venti centimetri
.1.
il nodo
Se
questa storia
dovesse raccontarla il barman del Nodo allora inizierebbe col dire che
quella
sera c’era uno spilungone solitamente chiassoso senza battute
tra le labbra e
una ragazza silenziosa che iniziò a parlare fin troppo. Ma
questo non è il caso.
Il barman c’era e i ragazzi anche ma le cose non sono mai
come appaiono. Quindi
iniziamo col dire che il Nodo era il locale più frequentato
dagli studenti universitari
di Tokyo all’epoca e quella sera, un caldo venerdì
di settembre, era più
affollato del solito. Le luci erano come al solito soffuse e la musica
risuonava
dagli altoparlanti con il volume né troppo alto
né troppo basso, avete presente,
il giusto volume che ti permette di goderti il brano in riproduzione ma
che ti
dà anche la possibilità di parlare. I tavoli
erano quasi tutti occupati e la
gente si accalcava anche nei corridoi creatosi tra questi e il bancone
posto al
centro del locale. Ora il barman, un certo Manabu (questo ci
è dato sapere),
lavorava lì da circa cinque anni ed era ormai ben
riconosciuto dai giovani che frequentavano
il Nodo, persino dalle matricole universitarie che dovevano ancora
iniziare a
bighellonare da quelle parti. Per questo motivo si sentiva ormai parte
di
quella vita universitaria che, in realtà, non gli
apparteneva mica, ma faceva
il suo, quella sera come altre.
«Manabu,
Manabu,
Manabu. Allora, stasera ce ne sono di belle ragazze da queste
parti?»
«Guarda
che se
anche quest’anno mi metti in situazioni come quelle dello
scorso giuro che ti
avveleno la birra, gatto-morto!»
Kuroo
Testuro era
l’ultimo a dover rientrare dalle vacanze estive.
L’ultimo del suo “solito”
gruppo al Nodo, si intende.
«Ahh,
Manabu ti
riferisci alla rissa con il tipo della biondina del Kansai oppure a
quando le due
gemelle ti spaccarono tutti i bicchieri nel tentativo di ferire questo
bel
musetto?!»
Kuroo
allontanò
con uno strattone la mano di Kotaro dal suo viso sogghignando al
ricordo di
quegli episodi. Era facile ritrovarsi in circostanze del genere se si
frequentava uno come Kuroo e lo sapeva bene Kotaro Bokuto
così come gli altri
della combriccola e quella sera c’erano tutti. Kenma Kozume,
che era già al
solito tavolo con la testa nel suo smartphone probabilmente a giocare a
qualche
videogame, Keiji Akaashi dall’aria come sempre pensierosa che
aveva appena dato
una pacca sulla spalla a Kotaro per fargli capire che li avrebbe attesi
al
tavolo e Satori Tendo, il rossiccio con gli occhi spiritati e
l’aria tormentata
che se ne stava ad osservare le bottiglie alle spalle di Manabu
cercando di
capire cosa avesse voglia di bere quella sera.
«Per
me puoi scoparti
anche i muri Kuroo basta che non porti rogne, idiota!»
«Ti
voglio bene
anche io vecchio.»
Non
fu né il tono
ironico di quelle parole né l’occhiolino che Kuroo
gli dedicò a far infastidire
il barman (ormai quei ragazzi erano come fratelli più
piccoli per lui ai quali
spesso doveva purtroppo badare in certe occasioni), fu ovviamente
l’essere
chiamato “vecchio” visto che lui aveva da poco
superato i trent’anni e a quell’età
non ci si può sentire dare già del vecchio, e che
diamine.
«Ma
voi ogni
tanto la mettete la testa sui libri?»
Manabu
prese a
preparare le pinte di birra ai due guardandosi intorno. Quella sera
c’era
davvero parecchia gente.
«Non
ci crederai
e non ci volevo credere neppure io, in realtà, ma si dice
che questo casanova
qui sia tra i più intelligenti della Nekoma.»
Alle
parole di
Kotaro, Kuroo sorrise porgendo il pugno all’amico al quale
subito accostò al
suo in segno di rispetto. Quella si che era una coppia singolare,
pensò Manabu.
«Si,
come vi pare.
Ora sparite dalla mia vista mezze seghe!»
I
due afferrarono
le pinte di birra e salutarono affettuosamente (uno dei due, non sto a
dirvi
chi, si leccò le labbra sensualmente prendendo in giro
Manabu) prima di
raggiungere gli altri al tavolo e trascinandosi Satori ancora incantato
a
guardare le bottiglie (tanto lui prima di una certa ora non si decide).
