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Autore: BabaYagaIsBack    03/11/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo quindicesimo
And It Begins

parte seconda

Aralyn si sistemò una ciocca dietro l'orecchio poi, chinandosi, prese a respirare il profumo lieve delle camelie che aveva di fronte. Ne annusò avida la dolcezza, ma nemmeno stavolta parve convincersi: «No, non vanno bene» affermò rimettendosi dritta.
Era il terzo fioraio in cui Arwen l'accompagnava senza batter ciglio, troppo accondiscendente verso il suo malumore e improvviso perfezionismo per poterle rimproverare qualsiasi cosa; e, nonostante fosse conscia di star diventando sempre più insopportabile, lui se ne stava lì a fissarla teneramente. 
«Perché, stavolta?» Le si fece vicino, tanto che il braccio di lei gli sfiorò il petto, poi prese ad accarezzare le corolle rosate con estrema delicatezza, studiandole per trovarci qualche difetto reale.

«Non profumano abbastanza».
«Non credo sia importante, Ara».

Ed era vero. A chi importava se i fiori scelti erano profumati o meno? Dopotutto avrebbero solamente dovuto decorare la pira per Fernando, nulla più. Dovevano essere belli, colorati, gioiosi come era stato lui - il resto erano solo inutili dettagli a cui lei si voleva aggrappare per non dover far fronte a quella perdita.

«No, infatti» sussurrò d'un tratto voltandosi e riprendendo a camminare per i corridoi della serra come se quello scambio di commenti non avesse avuto luogo. 
Nonostante fosse arrivata fin lì, passando per altri due vivai, non aveva idea di come potesse essere successo. Aralyn non aveva voglia né di vedere né parlare con altre persone, men che meno desiderava doversi preoccupare di questioni all'apparenza tanto sciocche; eppure suo fratello era riuscito a strapparla dalle coperte in cui si era nascosta. Attraverso una serie di proposte sensate, anche se ora fastidiose per il suo umore, Arwen l'aveva persuasa ad abbandonare l'alcova di stoffa e seguirlo ovunque ce ne fosse bisogno, in modo da rendere l'addio a Fernando degno del lupo che era stato.

Il problema però era sorto davanti all'ingresso del primo fioraio. 
Alzando lo sguardo sull'insegna colorata, la giovane si era resa conto di non voler affrontare quel momento, non ne era pronta. Troppe volte aveva dovuto cedere i propri affetti al Dio Arawn e troppe volte aveva dovuto farlo con la consapevolezza di esserne in parte colpevole.
Nemmeno un anno prima, a causa del suo egoismo e del bisogno di portare onore all'Alpha, gli aveva dato la vita di Luke e, prima ancora, Layla era stata uccisa in una missione a cui suo fratello le aveva vietato di partecipare - e chissà quanti altri nomi avrebbe potuto aggiungere a quella lista, se si fosse soffermata a pensarci.

Ma Fernando valeva di più. Lui, esattamente come Garrel, Marion e i gemelli, era parte della sua famiglia. Inoltre, rispetto a chiunque altro, sapeva attraverso quali pene lei stesse passando; conosceva l'intensità dell'imprinting, esattamente come ne aveva saggiato la distruttività - e lei aveva bisogno di lui, della forza che avrebbe saputo infonderle per affrontare il senso di vuoto perenne. Però non c'era, non più quantomeno.

Con uno sbuffo Aralyn socchiuse gli occhi.

Era stanca. 
Stanca di lottare per una guerra che aveva le fattezze di un cane che si morde la coda, un circolo vizioso in cui i Puri riuscivano ogni volta a mantenere l'egemonia più totale e declassare il loro valore umano. Era frustrata all'idea di non aver realizzato nulla di concreto se non un omicidio che, invece di portare del bene, le sarebbe costato la vita; ed era esausta di vedersi strappar via ogni cosa che amava. E più si sentiva tale, più il bisogno di sprofondare nelle braccia di qualcuno si faceva intenso - ma quel qualcuno era ben lontano dal poterla stringere.

