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Autore: oyaoya    29/10/2020    0 recensioni
«Se questa storia dovesse raccontarla il barman del Nodo allora inizierebbe col dire che quella sera c’era uno spilungone solitamente chiassoso senza battute tra le labbra e una ragazza silenziosa che iniziò a parlare fin troppo. Ma questo non è il caso. Il barman c’era e i ragazzi anche ma le cose non sono mai come appaiono.»
Kotaro Bokuto va all'università così come Midori Okada ma l'università per i due non è la stessa. Eppure le loro vite hanno parecchio in comune, come la pallavolo e un concerto. Ma si dice ci sia un tempo e un luogo per tutto e, a volte, di giusto, ci sono solo due persone e nient'altro che pare che anche quei venti centimetri di differenza d'altezza siano lì apposta per tenerle divise.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Tsukishima, Koutaro Bokuto, Nuovo personaggio, Tetsurou Kuroo
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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venti centimetri

.1.

il nodo

 

 

 

Se questa storia dovesse raccontarla il barman del Nodo allora inizierebbe col dire che quella sera c’era uno spilungone solitamente chiassoso senza battute tra le labbra e una ragazza silenziosa che iniziò a parlare fin troppo. Ma questo non è il caso. Il barman c’era e i ragazzi anche ma le cose non sono mai come appaiono. Quindi iniziamo col dire che il Nodo era il locale più frequentato dagli studenti universitari di Tokyo all’epoca e quella sera, un caldo venerdì di settembre, era più affollato del solito. Le luci erano come al solito soffuse e la musica risuonava dagli altoparlanti con il volume né troppo alto né troppo basso, avete presente, il giusto volume che ti permette di goderti il brano in riproduzione ma che ti dà anche la possibilità di parlare. I tavoli erano quasi tutti occupati e la gente si accalcava anche nei corridoi creatosi tra questi e il bancone posto al centro del locale. Ora il barman, un certo Manabu (questo ci è dato sapere), lavorava lì da circa cinque anni ed era ormai ben riconosciuto dai giovani che frequentavano il Nodo, persino dalle matricole universitarie che dovevano ancora iniziare a bighellonare da quelle parti. Per questo motivo si sentiva ormai parte di quella vita universitaria che, in realtà, non gli apparteneva mica, ma faceva il suo, quella sera come altre.

«Manabu, Manabu, Manabu. Allora, stasera ce ne sono di belle ragazze da queste parti?»

«Guarda che se anche quest’anno mi metti in situazioni come quelle dello scorso giuro che ti avveleno la birra, gatto-morto!»

Kuroo Testuro era l’ultimo a dover rientrare dalle vacanze estive. L’ultimo del suo “solito” gruppo al Nodo, si intende.

«Ahh, Manabu ti riferisci alla rissa con il tipo della biondina del Kansai oppure a quando le due gemelle ti spaccarono tutti i bicchieri nel tentativo di ferire questo bel musetto?!»

Kuroo allontanò con uno strattone la mano di Kotaro dal suo viso sogghignando al ricordo di quegli episodi. Era facile ritrovarsi in circostanze del genere se si frequentava uno come Kuroo e lo sapeva bene Kotaro Bokuto così come gli altri della combriccola e quella sera c’erano tutti. Kenma Kozume, che era già al solito tavolo con la testa nel suo smartphone probabilmente a giocare a qualche videogame, Keiji Akaashi dall’aria come sempre pensierosa che aveva appena dato una pacca sulla spalla a Kotaro per fargli capire che li avrebbe attesi al tavolo e Satori Tendo, il rossiccio con gli occhi spiritati e l’aria tormentata che se ne stava ad osservare le bottiglie alle spalle di Manabu cercando di capire cosa avesse voglia di bere quella sera.

«Per me puoi scoparti anche i muri Kuroo basta che non porti rogne, idiota!»

«Ti voglio bene anche io vecchio.»

Non fu né il tono ironico di quelle parole né l’occhiolino che Kuroo gli dedicò a far infastidire il barman (ormai quei ragazzi erano come fratelli più piccoli per lui ai quali spesso doveva purtroppo badare in certe occasioni), fu ovviamente l’essere chiamato “vecchio” visto che lui aveva da poco superato i trent’anni e a quell’età non ci si può sentire dare già del vecchio, e che diamine.

«Ma voi ogni tanto la mettete la testa sui libri?»