«Quest’anno
la
Karasuno inizia presto con le amichevoli. La settimana prossima hanno
una
partita con la Shiratorizawa.»
«E
di che ti
preoccupi Keiji?! Guarda che tra tutte le università di
Tokyo, siamo noi ad
essere messi meglio!»
Kotaro
non perse
tempo nel vantarsi buttando giù un lungo sorso di birra e
finendo col dare una
sonora pacca sulla spalla all’amico seduto al suo fianco.
Keiji parve non
smuoversi più di tanto, ormai era abituato
all’irruenza dell’altro.
«Questo
è quello
che credete voi.»
Kenma
non si
preoccupò neppure di alzare il volto dallo schermo del suo
smartphone quando pronunciò
quelle parole e subito trovò manforte dall’altro,
Kuroo, anche lui studente della
Nekoma.
«Ei,
gufo, ti
batto quando voglio!»
Kotaro
batté con
prepotenza le mani sul ripiano di legno del tavolo e si alzò
in tutti i suoi cento
ottantacinque centimetri di altezza mostrando uno dei suoi sgargianti
sorrisi.
«Provaci
coglione!»
Più
che parlare quello urlò e l’altro lo
seguì alzandosi anch’egli di fronte a lui.
«Ti
faccio a pezzi, bastardo!»
I
due poi se la risero rumorosamente buttando giù la loro
birra e in quel modo,
su per giù, proseguì il resto della loro serata.
Qualche
tavolo più in là c’era un altro gruppo
di ragazzi intenti a parlare di pallavolo.
Perché si, in questa storia, se non si fosse capito, la
maggior parte delle
persone coinvolte giocano a pallavolo e una moltitudine non precisata
di
vicende avviene grazie agli intrecci che questo sport porta nelle loro
vite. Ma
andiamo con ordine.
Parlavamo
di un altro tavolo, sì, quello dove diversi ragazzi della
Karasuno, ulteriore
università di Tokyo, parlavano animatamente del loro
prossimo match.
«È
vera questa cosa, Tsukki?»
«Quando
la smetterai di chiamarmi così, idiota!?»
«Aspetto
ancora la risposta alla mia domanda,
“idiota”!»
Midori
Okada e Kei Tsukishima erano amici dall’infanzia, o meglio,
si conoscevano da
quando avevano circa sette anni. Perché veri e propri amici
lo sono diventati
col tempo ma neppure loro saprebbero dire bene quando. Fu una cosa
piuttosto
naturale visto che era raro che qualcuno sopportasse il cinismo di Kei
e
altrettanto poteva dirsi dell’impulsività di
Midori. Ed è per questo che tra di
loro c’erano parole come “idiota”,
“mentecatto/a”, “imbecille”,
“demente” e via,
senza alcuna conseguenza nel loro rapporto.
«Si,
prossima settimana. Ma siamo noi a dover andare alla
Shiratorizawa.»
La
questione parve chiusa anche perché Shoyo e Yu facevano fin
troppo chiasso per
potersi concentrare su altro. Stiamo parlando di Shoyo Hinata e Yu
Nishinoya,
due che a metterli a confronto con il resto non si direbbe mica siano
eccellenti giocatori di pallavolo vista la loro altezza ma da quei due
corpicini robusti veniva fuori una voce ingombrante e lo si poteva
capire dall’espressione
contrariata di Tobio Kageyama, appena arrivato al tavolo con il suo
frappè
corretto con rum.
«Ma
siamo sicuri sia una cosa legale la merda che ti bevi?»
«Siamo
proprio sicuri che ti sia stata rilasciata
l’abilità di pensare?»
Ryunosuke
(Ryu) Tanaka fece per alzarsi dal suo posto e provare a dargliele di
santa
ragione a Tobio e la sua risposta presuntuosa (che poi non si sa se era
inteso
solo ironicamente come gesto o altro) ma Daichi Sawamura lo
tirò giù per la
maglia mimando un no con la testa con un’aria rassegnata in
volto.