A quel punto, quasi sfiorando i suoi pensieri, Arwen le si fece nuovamente vicino. Con il corpo la cinse delicatamente in un gesto di inaspettato conforto, cullandola esattamente come avrebbe voluto facesse lui e, d'istinto, lei si lasciò andare contro il suo petto caldo, l'unico posto in cui avrebbe ancora potuto rifugiarsi senza temere di essere ferita. 
Suo fratello era tutto ciò che le era rimasto e l'amava in quel modo che era certa le avrebbe impedito di sprofondare nell'oblio. Il suo Alpha era ora l'ancòra che la teneva ferma a riva.

E in mancanza di Joseph, del suo profumo selvatico, del suo calore e della sua presenza accanto a lei, ci sarebbe stato lui - per questo Aralyn vi si sarebbe aggrappata disperatamente.

«Passerà, abbi pazienza».
Lei lasciò cadere il capo sul suo petto, abbandonandosi al contatto con colui che per anni le era apparso tanto estraneo e inarrivabile da diventare desiderabile più di ogni altra cosa. Per qualche istante si beò del battito dolce del cuore dell'albino, poi sbuffò: «Più cresco e meno è semplice dimenticare».
Lui allentò la presa: «Ma non devi dimenticare, Ara» le fece notare con un tono pacato e un sorriso appena accennato, «Non si dimentica mai chi si ha amato. Devi semplicemente perdonarti per le colpe che non ti appartengono».
La ragazza però non volle sentire ragioni. Non era forse per colpa del suo rapimento e amore nei confronti del nemico, se lo scontro di quasi un mese prima aveva avuto luogo? Non era forse per via del desiderio di lui di salvarla, se avevano organizzato un attacco praticamente all'ultimo momento?


«Ma è a causa mia se siamo finiti a Villa Menalcan» sibilò mordendosi il labbro.

«No, sbagli» Arwen si mosse un poco, andando ad appoggiarsi con la schiena su di una delle travi della serra, poi abbassò lo sguardo su di lei. I loro volti erano così vicini che Aralyn riusciva a sentirne il respiro scivolarle sulla fronte: «L'errore è stato principalmente mio, che sono l'Alpha, poi tuo e dell'intero Clan, ma non si può attribuire solo a una persona. Eravamo tutti così tronfi del successo che abbiamo smesso di cercare il pericolo in ciò che avevamo di fronte. Ci aspettavamo un'orda di Puri in giacca e cravatta, invece è arrivato lui» quando il licantropo pronunciò quella parola il tono gli si inasprì, mentre lei avvertì una stretta al cuore che desiderò ignorare, ma che non le impedì di arricciare le labbra in una smorfia di sofferenza, «da solo, e ci ha fregati tutti». Ancora una volta, forse immaginando i pensieri che potevano star prendendo forma nella testa della sorella, l'albino fece scivolare i polpastrelli sulla pelle di lei. L'accarezzò piano, amorevolmente, finendo poi a unire le dita con le sue. «La guerra è guerra, piccola mia, non ci sono sconti per nessuno quando si lotta per la propria esistenza, lo sapeva Joseph Menalcan quando ha varcato la nostra soglia e lo sa ognuno di noi quando giura fedeltà alla causa del Duca e scende in battaglia. Le perdite sono inevitabili» s'interruppe. Con sguardo sospettoso Arwen osservò le persone presenti, attese che si allontanassero abbastanza da non udire nemmeno mezza sillaba e, appena si furono dissipate, riprese: «Ma il problema è che siamo umani, Ara, oltre che bestie, e come tali soffriamo per ciò che ci viene tolto. Gli uomini però guariscono, sai? O quantomeno vanno avanti e noi dobbiamo fare lo stesso».

Anche lei strinse la presa sulle sue dita. Aralyn le afferrò con così tanta convinzione da riuscire a sentire le falangi ossute minacciare la carne di lui. Più e più volte si ripeté quelle frasi nella mente, cercando d'imprimersele o di farle sembrare vere, poi prese un respiro.

«Tu andrai avanti? Guarirai?» gli domandò a bruciapelo, avvertendo la costrizione nel petto farsi più intensa.

La guerra è guerra, ricordò ancora una volta, non ci sono sconti per nessuno quando si lotta per la propria esistenza e le perdite sono inevitabili.

E lei sarebbe stata la prossima.