Manabu prese a preparare le pinte di birra ai due guardandosi intorno. Quella sera c’era davvero parecchia gente.

«Non ci crederai e non ci volevo credere neppure io, in realtà, ma si dice che questo casanova qui sia tra i più intelligenti della Nekoma.»

Alle parole di Kotaro, Kuroo sorrise porgendo il pugno all’amico al quale subito accostò al suo in segno di rispetto. Quella si che era una coppia singolare, pensò Manabu.

«Si, come vi pare. Ora sparite dalla mia vista mezze seghe!»

I due afferrarono le pinte di birra e salutarono affettuosamente (uno dei due, non sto a dirvi chi, si leccò le labbra sensualmente prendendo in giro Manabu) prima di raggiungere gli altri al tavolo e trascinandosi Satori ancora incantato a guardare le bottiglie (tanto lui prima di una certa ora non si decide).

«Quest’anno la Karasuno inizia presto con le amichevoli. La settimana prossima hanno una partita con la Shiratorizawa.»

«E di che ti preoccupi Keiji?! Guarda che tra tutte le università di Tokyo, siamo noi ad essere messi meglio!»

Kotaro non perse tempo nel vantarsi buttando giù un lungo sorso di birra e finendo col dare una sonora pacca sulla spalla all’amico seduto al suo fianco. Keiji parve non smuoversi più di tanto, ormai era abituato all’irruenza dell’altro.

«Questo è quello che credete voi.»

Kenma non si preoccupò neppure di alzare il volto dallo schermo del suo smartphone quando pronunciò quelle parole e subito trovò manforte dall’altro, Kuroo, anche lui studente della Nekoma.

«Ei, gufo, ti batto quando voglio!»

Kotaro batté con prepotenza le mani sul ripiano di legno del tavolo e si alzò in tutti i suoi cento ottantacinque centimetri di altezza mostrando uno dei suoi sgargianti sorrisi.

«Provaci coglione!»

Più che parlare quello urlò e l’altro lo seguì alzandosi anch’egli di fronte a lui.

«Ti faccio a pezzi, bastardo!»

I due poi se la risero rumorosamente buttando giù la loro birra e in quel modo, su per giù, proseguì il resto della loro serata.

Qualche tavolo più in là c’era un altro gruppo di ragazzi intenti a parlare di pallavolo. Perché si, in questa storia, se non si fosse capito, la maggior parte delle persone coinvolte giocano a pallavolo e una moltitudine non precisata di vicende avviene grazie agli intrecci che questo sport porta nelle loro vite. Ma andiamo con ordine.

Parlavamo di un altro tavolo, sì, quello dove diversi ragazzi della Karasuno, ulteriore università di Tokyo, parlavano animatamente del loro prossimo match.

«È vera questa cosa, Tsukki?»

«Quando la smetterai di chiamarmi così, idiota!?»

«Aspetto ancora la risposta alla mia domanda, “idiota”!»

Midori Okada e Kei Tsukishima erano amici dall’infanzia, o meglio, si conoscevano da quando avevano circa sette anni. Perché veri e propri amici lo sono diventati col tempo ma neppure loro saprebbero dire bene quando. Fu una cosa piuttosto naturale visto che era raro che qualcuno sopportasse il cinismo di Kei e altrettanto poteva dirsi dell’impulsività di Midori. Ed è per questo che tra di loro c’erano parole come “idiota”, “mentecatto/a”, “imbecille”, “demente” e via, senza alcuna conseguenza nel loro rapporto.

«Si, prossima settimana. Ma siamo noi a dover andare alla Shiratorizawa.»

La questione parve chiusa anche perché Shoyo e Yu facevano fin troppo chiasso per potersi concentrare su altro. Stiamo parlando di Shoyo Hinata e Yu Nishinoya, due che a metterli a confronto con il resto non si direbbe mica siano eccellenti giocatori di pallavolo vista la loro altezza ma da quei due corpicini robusti veniva fuori una voce ingombrante e lo si poteva capire dall’espressione contrariata di Tobio Kageyama, appena arrivato al tavolo con il suo frappè corretto con rum.

«Ma siamo sicuri sia una cosa legale la merda che ti bevi?»

«Siamo proprio sicuri che ti sia stata rilasciata l’abilità di pensare?»