Anche
per loro la
serata proseguì senza troppi intoppi. Daichi si
allontanò quando arrivarono Koshi
Sugawara, chiamato da tutti Suga, e Asahi Azumane e con loro si
intrattenne a
chiacchierare per altri tavoli (tra i quali quello di Kuroo e
compagnia); dopo
circa un’ora arrivarono anche le ragazze, Kiyoko Shimizu e
Jun Watanabe, e con
il loro arrivo Ryu non perse tempo nel provare ad attirare
l’attenzione della
sua amata Kiyoko (ormai era un anno che ci provava ma non era neppure
questa la
cosa assurda; la cosa assurda era con quanta estrema calma e gentilezza
lei lo
rifiutasse ogni volta). Ci furono birre, drink, chiacchiere. Insomma
tutti
parevano spassarsela amorevolmente tanto che quando i bicchieri si
svuotavano,
ognuno a modo loro, cercava di riempirli con altro così da
non far concludere
quella serata (che poi se immaginate la quantità di persone
lì dentro potrete comprendere
che ognuno di loro avesse fuori da quella porta i propri demoni e
nessuno, o
quasi, aveva voglia di lasciare il Nodo per doverli fronteggiare ancora
una
volta; ma ci arriveremo). Detto ciò, arrivò anche
per Midori il tempo di
riempirsi nuovamente il bicchiere e le andava proprio di bere del
sakè.
Una
volta al
bancone dovette attendere che Manabu si liberasse. Così
attese e lei odiava le
attese di quel tipo. In realtà le odiava proprio tutte le
attese lei, in quanto
impaziente di natura, ma quelle in cui bisogna attendere tra la gente
la
mettevano a disagio. Cosa faccio intanto, pensava, la gente mi
starà fissando, mi
guardo intorno ma se poi qualcuno si fa un’idea sbagliata,
rifletteva ancora. E
così si ritrovava a maledire la persona di turno che non le
aveva fatto da partner
nell’attesa, in quel caso il suo caro amico Kei.
Persa
nei suoi
pensieri non si accorse neppure che qualcuno, vista la calca di gente
al
bancone, si era poggiato al ripiano a non molti centimetri da lei e
quando per
istinto fece per voltarsi la prima cosa che vide fu il bracciale che
aveva al
polso destro. Tutto fu piuttosto veloce. Guardò il polso
della persona
sconosciuta, un uomo intuì dalla costituzione, e poi
guardò il suo e poi ancora
quello dello sconosciuto. Erano completamente diversi. Il suo era molto
più
piccolo e ossuto dalla pelle liscia mentre l’altro era
robusto, dalle vene visibili
e con una leggera peluria. Eppure qualcosa li accumunava.
«Quali
erano le
possibilità che questo potesse accadere?!»
La
voce dello
sconosciuto la sorprese, roca e squillante al tempo stesso. Quando
alzò lo
sguardo si ritrovò davanti un paio di strani occhi dorati e
un sorriso
divertito.
«Non
ne ho idea!»
Midori
non riuscì
a dire altro perché, forse a causa dell’alcol che
la rendeva un po’ meno
lucida, ma il fatto che entrambi avessero al polso lo stesso bracciale
rosa in
carta fu davvero qualcosa che la sorprese a tal punto.
«Anello
B, sulla
sinistra.»
Kotaro
cercò per
qualche motivo di frenare il suo entusiasmo quando la ragazza parve
quasi
spaventata dalla sua reazione ma non riusciva a smettere di sorridere
perché lui
le coincidenze del genere le amava.
«Anello
C,
sinistra.»
Parlavano
del
concerto dei Red Wood avvenuto a Tokyo due sere prima e al quale, visto
com’era
la realtà dei fatti, entrambi avevano partecipato.
«Ok,
dimmi solo
una cosa, cos’hai fatto durante “Space
Shuttle” …?»
Midori
sentì gli
occhi illuminarsi, lei adorava quella canzone e il ricordo
dell’emozione
provata durante quel concerto, proprio durante l’esibizione
della band di quel
brano, le fece venire letteralmente la pelle d’oca in quel
momento. Kotaro d’altro
canto se ne accorse. Dal suo metro e sessantacinque la ragazza lo
guardava con un
entusiasmo nuovo negli occhi che poté definire scuri, forse
marroni (ma le luci
erano soffuse e non era facile vedere certi dettagli, poi per uno come
lui che
nella sua testa avvengono così tante cose
contemporaneamente…) e lui non riuscì
a trattenersi parlando nell’esatto momento in cui lei lo fece.
«Ho
guardato le
stelle!»
«Le
stelle!»
Per
essere chiari
nuovamente, i due sputarono via quelle parole contemporaneamente. Ora,
erano
già piuttosto sorpresi all’idea di quella
coincidenza e sentire le esatte
parole (o giù di lì) provenire
dall’altro li fece eccitare come due bambini (o
come due ventenni brilli).
