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Autore: Arpiria    05/11/2020    1 recensioni
Lo sguardo di brace di Lord Voldemort era assorto in pensieri di cui lei, povera anima rovinosamente umana, neanche si sognava di indovinare l’entità: erano forse relativi al ragazzo Potter o alla profezia perduta? Non avrebbe osato avanzare ipotesi nemmeno nell’oscurità del suo limitato intelletto, ma era certa che non ci fosse già più posto per lei nella laboriosa mente del suo padrone.
- Va’ e riferisci alla consorte di Lucius di condurre al mio cospetto il proprio figlio unigenito.-
Senza porsi né porre domande, Bellatrix s’inchinò ed uscì dal salone.
[Questa storia partecipa al contest “Missing Moments – Quello che la Rowling non dice” indetto da parsefeni sul forum di EFP]
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Narcissa Malfoy, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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-Questa storia partecipa al contest “Missing Moments – Quello che la Rowling non dice” indetto da parsefeni sul forum di EFP-

 
 

L’Addolorata



 

- Mio Signore…-
Bellatrix non aveva in realtà nulla da dire e troppo tardi realizzò che Lord Voldemort non avrebbe gradito essere chiamato unicamente in virtù degli indecorosi postumi del sesso; tuttavia, per una circostanza fortuita, egli parve non farci caso. Era tornato a fissare il fuoco che ardeva all’interno del caminetto di pietra sepolcrale dei Malfoy e i suoi occhi, avviluppati dalle fiamme, parevano improvvisamente ciechi al corpo nudo della donna alle sue spalle.
Bellatrix puntò i gomiti contro la superficie nuda e spessa del tavolo da pranzo di sua sorella e le venne da ridere, il corpo ancora eccitato e la mente annebbiata dall’orgasmo, al pensiero delle elaborate pietanze che i Malfoy erano soliti consumare proprio lì. Si domandò se Narcissa avesse sentito i suoi gemiti, dall’alto del suo trono di lacrime, e se fosse questo il motivo per cui la villa era sprofondata in un silenzio privo finanche del consueto scricchiolio delle imposte logorate dai venti; eppure, Bellatrix si rese conto che non le importava affatto.

Poggiò di nuovo la schiena indolenzita contro il tavolo, le labbra distese in un sorriso vago e le memorie di quel nuovo incontro con il Signore Oscuro che si affollavano nella sua mente e la facevano sentire quasi aggrappata ad un sogno.

Un rivolo di sperma colava ancora lungo gli spessi ciuffi neri del suo pube, mentre il seno e i fianchi devastati dai graffi suggerivano che fosse sopravvissuta alla lotta contro una bestia randagia. Si trattava in realtà dei segni della presa del Signore Oscuro sul suo corpo, mentre lo teneva inchiodato sotto il proprio e non badava poi molto alle maniere per imporgli l’immobilità che più gradiva. I colpi assestati coi lombi erano sempre secchi e serrati, come se l'accoppiamento con lei  non fosse che un atto di carnalità sbrigativa da cui estraniarsi il prima possibile.

 Bellatrix si accorse di avere ancora le cosce aperte secondo il bisogno dei fianchi del suo padrone, e con lo sguardo lo misurò idealmente da ginocchio a ginocchio, cercando di riportare indietro la mente di appena qualche minuto. Aveva il suo odore impresso nella carne, il seno opulento ancora raggelato dalla presa ferrea e umidiccia delle mani del Signore Oscuro. Dava forse l’impressione di una qualche sgualdrina trovata martoriata sulla sponda di un fiume, una di quelle che gli artisti vantavano di disprezzare ma  poi ne studiavano il volto nelle celle fredde degli obitori per cacciarlo sulle spalle di una brutta, nobile purosangue inacidita, desiderosa di ingannare i posteri con una bellezza mai posseduta. La bella rampolla dei Black dai denti marci e le ossa rosicchiate dalla fame, sfinita di graffi e di orgasmi, un tripudio di lussuria che faceva peccato solo guardare.
- Quanto ancora intendi giacere lì, Bellatrix?-
In qualsiasi altra circostanza quello stesso tono, inquinato da una preoccupante vena di minaccia, sarebbe bastato a spaventarla abbastanza da costringerla in ginocchio, a ripararsi la testa con le mani. In quel momento però, oh, Bella era impegnata a mendicare le ultime scariche di adrenalina che il suo corpo sprigionava sottopelle, il calore bruciante al basso ventre, il sapore residuo dei goduriosi sospiri esalati. 