Ryunosuke (Ryu) Tanaka fece per alzarsi dal suo posto e provare a dargliele di santa ragione a Tobio e la sua risposta presuntuosa (che poi non si sa se era inteso solo ironicamente come gesto o altro) ma Daichi Sawamura lo tirò giù per la maglia mimando un no con la testa con un’aria rassegnata in volto.

Anche per loro la serata proseguì senza troppi intoppi. Daichi si allontanò quando arrivarono Koshi Sugawara, chiamato da tutti Suga, e Asahi Azumane e con loro si intrattenne a chiacchierare per altri tavoli (tra i quali quello di Kuroo e compagnia); dopo circa un’ora arrivarono anche le ragazze, Kiyoko Shimizu e Jun Watanabe, e con il loro arrivo Ryu non perse tempo nel provare ad attirare l’attenzione della sua amata Kiyoko (ormai era un anno che ci provava ma non era neppure questa la cosa assurda; la cosa assurda era con quanta estrema calma e gentilezza lei lo rifiutasse ogni volta). Ci furono birre, drink, chiacchiere. Insomma tutti parevano spassarsela amorevolmente tanto che quando i bicchieri si svuotavano, ognuno a modo loro, cercava di riempirli con altro così da non far concludere quella serata (che poi se immaginate la quantità di persone lì dentro potrete comprendere che ognuno di loro avesse fuori da quella porta i propri demoni e nessuno, o quasi, aveva voglia di lasciare il Nodo per doverli fronteggiare ancora una volta; ma ci arriveremo). Detto ciò, arrivò anche per Midori il tempo di riempirsi nuovamente il bicchiere e le andava proprio di bere del sakè.

Una volta al bancone dovette attendere che Manabu si liberasse. Così attese e lei odiava le attese di quel tipo. In realtà le odiava proprio tutte le attese lei, in quanto impaziente di natura, ma quelle in cui bisogna attendere tra la gente la mettevano a disagio. Cosa faccio intanto, pensava, la gente mi starà fissando, mi guardo intorno ma se poi qualcuno si fa un’idea sbagliata, rifletteva ancora. E così si ritrovava a maledire la persona di turno che non le aveva fatto da partner nell’attesa, in quel caso il suo caro amico Kei.

Persa nei suoi pensieri non si accorse neppure che qualcuno, vista la calca di gente al bancone, si era poggiato al ripiano a non molti centimetri da lei e quando per istinto fece per voltarsi la prima cosa che vide fu il bracciale che aveva al polso destro. Tutto fu piuttosto veloce. Guardò il polso della persona sconosciuta, un uomo intuì dalla costituzione, e poi guardò il suo e poi ancora quello dello sconosciuto. Erano completamente diversi. Il suo era molto più piccolo e ossuto dalla pelle liscia mentre l’altro era robusto, dalle vene visibili e con una leggera peluria. Eppure qualcosa li accumunava.

«Quali erano le possibilità che questo potesse accadere?!»

La voce dello sconosciuto la sorprese, roca e squillante al tempo stesso. Quando alzò lo sguardo si ritrovò davanti un paio di strani occhi dorati e un sorriso divertito.

«Non ne ho idea!»

Midori non riuscì a dire altro perché, forse a causa dell’alcol che la rendeva un po’ meno lucida, ma il fatto che entrambi avessero al polso lo stesso bracciale rosa in carta fu davvero qualcosa che la sorprese a tal punto.

«Anello B, sulla sinistra.»

Kotaro cercò per qualche motivo di frenare il suo entusiasmo quando la ragazza parve quasi spaventata dalla sua reazione ma non riusciva a smettere di sorridere perché lui le coincidenze del genere le amava.

«Anello C, sinistra.»

Parlavano del concerto dei Red Wood avvenuto a Tokyo due sere prima e al quale, visto com’era la realtà dei fatti, entrambi avevano partecipato.

«Ok, dimmi solo una cosa, cos’hai fatto durante “Space Shuttle” …?»

Midori sentì gli occhi illuminarsi, lei adorava quella canzone e il ricordo dell’emozione provata durante quel concerto, proprio durante l’esibizione della band di quel brano, le fece venire letteralmente la pelle d’oca in quel momento. Kotaro d’altro canto se ne accorse. Dal suo metro e sessantacinque la ragazza lo guardava con un entusiasmo nuovo negli occhi che poté definire scuri, forse marroni (ma le luci erano soffuse e non era facile vedere certi dettagli, poi per uno come lui che nella sua testa avvengono così tante cose contemporaneamente…) e lui non riuscì a trattenersi parlando nell’esatto momento in cui lei lo fece.

