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Autore: _Lightning_    03/11/2020    3 recensioni
«Si dice che si nutrano di sogni. Qualunque cosa voglia dire.»
«Non intendo rimanere qui abbastanza a lungo da scoprirlo,» rispose Din, seccamente.
Cara smise di trafficare con la fondina del suo blaster e alzò lo sguardo, vedendolo fermo sul bordo della rampa d'uscita della Crest, come se fosse riluttante a mettere piede sul suolo muschioso e umido di Varchas. Il Bambino emise un flebile richiamo dal suo scomparto.
«Cos'ha che non va questo pianeta?»
Din soppresse un sospiro.
«Non mi piace e basta.» Avanzò all'esterno, gli stivali che affondavano nel sottobosco scuro e molle. «Chiamalo un presentimento.»

[CaraDin (slow-burn) // Mando&BabyYoda // Mild Horror // Angst // Hurt/Comfort // Whump]
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
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Disclaimer: In questa storia sono presenti headcanon, rielaborazioni del materiale originario e pesanti integrazioni con l'EU di Star Wars (ex-universo espanso canonico, ora Legends), oltre a riferimenti a opere esterne ed easter eggs. Tradotto: non copiate né ispiratevi in nessun modo, che me ne accorgo.
 

Quando guardi l’Abisso
 
_____________

1. Un’altra oscurità
 


Sente un sapore metallico in bocca. Le sue palpebre sfarfallano, schiudendosi, e il mondo si spacca a metà. Non riesce ad aprire del tutto l'occhio sinistro, e percepisce un velo di sangue rappreso che lo incornicia. Sente anche un rivolo di sangue che gli sgorga dall'orecchio, colando lungo il collo.

Gli sfugge un gemito soffocato quando prova a muovere la gamba: due chiodi di dolore gli si piantano nelle articolazioni di ginocchio e caviglia. Si immobilizza, aspettando che l'ondata si plachi. Chiude di nuovo gli occhi, e vede sprazzi di colore accecanti sullo sfondo delle palpebre, come colpi di blaster.

Dank ferrik, dove è finito? Prova a sbirciare tra le ciglia, e gli occhi bruciano come se stesse fissando direttamente entrambi i soli di Tatooine: le luci fioche e l'ambiente roccioso che riesce a distinguere oltre il velo di lacrime suggeriscono una grotta. Forse una prigione sotterranea. Come ci è finito, là sotto? La sua mente è annebbiata, più lenta di quanto dovrebbe essere, anche considerando il dolore. Sente un ronzio nell'orecchio, come uno sciame di api inferocite.

Era una trappola, ovvio. E otto mercenari bene armati erano stati una sfida anche per lui. Lo hanno messo fuori gioco, a quanto sembra. Ma non ricorda il momento esatto. Non–

Salta un battito.

Dov'è Cara? E il Bambino? Una morsa gli strangola il cuore quando non riesce a darsi risposta. Sa sempre dove sono. Perché adesso non riesce a ricordarselo? Cerca di tornare sui suoi passi.

La pista. Il magazzino di miele onirico. Gli SBD dormienti. Hanno... parlato, lui e Cara, e forse le ha detto troppo. Forse non se n'è nemmeno pentito, sul momento. Non ne ha avuto il tempo, perché poi sono caduti nell'imboscata e li hanno separati.

Come?

Sente la testa sul punto di spaccarsi come un uovo: gli duole così tanto che percepisce ogni asperità del pavimento come fossa incisa nel suo cranio.

È solo allora che sbarra gli occhi, realizzando. Mette a fuoco la nuda roccia, poi i suoi polsi scorticati e macchiati di rosso. Niente visore tra i suoi occhi e l'esterno. Niente elmo.

Gli si incastra un respiro in gola, come durasteel solido che gli occlude i polmoni.

Il suo elmo.

