Questa
storia partecipa al #giocodiscrittura del gruppo Facebook “Caffé e
Calderotti”.
Pacchetto
Genere:
fluff.
Personaggi:
Victoire Weasley, Teddy Lupin.
Un attimo di attenzione, per favore. Questa oneshot si svolge dopo un ipotetico finale di Battlefield. Non è necessario leggere la long, naturalmente, ma alcuni dettagli (Delacour, ad esempio, o il colore degli occhi di Teddy) potrebbero non esservi chiarissimi.
Trickster
«Non
sei male come Cacciatore».
Victoire si friziona i capelli bagnati
con un asciugamano, scoccando un sorriso radioso alla sua compagna di
squadra.
«Sul serio» riprende Sutton, imbacuccata nel suo
accappatoio mentre tira fuori il cambio dal proprio armadietto.
«Credevo che ti avessero messo in squadra solo per il tuo cognome»
ammette schietta, infilandosi l'intimo.
Victoire non può che
incassare la testa nelle spalle, soffocando una smorfia di
disappunto.
Ha cercato di far finta di nulla, ma ha sentito
benissimo i commenti sussurrati tra gli spogliatoi delle Holyhead
Harpies quando, dopo la gavetta, è riuscita ad ottenere un posto tra
le titolari. Le hanno detto che era una raccomandata, nel migliore
dei casi.
«E dire che abbiamo giocato contro ad Hogwarts» si
lascia sfuggire, piccata, facendo uscire aria calda dalla bacchetta
per asciugarsi i riccioli biondi.
Sutton fa spallucce, continuando
a vestirsi.
«Sono un Cercatore» precisa, serena. «Il mio
compito è occuparmi del Boccino. Non mi sono mai preoccupata dei
giocatori della squadra avversaria, specie se Grifondoro» precisa
con una smorfia che ribadisce la sua fierezza nell'essere appartenuta
alla Casa di Salazar. «Piuttosto, sta sera hai impegni?»
«Mi
vedo con Teddy» risponde Victoire, lieve, indossando una maglietta
verde con l'artiglio dorato, il simbolo della squadra.
Sutton
sorride maliziosa, voltandosi verso di lei con uno sventolio di
capelli castani.
«Ah, l'amour!» cinguetta
canzonatoria.
«Che scema!» l'apostrofa Victoire, scherzosa,
finendo di vestirsi.
«Sai che sono rimasta di sasso quando mi hai
detto che stavate ancora insieme?» confessa la compagna, incrociando
le braccia e appoggiando la schiena all'armadietto mentre il resto
delle giocatrici inizia a scemare via dallo spogliatoio. «Insomma,
già all'epoca rimasi stupita della notizia. Non credevo che Lupin
potesse stare con qualcuna. Anche se siamo dello stesso anno e
abbiamo avuto qualche lezione in comune, non ci ho parlato più di un
paio di volte. Non me lo sarei immaginata fidanzato, dopo tutti
questi anni poi» borbotta raccolta, increspando la fronte.
«In
effetti, non ha un carattere facile» concorda Victoire,
tranquilla.
«Oh, credo che i suoi punti di forza siano altri»
borbotta Sutton, ghignando. «Senti un po', ma lui com'è a letto?»
spara indelicata.
Victoire sgrana gli occhi per la sorpresa, prima
di ridacchiare di gusto.
«È un dubbio del tutto legittimo»
continua imperterrita l'altra, difendendo la propria curiosità.
«Insomma, lo vedi sempre così controllato, per cui mi chiedevo se
nel momento clou non fosse... moscio».
Victoire
continua a ridere, sedendosi sulla panca per controllare di aver
messo nel borsone la divisa e tutti gli indumenti da lavare.
«Se
ti sentisse» mormora, allegra.
Sutton annuisce,
consapevole.
«Probabilmente mi taglierebbe la testa» concorda,
per nulla preoccupata. «Quindi?» riprende pettegola.
Victoire si
carica il borsone sulle spalle e afferra il manico della sua
scopa.
«Apprezzo la tua preoccupazione, ma la mia vita
sessuale va' a
gonfie vele» afferma incamminandosi verso l'uscita, con Sutton al
suo fianco.
«Meno male» pronuncia questa, sollevata. «Anche se
mi chiedo come tu faccia a resistere ancora con la stessa persona
dopo tutti questi anni. Sai che alcune coppie storiche che conosco
fanno una cosa a tre, ogni tanto? Dicono che è per scacciare la
routine...» si blocca di colpo, strabuzzando gli occhi. «Oddio, non
dirmi che sta entrando nella fase definitiva... non vuole chiederti
di sposarti, vero?» sbotta, sbarrando gli occhi.
Victoire
spalanca la bocca esterrefatta, torcendo il collo verso di lei con un
movimento tanto repentino quanto doloroso. Reprime un gemito tra i
denti, strizzando gli occhi e massaggiandosi la parte dolente.
«Ma
ti pare?» ritorce allibita. «Nemmeno conviviamo. Teddy ha finito
l'Accademia Auror da un anno, io sono stata appena presa nella
squadra. È troppo presto anche solo per pensare al matrimonio»
conclude sicura.
«Vorrei anche vedere» risponde Sutton, gli
occhi spalancati ed enormi. «Non puoi abbandonarmi così in questo
pollaio. Con chi sopporterò gli strilli dell'allenatore, la boria
delle altre e gli allenamenti massacranti? E poi con chi andrò a
ballare?» se ne esce, lacrimevole, sporgendo il labbro
inferiore.