«Ho guardato le stelle!»

«Le stelle!»

Per essere chiari nuovamente, i due sputarono via quelle parole contemporaneamente. Ora, erano già piuttosto sorpresi all’idea di quella coincidenza e sentire le esatte parole (o giù di lì) provenire dall’altro li fece eccitare come due bambini (o come due ventenni brilli).

«Esatto, cazzo!» fu tutto ciò che Kotaro riuscì a dire affinché riuscisse a trattenere un urlo di entusiasmo in realtà.

«Non la capisco io quest’assurda moda tra i ragazzini di mettere tutti le mani a cuore durante quel pezzo, non ha senso, l’ha detto anche Eisen!»

Midori parlava del bassista della band, Eisen, e di come lei da vera fan non amasse la fama dei Red Wood tra i giovanissimi. Ma questa è un’altra storia che non abbiamo bisogno di approfondire al momento.

Kotaro sbarrò gli occhi e annuì con la testa. A quanto pare la pensava allo stesso modo.

«Se solo potessi far capire questa cosa alla persona con la quale ho visto il concerto.»

«Mani a cuore?»

Midori gli sorrise. La faccia dello sconosciuto parve cadere in una divertente disperazione quando le annuì in risposta.

«Per questo motivo ci sono andata da sola. Non conosco nessuno che ami i Red Wood quanto li amo io.»

«Beh ora non potrai più dirla questa cosa. Al massimo dirai “Una volta incontrai per caso uno sconosciuto che mi disse di amare i Red Wood quanto li amo io”!»

Midori si mise a ridere insieme a lui e poi si ritrovarono entrambi a guardarsi in silenzio con le scie che l’adrenalina aveva lasciato nei loro corpi, ora che l’entusiasmo era stato scaricato.

Kotaro fu il primo a distogliere lo sguardo quando Manabu gli mise davanti l’ennesima pinta di birra e si ritrovò d’un tratto catapultato nel Nodo con un’orda di gente alle spalle che attendeva il proprio turno per essere servita. Questo perché non si rese conto per tutto il tempo che aveva avuto a che fare con quella ragazza dell’ambiente che lo circondava e tutto ciò che riuscì a fare, prima che qualcuno da dietro si fece posto davanti a lui, furono due cose: sorridere ancora una volta alla sconosciuta e catturare le parole di Manabu rivolte proprio a lei.

«Che ti servo, Midori?»

 

Come abbiamo detto il Nodo quella sera era davvero molto affollato pertanto nessuno al di fuori dei due si rese conto di quel loro momento e per lo stesso motivo quando Manabu chiese quella cosa a Midori non capiva il perché della sua espressione stranita.

 

«Stai bene?»

«Eh? I-io…»

Provò a cercare la testa grigia di quel ragazzo tra la folla e grazie alla sua altezza lo notò allontanarsi ma nel frattempo un altro spilungone incrociò la direzione del suo sguardo ed era l’ultima persona che voleva vedere.

«Io? Ma sì, sto alla grande! Tu che mi dici?»

Midori poggiò i gomiti al bancone e parve entusiasta (eccentricamente entusiasta) di cominciare quella insolita conversazione con il barman.

Manabu alzò un sopracciglio confuso.

«Ehm, sì e indaffarato. Parecchio.»
«Capisco. Tu non di Tokyo, vero? Hai uno strano accento… Vediamo, Kansai?»

«No, Chubu ma, come ti dicevo, sono indaffarato. Quindi, che ti servo?»

Midori si morse l’interno del labbro con lo stomaco in subbuglio e il cuore in gola.

«Sakè, grazie.»

«Bene, arriva subito eh?!»

Manabu tenne d’occhio la ragazza turbato. Era da poco che la ragazza frequentava il locale ma da allora veniva spesso con quelli della Karasuno. Forse era una matricola, pensò lui. Fatto sta che non aveva avuto a che farci tanto da poter giudicare quel suo comportamento nella norma.

Una volta servita la osservò con la coda dell’occhio buttar giù d’un sorso il sakè e allontanarsi con uno strano sguardo. Ma, come abbiamo detto più volte, Manabu era indaffarato e non ebbe tempo per assicurarsi che stesse bene. I ragazzi di oggi, pensò (e poi si lamentava se lo chiamavano vecchio, quello).

