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Autore: hirondelle_    31/10/2020    0 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
Hiroto non ricordava più l’ultima volta in cui aveva passato così tanto tempo fuori casa: forse quando ancora stava con Reina e il loro rapporto aveva ancora senso, almeno nella sua testa. A ripensare a quel periodo, sembrava quasi che molte cose avessero riacquisito un altro significato, soprattutto alla luce dei sentimenti che ora provava per Ryuuji.
Forse i suoi fratelli avevano ragione: quando si trattava di certe cose poteva essere parecchio duro di comprendonio.
Nell’imboccare il parcheggio del condominio, ripensò con un sorriso agli anni che aveva passato nel rifiuto e nell’autocommiserazione, nella preoccupazione costante che la sua natura potesse intaccare il suo futuro come CEO dell’azienda di suo padre… le cose poi erano andate diversamente, ma lui non aveva mai smesso di nascondersi da se stesso, nel tentativo patetico di isolarsi dal mondo e chiudersi nel suo dolore.
Non aveva fatto i conti con la cocciutaggine dei suoi fratellastri.
Non aveva fatto i conti con Midorikawa Ryuuji.
Uscì dalla sua decapottabile sgranchendosi le gambe e dando un’occhiata distratta al sedile del passeggero, controllando di non aver dimenticato nulla. Poi chiuse la portiera e schiacciò il pulsante di blocco, avviandosi verso l’entrata.
Salire fino al piano di Ryuuji aveva iniziato a essere meno problematico dopo il primo paio di volte, soprattutto perché non voleva cedere all’idea che non fosse più un ragazzino. Forse c’entrava l’uomo che lo accoglieva ogni volta sulla porta e che lo faceva sentire di dieci anni più giovane.
“Bentornato,” gli disse Ryuuji con un sorriso accogliente.
“Scusa se ho fatto tardi,” rispose entrando e chiudendosi la porta alle spalle. Prese a togliersi la giacca e si allentò di poco la cravatta. “Endou voleva parlarmi”.
L’uomo incrociò le braccia al petto e si appoggiò con una spalla al muro, l’espressione contrita. “Qualche novità?”
“Non più di quanto già sospettiamo. Hikaru sa sicuramente qualcosa: quel ragazzo è un libro aperto”.
Ryuuji annuì: “È molto probabile che sia con lui. Ammetto che la cosa mi rassicura”.
Hiroto gli sorrise: “Fra qualche giorno si farà vivo, credimi. Mio fratello faceva spesso  certi tiri”.
Midorikawa gli lanciò un’occhiata sorpresa mentre lo anticipava verso la cucina: “Parli di Nagumo-san?”
Per tutta risposta Hiroto scosse il capo, “No, non lui… beh, in realtà è quasi impossibile che tu lo conosca,” rispose, e liquidò la questione con un gesto della mano. “Piuttosto, ho esaminato alcuni questionari, non credo siano informazioni che ci possano tornare utili ma te le dico lo stesso”.
Ryuuji annuì e si sedette al tavolo, attendendo con sguardo assorto che Hiroto tirasse fuori la cartella di plichi.
“Uno studente dice di averlo visto l’ultima volta nel quartiere di Sugamo”.
“In effetti è un po’ vago,” osservò Midorikawa, “c’è dell’altro?”
Il professore scosse il capo, mortificato. “Pare non fosse un tipo di molte parole”.
Ryuuji si stropicciò gli occhi stanchi e scosse i capelli, lasciati sciolti e morbidi sulle spalle curve. Nonostante stesse provando in ogni modo di rassicurarlo, in quei giorni aveva sempre quell’aria afflitta, lontana dal viso radioso e cordiale che aveva conosciuto. “Non c’è niente che possiamo fare, non è così?”
Hiroto non rispose. Conosceva Ryuuji da poco, ma abbastanza da capire che non era tipo da accettare una bugia, nemmeno se a fin di bene.
L’uomo stirò i muscoli, allungandosi sullo schienale della sedia. Quando ritornò composto, sembrò più rilassato. “Forse è stato un errore chiedere la sua custodia. Non sono un granché come genitore”.
“Hai fatto tanto,” osservò Hiroto, “e anche di più. Non essere così duro con te stesso”.
Ryuuji sembrò ignorarlo, lo sguardo fisso sulle vene del tavolo. “Forse dovrei contattare gli assistenti sociali. Trovare un accordo. Dovrà pur esserci qualcun altro disposto ad adottarlo”.
