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Autore: Jane P Noire    31/10/2020    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.16.
 
 

Con l’arrivo del mese di ottobre, le solite piogge dell’Oregon non fecero che peggiorare, mettendo fine a quelle sporadiche giornate di sole caldo.
Anche quel giorno pioveva piuttosto forte e, mentre aspettavo Adeline, mi ero appiattita contro il muro di fianco alle doppie porte dell’ingresso della scuola per ripararmi sotto il cornicione del tetto. Avevo infilato la coda di cavallo in cui avevo legato i capelli dentro il colletto del mio dolcevita celeste e avevo nascosto le mani così fredde che mi facevano male nelle tasche della giacca di pelle.
Quello stare ferma mi rendeva intrattabile, dal momento che sentivo come il mio potere continuava a risalire in superficie con fare irrequieto e l’adrenalina che mi infuocava il sangue ogni volta che avvertivo un demone nelle vicinanze della scuola. A causa della mia natura e di tutto il potere che mi costringevo a reprimere attivamente in ogni istante, stare ferma senza fare niente per me era qualcosa di impossibile. In quel momento non desideravo altro che andare in palestra per potermi allenare con Liam. Eppure rimasi esattamente dove ero, perché non me la sentivo proprio di lasciare che Adeline raggiungesse la villa di Hawke per conto suo.
Avevo gioito quando mi era arrivato un messaggio al cellulare, perché mi aveva dato qualcosa da fare, invece che restarmene con un piede e la schiena poggiati contro il muro a fissare la pioggia che bagnava il parcheggio della scuola. Ma poi non ero riuscita a reprimere uno sbuffo, nel momento in cui avevo letto il contenuto del messaggio e il suo mittente.
Hawke aveva creato un gruppo di chat, in modo che fosse più facile contattare tutti nello stesso momento. L’idea era buona, ma ciò che odiavo di quel gruppo era che il demone lo aveva nominato “Scooby-gang” e che lo usava principalmente per inviare foto non richieste dei suoi addominali – degli addominali super definiti, dovevo ammetterlo almeno con me stessa, ma di sicuro non interessanti quanto quelli di Liam.
Questa volta, in allegato alla foto di lui con indosso solamente un paio di boxer neri e molto attillati, c’era anche un indirizzo e un orario. Sorrisi quando riconobbi il luogo in cui ci stava chiedendo di andare, mentre i ricordi dei nostri incontri clandestini degli ultimi anni mi invadeva la mente e mi scaldavano il petto.
Senza nemmeno rendermene conto, Hawke era diventato una parte molto importante della mia vita; e, contro ogni buon senso e insegnamento di Elias, mi ero fidata di lui sin dalla seconda volta che l’avevo visto. Avevo fatto molto affidamento sul suo aiuto, quando volevo dare la caccia a qualche demone di nascosto dalla legione. Anche se dovevo ammettere che, da quando lo avevo conosciuto, non avevo mai attaccato un demone solo per la sua natura: Hawke mi aveva dimostrato che non tutti erano uguali, solo perché creature appartenenti a laggiù. Però quando mi imbattevo in demoni pericolosi che vivevano al limite tra ciò che era e non era permesso fare, io non rimanevo in disparte. E il mio amico – forse perché credeva che fosse divertente, o forse perché si annoiava – mi accompagnava sempre. Avevamo passato parecchie serate sui tetti della città a osservare i movimenti di altre creature infernali e poi seguirli nei vicoli più bui per poterli rispedire laggiù.
In quel momento, persa nei ricordi, avvertii la presenza di Liam che mi riportò alla realtà. Era davvero incredibile come riuscissi a sentirlo anche senza vederlo, a capire in che punto della stanza si trovasse anche senza cercarlo, ad avvertire la forza del suo sguardo su di me e il calore della sua pelle anche quando eravamo lontani.
Senza potermelo impedire, sorrisi e rovesciai la testa all’indietro per poterlo guardare meglio mentre mi camminava incontro. Il mio cuore mancò qualche battito, perché era sempre così bello. Con il cappuccio della felpa blu alzato sulla testa e una vecchia giacca di jeans imbottita, con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni e il borsone della squadra di football sulla spalla, mi venne vicino fino a fermarsi a pochi centimetri di distanza. «Ciao, bellissima.»