«Guarda che il matrimonio non è la fine del mondo»
ribatte leggera Victoire.
Sutton inarca le sopracciglia,
pessimista.
«Per una figlia di genitori divorziati che si
insultano ogni volta che si vedono, credimi, lo è» afferma con una
certa amarezza, incupendosi e storcendo le labbra in una smorfia
addolorata.
Victoire ha giusto il tempo di aprire la bocca, pronta
a pronunciare qualche parola di conforto – anche se sa benissimo
che servirà a tamponare solo momentaneamente l'umore della collega
–, quando, uscendo dalla struttura ufficiale delle Holyhead
Harpies, lo vede appoggiato al muretto, le braccia incrociate e
l'espressione assorta e incurante degli sguardi femminili delle altre
giocatrici che lo omaggiano.
«Sbaglio o quella è la tua dolce
metà?» ironizza Sutton, maliziosa.
«Già» risponde Victoire,
aggrottando la fronte perplessa.
Teddy detesta cordialmente
qualsiasi posto dedicato al Quidditch e cerca di starci il più
lontano possibile – se fosse Ministro, probabilmente lo mettere al
bando dopo aver istituito la sua dittatura.
Nell'ultimo anno si
sarà recato lì sì e no due volte, e solo perché Victoire aveva
dimenticato qualche documento o quando si era ammalata e non se la
sentiva di fare una Smaterializzazione. In entrambi i casi, aveva la
faccia disgustata di chi si trova in un luogo che suscita solo
disprezzo.
«Ti consiglio di correre in suo soccorso» la riscuote
Sutton, ridacchiando. «La Hudson ha già sfoderato gli artigli e
sembra prepararsi a lanciarsi in picchiata per afferrare la
preda».
Ricordando la predilezioni dell'altra collega per i belli
e tenebrosi – categoria nella quale Teddy rientra appieno – e la
poca pazienza che il suddetto dimostra verso qualsiasi essere umano,
specie se questa è favorevole ad un sport, per citarlo, triviale,
idiota e rumoroso.
«Mi raccomando: se si inginocchia e tenta
di infilarti un anello al dito, tu urlagli un no come
risposta e tramortiscilo» la saluta la collega, facendole
l'occhiolino e smaterializzandosi con un sonoro pop.
«Ciao»
mormora Victoire, avvicinandosi al ragazzo e bloccando l'avanzata
della Hudson. Anche se ora la ragazza la guarda truce, un giorno la
ringrazierà per averle salvato la vita. «Che ci fai qui?» chiede
vaga, con un velo di apprensione.
Teddy ruota le iridi gialle
verso di lei, gelide e sprezzanti.
«Non posso?» sibila
infastidito, staccando la schiena dal muro.
Victoire decide di
soprassedere al suo malumore. Probabilmente lo sforzo per non darsela
a gambe o dar fuoco all'intero complesso, lo sta quasi
uccidendo.
«Certo che puoi» risponde sorridendo tranquilla. «Ma
visto che non sei stato costretto, temo che la tua presenza qui sia
un segnale dell'Apocalisse» scherza di buon umore.
«Volevo
vederti» risponde Teddy, brusco. «Dammi il borsone e andiamocene.
La tua amica mi sta innervosendo» commenta secco, issandosi il
borsone su una spalle e gettando alla Hudson uno sguardo
intimidatorio.
Victoire sorride e si stringe a lui. La
Smaterializzazione Congiunta le oscura la vista e le mozza il
respiro, ma un secondo dopo, quando sbatte le palpebre, si ritrova
nel salotto del piccolo appartamento di Teddy.
Lui accende le luci
con un colpo di bacchetta e spedisce le loro giacche verso
l'attaccapanni e il borsone in camera.
«Vado a mettere le cose da
lavare, mi cambio e arrivo» dice Victoire, con l'acquolina già in
bocca a causa dell'odorino di arrosto che proviene dalla
cucina.
Teddy le fa un cenno con il capo.
«La cena è pronta
tra cinque minuti» risponde solamente, chiudendosi la porta alle
spalle di quello che, da tre anni, è diventato il suo regno.
Con
una fame da lupi, Victoire prima di reca in bagno per mettere gli
indumenti sporchi nella lavatrice, poi in camera dove – dopo
aver amorevolmente appoggiato il manico della scopa alla
parete – tira fuori dall'armadio un paio di pantaloncini
e una maglietta sbrindellata e lisa. Nonostante sia ottobre,
l'appartamento che Teddy ha ereditato da suo nonno è un forno. In
estate, il problema è risolvibile con un incantesimo raffreddante –
anche se bisogna andarci cauti con la magia, data la presenza degli
elettrodomestici e dei vicini Babbani –, d'inverno basta
semplicemente sostituire i maglioni con capi più leggeri.
Mentre
finisce di infilarsi la maglietta, Victoire attraversa il soggiorno
verso la cucina.
Quando apre la porta, rimane paralizzata sulla
soglia con gli occhi sbarrati che minacciano di caderle dalle
orbite.
Il piccolo tavolo è imbandito con piatti di porcellana e
calici di vetro. Detto così, potrebbe anche sembrare normale ma la
presenza di due candele cilindriche accese – candele, per Godric! -
inquietano talmente tanto la ragazza che rimane a fissarle
fulminata.
Victoire deglutisce e sente una morsa di puro terrore
artigliarle le viscere.
«Teddy» pigola piano, spostando lo
sguardo verso sinistra e rimanendo ferma dov'è.
