Famiglia.
La
porta si apre. Draco trasalisce nel vedere la donna sulla soglia, non riesce a
impedirselo – le somiglia così tanto.
«Tu
devi essere Draco» afferma, scrutandolo. «Non credevo davvero che saresti venuto».
Draco
si limita ad annuire – può capirlo.
Il silenzio
si protrae finché lei non si scosta per invitarlo a entrare.
«Ne
sei convinto, Draco?»
«Tua
madre sa che sei qui?»
«Non
sono d’accordo».
«Sì»
risponde, dopo una pausa. «Credeva che non sarei stato il benvenuto».
L’ammissione
è seguita da una risata stanca. «Non provo rancore verso un ragazzino che non
ho mai visto. Curiosità, piuttosto. E credo che Cissy lo sappia, in fondo».
«Mi
ha abbandonata, Draco – tradita. È un’estranea, nient’altro».
Curiosità. È
ciò che l’ha spinto a scrivere la lettera, ciò che l’ha guidato fin lì
nonostante la disapprovazione di Narcissa.
La
donna che ha davanti è cresciuta nel suo mondo, ma ha scelto di lasciarlo.
Draco
non comprende cosa l’abbia spinta tra le braccia di un Nato Babbano, ma non gli
interessa: a sembrargli incredibile è che sia stata in grado di scegliere
in una vita dove tutto sembra già deciso, pianificato – nient’altro.
Draco
non sa cosa vuole, non sa se può scegliere, ma la donna dall’altra parte del
tavolo molti anni prima ha trovato il coraggio per farlo.
Ha
una domanda che preme per uscire. Deglutisce, la guarda negli occhi e osa
porla.
«Ti
sei mai pentita?»
Sorprendentemente,
l’espressione altera di Andromeda Black si addolcisce. Somiglia meno a
Bellatrix, ora.
«No»
scandisce, fiera. «Mai».
La
donna che non ha mai imparato a chiamare “zia” si alza. «Resta per cena, vuoi?»
Annuisce
muto, considerando la risposta.
Andromeda
Black ha sposato un Nato Babbano e ne ha avuto una figlia, ma ha perso entrambi.
Draco immaginava una donna sola, forse triste, ma nel rispondere alla sua
domanda lei non ha esitato un istante.
Andromeda
Black non è pentita della sua scelta, affatto.
«Cos’è
che vuoi sapere da lei? Posso risponderti io».
Ma
sua madre non può rispondergli, perché ha fatto scelte del tutto diverse.
«’onna?»
Lo
sguardo gli corre alle scale. Era convinto che fossero soli in casa, ma se lui
è in salotto e sua zia in cucina a chi appartiene la voce che ha appena
sentito?
«Nonna?»
Alla
base delle scale si materializza un bambino. È piccolo, Draco non gli darebbe
più di quattro o cinque anni, e spalanca gli occhi vedendo lo sconosciuto sul
divano.
«Tu
non sei nonna» decide, indicandolo.
Draco
è preso alla sprovvista. Non si aspettava di trovare qualcun altro, tantomeno
un bambino. «No» conferma, incerto.
«E
tu, Draco? Farai da babysitter ai cuccioli?»
Gli
si gela il sangue, ricordando una conversazione sepolta a fatica. Forse
Andromeda non è sola come pensava – forse sua cugina ha lasciato una traccia di
sé, prima di morire.
I
capelli del bambino mutano davanti ai suoi occhi, imitando i suoi. Anche gli
occhi passano dal verde acceso al grigio cupo. Un Metamorfomagus.
«Sei
un ladro?»
«No»
risponde, rapido. Forse dovrebbe alzarsi e portare il bambino dalla nonna.
«Chi
sei?»
«Io…»
Draco si blocca. Come dovrebbe rispondere? Se ha ragione, quel bambino è suo
cugino. Ma ha senso definirsi così? Lo sguardo del più piccolo lo incalza. «Siamo cugini» dichiara infine,
accantonando i dubbi. «Io e
te».
Gli
occhi grigi del bambino si accendono letteralmente, schiarendosi. «Ho un cugino
grande!» esclama, contento. Corre da lui e gli si siede accanto.
«Guarda»
dice, mostrandogli un ciondolo che Draco non aveva notato. Lo apre, rivelando
una foto. «Mamma e papà» spiega, indicandoli, ma Draco aveva già capito.
Avverte un groppo in gola: tutto questo è sbagliato.
Il
bambino poi torna a puntare gli occhi, ora azzurri, sul cugino. «Conoscevi la
mia mamma?» domanda.
«No»
risponde lento, lo sguardo calamitato dalla cugina che non ha mai conosciuto.
In
quel momento Andromeda entra nella stanza.
«Ti
sei svegliato, Teddy» nota, accennando un sorriso verso di loro. «E vedo che vi
siete conosciuti. Ti piace zio Draco?» chiede avvicinandosi.
Teddy
annuisce. «È simpatico. Ma perché parla poco?»
Draco
arrossisce, imbarazzato da un bambino, e Andromeda ride.
Andromeda
e Teddy sono una famiglia piccola, ma allegra.
Lei
ha perso molto, ma non tutto; nel nipote rivede sua figlia,
probabilmente. Dora – gliene parla un po’, a tavola. Teddy ascolta con
lui e annuisce contento: gli piace sentire racconti sui suoi genitori, anche se
sono sempre gli stessi.
Si
sente un intruso in mezzo a loro.
Lucius
e Narcissa gli vogliono bene, l’ha sempre saputo. Se da piccolo in qualche occasione
ha temuto di deludere suo padre e perdere il suo affetto, ora sa bene quanto
una simile preoccupazione fosse sciocca. Tuttavia non ha mai avuto con i suoi
genitori un rapporto simile a quello a cui assiste ora tra nonna e nipote: i
pasti erano formali, si parlava poco e si stava attenti all’etichetta. Il
piccolo Teddy ride con la bocca piena, ma nessuno lo sgrida per questo, né Draco
avverte il bisogno di farlo.
Andromeda
gli chiede di portare Teddy in salotto mentre lei sistema.
«Non
ho conosciuto tua madre, Teddy» mormora Draco, chinandosi accanto al bambino. «Ma
vorrei averlo fatto».
Non
sa come avrebbe reagito se avesse davvero incontrato Dora Tonks ai tempi di
Hogwarts: forse – probabilmente – male, ma non intende accusarsi di possibili
errori mai realizzati. Ora vorrebbe averlo fatto, aver avuto un assaggio
di una famiglia diversa; è questo a contare.
Teddy
non dice niente, lo guarda pensoso. Dopo un po’ sbadiglia, stanco.
D’istinto,
Draco gli passa una mano tra i capelli, scompigliandoli. Sono rosa acceso.
«Hai
trovato le risposte che cercavi?» domanda Andromeda, sulla porta.
Draco
ricambia lo sguardo. «Io…» Non aveva un’idea chiara, ma quel pomeriggio è
comunque andato in maniera molto diversa dal previsto. «Credo di sì».
Andromeda
gli sorride. «Torna a trovarci».