«Che intendi?»
«Lo sai» fece, lapidaria. Suo fratello non era uno sciocco, affatto, per questo sapeva bene che persino senza chissà quale contestualizzazione avrebbe capito a cosa si riferisse quella domanda; dopotutto, non c'erano molti dolori che potessero scalfirlo.
Sforzandosi per non scoppiare a piangere, Aralyn si domandò cosa avrebbe provato, Arwen, a perdere anche lei. Dopotutto lui, tra tutti, era colui che stava subendo con maggior intensità gli effetti collaterali di quella vita. Aveva detto addio ai loro genitori, ai propri amici, alla sua interezza e ora persino a lei - quanto doveva essere profondo il vuoto nel suo cuore? Poteva essere paragonabile a quello che sentiva anche lei giorno e notte? Avrebbe voluto saperlo, in modo da lenire le sue ferite e prepararlo, in qualche modo che ancora non conosceva, a quell'ultimo colpo di grazia.

Il petto di lui si gonfiò a ridosso del suo capo, le narici aspirarono quanta più aria possibile e, mestamente, la giovane preferì allontanare lo sguardo per non vedere la sua frustrazione.

«Io... non ne ho idea» le confessò dopo qualche istante, provato dallo sforzo di trovare una risposta che non era poi così semplice formulare.
«Ma sei umano, no? Lo hai appena detto, gli umani vanno avanti» si concesse un sorriso amaro, poi un morso in punta di lingua per non storcere maggiormente la smorfia. In qualche angolo di sé sapeva che tutto ciò che suo fratello le aveva sussurrato fino a quel momento non era altro che un modo per farla sentire meglio, che sotto sotto era conscio come lei che alcune perdite non sarebbero mai apparse meno dolorose, eppure aveva provato a consolarla - e per questo gliene era grata. Alle volte persino il grande Alpha del Nord riusciva a essere dolce e amorevole come qualsiasi altra persona.

Appoggiando il mento sulla fronte della sorella, l'uomo sospirò. Come lei, anche Arwen doveva essere stanco. Quegli ultimi mesi erano stati, emotivamente, i più estenuanti che avessero dovuto affrontare e davanti a loro vi erano ancora una moltitudine di ostacoli - i più dei quali, sfortunatamente, avrebbe dovuto affrontarli da solo.
«Ma tu sei tutto ciò che ho, Ar-» d'un tratto l'Alpha tacque e le sue braccia s'irrigidirono intorno al corpo della ragazza con talmente tanta veemenza che a lei quasi si mozzò il respiro. La strinse a sé con fare protettivo, comprimendole involontariamente il torace. Fu un istante, ma quando Aralyn alzò lo sguardo sul suo viso vi  scorse le sopracciglia corrugate in un'espressione di allerta. I sensi animali si erano aizzati alla ricerca di qualcosa che, senza alcun preavviso, aveva catturato tutta la sua attenzione, bloccando il discorso a metà.

«Ch-?»
«Zitta».

A quell'ordine la giovane si sentì inesorabilmente sopraffare dal panico. Il cuore prese a batterle forte e la preoccupazione di essere stata scoperta da qualcuno di indesiderato si fece prepotente. Ciononostante, le fu impossibile non chiedersi la ragione per cui suo fratello si stesse comportando così. Cosa aveva percepito? Si trattava forse dei Menalcan?
Aggrappandosi con le mani agli avambracci di lui, si mise a scrutare tra la moltitudine di foglie e corolle alla ricerca di un qualche indizio. Fiutò l'aria per qualche secondo, poi un odore pungente e nauseabondo si fece strada fino alle sue narici - il conato che ne seguì fu difficile da fermare, eppure in qualche modo ci riuscì, ma non fu altrettanto con i pensieri.
Il sentore di sangue le offuscò la mente e subito dopo una fitta al ventre la fece schiacciare contro l'addome dell'uomo alle sue spalle. Aralyn provò dolore, il medesimo che aveva sentito quando gli artigli di Douglas le si erano conficcati nella carne, e percepì il rimbombo del granito contro la nuca: ma da dove arrivava quel tanfo?

