerire l'atmosfera improvvisamente molto pesante nella stanza. "Restiamo in contatto, va bene? Facciamo un brunch qualche volta?"
 

_____________________
 

Klaus fissò l'ingresso del rifugio per senzatetto in cui aveva speso la maggior parte nelle notti. Era strano vederlo da sobrio.

Erano passati tre anni da quando era stato lì. Questo posto, per lui, non era altro che un brutto ricordo. Era stato in un posto molto migliore nella sua testa negli ultimi anni, non aveva toccato droghe durante gli anni trascorsi nel passato e non ne aveva sentito il desiderio dal 1961.

"Come butta, Klaus" un uomo familiare lo salutò con un soriso a trentadue denti prima di entrare.

"Non mi lamento" sorrise debolmente.

Questa era la sua vita. Da un senzatetto a un altro. Un uomo disperato in un postaccio, che combatte i suoi demoni, lungo un infinito percorso di autodistruzione.

Klaus aveva fondato qualcos'altro durante il suo tempo a Dallas. La sua setta era strana e l'atteggiamento dei suoi seguaci nei suoi confronti gli davano leggermente il voltastomaco, ma quelle persone non erano state altro che gentili con lui. Lo avevano accettato con tutte le sue stranezze e le sue stronzate, come aveva menzionato Diego una volta.

La vita per strada era dura. Conosceva un sacco di persone, e aveva fatto del suo meglio per evitare quelle peggiori. Per lo più ci era riuscito.

"Non so cosa fare" bisbigliò prima di realizzare che Ben non era più lì.

Giuso. Era da solo ora. Dopo aver goduto della costante compagnia del fratello morto negli ultimi diciassette anni, fino all'irritazione, non si sorprese di vedere che gli faceva male dentro in un modo che gli ricordava il giorno in cui perse Dave.

Dave.

Klaus sarebbe dovuto tornare a fare una visita al bar dei veterani. Per vedere se la fotografia di Dave era ancora lì. Per vedere se... era stato ascoltato.
 

_____________________
 

L'appartamento di Vanya era così silenzioso, adesso che Allison se n'era andata. Avevano parlato per un'ora, l'aveva ascoltata suonare, poi era andata a casa sua. Aveva detto qualcosa sul fissare un appuntamento con il terapista ordinato dal tribunale.

Le sue dita scorrevano sulle corde del violino, la loro famigliarità provocava una delicata sensazione tiepida al suo addome. Portò lo strumento alla spalla, chiudendo gli occhi.

Quel violino era stato suo amico quando nessun altro lo era. Ci aveva messo anima e cuore in esso, perfezionando le sue abilità con passione e ambizione. Quello strumento era così amato, così curato.

Aveva scoperto scoperto nuovi aspeti di se stessa durante il tempo passato con Sissy – come quanto sia meglio stare con le donne che con gli uomini, che era sorprendentemente brava con i bambini e che le piacevano tantissimo i cavalli.

Ma era questo che le era mancato. Il suo violino. La sua musica.

Vanya appoggiò l'archetto sulle corde iniziando lentamente a suonare la melodia. Le sue mani erano salde e precise – come se non avesse mai smesso.

La sua mail conteneva gli spartiti del Capriccio n.24 di Paganini e mentre seguiva le note avvertì la famigliare eccitazione montarle nel petto.

Le era mancato. Davvero.

La pratica la tenne impegnata per ore, e non aveva voglia di smettere – ma dovette prendersi una pausa per il benessere del suo collo. Faceva un male cane e strofinò suo tendini con il pollice.

Vanya si avvicinò alla poltrona guardandosi intorno nel suo appartamento vuoto, sentendo una tale ondata di solitudine che quasi le chiuse la gola ostruendo il flusso d'aria.

Ricordò di essersi seduta lì, sul divano, pensando di aver ucciso sua sorella.

Sembrava fosse successo anni fa, in un altro tempo. Quasi un brutto sogno.

Ma era successo. E Allison l'aveva perdonata. E i suoi fratelli l'avevano accettata.

Le dita di Vanya catturarono una piccola macchia sulla sedia e abbassò lo sguardo per vedere qualcosa che assomigliava in modo sospetto a del sangue assorbito dal tessuto.

Non sapeva da dove venisse, ma per qualche ragione la rese molto triste.

Guardandosi intorno nell'appartamento silenzioso, coccolando il suo violino contro il petto come un bambino, si chiese perché non sentisse più quel posto come casa.
 

_____________________
 

Diego aprì cautamente la porta della palestra. Ragazzi muscolosi combattevano l'uno contro l'altro sul ring, come sempre, e Al urlava contro di loro – come sempre.

Le solite cose.

Tranne che quando si mostrò, Al fischiò per interrompere il combattimento. Il vecchio uomo irascibile si affrettò verso di lui, uno sguardo cupo in volto.