«Mmm» mugugna
lui distratto, accucciato davanti al forno, unica altra fonte di luce
se si esclude quella posta sopra i fornelli.
Victoire fa un
respiro profondo, dando prova di tutto il suo spirito
Grifondoro.
«Che cos'è?» domanda piano.
Teddy si rialza in
piedi, voltandosi verso di lei. Aggrotta la fronte, perplesso dalla
sua faccia.
«Cosa?» domanda confuso, con una punta di
preoccupazione. Forse, nonostante la poca illuminazione, si è
accorto che lei è sbiancata.
«Questo» squittisce Victoire,
indicando con un dito il tavolo.
Lui la fissa qualche secondo in
silenzio, con quello che sembra sincero compatimento, prima di
inarcare un sopracciglio.
«Ad occhio e croce, direi una tavola
apparecchiata» risponde derisorio.
Victoire boccheggia, poi serra
i denti con un moto di stizza.
«E perché?» investiga imperiosa,
incrociando le braccia al petto.
Teddy si lascia sfuggire un
lamento esasperato, prima di recuperare le presine e aprire il forno.
«Forse perché dobbiamo cenare?» le fa notare laconico, con leggero
spregio.
Victoire scuote la testa, cercando di scacciare quel
principio di irritazione che minaccia di impossessarsi di lei e farle
scappare qualche parola sgradevole di bocca. Si morde con rabbia il
labbro inferiore ed emette uno sbuffo.
«Quello l'ho capito»
sbotta fosca. «Volevo sapere il perché delle candele e» un altro
brivido le scivola lungo la colonna vertebrale. «Dei fiori come
centrotavola» sfiata agghiacciata.
Lui la fissa sconvolto con la
teglia fumante tra le mani, un istante dopo serra gli occhi gialli
con ferocia e arriccia le labbra.
«Dio, Vic, uno cerca di fare
una cosa carina e si becca un'inquisizione» protesta tracotante,
sbattendo con rabbia lo sportello della cucina alla ricerca di un
sottopentola. Lo tira fuori e lo appoggia sul piano della cucina,
mettendovi sopra anche la teglia del roast-beff.
Spegne il forno,
sbuffando incarognito, dandole le spalle e procedendo a tagliare la
carne. Conoscendo il suo orgoglio, è la volta buona che smette di
parlarle per sempre.
Sentendosi orribile – e provando pietà per
quell'innocente arrosto che sta subendo la sua ira –, avvicina a
lui e gli avvolge i fianchi con dolcezza.
«Hai ragione, scusa»
borbotta colpevole, appoggiando la fronte contro la sua schiena. «Sei
stato molto carino».
«Non dire così, mi fai solo più
incazzare» replica Teddy, sprezzante.
«Sono solo rimasta
sorpresa» continua Victoire, cauta. «Non è nemmeno il nostro
anniversario».
Lui la ignora, continuando a fare il sostenuto e a
riempire due piatti con carne e patate fumanti.
«Sai che Sutton
mi ha detto che molte coppie che conosce si sono date al sesso a tre»
se ne esce Victoire all'improvviso, sperando di coinvolgerlo in una
discussione che gli faccia dimenticare l'offesa. «Per cui, mi sono
detta-»
«No» stabilisce Teddy, serio e contrariato, voltandosi
con i piatti in mano. «Le cose a tre non mi piacciono».
Victoire
arcua un sopracciglio, fingendosi stupita.
«Non le hai mai
provate» ribatte ragionevole.
Lui si acciglia, storcendo le
labbra in una smorfia e appoggiando i piatti sul tavolo. Stappa la
bottiglia di vino e rovescia il liquido scarlatto – anche se alla
luce delle candele pare nero – nei due calici.
«Fa niente. Non
mi interessa avere un altro corpo nudo da toccare quando ci sei tu. E
poi» si ferma solo un istante, alzando il capo verso di lei. «Non è
che questa Sutton mira a te?»
Victoire ride, avvicinandosi a lui
e prendendo posto a tavola. Osserva il piatto ricolmo di cibo mentre
un fiotto di calore le invade il petto e le fa nascere un sorriso
sulle labbra.
«Teddy?»
«Cosa?» risponde lui, senza alzare
gli occhi dal suo, di piatto, e afferrando la forchetta.
«Lo so
che detesti quando lo dico» esordisce, incurante dell'occhiata di
avvertimento che le viene rivolta. «Ma quando fai così, sei
veramente carino. Quasi da sposare» precisa
scherzosa.
Lui la fissa inorridito, gli occhi gialli baluginanti
dal panico.
*
Chiaramente
ha in mente qualcosa.
Victoire lo scruta di sottecchi, ben attenta
a non farsi beccare. Passi che lui abbia avuto l'idea di farle una
sorpresa, ma guarda caso ha cucinato proprio i suoi piatti preferiti
– anche l'Eton mess, e Teddy detesta la panna. La mangia
solo spalmata su di lei, ma questo è un altro discorso – come se
volesse ben disporla per poi darle una notizia che sa che la farà
arrabbiare.
Inoltre, altro indizio da non sottovalutare, non ha
mosso nessuna obiezione quando lei gli ha proposto di guardare il
film L'amore non va in vacanza.
Considerando che i
film romantici lo fanno addormentare – quando non si irrita a morte
per l'idiozia dei protagonisti –, è alquanto strano e inquietante
che sia seduto da mezzora sul divano, il gomito appoggiato al
bracciolo per sorreggersi il viso, con un'espressione indecifrabile e
lo sguardo fisso sullo schermo del televisore.