«Ciao.» Arrossii, ma finsi che il rossore sulle mie guance fosse colpa del vento freddo che mi graffiava la pelle. Poi feci cadere gli occhi sul suo borsone e aggrottai le sopracciglia. «Ma non dovevi andare agli allenamenti?»
«Dovevo.»
«Liam», lo ripresi con un sospiro, «non dovresti trascurare le tue attività da umano. Finirai nei guai, se salti un altro allenamento.»
Si strinse nelle spalle. «Sto pensando di lasciare la squadra in ogni caso.»
«Cosa? Perché?»
«Perché giocare, dopo tutto quello che è successo, non mi sembra più divertente come una volta. E soprattutto perché tra poche settimane il mondo potrebbe finire.» Si tolse gli occhiali dal naso per asciugare le goccioline di pioggia che gli avevano imperlato le lenti. «Sapere che l’intera umanità è sull’orlo di un’eterna guerra fra le forze del bene e del male, cambia la prospettiva delle cose. Il football, al confronto, non è poi così importante.»
«Ma quando – e vorrei farti notare che non ho detto “se” – riusciremo ad impedire l’Apocalisse, il mondo tornerà ad essere quello di sempre e la tua vita dovrà tornare alla normalità.»
Lui allungò una mano per accarezzarmi una guancia. Le sue nocche erano fredde sulla mia gota bollente e arrossata. Sorrise e fece comparire quelle sue stupende fossette. «Te l’ho già detto: io non voglio tornare alla mia vita prima che tu ne facessi parte.»
«Non ho detto questo», replicai. In effetti, nemmeno io riuscivo ad immaginare le mie giornate senza Liam. Non sapevo bene come avremmo fatto funzionare qualsiasi cosa ci fosse tra di noi, né per quanto tempo sarebbe potuta durare. Ma, come lui, non io volevo tornare alla mia vita prima di lui. Gli sfiorai il polso. «Però anche il football fa parte della tua vita. E inoltre, siamo al terzo anno. Non dovresti mollare proprio adesso, visto è altamente probabile che il football ti garantirà un’ottima borsa di studio. Non volevi andare a Harvard?»
Lui sbuffò, ma il suono che gli uscì dalle labbra somigliava di più ad una risata. «Stiamo davvero parlando di college?»
«Perché no?»
«Okay.» Liam si abbandonò con una spalla al muro al mio fianco e mi sfidò con lo sguardo, abbassando leggermente il mento per avvicinare la sua testa alla mia. L’aria che separava i nostri visi era diventata pura elettricità. «Allora, miss Monroe, dimmi quali sarebbe i tuoi piani per il college. Dove vorresti andare?»
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo, per sfuggire all’intensità delle sue iridi color caramello. «Io… non ci ho mai pensato.»
«Perché credi che non potrai andarci, vero?»
«Tra poche settimane potrei… non essere più qui.»
«Ma quando – e vorrei farti notare che non ho detto “se”», mi rivolse un ghigno, «compirai diciotto anni e riceverai la grazia, avrai tutta una vita davanti per fare tutto ciò che desideri.» Mi accarezzò di nuovo la guancia e mi scostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Ancora non lo guardavo in viso, ma riuscivo perfettamente a sentire il calore e la dolcezza dei suoi occhi su di me. «Non hai preso mai in considerazione l’idea, vero?»
Scossi la testa. «A dir la verità, no.»
«Se tu potessi fare quello che vuoi, cosa sceglieresti?»
Ci pensai un po’ su. «Immagino che non mi dispiacerebbe andarmene da Portland e iscrivermi all’università.»
Il mio cellulare vibrò di nuovo. Un’altra foto di Hawke in biancheria intima. Sbuffai.
Liam mi lanciò un’occhiata. Anche lui aveva il telefonino in mano con un’espressione contrariata stampata in viso. «Lo hai ricevuto anche tu?»
«Sì», riferii, sollevando il telefono ancora aperto sulla foto indecente. «Purtroppo.»
«Ho come la sensazione che se gli dicessimo di smettere, ne manderebbe di più come risposta.»
«Giusta sensazione.»
«Continuiamo ad ignorarle.»
«Fosse così facile…»
«Non ho detto che è facile.» Scosse la testa e si abbandonò nuovamente contro il muro al mio fianco. «Anzi, lo detesto. Soprattutto se so che anche tu le stai guardando.»