Diego si preparò a una lavata di testa.

"Hai fino a domani pomeriggio per portare la tua roba fuori di qui" dichiarò Al come un dato di fatto non appena furono faccia a faccia.

Diego non era sicuro di aver sentito bene. "Cosa?"

"Mi hai sentito, ragazzo" brontolò. "Sei sparito per giorni. Ti avevo avvertito di non fare questo genere di cazzate, ma non ascolti. Ne ho abbastanza."

"Okay, sì, ma in mia difesa," Diego alzò le mani con calma, "avevo delle ottime ragioni. Ho dovuto fermare un paio di apocalissi. Emergenze famigliari."

Al scosse lentamente la testa. "Che è la parrucca?"

"Non preoccuparti di questo."

L'uomo sospirò guardando in basso. "Mi dispiace, Diego. Ma quando è troppo, è troppo. Continui a sparire Dio sa dove. E un giorno qualcuno con dei rancori nei tuoi confronti piomberà qui e brucerà l'intero dannato palazzo. Devi andartene."

Diego sgranò gli occhi. "Davvero?"

"Sì. Ti voglio fuori. Scusa."

Allison spinse la chiave nella toppa. Il suo appartamento era al centosettesimo piano del più alto palazzo a Manhattan in una zona incontaminata con la vista sulla città.

Una volta amava questo posto – quando era ancora vanitosa, egocentrica e materialista. All'interno il design moderno era alla moda, certo, ma il posto era freddo.

Era privo di qualsiasi personalità. Allison si rese conto che le mancava la splendida casa nella zona sud di Dallas che condivideva con Ray. Forse avrebbe dovuto cercarlo e trovarlo – scoprire cosa gli era successo.

Allison entrò, lanciando il cappotto sulla sedia vicina. Trovò il suo portatile e quello tornò a ronzare con velocità.

La tecnologia era una cosa che aveva perso negli anni '60 – tutto era molto più semplice in quei giorni. Decise di iniziare cercando il suo nome su Google.

 Raymond Chestnut.

I risultati della ricerca le portarono un sorriso sul volto. Numerosi articoli di cronaca parlavano dei suoi successi come organizzatore dei diritti civili. Più tardi nella sua vita aveva insegnato all'università. Aveva parlato di Rosa Parks, di come aveva incontrato e sostenuto Marin Luther King...

C'era una pagina di Wikipedia su Ray. Allison deglutì, cliccandoci sopra con riservo.

 Raymond Emmet Chestnut (7/5/1928 – 1/12/2008) fu un attivista per i diritti umani di successo e un professore. È conosciuto soprattutto per l'organizzazione del famoso sit-in allo Stadtler's café nel 1963 e per il suo lavoro con Martin Luther King Jr.

Era morto.

Certo che lo era.

Allison si asciugò una lacrima solitaria dalla guancia. Aveva sperato di poterlo vedere... un'ultima volta.

Scorrendo per leggere della sua vita privata, scoprì che si era risposato nel 1969 e che era padre di quattro figli.

La sua prima figlia si chiamava Alice.

Rise fra le lacrime. Ray aveva vissuto una bella e lunga vita, aveva avuto tutto ciò che aveva sempre sognato.

Era stato felice.

Poteva Allison lamentarsi? Non proprio. Una vita come quella era qualcosa cui poteva soltanto anelare – ma sapeva infondo che una vita normale era fuori portata per loro.

I fratelli Hargreeves non potevano avere cose come quelle.

Allison ascoltò il silenzio nela spaziosa penthouse e un velato brivido le corse lungo la spina dorsale.

Era sola, realizzò. Non le dava molto fastidio prima – certo, le mancava Claire ogni singolo giorno, pensava a lei ogni notte quando andava a dormire, ed era sempre la prima cosa nei suoi pensieri quando si svegliava.

Ma quello era diverso. Ad Allison mancava parlare con qualcuno, le mancava la compagnia delle persone. Le mancavano le persone che amava. Le mancavano Luther, Vanya, Diego. Ben. Le mancavano la mamma e Pogo.

RayClaire.

Le mancava qualcosa di vitale.
 

_____________________
 

Luther si sedette sul suo letto abbassando lo sguardo sulle sue ruvide, grandi mani. Come ci era finito lì? Di nuovo in quella grande casa solitaria?

Papà se n'era andato adesso, certo. Ma anche i suoi fratelli.

Se ne erano andati tutti. Di nuovo.

La mamma e Pogo erano lì per lui qualora avesse voluto parlare, ma non potevano riempire l'immenso spazio vuoto nel suo petto.

Lo aveva fatto Allison. La notte precedente, solo loro due, a guardare il fuoco e a bere vino e a parlare della vita e del futuro e del passato, anche degli eventi della sera prima (incluso tutti loro che giocavano a Monopoly, poi a Uno, finendo le scorte dei liquori costosi di papà, litigando con Diego, Allison aveva fatto così tante foto che aveva perso il conto) era esattamente ciò di cui aveva bisogno per riempire quel vuoto.