D'istinto, forse sentendola muoversi in modo così strano e immaginando il perché di quella reazione, Arwen le prese la fronte con un palmo tentando di calmarla e lei, quasi senza rendersene conto, lo graffiò per liberarsi dalla presa - d'un tratto si sentiva costretta, prigioniera tra catene di pelle, muscoli e ossa.
I suoi bronchi chiamavano ossigeno puro, il suo corpo libertà, ma prima che potesse sfuggire da quella stretta un'ombra comparve di fronte ai suoi occhi. Fu solo allora che, colta di sorpresa da quell'apparizione, si placò, anche se l'odore non scomparve per un solo istante dalle sue narici e continuò imperterrito a minare la tranquillità della psiche.

Un uomo smilzo, alto qualche spanna più di lei e vestito di tutto punto si frappose tra loro e il resto dei visitatori occupati a scegliere il vaso migliore per la propria casetta, diventando una sorta di pallido scudo. I capelli canuti gli scivolavano lungo le spalle, arricciandosi un poco sulle punte e allungandogli il viso già di per sé ampio, mentre le rughe che si andarono ad accentuare quando sorrise ne tradirono l'età. Doveva essere molto più anziano di quanto apparisse, eppure qualcosa, in lui, dava l'idea che fosse anche altrettanto pericoloso.

Forse la licantropia, si ritrovò a pensare Aralyn con un nodo in gola.

«Ciao» salutò senza alcun preavviso in un inglese fin troppo confidenziale, spiazzando entrambi i fratelli Calhum. I due si lanciarono uno sguardo di mutua confusione e per la prima volta la giovane si ritrovò impaurita dal fatto che nemmeno il suo Alpha avesse idea di cosa stesse succedendo. Arwen si era sempre mostrato indifferente a quel genere di situazioni, allora perché in quel momento era spaesato quanto lei? Perché era evidentemente turbato?
Non ricevendo alcuna risposta, lo sconosciuto si fece qualche passo più avanti: «Sto cercando qualcuno» aggiunse dopo qualche istante. La sua voce era allegra, troppo, così come la smorfia - eppure più lo si guardava, meno ispirava sicurezza. Inoltre, considerò la lupa, il fatto che sapesse in che lingua rivolgersi loro non era affatto un buon segno.

Con le dita, Aralyn si strinse maggiormente alle braccia del fratello, cercando sostegno e lui non esitò a premersela sempre più addosso.

«Forse voi potete aiutarmi».
Stavolta Arwen ringhiò. Un suono gutturale e tutt'altro che rassicurante si fece largo dalla gola fino alle fauci: «Ne dubito». E anche se ne avessero avuto la possibilità, pensò lei, difficilmente lo avrebbero fatto, viste le premesse.

Lo sconosciuto però non si diede per vinto, men che meno sembrò intimorito dalla minaccia dell'albino e, piegando la testa da un lato, quasi a imitare il movimento di un rapace, controbatté: «Io invece no». Il suo sorriso si fece ancora più marcato e agli angoli della bocca apparvero i canini affilati tipici dei lupi - una visione che raggelò il sangue della ragazza. Come poteva, un vecchio, apparire tanto intimidatorio? Perché intorno a lui vi era una sorta di aurea nembosa che la faceva sentire così indifesa?
Sicuramente non doveva essere la sola ad averlo notato e, se a bloccarli non vi fossero stati la trave di sostegno alla serra e l'espositore con i gerani, l'Alpha avrebbe provato a farla correre via; peccato che in quella situazione fosse impossibile compiere qualsiasi movimento senza dare nell'occhio. E più il tempo passava, più Aralyn sentiva la tensione di suo fratello crescere all'unisono con la propria. 

Fu quello a darle la conferma che il peggio stava infine giungendo.

Il canuto, che fino a quel momento aveva tenuto le braccia allacciate dietro la schiena, sciolse la postura per portarsi una busta cremisi al viso. Aguzzando la vista proprio come i vecchi che devono fare i conti con la cataratta, lesse: «Aralyn Calhum». Ancora una volta sorrise: «Non sei forse tu, signorina?» 

Ma lei non volle rispondere. 
Per la prima volta da quanto era nata desiderò rinnegare quel nome, annullarsi, sparire come un fantasma e venir dimenticata; peccato che non le fu possibile - e socchiudendo gli occhi annuì.
Dopotutto, comprese da sé, fuggire era inutile.

L'estraneo allungò la mano: «Questa è per te, con gli ossequi degli otto membri del Concilio».


 
   
 
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