A quelle parole cadde il silenzio e Ryuuji alzò lo sguardo verso Hiroto, che ora teneva le labbra chiuse in una linea sottile. I suoi occhi si allargarono non appena realizzò cosa aveva appena detto, e sulle sue guance comparve un leggero rossore. “Oh… No! Non intendevo…”
“Ascolta,” lo interruppe Hiroto, alzando una mano e usando un tono conciliante, “so che non intendevi nulla di male. Ma voglio ricordarti che la vita in orfanotrofio potrebbe essere molto dura, specialmente per un ragazzo della sua età. È molto probabile che uno come lui riesca a uscirne una volta diventato maggiorenne, piuttosto che adottato”. Ryuuji lo stava ascoltando con molta attenzione, mortificato per quello che aveva appena pensato. “Io e i miei fratelli siamo stati molto fortunati ad aver trovato qualcuno come nostro padre che si prendesse cura di noi, ma non è così per tutti,” continuò, “So che vuoi solo il bene per tuo figlio e forse non riesci a vedere via d’uscita a tutto questo, ma devi pensare con lucidità”.
Ammutolì chiedendosi se non avesse esagerato, ma Midorikawa sembrò riflettere sulle sue parole. Lo vide alzare gli occhi al soffitto, pensieroso. “Fuusuke non mi ha mai parlato dell’orfanotrofio. Ma non lo immagino come un luogo ideale per Kariya. Solo…” sospirò e la sua voce si fece più tremula. “Solo… meglio che qui”.
“La pensi in questo modo perché la situazione ti appare drammatica,” insistette Hiroto, “ma non sai nemmeno il motivo per cui è scappato. Non avete ancora parlato. Non puoi sapere cosa sta passando per la sua testa”.
Ryuuji a quel punto sembrò irritarsi e gli lanciò un’occhiata infastidita. “Mi sembra ovvio il motivo per cui se n’è andato. Non gli deve andare molto a genio un padre come me”.
“O forse,” gli suggerì lui, con fermezza, “è confuso e ha bisogno di tempo per elaborare quello che ha visto. Non siamo stati tutti nei suoi panni?”
Midorikawa a quel punto gli sorrise beffardo, e per un attimo Hiroto si ritrovò davanti all’Ottava Musa. “Non mi importava un cazzo dei miei, o di quello che pensavano. Non mi sono mai fatto intimidire” disse con sicurezza. Poi suoi occhi si fecero lucidi e sembrarono lavare via ogni segno di arroganza. “E forse è per questo che non lo capisco per niente”.
Hiroto gli sorrise e gli appoggiò una mano sulla spalla per rassicurarlo, mentre le prime lacrime tracciavano il volto consumato di Ryuuji. “A volte cose per noi insignificanti, per altri potrebbero essere gigantesche,” gli suggerì. “Quando avrete occasione di parlarne sarà tutto più chiaro”.
Ryuuji si passò le mani sul volto, esausto e travolto da tutte le emozioni che stava provando. “Gli ho nascosto ogni cosa perché pensavo non avrebbe capito,” singhiozzò, “e che mi avrebbe giudicato. E forse non è vero che sono orgoglioso di me. Forse… forse, in fondo, mi vergogno di quello che sono”.
Hiroto si alzò dalla sedia per aggirare il tavolo e continuò a sorridergli. Midorikawa lo guardò dal basso con aria smarrita e lasciò che l’uomo lo stringesse in un abbraccio. Il suo corpo riconobbe la sensazione: Midorikawa portò subito le braccia attorno al suo collo, forse seguendo un istinto che non provava da tantissimo tempo. Si alzò per arrivare alla sua altezza e incrociò lo sguardo con il suo. Hiroto rabbrividì.
Era strano. Era ancora strano, perché da quando avevano iniziato a conoscersi non erano passati che giorni. Ma ogni volta che sentiva le dita gelide di Midorikawa intrecciarsi dietro il suo collo, era più facile per lui percepire il calore che irradiavano i loro petti, l’uno contro l’altro. Era una sensazione che non aveva mai provato con nessuno, nemmeno con Reina.
“Forse dovrei chiederti scusa, allora”.
“Per cosa?” chiese Midorikawa in un soffio, le labbra a pochi centimetri dalle sue.
Hiroto sorrise. “Da quando ti conosco, la vergogna non è più un’opzione. Devo aver assorbito quell’orgoglio per osmosi”.
L’uomo rise piano tra le lacrime, trovando l’idea ridicola. Era la prima volta che lo vedeva sorridere dopo ore: ci voleva sempre un po’, ma farlo sorridere era diventato una conquista ogni giorno più semplice da realizzare.
“Sei… è la tua presenza. Mi fa questo effetto. Non posso farci niente,” ridacchiò, imbarazzato da se stesso. “Non riesco a spiegarlo meglio di così, mi dispiace”.
“Non importa,” sussurrò Midorikawa, rivolgendogli uno sguardo che non avrebbe potuto trovare in nessun altro se non lui.
Così vasto e profondo da potercisi immergere.
Lo baciò piano, accarezzando le sue labbra ruvide per il freddo con una spontaneità che appena pochi mesi prima gli sarebbe sembrata impensabile. Le mani di Ryuuji scivolarono lungo la sua schiena, e quasi poteva sentirlo mentre si abbandonava alla sua stretta ma premeva forte le mani sui suoi fianchi, come se tra le sue dita potesse concentrarsi tutto il potere del mondo.
Hiroto sperava solo di non esserselo preso tutto per sé.
   
 
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