La sua famiglia. La sua incasinata, disfunzionale, ostinata, impossibile famiglia.

Non c'era nulla al mondo che Luther non avrebbe fatto per loro.

Si sdraiò, sospirando mentre guardava fuori dalla finestra. Odiava essere solo.

Lo odiava.

Luther ci era abituato, è vero, ma ci sono cose a cui un uomo non dovrebbe abituarsi. Lui voleva la sua famiglia nella sua vita.

Si calmò pensando che i suoi fratelli non se ne sarebbero andati per sempre. Allison gli aveva promesso che, una volta ottenuti i diritti di visita, lo avrebbe portato a conoscere Claire.

Non vedeva l'ora.

Sospirando, Luther si alzò e si diresse verso la cucina. Aveva bisogno di un po' di cibo di conforto, dal momento che non c'era altro per riempire il vuoto. Mezzo chilo di gelato avrebbe fatto il suo dovere.

Camminando lungo il corridoio, si fermò davanti a una porta. Aveva una sensazione strana.

Che stanza era quella, pure? Luther trovò la maniglia polverosa dal poco uso.

Questo non era normale. Conosceva ogni singola stanza nella casa, perciò com'era possibile che si fosse dimenticato di questa? Esitante, Lither mise la mano sul pomello e lo girò.

Nulla successe. La porta sembrava bloccata. Luther sapeva che spesso sottovalutava i suoi poteri, e decise di non forzarne l'apertura. Avrebbe potuto chiedere a Pogo in proposito.

Luther mise la porta misteriosa in secondo piano nei suoi pensieri e tornò a pensare al gelato. Nel momento in cui raggiunse il primo piano, fu allertato da stridii di gomme nel vialetto. Sorpreso, tornò verso l'ingresso e sbirciò all'esterno.

Era Diego. Portava con sé una borsa da hockey, sembrava molto piena. Camminava lentamente e con passo pesante – qualcosa che Luther non aveva mai visto prima.

Un'ombra rabbuiò il volto dell'uomo mentre si avvicinava alla porta principale.

Luther l'aprì prima ancora che bussasse.

"Diego?"

L'uomo saltò, agitato. "Accidenti, amico."

"Cosa ci fai qui?"

Diego sembrò a disagio. "Al mi ha cacciato perché non facevo il mio lavoro. Salvare il mondo non era una ragione sufficiente, a quanto pare."

Luther deglutì e lo fece entrare.

Diego andò drito in soggiorno e sedette sul divano con un pesante sospiro.

"Come mai così giù di morale?" chiese Luther.

"Il vigilante gli lanciò un'occhiata da sopra la spalla. "Non volevo tornare qui. C'è troppo papà in questo posto."

"È morto."

Diego mormorò in risposta, assente. "Già. Credo di non averlo ancora elaborato."

"Lo sai, a questo posto servirebbe una ristrutturazione" fece Luther sedendosi accanto a lui. "È tutto un po' vecchio, non trovi?"

Diego sbuffò. "Ristrutturazione?"

"Sì. Hai detto che c'è troppo papà qui. Ora è morto, no?" Luther alzò le spalle. "Rendiamolo più come... beh, noi. Allison adorerebbe dare un po' di vita a questo posto."

Lo rese felice vedere un sorriso attraversare il volto del fratello. "Devo ammetterlo, quello spazio vuoto sopra il caminetto mi dà davvero fastidio. Ci si potrebbe mettere un dipinto o qualcosa."

Luther concordò. "Sì, ma niente di noioso però."

"Allison ha fatto molte belle foto ieri sera" pensò Diego ad alta voce. "Forse potremmo incorniciarne una."

"Questa è un'ottima idea."

Luther e Diego saltarono sorpresi quando, girandosi, videro proprio Allison, in piedi all'ingresso, sembrava un cucciolo smarrito.

Si morse il labbro.

"Hey" il tono di Luther era ruvido, e il suo stomaco fece quello sfarfallio che faceva sempre quando Allison faceva un ingresso. C'era qualcosa di semplicemente accattivante in lei.

"Che ci fai qui?" chiese Diego, ma il suo tono era puramente curioso, non accusatorio.

"Non potevo stare alla penthouse" mormorò Allison posando a terra la sua ventiquattrore. "Mi ricorda la vita che ho lasciato. Qualcuno che non sono più."

"Beh, questa sarà sempre casa tua" disse Luther tranquillamente, toccandole la spalla gentilmente quando si sedette accanto a loro. "Stai tutto il tempo che vuoi."

Lei si accomodò in mezzo ai due e, dopo anni a studiarle il volto, Luther sapeva che c'era qualcos'altro.