Non ha fatto
nemmeno un commento sarcastico. Nulla di nulla.
Victoire, troppo
presa dalle sue elucubrazioni per seguire le vicende di Amanda e
Iris, ha scandagliato il suo cervello alla ricerca di una spiegazione
che possa giustificare
il comportamento del ragazzo. Non hanno avuti grandi litigi
ultimamente tra di loro, se si esclude i soliti alti e bassi, né con
altre persone.
Sbuffa pesantemente, le gambe incrociate sul
divano, e decide di darci un taglio con tutte queste manfrine.
«Okay,
cosa sta succedendo?» pretende di sapere agguerrita, guardandolo
dritto in faccia.
Teddy spalanca gli occhi, senza riuscire a
celare lo stupore, poi si acciglia fosco.
«A cosa ti riferisci?»
domanda monocorde.
«A questo» gesticola con foga Victoire,
indicando il film. «Alla cena. Al fatto che sei stato stranamente
carino e accomodante per tutta la sera».
Lui prende un lungo
sospiro esasperato, come a voler scacciare via il nervoso.
«Ancora?
Ti ho già detto-».
«Evita di prendermi in giro» lo interrompe
lei, determinata. «Lo capisco quando mi menti, sai».
Teddy
continua a fissarla. A differenza però di quanto credeva, i suoi
lineamenti, illuminati solo dalla luce dello schermo, non mostrano né
ferocia né insofferenza ma solo imbarazzo. Victoire inarca le
sopracciglia, basita da quello che vede.
«Vic» esordisce lui,
grave, le palpebre abbassate a nascondere le iridi gialle. «Credo
sia il caso di prenderci una pausa» sussurra apatico e distante.
Lei
rimane pietrificata, la bocca schiusa e gli occhi sbarrati. Si
concentra sulle proprie dita tremanti, cercando di elaborare a fatica
quanto ha appena sentito. Con il cuore che rischia di fermarsi da un
momento all'altro e il panico – e qualcos'altro di più oscuro e
doloroso che non riesce a definire – che l'assale, tenta di
racimolare un minimo di freddezza e dignità, prima di tornare a
guardarlo in faccia.
E quando lo fa, vorrebbe solo
ammazzarlo.
Teddy ha le labbra contratte in un ghigno gongolante e
l'espressione di chi si sta divertendo un mondo. Mandando al diavolo
qualsiasi controllo e proposito pacifista, Victoire afferra fulminea
un cuscino per sbatterglielo sul volto, sperando non solo di
prenderlo con la cerniera ma anche di soffocarlo nel mentre.
«Crepa,
Teddy» sbraita infiammandosi, portandosi in ginocchio sul divano per
colpirlo meglio. Lui si difende a stento con un braccio, troppo
impegnato a ridacchiare come l'essere ripugnante che è. «E porta
quell'immondo senso dell'umorismo all'inferno con te!»
Quando
finalmente lui decide di reagire, dopo essere stato investito da una
valanga di cuscinate, le afferra i polsi e la spinge all'indietro.
Victoire cade di schiena sul divano e Teddy la sovrasta, impedendole
qualsiasi fuga.
«Mollami» ringhia lei truce, divincolarsi. Cerca
almeno di tirargli un calcio per scrollarselo di torno, ma Teddy la
inchioda sotto di lui con una spinta secca del bacino.
Vederlo
continuare a ridere tranquillo, il viso a un palmo dal suo, la fa
imbestialire ancora di più.
«Sei veramente un idiota, io davvero
non so come-»
«Vieni a vivere con me» propone lui, sereno, la
scia delle risate ancora sulle labbra e gli occhi gialli più
luminosi.
Victoire sbatte più volte le palpebre, sbigottita.
Smette anche di dimenarsi, rinunciando a toglierselo di dosso.
«Che
cosa?» gracchia, aggrottando la fronte.
Lui sorride placido,
azzardando persino a liberarle i polsi. Punta meglio i gomiti sul
materasso del divano, così da non pesarle addosso.
«Ti ho detto
di venire a vivere con me» ripete paziente e Victoire, per un
istante, ha l'impressione di vederlo arrossire. «Alla fine, se ci
pensi, ha senso: passi in questo appartamento la gran parte del
tempo, abbiamo entrambi un lavoro e abbiamo bisogno di privacy.
L'ultima volta che abbiamo dormito a Villa Conchiglia, Bill ci ha
quasi beccati mentre tu mi-».
«Okay» lo blocca lei, animandosi,
cercando di scacciare dalla mente quell'episodio imbarazzante e
ignorando la luce di divertimento che scorge nello sguardo
dell'altro. Si mordicchia le labbra, pensierosa. «Sei sicuro?»
sussurra piano.
«Vic, stiamo insieme da quasi sei anni» le fa
notare mite, baciandole la mandibola e scendendo più giù, verso il
collo. Victoire si costringe ad ignorare il brivido ardente che le ha
scosso il corpo. «Lo so che avermi intorno ti manda fuori di testa,
ma penso che sia arrivato il momento di fare un passo avanti».
«Già»
borbotta lei, sovrappensiero. Poi corruga le sopracciglia e lo guarda
con stizza. «Anche se dopo lo scherzetto di prima-»
«Ti ho
preparato una cena a lume di candele» la interrompe Teddy, con
superiorità, alzando il capo di scatto e smettendo di tormentare la
sua gola con baci e morsi. «Ho sopportato con abnegazione e coraggio
tutti quei piagnistei melensi. E tu, come ringraziamento, non hai
fatto altro che stressarmi per scoprire se avevo doppi fini-»
«Che
avevi» lo blocca a sua volta Victoire, recriminatoria.