«Esatto,
cazzo!» fu
tutto ciò che Kotaro riuscì a dire
affinché riuscisse a trattenere un urlo di entusiasmo
in realtà.
«Non
la capisco
io quest’assurda moda tra i ragazzini di mettere tutti le
mani a cuore durante
quel pezzo, non ha senso, l’ha detto anche Eisen!»
Midori
parlava
del bassista della band, Eisen, e di come lei da vera fan non amasse la
fama
dei Red Wood tra i giovanissimi. Ma questa è
un’altra storia che non abbiamo
bisogno di approfondire al momento.
Kotaro
sbarrò gli
occhi e annuì con la testa. A quanto pare la pensava allo
stesso modo.
«Se
solo potessi
far capire questa cosa alla persona con la quale ho visto il
concerto.»
«Mani
a cuore?»
Midori
gli sorrise.
La faccia dello sconosciuto parve cadere in una divertente disperazione
quando
le annuì in risposta.
«Per
questo
motivo ci sono andata da sola. Non conosco nessuno che ami i Red Wood
quanto li
amo io.»
«Beh
ora non
potrai più dirla questa cosa. Al massimo dirai
“Una volta incontrai per caso
uno sconosciuto che mi disse di amare i Red Wood quanto li amo
io”!»
Midori
si mise a
ridere insieme a lui e poi si ritrovarono entrambi a guardarsi in
silenzio con le
scie che l’adrenalina aveva lasciato nei loro corpi, ora che
l’entusiasmo era
stato scaricato.
Kotaro
fu il
primo a distogliere lo sguardo quando Manabu gli mise davanti
l’ennesima pinta
di birra e si ritrovò d’un tratto catapultato nel
Nodo con un’orda di gente
alle spalle che attendeva il proprio turno per essere servita. Questo
perché non
si rese conto per tutto il tempo che aveva avuto a che fare con quella
ragazza
dell’ambiente che lo circondava e tutto ciò che
riuscì a fare, prima che
qualcuno da dietro si fece posto davanti a lui, furono due cose:
sorridere
ancora una volta alla sconosciuta e catturare le parole di Manabu
rivolte proprio
a lei.
«Che
ti servo, Midori?»
Come
abbiamo
detto il Nodo quella sera era davvero molto affollato pertanto nessuno
al di
fuori dei due si rese conto di quel loro momento e per lo stesso motivo
quando
Manabu chiese quella cosa a Midori non capiva il perché
della sua espressione
stranita.
«Stai
bene?»
«Eh?
I-io…»
Provò
a cercare
la testa grigia di quel ragazzo tra la folla e grazie alla sua altezza
lo notò
allontanarsi ma nel frattempo un altro spilungone incrociò
la direzione del suo
sguardo ed era l’ultima persona che voleva vedere.
«Io?
Ma sì, sto
alla grande! Tu che mi dici?»
Midori
poggiò i gomiti
al bancone e parve entusiasta (eccentricamente entusiasta) di
cominciare quella
insolita conversazione con il barman.
Manabu
alzò un
sopracciglio confuso.
«Ehm,
sì e indaffarato.
Parecchio.»
«Capisco. Tu non di Tokyo, vero? Hai uno strano
accento… Vediamo, Kansai?»
«No,
Chubu ma,
come ti dicevo, sono indaffarato. Quindi, che ti servo?»
Midori
si morse l’interno
del labbro con lo stomaco in subbuglio e il cuore in gola.
«Sakè,
grazie.»
«Bene,
arriva subito
eh?!»
Manabu
tenne d’occhio
la ragazza turbato. Era da poco che la ragazza frequentava il locale ma
da
allora veniva spesso con quelli della Karasuno. Forse era una
matricola, pensò
lui. Fatto sta che non aveva avuto a che farci tanto da poter giudicare
quel
suo comportamento nella norma.
Una
volta servita
la osservò con la coda dell’occhio buttar
giù d’un sorso il sakè e allontanarsi
con uno strano sguardo. Ma, come abbiamo detto più volte,
Manabu era
indaffarato e non ebbe tempo per assicurarsi che stesse bene. I ragazzi
di
oggi, pensò (e poi si lamentava se lo chiamavano vecchio,
quello).