"Cosa c'è che non va?" chiese dolcemente.

"Ho visitato la tomba di Ray" rispose. "Ha visuto una bella vita. Una vita felice. Ha avuto quattro figli."

"Beh, è bello, no?" disse Diego esitante.

Allison emise un mormorio in assenso. "Sì. Mi fa chiedere perché nessuno di noi può averla. Perché tutte le nostre vite sono delle tali schifezze."

Quelle parole li zittirono per un momento.

Non aveva torto, non del tuto.

"Potrebbe andare peggio" osservò Luther prendendole una mano fra le sue e stringendola gentile. "Almeno abbiamo l'un l'altro, giusto?"

Allison lo guardò e v'era un sorriso a stirarle le labbra. "Già. Immagino di sì."

"C'è nessuno?"

Una voce chiamò dall'ingresso. Si voltarono per vedere Klaus addentrarsi.

"Siamo qui" lo richimò Allison. "Unisciti a noi."

Prima che Klaus potesse entrare nel salotto, le porte si aprirono di nuovo. Klaus lanciò uno sguardo oltre la spalla e vide Vanya entrare con la custodia del suo violino. La sorpresa le ricoprì il volto quando li vide tutti.

"Oh" disse soltanto.

Luther si appogiò sul divano giungendo a una sciocca conclusione. Queste persone, queste sorprendenti, distrutte persone, la sua famiglia, erano perse tanto quanto lui.

E sembrava che non fosse così solo come pensava.

Klaus e Vanya entrarono nel soggiorno. L'uomo magrolino si levò il cappello da cowboy e lo lanciò sul bancone del bar.

"Non c'era un dipinto lì?" si accigliò vedendo lo spazio vuoto sul caminetto.

"Nah, sono abbastanza sicuro che sia sempre stato vuoto" dichiarò Luther. "Ma avevamo l'idea di metterci una foto di famiglia. Una vera. Fra quelle che ha fatto Allison ieri sera."

"Rendiamo questo posto una casa?" propose Vanya con un piccolo sorriso, ma la voce piena di speranza.

"Esattamente" le rispose.

Allison tirò fuori il cellulare con un sorrisetto. Aprì la galleria e tutti si avvicinarono per vedere le foto che aveva fatto.

Erano bellissime. Stavano ridendo, erano felici, sembravano...

Una famiglia. Dei veri fratelli.

"Ugh, perché le migliori hanno sempre questo strano spazio vuoto?" si lamentò Allison. "Guardate questa. Sarebbe perfetta. Perché tieni le braccia così, Klaus?"

"Sembra ridicolo" ammise Diego.

"Fottiti, coltellomane" Klaus suonò offeso. "Torna indietro. Vedi, lo fai anche tu."

Il vigilante si avvicinò, ed era abbastanza sicuro – sembrava avere un braccio su qualcosa di invisibile.

"Gesù, quanto abbiamo bevuto l'altra sera?" aggrottò la fronte.

Luther non riusciva a togliersi di dosso la spiacevole sensazione che ebbe da quelle foto. C'erano troppi spazi vuoti in quelle immagini perché fosse una coincidenza.

Si sorpresero quando Pogo si palesò all'entrata. Sembrava a sua volta egualmente sorpreso di vederli tutti lì.

"Oh" la vecchia espressione tesa sul suo volto tramutò in un sorriso. "Siete tutti qui."

"È okay?" chiese Vanya timidamente.

"Come ho già detto, miss Vanya" le disse Pogo, "questa è casa sua."

Strinse la presa sul suo bastone. "Ma devo chiedervi – qualcuno di voi ha fatto qualcosa ai video di sorveglianza di vostro padre? Ho controllato la stanza oggi, e..."

I suoi occhi si rabbuiarono. "I nastri... erano tutti distrutti. Bruciati. Sciolti dall'interno."

"Com'è possibile?" Allison si alzò lentamente. "Non siamo stati noi, Pogo, lo giuro."

"Le credo" la rassicurò. "Ma... qualcuno lo ha fatto. E sono preoccupato."

Stavano per arrangiare un brainstorming quando un forte suono scricchiolante riempì la stanza. Una luce blu si accese nel centro del salotto facendoli barcollare tutti all'indietro, in allerta. Un forte odore di elettricità impregnò l'aria.

Quando la luce svanì, un piccolo uomo paffuto in un impermeabile se ne stava in piedi al centro. Portava con sé due valigette, una identica a quella attualmente nascosta nella cassaforte di papà.

"Herb?" tossì Diego fissandolo in confusione. "Che ci fai qui?"

L'uomo sembrava esausto; occhiaie scure sotto gli occhi, le sue palpebre si abbassarono e il suo respiro era pesante e affannato.

"Cosa diavolo" la voce di Herb tremò, "avete fatto?"

   
 
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