Lui
scrolla le spalle, con noncuranza.
«Allora?»
«Allora
cosa?»
Teddy sbuffa piano, vagamente spazientito. Sebbene la
maschera indecifrabile che si ostina ad indossare, le sembra di
scorgere una punta di trepidazione in quegli occhi gialli.
«Che
ne pensi della mia idea?» domanda distaccato, sussurrandolo contro
le sue labbra.
E Victoire rimane in silenzio. Perché se da una
parte il suo cervello le fa notare che è un'evoluzione naturale del
loro rapporto – che lei stessa ha preso in considerazione –, la
sorpresa di sentirselo proporre così all'improvviso la spiazza e la
impaurisce.
Sa che, a volte, quando si ottiene quello che si
desidera, poi si deve fare i conti con il fatto che la realtà è ben
più complessa di una fantasia.
«Non mi devi dare subito una
risposta» sta dicendo lui, vagamente inquieto da quella assenza di
entusiasmo. «Pensaci, okay?»
Lei annuisce, afferrandolo per la
maglietta e tirandoselo contro. Lo bacia con impeto, affondando le
dita tra i suoi capelli scuri, mentre sente le mani di Teddy
intrufolarsi sotto la maglietta e poi salire più in alto, ad
accarezzare il profilo dei suoi seni.
«Nel frattempo, se me lo
permetti, vorrei mostrarti i vantaggi della convivenza» mormora lui
al suo orecchio, prima di tornare a baciarla.
*
Appena
gira la chiave nella toppa e apre la porta dell'appartamento, i suoi
sensi da lupo – quella manciata di geni che Remus gli ha trasmesso
– lo avvertono del pericolo.
Tende l'orecchio, vigile, mentre si
avvicina silenzioso e circospetto alla cucina, da cui provengono
rumori e odori sospetti, la mano che già stringe il manico della
bacchetta.
Lì, Victoire, ignara, gli mostra la schiena, troppo
concentrata a far rosolare il bacon in una padella. Da quello che
indossa – una maglia che gli ha fregato una vita fa e che lui
generosamente non pretende indietro solo per beneficiare dello
spettacolo delle sue gambe nude – e da come è stropicciata,
ipotizza che deve aver dormito da lui.
Rimane comunque in attesa,
con quella sensazione di allarme ancora sottopelle. Forse, visti i
recenti sviluppi, la tavola perfettamente imbandita per la colazione
non è esattamente un segnale incoraggiante.
«Ehi, ciao!» trilla
allegra Victoire quando, girandosi per recuperare un paio di piatti
dalla credenza, scorge la sua fosca presenza immobile accanto allo
stipite della porta.
Teddy, senza toglierle gli occhi di dosso,
spedisce con un movimento della bacchetta il mantello verso
l'appendiabiti.
«Cosa stai facendo?» domanda piatto, lievemente
teso, avvicinandosi con circospezione.
Victoria sorride, sbattendo
con innocenza le palpebre.
«Preparo la colazione» risponde
candida, appoggiando con una forchetta il bacon sopra due fette
tostate. Sorride soddisfatta del risultato, dopo aver aggiunto anche
le uova in camicia.
Teddy solleva appena un sopracciglio,
impassibile.
«Che diavolo sta succedendo?» scandisce sospettoso,
quasi aggressivo.
Victoire lo guarda con due occhi azzurri
limpidi.
«Volevo solo preparare la colazione» continua con
quella farsa che sta seriamente rischiando di fargli saltare i nervi,
troppo impegnata ad ultimare le uova alla Benedict. «Visto che hai
passato tutta la notte in ufficio per rivedere quelle pratiche e
terminare il rapporto sull'ultima missione».
Teddy la fissa truce
e minaccioso, torturandola in un silenzio pesante e accusatorio, fino
a quando lei sbuffa e decide di gettare la spugna.
Poggiati i
piatti sul tavolo, Victoire abbassa lo sguardo e si morde le labbra,
ansiosa. Lui prende un respiro profondo senza fare il minimo rumore,
incrociando le braccia al petto e preparandosi mentalmente ad
affrontare l'ennesima sciagura che minaccia di rovinargli
l'esistenza.
«Ecco» inizia lei incerta, spiando di sottecchi il
suo volto con un'occhiata veloce e nervosa. «Forse è meglio se ti
siedi».
«Sto bene in piedi» ribatte subito Teddy, brusco.
«Avanti, parla».
Victoire sbuffa pazientemente, avvicinandosi
fino ad arrestarsi ad un palmo da lui. Deglutisce, sforzandosi di
sorridere e gli stringe il gomito in una morsa che grida
preoccupazione e tensione.
Con il sangue ghiacciato e il cuore che
martella nelle orecchie, Teddy si chiede se è così che si è
sentito Harry quando ha avuto lo scontro finale con Voldemort.
«Alla
fine noi stiamo insieme da tanto, no? Per cui non sarà un grande
problema... cioè, non è neanche un problema... è capitato, okay?
Non lo avevamo messo in conta, ma è successo» mitraglia infine lei,
agitata, facendogli spalancare gli occhi e sbiancare i capelli per la
paura.
Teddy rimane fermo, fulminato per qualche secondo. Poi
aggrotta la fronte con fastidio, gli occhi gialli che urlano
punizioni peggiori della morte.