Quando
Midori
tornò al suo tavolo con l’alcool che ancora le
bruciava la gola intravide tra i
suoi amici dei nuovi arrivati che non faticò affatto a
riconoscere. Wakatoshi
Ushijima e Satori (il rosso di cui abbiamo parlato prima) erano seduti
proprio
lì a discutere con Daichi e gli altri del prossimo match di
pallavolo. Doveva
essersi bloccata o qualcosa perché Kei la tirò
per il polso facendola sedere al
suo fianco poggiandole un braccio attorno al collo.
«Vuoi
andare via?»
le sussurrò in un orecchio.
Tutto
ciò che
riuscì a fare fu mimare di no con il capo mentre Kei la
teneva d’occhio con la
fronte corrugata. Disse di no solo perché sentiva la testa
girare troppo e dall’agitazione
le venne una forte nausea che le fece venire dei brividi di freddo
lungo la
schiena. Dopo circa quindici minuti fece segno a Kei di andare via.
Kotaro
una volta
tornato al suo tavolo non disse una parola e Keiji, per questo, si
preoccupò.
«Che
ti prende?»
Kuroo
osservò il
ragazzo dai capelli grigi storcere le labbra con lo sguardo perso nella
sua
pinta di birra scuotendo il capo. Quello che doveva essere un
“Niente, sto alla
grande!” parve più un “Non ne ho
idea!”.
«Che
gli è preso
ora?!»
«Non
lo so Kenma,
credo si sia rotto.»
Neppure
l’ironia
di Kuroo parve destarlo da quello stato.
«Oh!
Ci sei?»
Keiji
dovette
strattonarlo per farlo reagire.
«Si,
merde! Certo
che ci sono.»
«Allora?
Che ti è
successo?»
Kuroo
osservava
guardingo l’amico sospirare quasi affranto.
«Ma
niente, una
al bancone…»
Kenma
girò gli
occhi al cielo mentre Keiji stranito spostava lo sguardo da Kotaro al
bancone
del bar.
«Aja,
qua sono cazzi
amari! Era carina?»
«Certo
che lo era,
parecchio.»
Kotaro
parve come
rabbuiarsi mentre tracannò la birra con lo sguardo
tormentato.
«Allora
qual è il
problema?»
«Lo
sai qual è,
Kuroo…»
Keiji,
intuitivo com’era,
parlò per l’amico ricordando a tutti come stesse
la situazione.
«Quando
mai avere
una fidanzata è stato un problema nell’apprezzare
un’altra ragazza?»
«È
diverso e lo
sai…»
Con
la risposta
di Kotaro, Kuroo, non poté effettivamente replicare oltre.
Lui lo sapeva in che
situazione era quell’idiota della Fukurodani ma vederlo in
quello stato gli dava
fastidio, uno perché era suo amico e due perché
non voleva rovinarsi la serata per
certe questioni.
«Dov’è
ora?»
«Emma?»
«No
Keiji,
intendo la ragazza del bancone. Allora, Kou,
dov’è?»
Kotaro
provò a
dare un’occhiata tra i tavoli e non gli fu difficile
trovarla. Kuroo lo vide sprofondare
con la testa tra le braccia piegate sul tavolo mentre indicava con
l’indice il
tavolo dov’era la maggior parte della Karasuno.
«La
tipa
abbracciata a Tsukishima della Karasuno? Capelli neri corti, labbra
sottili?»
Kotaro
alle
parole di Kuroo si limitò ad annuire rimettendosi a sedere
per bene e gettando
ancora una volta lo sguardo verso di lei.
«Beh,
sembra già
presa a quanto pare!»
«Si,
me ne sono
accorto anche io Keiji, che credi!»
«Carina
però.» commentò
Kuroo con un’aria rassegnata.
«Si,
parecchio.»
Kotaro
finì la
sua birra e poi fece una cazzata.
Il
locale era
quasi vuoto ed erano rimasti solo Kotaro e Kuroo al proprio tavolo
quando arrivò
Toru Oikawa e nessuno lo aspettava per quella sera.
«Cosa
ci fai qui?»
«Non
sembri molto
contento di rivedermi.»
Toru
non si scomodò
neppure a sedersi e si limitò a guardare con aria di
sufficienza Kotaro il
quale aveva lo sguardo da sbronza e un’aria quasi contrariata.
«Siamo
tornati prima
ed Emma voleva vederti a tutti i costi. Ho pensato bene di
accompagnarla, è fuori
che ti aspetta.»
«Emma
è fuori?»
Kotaro
proprio
non se l’aspettava ma non c’era molto che potesse
fare.