Piegai la testa di lato. «Sei geloso?»
Non rispose. Si limitò a far guizzare un muscolo sulla mascella e serrare i pugni attorno alla bretella dello zaino. «Nel messaggio di prima, diceva che tu sai a quale tavola calda si riferisce.»
Annuii, mentre con la manica della giacca mi asciugavo la pioggia che mi aveva inumidito la fronte e le guance. «Sì, è un posto a Foster-Powell in cui andiamo spesso. Il proprietario non è del tutto umano e la clientela di solito si fa gli affari propri.»
«Ci andate spesso?» ripeté. «Tu e lui da soli?»
«Be’, sì.» Mi mordicchiai il labbro per trattenere un sorriso. «Sei davvero geloso.»
«Be’, se proprio ci tieni a sentirmelo dire, sì. Sono geloso.» Fece una smorfia. «Considerato quello che provo per te, non è una cosa così strana.»
«Senti, Hawke è…» Mi interruppi, incapace di trovare una parola adotta. Hawke era tante cose per me, eppure non avevo mai avuto il bisogno di spiegare la nostra relazione a nessuno prima. Sospirai. «Siamo amici, credo.»
«Credi?»
«È difficile spiegare il rapporto che ci lega. La maggior parte del tempo non lo capisco nemmeno io», confessai. «So che mi fido ciecamente di lui e che non voglio ucciderlo come tutti gli altri demoni, ma… è complicato.»
Lui annuì. Si piegò in avanti e mi toccò la spalla con la sua. «Non mi hai mai detto come sei diventata l’amica di un demone», mi fece notare.
«Non lo so nemmeno io. È successo e basta.»
Vidi Liam aprire la bocca, ma si bloccò quando le doppie porte dell’ingresso si aprirono e Adeline uscì fuori dalla scuola.
Gli occhiali da sole che la facevano sembrare un insetto erano sul naso e lei era così concentrata sul suo cellulare che mi venne a sbattere contro. Quando riprese l’equilibrio su entrambe le piante dei piedi, ci mise qualche istante per mettermi a fuoco dietro le lenti scure. «Oh, merda. Scusa.»
«Non fa niente.» Mi misi la borsa con i libri a tracolla e indicai il suo telefono. «Hai ricevuto il messaggio?»
Lei lanciò una rapida occhiata a Liam, poi tornò a guardare lo schermo del cellulare. «Sì. Ed è davvero insopportabile che abbia degli addominali così perfetti. Odiarlo è più difficile.»
Scoppiai in una risatina.
«Stavi aspettando me?»
«Sì, poi è arrivato anche Liam.»
Lui tirò fuori dalla tasca dei pantaloni le chiavi della Comet. «Vi do un passaggio.»
«Grande! Non avevo nessuna voglia di avventurarmi sui mezzi pubblici con questa fottuta pioggia.» Adeline cominciò a camminare verso il centro del parcheggio.
Quando mi accorsi che per evitare di guardare l’anima di un ragazzo del primo anno non stava deviando e stava camminando dritta contro un muretto, le afferrai il braccio e l’attirai al mio fianco.
Mi rivolse un cenno. «Grazie.»
Liam le lanciò uno sguardo pieno di curiosità. «Il fatto che cammini sempre come se fossi ubriaca o mezza cieca, è per colpa delle anime che vedi?»
«Io sono mezza cieca.» Adeline si aggiustò la montatura nera sul naso e poi si riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ma le anime non aiutano. Sono troppo luminose. È come andare in giro in piena notte con dei fari perennemente puntati negli occhi.»
«Deve essere difficile, per te.»
Lei fece un vago cenno della mano, liquidando la faccenda come se non fosse un grande problema. In realtà, me lo aveva confidato lei stessa, in alcuni momenti era davvero un problema: per esempio, non poteva prendere la patente perché dietro ad un volante sarebbe stata un pericolo per sé e per gli altri, e aveva sempre bisogno di muoversi con qualcuno che la guidasse. «Ormai ci sono abituata e ho imparato a conviverci. Anzi, senza mi sentirei perduta.»
Tornò a rosicchiare l’unghia del pollice. Con quegli occhiali non riuscivo a vedere la sua espressione, ma quel gesto mi faceva capire quanto fosse veramente nervosa. «Secondo voi, cosa deve dirci Hawke?»