«Non sei incinta» stabilisce
gelido.
«Teddy, davvero, non c'è bisogno di prenderla in questo
mod-»
«Prendi poco per il culo» la blocca incollerito. I
capelli passano dal bianco al nero, anche se per un attimo hanno
esitato su un rosso violento. «Hai avuto l'ultimo ciclo mercoledì,
senza ritardi. Non sei incinta» ripete sicuro.
Victoire lo guarda
interdetta. Poi gli rivolge un sorriso furbo.
«Sai che è
inquietante che tu tenga il conto delle mie mestruazioni?» gli fa
notare sarcastica.
«Mi hai mandato a comprarti gli assorbenti»
le ricorda sibilando, altero. «Difficile dimenticare il ridacchiare
della commessa e delle altre oche che ti guardano come se fossi lo
spettacolo più divertente a questo mondo. E poi, con il ciclo sei
insopportabile. Il primo giorno ringhi come un Lupo Mannaro con luna
piena, se ti sfioro per caso, gli altri li passi a piangere come un
rubinetto rotto, commuovendoti pure se ti mescolo lo zucchero nel tè»
illustra caustico e brutale.
Victoire spalanca la bocca, digrigna
i denti e gli molla un pugno tra le costole. Lui inarca appena un
sopracciglio, stoico, quasi a sottolineare di non essersi quasi
accorto del colpo.
«Quindi?» sbotta impettito. «A cosa devo
questo patetico teatrino?»
Victoire accenna un sorriso divertito,
scrollando le spalle.
«Forse volevo restituirti il favore»
ammette con quel tono mellifluo che ha appreso da quell'idiota di
Delacour e che lo indispone a morte. «Paura, eh?»
Lui rimane in
silenzio, limitandosi a fissarla con quella che pare genuina
pena.
«Sei una stronza» commenta spassionato, facendola
ridacchiare.
«Ho imparato dal migliore» dichiara allegra,
dandogli le spalle per versare il tè dal bollitore nelle due tazze
presenti sul tavolo.
Ed è così che, ingenuamente, credendo di
cavarsela con così poco, non vede il sorrisetto che lentamente
stende le labbra a Teddy, né tanto meno il lampo di perfidia che gli
balugina negli occhi gialli.
Si accosta a lei quasi con casualità,
le mani che si chiudono sopra i suoi fianchi e il naso che le
accarezza la curva del collo.
Victoire si irrigidisce di scatto,
presa alla sprovvista. Quasi le è scivolato di mano il bollitore,
considera con somma soddisfazione Teddy.
«Che fai?» chiede
stupefatta, con una punta di preoccupazione che traspare dalla sua
voce, voltando la testa di lato per poterlo guardare di sbieco.
«Ti
saluto» soffia direttamente contro la sua pelle, depositandovi
piccoli baci e sentendola rabbrividire al suo tocco. Le mani
scivolano languide sempre più in basso, oltre la maglietta, fino a
sfiorare quasi con casualità il bordo degli slip. «Ma se non
vuoi...» lascia in sospeso, suadente, allontanandosi.
Victoire si
volta con un'espressione sdegnata – il bollitore ora è al sicuro
sul tavolo –, gli occhi azzurri ridotti in due fessure. Se lui non
fosse così deciso a proseguire il geniale piano che ha preso forma
nella sua mente, forse si fermerebbe a constatare quanto è
straordinariamente eccitante animata dalla rabbia.
«Tu sei il
capo degli stronzi, Teddy» afferma con sguardo fiammeggiante.
Per
così poco, pensa beffardo con un sorrisetto che proprio non
riesce a nascondere. Si abbassa di nuovo verso di lei, avventandosi
con foga sulla sua bocca.
Victoire gli circonda le braccia il
collo, mordendogli dispettosa il labbro inferiore con forza fino a
strappargli un lamento. Si scosta quanto basta per guardala adirato e
lei gli risponde con un sorriso angelico.
Al che Teddy decide che
la sua vendetta è più che legittima.
Però nel momento in cui
Victoire torna a baciarlo con urgenza, circondandogli le spalle e
attirandolo a sé, tutta la sua determinazione inizia a vacillare.
Sentirla così vicino – calda, seminuda e disponibile – manda
vergognosamente al diavolo il suo raziocinio.
In più, quel
traditore del suo corpo sta cercando deliberatamente di sabotarlo.
Quando Victorie si è abbandonata contro di lui – non indossa il
reggiseno, registra distrattamente Teddy -, ha fatto davvero fatica a
ricordarsi di avere un obiettivo da portare a termine: tra mani che
slacciano precipitose i bottoni della camicia, lui che la stuzzica
sotto gli slip e lei che geme contro la sua bocca, il sangue ha
finito inevitabilmente per fluire in basso. Si costringe a pensare
alle cose meno sessuali che gli vengono in mente – sua nonna in
vestaglia e bigodini in testa, Delacour, Draco Malfoy e i suoi pavoni
- per evitare di cedere e prenderla sul tavolo della cucina.
Si
stacca a malincuore, mascherando la sua insoddisfazione dietro una
maschera di finto rammarico mentre Victoire lo guarda confusa, gli
occhi azzurri vacui.
«Scusami» sussurra amabile, con un sorriso
che sa di trionfo. «Non vorrei far freddare la colazione che hai
tanto amorevolmente ordinato da Carpe Diem Coffee»
spiega spietato, riallacciandosi con movimenti lenti e controllati la
camicia.