- Mi congedate, mio Signore?-
Con uno sforzo di volontà ben superiore a quello meramente fisico, Bellatrix si tirò seduta. La schiena le doleva, così come la pelle pulsava laddove le lunghe unghie sporche di Lord Voldemort avevano marchiato il proprio passaggio. Scarmigliata e dolente, odorosa di marcio e di sudori intrecciati, Bella pensò con una punta di orgoglio ruggente che suo marito ormai non l’avrebbe più desiderata neanche se gli si fosse offerta spontaneamente (cosa che, bene inteso, non si sarebbe mai sognata di fare). Era un’estensione del Signore Oscuro, una sua proprietà assoluta della sua carne, e questa consapevolezza la faceva sentire bene.

- Non ancora. Renditi presentabile, non intendo interloquire con una creatura subumana mai sazia di voglie.-
Bellatrix pensò che era stato proprio lui a conciarla in uno simile stato, uno che non le dispiaceva affatto e che riusciva a immaginare neanche lui disdegnasse fino in fondo, nonostante fosse sempre così rapido a riprendere il controllo della propria persona. Il Signore Oscuro  non si concedeva neanche il più banale riposo post-coitale, e il suono che emetteva durante i lunghi secondi dell’orgasmo, qualcosa che Bella aveva inquadrato a metà strada tra un ringhio e un sospiro, era seguito da un’immediata freddezza e da un distacco assoluto, un totale e doloroso disinteresse a lei. Raccolse il fagotto informe di vestiti ammassati da lei medesima ai piedi del tavolo e tra contenute smorfie sofferenti se li infilò: la sua bellezza era sconcia e imbevuta di sesso come poc’anzi, ma le vergogne del suo corpo erano celate. Sentiva le viscere ancora sconquassate dai fumi residui dell’orgasmo, brividi che non davano cenno di volerla abbandonare precipitavano in picchiata dalla nuca giù lungo la linea elegante della schiena. Il Signore Oscuro tratteneva la bacchetta di pallido tasso tra le dita intrecciate, e Bellatrix si scoprì a riflettere su come somigliasse curiosamente ad un undicesimo complesso di falangi scheletriche. 

Lo sguardo di brace di Lord Voldemort era assorto in pensieri di cui lei, povera anima rovinosamente umana, neanche si sognava di indovinare l’entità: erano forse relativi al ragazzo Potter o alla profezia perduta? Non avrebbe osato avanzare ipotesi nemmeno nell’oscurità del suo limitato intelletto, ma era certa che non ci fosse già più posto per lei nella laboriosa mente del suo padrone.
- Va’ e riferisci alla consorte di Lucius di condurre al mio cospetto il proprio figlio unigenito.-

Senza porsi né porre domande, Bellatrix s’inchinò ed uscì dal salone.

 


L’estate era stata calda quasi al pari della precedente, con un sole ben poco inglese impiccato ad un cielo limpido e spoglio di nubi. Narcissa Malfoy sedeva nel silenzio del proprio giardino d’inverno, un libro odoroso di viole essiccate adagiato in grembo e una tazza di tè sorretta con consumata maestria da dita sottili come steli autunnali. Da quando il marito era stato rinchiuso in prigione aveva assunto il proprio ruolo di moglie affranta, incurante delle ingiurie di volgari zappaterra dal sangue sporco, e lo aveva portato avanti come ci si sarebbe aspettato che facesse. Che l’assenza di Lucius le gravasse sul cuore era quanto di più veritiero si potesse bisbigliare, ma non le era consentito essere eccessiva nella manifestazione del proprio dolore. Villa Malfoy aveva bisogno della sua matrona fredda e composta, del suo biondo fantasma solitario che si aggirava  tra le buie stanze senza tempo e lasciava intravedere il proprio volto addolorato attraverso i vetri opachi dei piani superiori. Questo era diventata Narcissa: la fragile mater dolorosa del maniero. 

Per quanto le era possibile evitava di soffermare i propri pensieri sulle invadenti presenze estranee che sbilanciavano l’equilibrio della propria psiche, affossando una crepa indecente laddove ella cercava il ristoro del buon costume. Sua sorella maggiore avrebbe potuto tollerarla, sebbene fosse goffa e caotica ed estranea ai concetti di compostezza che la loro povera madre aveva tanto penato per impartirle, e che in Narcissa sola avevano trovato realizzazione; il Signore Oscuro, tuttavia, non aveva ragione alcuna per abusare degli spazi che erano proprietà di suo marito: un uomo dai natali ben più nobili e dai modi cortesi, inquadrato nei rigidi canoni di un aspetto da considerarsi gradevole. L’essere mostruoso cui avevano spergiurato una fedeltà di cui Narcissa si scopriva a dubitare giorno dopo giorno era, di fatto, un rigurgito delle fogne più infernali, di cui serbava il fetido odore. La donna era costretta a fare ricorso a tutta la propria compostezza mentale nelle rare occasioni in cui scorgeva quel grottesco intruglio di incubi assiso sulla poltrona che un tempo era stata di Lucius e che adesso, rifletteva con rammarico, avrebbero dovuto dare in pasto alle fiamme affinché fosse ripulita in modo soddisfacente da una tale onta.