 

 

Quando Midori tornò al suo tavolo con l’alcool che ancora le bruciava la gola intravide tra i suoi amici dei nuovi arrivati che non faticò affatto a riconoscere. Wakatoshi Ushijima e Satori (il rosso di cui abbiamo parlato prima) erano seduti proprio lì a discutere con Daichi e gli altri del prossimo match di pallavolo. Doveva essersi bloccata o qualcosa perché Kei la tirò per il polso facendola sedere al suo fianco poggiandole un braccio attorno al collo.

«Vuoi andare via?» le sussurrò in un orecchio.

Tutto ciò che riuscì a fare fu mimare di no con il capo mentre Kei la teneva d’occhio con la fronte corrugata. Disse di no solo perché sentiva la testa girare troppo e dall’agitazione le venne una forte nausea che le fece venire dei brividi di freddo lungo la schiena. Dopo circa quindici minuti fece segno a Kei di andare via.

 

Kotaro una volta tornato al suo tavolo non disse una parola e Keiji, per questo, si preoccupò.

«Che ti prende?»

Kuroo osservò il ragazzo dai capelli grigi storcere le labbra con lo sguardo perso nella sua pinta di birra scuotendo il capo. Quello che doveva essere un “Niente, sto alla grande!” parve più un “Non ne ho idea!”.

«Che gli è preso ora?!»

«Non lo so Kenma, credo si sia rotto.»

Neppure l’ironia di Kuroo parve destarlo da quello stato.

«Oh! Ci sei?»

Keiji dovette strattonarlo per farlo reagire.

«Si, merde! Certo che ci sono.»

«Allora? Che ti è successo?»

Kuroo osservava guardingo l’amico sospirare quasi affranto.

«Ma niente, una al bancone…»

Kenma girò gli occhi al cielo mentre Keiji stranito spostava lo sguardo da Kotaro al bancone del bar.

«Aja, qua sono cazzi amari! Era carina?»

«Certo che lo era, parecchio.»

Kotaro parve come rabbuiarsi mentre tracannò la birra con lo sguardo tormentato.

«Allora qual è il problema?»

«Lo sai qual è, Kuroo…»

Keiji, intuitivo com’era, parlò per l’amico ricordando a tutti come stesse la situazione.

«Quando mai avere una fidanzata è stato un problema nell’apprezzare un’altra ragazza?»

«È diverso e lo sai…»

Con la risposta di Kotaro, Kuroo, non poté effettivamente replicare oltre. Lui lo sapeva in che situazione era quell’idiota della Fukurodani ma vederlo in quello stato gli dava fastidio, uno perché era suo amico e due perché non voleva rovinarsi la serata per certe questioni.

«Dov’è ora?»

«Emma?»

«No Keiji, intendo la ragazza del bancone. Allora, Kou, dov’è?»

Kotaro provò a dare un’occhiata tra i tavoli e non gli fu difficile trovarla. Kuroo lo vide sprofondare con la testa tra le braccia piegate sul tavolo mentre indicava con l’indice il tavolo dov’era la maggior parte della Karasuno.

«La tipa abbracciata a Tsukishima della Karasuno? Capelli neri corti, labbra sottili?»

Kotaro alle parole di Kuroo si limitò ad annuire rimettendosi a sedere per bene e gettando ancora una volta lo sguardo verso di lei.

«Beh, sembra già presa a quanto pare!»

«Si, me ne sono accorto anche io Keiji, che credi!»

«Carina però.» commentò Kuroo con un’aria rassegnata.

«Si, parecchio.»

Kotaro finì la sua birra e poi fece una cazzata.

 

Il locale era quasi vuoto ed erano rimasti solo Kotaro e Kuroo al proprio tavolo quando arrivò Toru Oikawa e nessuno lo aspettava per quella sera.

«Cosa ci fai qui?»

«Non sembri molto contento di rivedermi.»

Toru non si scomodò neppure a sedersi e si limitò a guardare con aria di sufficienza Kotaro il quale aveva lo sguardo da sbronza e un’aria quasi contrariata.

«Siamo tornati prima ed Emma voleva vederti a tutti i costi. Ho pensato bene di accompagnarla, è fuori che ti aspetta.»