Victoire avvampa di colpo, sia per essere stata
smascherata dal suo imbroglio culinario – difficile credere che
quelle uova alla Benedic siano davvero
opera sua, quando non ci è mai riuscita in tre anni – sia per la
consapevolezza di essersi fatta prendere per il naso in quel
modo.
Gli rivolge un'occhiata di pura indignazione, prima di fare
dietro front e marciare verso la cassettiera della cucina. Teddy la
segue di buon umore, attento però a non lasciarsi sfuggire nemmeno
un suono della risata che gli anima il petto, consapevole che
Victoire incazzata vicino ai coltelli non è da prendere
sottogamba.
La sente imprecare sottovoce e mettere a soqquadro
l'intero cassetto – borbotta anche un maledetto, meschino,
vile bastardo al quale ormai ci ha fatto l'abitudine –
mentre lui si ferma alle sue spalle.
«A proposito» riprende con
noncuranza. «Ho incrociato Adelaide al Ministero, quando sono andato
a consegnare il rapporto. Ti saluta e mi ha chiesto se ci vediamo per
un caffè. Non ti dispiace, vero?» chiede vago, sussurrandoglielo
all'orecchio, appoggiando entrambe le mani sul piano della cucina e
intrappolandola tra il suo corpo e il mobile.
Victoire si gira
lentamente, le posate strette in una mano – tra cui ci sono anche
un paio di coltelli – e gli occhi azzurri illuminati dalla collera.
Teddy sopprime a forza il divertimento, consapevole di star
rischiando lo sgozzamento.
«Ma ti pare?» sputa tra i denti lei,
squartandolo con lo sguardo. «Ho fame. Ti vuoi levare?» sbotta
bellicosa, cercando di sgusciare via
Teddy rimane immobile,
rendendo vano qualsiasi tentativo di fuga. La sua espressione di
superiore sufficienza sembra far infuriare ancor di più Victoire,
che poggia le mani contro il suo petto per spingerlo via.
«Ho
visto, infatti, com'eri affamata» replica sardonico lui,
con un ghigno, senza però muovere un muscolo.
Victoire serra la
mascella con uno spasmo così violento che rischia quasi di romperle
l'osso. Stringe ancora di più i pugni – probabilmente nella sua
mente sta prendendo forma l'idea di eliminarlo fisicamente e porre
fine al problema –, le labbra contratte e le orecchie arrossate,
dalle quali, a Teddy, sembra quasi di vedere uscire del fumo
nero.
«Ti avverto, Teddy, sto davvero per farti del male»
minaccia velenosa, divincolandosi.
Lui sbuffa con scherno, alzando
gli occhi al cielo, incurante di stare seriamente rischiando la
vita.
«Tremo» dice indifferente. La sua attenzione viene
catturata da una pila di riviste sul mobile, alla sua destra. «Che
cosa sono?» domanda, aguzzando la vista per leggere i titoli delle
copertine.
Spalanca appena gli occhi gialli quando capisce cosa
sono, riportando l'attenzione su Victoire – che si è chiusa in un
silenzio imbarazzato e furioso – e ridacchia trionfante.
«Evita
di cantare vittoria» lo avvisa lei, secca. «Non ci scopo con gli
stronzi, figurati se ci vado a vivere» afferma risentita.
«A
voler essere precisi, tu scopi con il capo degli stronzi» la
corregge Teddy, provocatorio, ancora con la traccia delle risate
sulle labbra. «Dorset, eh?» considera interessato, guardando di
nuovo le riviste di vendita e affitto case.
«Era un'idea»
smozzica Victoire, nervosa. Si sforza di fare un sorriso di scherno.
«Tu dici che ad Adelaide piacerà?» domanda dura, incrociando le
braccia al petto.
«Posso chiederglielo».
Lei si morde le
labbra con rabbia, appoggiando – anche se sarebbe meglio
dire lanciando – le posate sul piano della cucina
e, rapida, si abbassa per passare sotto il suo braccio e svignarsela
senza commettere un omicidio.
Non fa nemmeno un passo, che Teddy
la riacciuffa al volo, stringendole gli avambracci in una morsa
decisa ma non dolorosa.
«Lasciami» ordina aggressiva.
«Dai,
Vic, stavo scherzando» afferma lui, ilare, sfiorandole i capelli con
un bacio.
«Sei un imbecille» ribatte Victoire, piccata. «A
volte mi chiedo perché perdo ancora tempo con te».
«Perché ti
diverto e mi ami da impazzire?»
«Non mi sto affatto
divertendo!»
«Ora» sottolinea Teddy, scoccandole un morso sul
collo e sogghignando del sospiro che segue. «Non dirmi che prima non
gongolavi con la storia della gravidanza».
Victoire si volta
quanto basta per guardarlo negli occhi, per nulla addolcita.
«A
differenza tua, io so quando fermarmi» ribatte severa. «Tu hai
montato una vendetta per uno scherzo innocuo. Hai pure tirato in
ballo la Tuppet-».
«Mi ha davvero chiesto di uscire» la
interrompe lui, schietto. «Tranquilla, le ho fatto sapere che non
sono più sulla piazza» rivela davanti alla sua faccia
allibita.
«Dopo questa, rischi seriamente di tornarci» minaccia
lei, fomentandosi.
Teddy sbuffa annoiato, trattenendosi
dall'alzare gli occhi al soffitto.