L'hanno preso. Gliel'hanno– hanno preso– hanno– la sua mente cade in un pozzo frenetico, il suo respiro si fa irregolare. Rimane immobile, sentendosi rimpicciolire, con la guancia scoperta premuta sul suolo freddo e duro. L'hanno visto in volto, gli hanno– hanno calpestato dignità e onore e identità qualunque altra parola gli abbia tenuto quell'elmo in testa per tutti quegli anni; concetti ai quali si è aggrappato con ogni fibra del suo essere – che ora si sta sfaldando a velocità vertiginosa. Si sente come se gli avessero cavato fuori il cuore dal petto, strappando via con esso anche tutti i capillari e arterie e vene. C'è una voragine appena sotto le sue costole che non smette di rigettare sangue, e non ha idea di come fermarlo.

Si artiglia il petto e sussulta. L'armatura non c'è. Hanno preso anche quella, ovviamente. Fa aderire il palmo alla casacca, chiedendosi, in uno sprazzo di lucidità dettato dall'autoconservazione, se stia davvero sanguinando. Percepisce il tessuto umido sotto i polpastrelli, e la consistenza e il sentore sono senza dubbio quelli del sandue. Ma sembra anche più denso, e più dolce, come... miele?

Il suo sconcerto supera l'umiliazione per una singola frazione di secondo. Non ci sono ferite, sotto a quella macchia fresca, quindi non sta morendo. Non riesce a classificarlo come un fatto positivo.

Preme con forza la fronte contro il terreno, imponendo al suo corpo di reagire. Si contorce sul pavimento cercando di tirarsi su a sedere, e sente ogni singolo muscolo che protesta e oppone resistenza – ha di sicuro qualche costola incrinata e un polso slogato, o almeno, la sensazione è quella. La sua gamba è un disastro ed è decisamente rotta in due punti: riesce a malapena a trascinarla per terra senza urlare. Vede del sangue chiazzargli anche i pantaloni all'altezza delle due articolazioni offese, piegate in un'angolazione innaturale. Si trattiene dall'indagare per timore che il suo corpo, nel constatare l'entità dei danni, si rifiuti di collaborare ancora.

Riesce infine a puntellarsi con la schiena contro la parete più vicina, e reclina la nuca fino a poggiarla contro la roccia scoscesa. Percepirla direttamente contro pelle e capelli gli causa un senso di nausea che muore nel suo stomaco vuoto.

Manda giù un groppo di bile e solleva lo sguardo, riuscendo finalmente a inquadrare le elettrosbarre giallastre della sua cella. Quindi è davvero una prigione. Ora riesce a distinguere delle grida ovattate in lontananza, e quello che sembra l'eco schioccante di un'elettrofrusta. I solchi che gli attraversano la schiena si fanno improvvisamente sentire, abbastanza profondi da rendere una tortura il tessuto che vi si incolla. Muove una spalla, e la pelle si tende lungo il taglio come se volesse strapparsi del tutto in due.

Strizza le palpebre e deglutisce di nuovo a fatica, sentendo una fitta all'occhio sinistro semichiuso. Percepisce ogni spaccatura della propria carne in modo acuito, ne ha precisa coscienza sul proprio corpo. Non è certo la prima volta che viene ferito a sangue: è abituato a ricucirsi con un cauterizzatore senza battere ciglio. Ma non è un qualcosa che fa parte della sua quotidianità. I danni più frequenti sono le contusioni da blaster, i danni interni, le fratture dovute a una caduta, le slogature e lussature dei corpo a corpo, i lividi innumerevoli che punteggiano costantemente il suo corpo in tutte le loro sfumature, dal viola al giallognolo. Il rosso è un colore raro, e raramente appartiene a lui. L'elmo e l'armatura lo proteggono così, risparmiandogli il sangue e chiedendo in cambio la forza necessaria a incassare colpi su colpi.

Adesso, ogni scalfittura che individua sul proprio corpo sembra incidere in profondità, in punti in cui mai è stato ferito da quando ha il beskar a proteggerlo – a parte Nevarro, ma Nevarro è qualcos'altro, è una paura che lo attanaglia anche adesso e che si rifiuta di far emergere.

Distoglie la mente intontita dalle proprie ferite e fissa lo sguardo sui raggi d'energia sfrigolante, conscio di non essere nelle condizioni di provare ad aggirarle. Riesce a malapena a respirare e pensare assieme. Vale la pena pensare di evadere?