«Spero che abbia a che fare con quella Congrega di streghe che doveva contattare», mormorai, pensierosa. «Quella è l’unica pista che abbiamo al momento.»
«Ma perché non potevamo parlarne a casa sua?»
«Perché Hawke adora quella tavola calda.» Mi strinsi nelle spalle e sorrisi.
«Quel demone è davvero strano», commentò Adeline.

§
 
Liam aveva fermato la macchina in un parcheggio al chiuso vicino all’indirizzo della tavola calda in cui dovevamo andare.
Il percorso a piedi fino alla nostra destinazione mi rese parecchio nervosa, dal momento che continuavo ad avvertire la presenza di demoni alle nostre spalle. Era una cosa piuttosto normale: in città era sempre pieno di demoni di basso rango che si mescolavano agli umani. Non facevano niente di male, quindi li lasciavo in pace.
Quando entrammo nel locale, mi guardai subito intorno. Ovviamente, Hawke non c’era.
In compenso, c’era il solito fantasma che teneva il naso appiccicato alla vetrina dei dolci con aria sognante e malinconica. Non ci avevo mai parlato, perché non prestava mai attenzione a nient’altro che non fossero le torte e i biscotti che non poteva più mangiare. Mi faceva pena, ma ogni volta che provavo ad approcciarlo, lui fluttuava via con un sospiro.
Fui la prima a prendere posto sui divanetti attorno ad uno dei tavoli in fondo al locale. Pochi istanti dopo, Adeline si sedette al mio fianco e Liam si accomodò sulla poltroncina di fronte.
La cameriera ci raggiunse in un secondo per prendere le nostre ordinazioni. Non mi sfuggirono né il sorriso civettuolo né l’occhiata che rivolse a Liam. Capivo perché lei ne fosse rimasta affascinata, dal momento che era davvero molto bello, ma non riuscii ad impedire alla mia gelosia di infuocarmi il sangue nelle vene. E quando lui ricambiò il sorriso, l’irritazione mi fece serrare i pugni sul tavolo e irrigidire la schiena. Lei si allontanò con passo sobbalzante per riferire alla cucina i nostri ordini – caffè per tutti, un panino al formaggio per Liam, un frullato alla fragola per Adeline e biscotti al cioccolato per me. 
A quel punto, io fissai lo schermo del televisore che si trovava in un angolo della stanza. Il volume era completamente abbassato e il volto del giornalista era troppo anonimo per attirare veramente la mia attenzione, ma in questo modo era più facile fingere di non vedere Liam che cercava i miei occhi con i suoi pieni di confusione. Sapevo che non aveva senso essere gelosa. Quello che Liam aveva rivolto alla cameriera era solo un sorriso di cortesia. Eppure il pensiero che una ragazza umana e normale come lui potesse ricevere le sue attenzioni mi faceva ribollire le viscere dalla rabbia e dalla gelosia. Soprattutto perché io non avrei mai potuto essere normale.
All’improvviso non fui più costretta fingere di essere interessata alla televisione, perché mentre leggevo i titoli delle ultime notizie qualcosa aveva davvero catturato la mia completa attenzione.
«Porca merda!» esclamai, spalancando gli occhi e portandomi le mani alla bocca.
Anche Adeline e Liam fecero scattare gli occhi sullo schermo piatto.
Quella mattina era stata trovata una quarta vittima. Si chiamava Valerie Greenwood e aveva sedici anni. Ovviamente il telegiornale non disse nulla in merito, ma ero certa che anche Valerie fosse una benedizione – ancora ignara dei suoi poteri e che ora non avrebbe mai potuto adempiere alla sua missione. Le autorità erano ufficialmente alla ricerca di un serial killer. Gli umani non sapevano che il sangue delle vittime era stato rubato, o avrebbe cominciato a credere all’esistenza di vampiri o altre creature del folklore che erano state ispirate dai fin troppo reali demoni che popolavano la terra; ma non erano stupidi: erano capaci di fare due più due, dal momento che le ferite e le modalità che avevano portato alla loro morte erano le stesse.  
Liam tornò a dare le spalle alla televisione. «Cazzo.»
«Non riesco proprio a capire cosa accidenti vuole questo demone», mormorai, «ma tre benedizioni morte? È davvero tanto sangue.»
«Cosa può ottenere con tutto quel sangue?» domandò Adeline. L’unghia del pollice veniva incessantemente torturata dai suoi denti.