«Si
e faresti
meglio a darti una sistemata se non vuoi che ti veda in questo pessimo
stato.»
«Vaffanculo
Toru.»
«Si,
come ti pare
bastardo!»
Kotaro
si alzò finendo
faccia a faccia con Toru il quale gli dedicava un sorriso soddisfatto
mentre
lui non aveva altro che un’espressione dura in volto.
«Finitela
che
Manabu se la prende con me per ogni cosa qui dentro. Su, Toru fatti
offrire un
sorso di buonanotte e tu va da Emma, ci sentiamo domani.»
Kuroo
fece un cenno
di saluto a Kotaro il quale, dopo essere rimasto a fissare in cagnesco
Toru, lo
superò dandogli una spallata che lo fece spostare di qualche
centimetro per poi
lasciare così il locale.
«Quello
deve
darsi una calmata.»
Toru
prese posto
di fronte a Kuroo poggiando la caviglia sinistra sul ginocchio destro.
«Cosa
pretendi?
Tu non perdi mai occasione di provocarlo.»
«Se
l’è cercata e
lo sai.»
Ora,
vi ricordate
quando all’inizio abbiamo presunto la storia dal punto di
vista del barman, di
Manabu? Ecco, la cosa era impossibile anche perché
altrimenti non vi racconterei
ciò che sto per raccontarvi. Ma i fatti andarono
così e per questo va detto. Il
Nodo aveva ormai chiuso da circa mezz’ora e quando Midori
arrivò per recuperare
la giacca che aveva dimenticato nella fretta di andar via si
ritrovò la saracinesca
del posto chiusa con tanto di catenaccio. Il problema era che nella
tasca di
quella giacca c’era qualcosa di importante che non avrebbe
potuto recuperare
fino al giorno seguente ma, intanto, trovò altro. Qualcosa
di rosa destò la sua
attenzione e si avvicinò istintivamente. Fu così
che raccolse dal cemento un
bracciale di carta rosa dall’aria più che
familiare e questo aveva scritto su
con un pennarello indelebile nero “MIDORI”. Ancora
oggi lei stessa non sa
spiegarsi il motivo per il quale conservò
quell’affare ma la verità è che era
molto
più complesso di così.
Hey
hey hey ( e ho detto già tanto di me
solo con la scelta di queste parole di introduzione)!
Perché
siete qui? No, davvero, sono
curiosa di capire cosa vi abbia incuriosito... dai, dai, fatemelo
sapere (:
Come
avete potuto capire i ragazzuoli qui
sono più grandi rispetto alla serie e il racconto
è ambientato in ambito
universitario. Pertanto le personalità dei personaggi sono
comunque un po'
mutate vista la loro differente maturità e, inoltre, ho
cercato di renderli un
po' più umani e un po' più romanzati (spero non
vi dispiaccia questo).
Principalmente
ci sarà Kotaro e ci sarà
Midori (questo nuovo personaggio, non l'unico) ma ci saranno anche gli
altri,
ognuno a modo loro.
Nessuna
pretesa per questo racconto che mi
fa compagnia da diverse sere prima di dormire ma mi ha fatto un po'
emozionare
e quindi non ho resistito a mettere nero su bianco.
Il
prossimo capitolo arriverà a breve e
pian piano entrerete maggiormente nelle dinamiche di tutti i personaggi
e di
come sono collegati, intrecciati tra loro.
Vi
dico già che più si va avanti e più si
farà riflessivo, più scoprirete le sfumature di
ognuno di loro.
Io
ora me ne vado, ok? Ma voi ditemi di
voi... Tipo, siete al Nodo e Manabu vi chiede cosa servirvi, cosa gli
rispondereste? Io credo prenderei un bel sakè ora come ora,
sì.
Ma
c-cosa... un momento, no asp-...
«Ehm,
ciao, credo. Non so chi voi siate,
io sono Manabu e si, ecco, volevo ricordarvi che la tipa qui,
l'autrice, è
maggiorenne, pertanto posso servirla. Ma voi dovreste farmi vedere un
documento, ok? Bene, niente, tutto qua. Vi aspetto al Nodo,
allora»
Ma
che diavolo...?! Manabu, sul serio? Era
proprio necessario? Perdonatelo ma da quando è stato quasi
arrestato per aver
servito alcol ad una persona minorenne (a sua insaputa, ovvio) va in
paranoia.
Ma questa è un'altra storia.
Mako