«Non volevo farti incazzare»
la balla appena pronunciata e l'occhiata scettica di Victoire, lo
costringono a raddrizzare il tiro. La lascia andare dalla sua morsa,
tanto sa già che non scapperà. «Okay, era mia precisa intenzione
farlo... scusa» espelle controvoglia, storcendo il naso,
seccato.
Victoire lo scruta a lungo e si gira, meditabonda. Anche
se la sua espressione è ancora tesa, il suo corpo pare iniziare a
rilassarsi. Sta comunque attenta a tenerlo a distanza, decisa a non
sfiorarlo nemmeno per sbaglio.
«Ti dovrai far perdonare»
stabilisce implacabile, alzando il mento con sfida.
Teddy inarca
un sopracciglio, scettico.
«Sulla cosa a tre non cedo» si ostina
glaciale.
Victoire si morde le labbra, cercando di soffocare il
sorriso che le è inevitabilmente spuntato.
«No, pensavo a
qualcosa di più casto» inizia con falsa innocenza, facendo
corrugare le sopracciglia all'altro. «Tanto per cominciare, seguirai
il Campionato di Quidditch» pretende spietata, gongolando della
smorfia di disappunto di Teddy. «E poi voglio con una cena con
Etienne e Molly».
«Non qui» precisa lui, brusco. «Non ho
voglia di lavare il sangue dalle pareti».
«Potrei anche decidere
di lasciarti in bianco per un po'» considera Victoire a mezza voce,
pensierosa.
Teddy inclina il capo di lato, malcontento.
«A sto
punto, credo che la cintura di castità sia il male minore» borbotta
truce. «Prevede altro il mio martirio?» domanda meno ostile di
quanto vorrebbe, circondandole la vita con un braccio.
Victoire
ridacchia e scuote via i riccioli e il malumore dal viso, cercando di
spintonarlo via senza troppa convinzione.
Teddy rimane fermo, gli
occhi che si beano estasiati dello spettacolo che ha di fronte. Poi,
china appena il capo con un mezzo sorriso e si abbassa in ginocchio
di fronte a lei.
«Cosa-» farfuglia Victoire, la risata che che
le si blocca in gola mentre le mani di lui le fanno scivolare gli
slip fino al pavimento.
«Inizio a farmi perdonare, sperando di
compiacere il mio carnefice» svela solerte, arrotolando la maglia di
Victoire all'ombelico. «Certo, potrei seguire la tua idea e
lasciarti in bianco proprio sul più bello. Ma oggi mi sento
magnanimo» puntualizza compito, alzando gli occhi verso di lei, le
labbra contro la pelle del bacino. «Puoi spiegarmi perché vorresti
andare a vivere nel Dorset, nel mentre. Ti ascolto».
Victoire
stringe le dita intorno alle ciocche scure dei suoi capelli,
inarcandosi leggermente e allargando le labbra, quando Teddy si
impegna per supplicare clemenza.
«Non
è un po' troppo grande?» domanda dubbiosa Victoire, terminato il
giro di perlustrazione degli ambienti della casa che si affaccia
sul Durdle Door.
Teddy arcua un sopracciglio,
superiore.
«Perché?» ribatte atono.
Lei si stringe nelle
spalle, indecisa.
«Due camere da letto mi sembrano troppe»
riflette seria.
«Una in più può sempre servire» afferma
risoluto. «Nel caso venga a trovarci qualche scocciatore o...».
«O?»
lo sprona Victoire, girandosi verso di lui. Strabuzza gli occhi,
incredula. «Teddy Lupin, sei davvero arrossito?» domanda
divertita.
«Finiscila di fare l'oca» la riprende aspro. «Non
era un'allusione a vagiti o a robe simile. Non ho alcuna intenzione
di sentirli in futuro».
Victorie stringe le labbra per reprimere
un sorriso, dicendosi che Teddy è adorabile quando mente.
“Credo
di pensare all'amore più di quanto in realtà si dovrebbe;
resto
sempre sbalordita dal potere assoluto che ha di alterare e definire
la nostra vita.
È stato sempre Shakespeare a scrivere 'L'amore è
cieco'.
Ecco, questo so che è vero.”
L'amore non va in
vacanza
Ehm.
Non
so se questa cosa sia esattamente fluff. Zia Black, la mia beta di
fiducia, dice che è un'ottima interpretazione della parola “tenero”
(leggasi, delego qualsiasi responsabilità a lei. Criticatela pure,
deve guadagnarsi la pagnotta!).
Per me lo è, ma io non sono
proprio la persona più romantica di questo mondo. Nemmeno Teddy,
riflettendoci. Considerato il personaggio, credo che questo sia il
massimo del fluff che mi
concede.
L'amore non va in vacanza è un film
che mi piace tantissimo. Sarà che c'è Kate Winslet – che io
amo alla follia!-, sarà che mi ricorda le sere d'inverno in cui io e
mia sorella, firmata una tregua dalla nostre soliti liti, lo
guardavamo sotto il piumone.
Trickster è una creatura mitologica
dedita all'inganno. La mia – poca – conoscenza su questo essere
si basa sulla serie tv Supernatural. Come titolo, mi è
sembrato azzeccato.
Bene, direi che anche stavolta è tutto. Vi
ringrazio per essere arrivati fin qui.
A presto,
Blue
Eton
mess: dolce con meringa, panna montata e fragole.
Carpe
Diem Coffee: esiste veramente, si trova a Londra.
Durdle
Door: dalle foto, sembra bellissimo. È un arco di pietra sulla
spiaggia, nel Dorset.