Sospirai, mordicchiandomi il labbro inferiore. «Ho guardato in ogni libro alla villa e a casa di Hawke; ho fatto ogni tipo di ricerca possibile, lo giuro, ma ogni volta che si arriva al paragrafo sugli usi del sangue angelico la frase si interrompe. È come se anche i libri di testo si rifiutassero di contemplare un atto così terribile.»
«Arrivati a questo punto, dopo che sono morte quattro persone, è davvero importante capirlo?» chiese Liam con voce brusca. Aveva abbandonato la testa sui palmi e poggiato i gomiti sui tavoli. La tempesta che si abbatteva nei suoi occhi, la disperazione e la rabbia che vi leggevo dentro, mi spezzava il cuore.
«Non è che io muoia dalla voglia di sapere cosa gli passa per la testa, credimi, ma capire che tipo di rituale ha intenzione di eseguire potrebbe aiutarci a trovarlo e fermarlo», spiegai.
Nel momento in cui la cameriera tornò con una caraffa di caffè, ci ammutolimmo. Sorrise ancora in direzione di Liam, ma questa volta lui non la degnò nemmeno di uno sguardo. Lei sembrava piuttosto risentita dal suo cambio di umore e sembrò proprio sul punto di evaporare fumo dalle orecchie quando vide che lui, forse senza nemmeno rendersene conto, aveva cominciato ad allungare una mano lungo il tavolo per sfiorare le mie dita in cerca di conforto. Non mi vergogno di ammettere che provai una grande soddisfazione nel notare la sua espressione furiosa, quando si accorse che accettavo la mano di Liam e ricambiavo la stretta, intrecciando le nostre dita.
Hawke entrò nella tavola. Ci individuò in un istante e, dopo aver rivolto l’occhiolino alla cameriera che invece continuava a fissare Liam e le nostre mani che si toccavano, prese posto sui divanetti.
«So che ti piace farti aspettare», dissi, quando la ragazza se ne andò con passo furente, «ma sei stato tu a chiederci di venire qui, quindi potevi farci la cortesia di presentarti in orario.»
«Quanta aggressività…» commentò. Mi fece il gesto degli artigli che graffiavano ed emise una specie di miagolio, imitando un gatto all’attacco.
Alzai gli occhi al cielo.
«Abbiamo appena scoperto che c’è stata una quarta vittima», spiegò Adeline.
«Sì, ho saputo.»
«Per caso, anche i demoni hanno un gruppo in chat in cui si scambiano le informazioni?» lo apostrofò lei.
Lui piegò la testa di lato. «A dir la verità, sì.»
«Non ci credo…»
«Credici.» Le fece l’occhiolino.
«Mandi anche a loro foto di te in mutande?»
«No, quello è un onore che riservo solo per i miei amici della Scooby-gang.»
«Il tempo stringe, Hawke», mi intromisi brusca, per interrompere il loro scambio di battute. «Dimmi che sei riuscito a contattare quella Congrega di streghe.»
«Per questo vi ho chiesto di vederci qui. Be’, per questo», fece un ghigno diabolico quando la cameriera gli posò davanti al viso un piatto di pancake ancora fumanti, «e perché avevo una gran voglia di questi.» Cominciò a mangiare con foga, sporcandosi il mento con lo sciroppo d’acero e lo zucchero a velo.
«Allora?» lo incitai.
«Allora, sono finalmente riuscito ad entrare in contatto con quella strega di cui vi parlavo. Mi ha detto che si incontreranno per una riunione questo sabato in un ristorante a Richmond.» Si pulì con la lingua la goccia di sciroppo che gli era scivolata sul mento. Poi fece vagare lo sguardo sui presenti attorno al tavolo e aggiunse: «Ci ha concesso del tempo per parlare prima della mezzanotte, quando la loro riunione avrà inizio.»
«Mezzanotte, davvero?» Adeline fece una specie di sorriso, che però somigliava più ad una smorfia. Parlare di streghe la rendeva estremamente nervosa, da quando aveva scoperto di essere una di loro.
«Quella è l’ora delle streghe, zuccherino. Sembra banale, ma è vero.» Piegò la bocca in quel suo ghigno che lui credeva essere irresistibile, ma che io trovavo parecchio irritante. E a giudicare dall’occhiataccia che gli lanciò Adeline, nemmeno lei era stata conquistata al cento per cento. «Comunque, pensavo di andare lì per le undici e mezzo. Non dovrebbe volerci molto.»