Il Bambino, gli rimbomba cupo nelle orecchie, Cara. Dovrebbe valerne la pena – sarebbe così in una qualsiasi altra situazione. Non adesso. Non è come su Nevarro, quando è stato pronto a dare la vita per loro. Adesso non riesce nemmeno a formare il pensiero di rivederli.

La sua testa inizia a farsi troppo leggera, adesso, e sente la feroce mancanza del famigliare peso del beskar; dello spazio fresco e protetto del suo visore. Si sente nudo, un nervo scoperto. I lembi di pelle esposta formicolano di brividi quando sfiorano il muro. I peli sulla nuca si rizzano fastidiosi, come se qualcosa di mostruoso gli alitasse sul collo, pronto a sbranarlo. È come se gli avessero mozzato un arto, lasciandolo a morire dissanguato. Solo che non è ancora morto.

È a quel punto che la realizzazione si abbatte su di lui, schiacciandolo contro la parete. La voragine nel petto sprofonda, si allarga, inghiotte i polmoni e il petto fino a diventare un abisso di cui non riesce a scorgere il fondo. C'è lui, laggiù da qualche parte; quel bambino rimasto in un seminterrato su Concord Dawn, a fissare la morte.


Serra gli occhi e tenta di stabilizzare il respiro fattosi erratico. Sta iperventilando da minuti interi e i capogiri gli danno l'impressione di tuffarsi a mezz'aria col jetpack. Magari è così. Strizza con più forza gli occhi. Fa male, e vede le stelle appuntate su lretro delle palpebre, che traballano a ritmo coi brividi. Sa cos'è successo, ma non ha ancora intenzione di vederlo.

Non è più un Mandaloriano.

Non può farci niente. È finito, ormai, qualunque cosa accada: morirà comunque una morte da codardo – la paura che lo perseguita dal momento in cui ha indossato il beskar l'ha finalmente azzannato, tramutandosi in realtà. È già morto, ormai. Un nauseante senso d'impotenza e nudità gli si insinua sottopelle. Sa che, nel momento in cui aprirà gli occhi, darà forma e consistenza al suo nuovo mondo.

Così li tiene chiusi, per ora, come quel bambino che si rifugiava dal buio sotto le coperte – in quella che, anche allora, era solo un'altra oscurità.


 

Note dell'Autrice:

Cari Lettori!
Questo è... un esperimento, sì. Chiamiamolo così. Non so esattamente dove mi porterà... o meglio, lo so benissimo, il vero dilemma è ciò che accadrà nel mezzo!
Per ora, godetevi un bel po' di angst fine a se stesso, e sappiate che i lrating potrebbe cambiare. Siete stati avvisati nel disclaimer: headcanon a go-go in arrivo, ma troverete sempre spiegazione nelle note ♥ In questo caso, il fatto che Din sia originario di Concord Dawn è un mio headcanon, si prega di tenerlo presente e di non riutilizzarlo (che se ci azzecco come ci ho azzeccato per alcune cose della nuova stagione vado a chiedere i diritti a Favreau&co :D). E scusate l'insistenza su questo punto, ma considerato il tempo che ho speso nell'incastrare i vari Dave filoni di Star Wars mi imbestialirei nel vedere scopiazzature in giro (ed è già capitato).
Il titolo è una citazione di Nietzsche... perché ovviamente non mi basta averlo in tesi, devo ficcarlo pure nelle storie, yeee!

Grazie a chiunque vorrà commentare, aggiungere la storia alle liste o semplicemente leggere! Però sappiate che anche mezza parola di commento mi fa piacere, giusto per capire se l'idea "prende"! E se trovate errori di battitura abbiate pietà, sto pubblicando alle 3 di notte e revisionerò domani ♥

-Light-

P.S. 
Trovate l'originale in inglese a questo link, sempre scritta da me-> https://archiveofourown.org/works/27180430/chapters/66387178 Le due versioni differiscono in modo abbastanza incisivo, visto che in italiano riscrivo la maggior parte del testo usando l'inglese come semplice traccia.
   
 
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