«Emma è fuori?»

Kotaro proprio non se l’aspettava ma non c’era molto che potesse fare.

«Si e faresti meglio a darti una sistemata se non vuoi che ti veda in questo pessimo stato.»

«Vaffanculo Toru.»

«Si, come ti pare bastardo!»

Kotaro si alzò finendo faccia a faccia con Toru il quale gli dedicava un sorriso soddisfatto mentre lui non aveva altro che un’espressione dura in volto.

«Finitela che Manabu se la prende con me per ogni cosa qui dentro. Su, Toru fatti offrire un sorso di buonanotte e tu va da Emma, ci sentiamo domani.»

Kuroo fece un cenno di saluto a Kotaro il quale, dopo essere rimasto a fissare in cagnesco Toru, lo superò dandogli una spallata che lo fece spostare di qualche centimetro per poi lasciare così il locale.

«Quello deve darsi una calmata.»

Toru prese posto di fronte a Kuroo poggiando la caviglia sinistra sul ginocchio destro.

«Cosa pretendi? Tu non perdi mai occasione di provocarlo.»

«Se l’è cercata e lo sai.»

 

Ora, vi ricordate quando all’inizio abbiamo presunto la storia dal punto di vista del barman, di Manabu? Ecco, la cosa era impossibile anche perché altrimenti non vi racconterei ciò che sto per raccontarvi. Ma i fatti andarono così e per questo va detto. Il Nodo aveva ormai chiuso da circa mezz’ora e quando Midori arrivò per recuperare la giacca che aveva dimenticato nella fretta di andar via si ritrovò la saracinesca del posto chiusa con tanto di catenaccio. Il problema era che nella tasca di quella giacca c’era qualcosa di importante che non avrebbe potuto recuperare fino al giorno seguente ma, intanto, trovò altro. Qualcosa di rosa destò la sua attenzione e si avvicinò istintivamente. Fu così che raccolse dal cemento un bracciale di carta rosa dall’aria più che familiare e questo aveva scritto su con un pennarello indelebile nero “MIDORI”. Ancora oggi lei stessa non sa spiegarsi il motivo per il quale conservò quell’affare ma la verità è che era molto più complesso di così.

 

SPAZIO AUTRICE

Hey hey hey ( e ho detto già tanto di me solo con la scelta di queste parole di introduzione)!

Perché siete qui? No, davvero, sono curiosa di capire cosa vi abbia incuriosito... dai, dai, fatemelo sapere (:

Come avete potuto capire i ragazzuoli qui sono più grandi rispetto alla serie e il racconto è ambientato in ambito universitario. Pertanto le personalità dei personaggi sono comunque un po' mutate vista la loro differente maturità e, inoltre, ho cercato di renderli un po' più umani e un po' più romanzati (spero non vi dispiaccia questo).

Principalmente ci sarà Kotaro e ci sarà Midori (questo nuovo personaggio, non l'unico) ma ci saranno anche gli altri, ognuno a modo loro.

Nessuna pretesa per questo racconto che mi fa compagnia da diverse sere prima di dormire ma mi ha fatto un po' emozionare e quindi non ho resistito a mettere nero su bianco.

Il prossimo capitolo arriverà a breve e pian piano entrerete maggiormente nelle dinamiche di tutti i personaggi e di come sono collegati, intrecciati tra loro.

Vi dico già che più si va avanti e più si farà riflessivo, più scoprirete le sfumature di ognuno di loro.

Io ora me ne vado, ok? Ma voi ditemi di voi... Tipo, siete al Nodo e Manabu vi chiede cosa servirvi, cosa gli rispondereste? Io credo prenderei un bel sakè ora come ora, sì.

 

Ma c-cosa... un momento, no asp-...

 

«Ehm, ciao, credo. Non so chi voi siate, io sono Manabu e si, ecco, volevo ricordarvi che la tipa qui, l'autrice, è maggiorenne, pertanto posso servirla. Ma voi dovreste farmi vedere un documento, ok? Bene, niente, tutto qua. Vi aspetto al Nodo, allora»

 

Ma che diavolo...?! Manabu, sul serio? Era proprio necessario? Perdonatelo ma da quando è stato quasi arrestato per aver servito alcol ad una persona minorenne (a sua insaputa, ovvio) va in paranoia. Ma questa è un'altra storia.

 

Mako

   
 
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