Mi morsi il labbro. «Le undici di sabato sera?»
«È un problema per te, splendore? Avevi un impegno con il tuo gruppo di preghiera?»
Assottigliai le palpebre sugli occhi e strinsi i pugni. «La smetti di fare queste battute di merda sui Vigilanti? Cominci a farmi incazzare…»
Liam si intromise nella conversazione prima che scavalcassi il tavolo per abbattere un pugno sulla faccia di Hawke. «Potrebbe essere un problema per te uscire dalla villa a quell’ora?»
Annuii e mi afflosciai sul posto. «Anche se non fosse per il nuovo coprifuoco che hanno imposto a tutti i minorenni… Mi tengono sotto controllo, ultimamente.»
«Sospettano qualcosa?»
«Non credo.» Arricciai la punta del naso e feci una smorfia di insofferenza. «Ma sanno che detesto starmene con le mani in mano e che voglio fare qualcosa. E loro vogliono impedirmelo. Sai, per la storia che potrei diventare un mostro gigante e tutto il resto…»
«Potresti dire loro che vieni a dormire a casa mia?» propose Adeline, sistemandosi la montatura degli occhiali sul naso. «Anzi, potresti davvero restare a dormire a casa mia. Mia mamma sarà fuori città per tutta la settimana…»
«No», replicai, dopo aver fatto scoccare la lingua sul palato e incrociato le braccia sotto il seno. «Tu non verrai. E nemmeno tu, Liam.»
«Che cosa?» sbottarono entrambi all’unisono.
Hawke scoppiò a ridere.
Io lanciai un’occhiata penetrante prima ad uno e poi all’altra. «Sentite, se Hawke ha ragione…»
«Io ho sempre ragione», borbottò lui.
Lo ignorai, anche se non riuscii ad impedirmi di alzare gli occhi al cielo. «Se Hawke ha ragione e le streghe sono coinvolte in questa storia, non è sicuro per voi.»
«Ma non puoi andare da sola con lui!» esclamò Liam.
«Mi stai offendendo, Fossette», disse Hawke.
«Liam ha ragione», intervenne Adeline. «Ci starà aiutando, è vero, ma ancora non mi fido di lui.»
Hawke sbuffò. «Disse la ragazza con sangue di demone nelle vene…»
«Sentite», scossi la testa e drizzai la schiena, «capisco che vogliate proteggermi tanto quanto io voglio proteggere voi. E capisco come può sembrare da una prospettiva esterna: lui è un demone e non prende seriamente nemmeno la morte di quattro persone…»
«Ehi, ma che succede? Per caso oggi è la giornata nazionale del “prendiamocela con Hawke” e nessuno mi ha avvisato? Se avessi saputo che avreste cominciato a colpirmi da tutte le parti, mi sarei messo un giubbotto antiproiettili.»
Ancora una volta, sorvolai sul suo commento sarcastico. Spostavo di continuo gli occhi dal viso corrucciato di Adeline a quello indignato di Liam. «Io mi fido di lui.»
Hawke cambiò subito espressione e fece un sorriso trionfo, abbandonandosi contro lo schienale del suo divanetto. «Visto?» Fece un cenno nella mia direzione. «Lei si fida di me.»
«E voi dovete fidarvi di me», aggiunsi, notando che nessuno dei due sembrava abbastanza convinto.
Liam sospirò. «Va bene. Faremo uno sforzo. Ma veniamo lo stesso.»
«Lee…»
«Veniamo lo stesso», ripeté con tono che non ammetteva repliche. Non mi guardava più in viso e teneva gli occhi fissi sul piatto ancora intonso. «Non entreremo per parlare con le streghe se pensi che non sia sicuro per noi, però vi aspetteremo fuori.»
«Ma…»
I suoi occhi color caramello saettarono con velocità impressionante verso l’alto e, incatenandosi ai miei, mi inchiodarono sul posto e bloccarono ogni parola che stavo per pronunciare. «Rowan, se dici che capisci che voglio…» spostò gli occhi su Adeline, poi tornò a guardare me, «che entrambi vogliamo proteggerti quanto tu vuoi proteggere noi, allora devi lasciarcelo fare.»

 

   
 
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