Nonostante tentasse di tenersi occupata tramite i passatempi che le erano cari, e che spaziavano dalla lettura di un romanzo ambientato in un tempo passato alla cura delle piante, fino ad ogni attività le balenasse in testa per tenersi lontana dai pensieri, quell’orrido viso consumato e scheletrico le appariva in sogno non appena si concedeva il consueto riposo notturno. Sovente le stritolava la gola con quelle nauseanti mani bagnate, visione che per quanto raccapricciante restava di gran lunga preferibile a quei denti sporchi, cimiteriali, impegnati a dilaniare la carne di Draco. Gli aveva strappato sempre tutti e quattro gli arti e se ne cibava con avidità, mentre i tendini di suo figlio eruttavano fuori dalle estremità recise come corpi di serpi decapitate, e quel grottesco tronco umano implorava il suo aiuto con lamenti bestiali, di maiale avviato al macello. Ma più del bianco mostro implacabile e più dello scomposto corpo del figlio, era la propria assoluta incapacità di agire a farla svegliare di soprassalto, con le guance appiccicose di pianto. Avrebbe voluto urlare, accorrere in soccorso del figlio, ma all’Addolorata non era consentito perdere il controllo o assumere atteggiamenti scomposti: che cosa ne avrebbe detto l’alta società? 

E davvero, Narcissa si domandava, avrebbe sacrificato Draco in nome della buona apparenza? Davvero il suo subconscio intendeva metterla in guardia dall’importanza che sempre aveva attribuito alle becere chiacchiere da salotto, quelle la cui eco aveva la fastidiosa abitudine a muffire tra le giunture delle mura nei secoli? 

Narcissa levò il capo a studiare la candida macchia di un pavone oltre il vetro. 

Avrebbe voluto che il Signore Oscuro morisse. Avrebbe voluto svegliarsi una mattina e scoprire il tanfo del suo cadavere, a malapena più accentuato rispetto a quello di consueto emanato, provenire dal salone principale del suo maniero. Era probabile che ivi avrebbe scoperto anche il corpo già freddo della sorella, la cui vita era ormai indissolubilmente intrecciata a quella di una creatura ripugnante, ma si sarebbe confortata col pensiero che la fragile psiche di Bellatrix non fosse mai sopravvissuta ai lunghi anni di Azkaban, che ciò che ne era riemerso non era che materia indecente e piena di voglie grottesche: niente più vesti  preziose per Bellatrix Black, niente più fermagli né sale da ballo imbandite di musica in cui danzare, unico fiore di vera bellezza in mezzo a dame senza volto, liete di brillare della sua luce riflessa. Una nobildonna che aveva perduto il gusto per il sopraffino, capace di fare carta straccia di un eccellente contratto matrimoniale in favore di accoppiamenti rumorosi ed indecenti con un tale abominio, sarebbe stata preservata dalla composta dignità della morte molto più che da una simile condotta di vita.
- Cissy?-
Narcissa si accorse per la prima volta di odiare il proprio nome in bocca alla sorella, la stessa donna per cui auspicava un’eterna liberazione dalla scia di scandali che aveva lasciato sul proprio cammino e che adesso la osservava da sotto le palpebre pesanti, i vestiti sgualciti e i capelli scomposti: una storpiatura all’interno del suo giardino d’inverno. L’Addolorata recuperò la sua maschera di buone maniere e mascherò il fastidio dietro un’espressione di vaga sorpresa: era insolito, del resto, che Bellatrix facesse uso con lei di un simile tono solenne, e ciò non lasciava presagire alcunché di buono. 


Fece ciò che ci si aspettava da lei, andò a chiamare il figlio e lo condusse verso il luogo infernale che era diventato il salone della loro stessa dimora. Draco intendeva trascorrere un’estate di solitudine: troppa l’umiliazione e lo sgomento per la cattura del padre, troppo il timore di una ritorsione contro la propria persona o contro quella della madre, che in un impeto di eroico orgoglio giovanile aveva giurato di proteggere.
Superata la soglia del cuore pulsante della dimora dei Malfoy, un gioiello vittoriano che ogni famiglia purosangue aveva tacitamente invidiato loro, Draco ebbe l’impressione di immergersi in un universo che non poteva essere parte del luogo in cui era cresciuto. Le imposte erano sigillate e l’unico bagliore di luce all’interno della stanza proveniva da una fiamma rigogliosa nella cornice di pietra del grande camino. Avvertì la mano della madre contrarsi contro la propria spalla mentre lo esortava piano ad avanzare, il volto ridotto ad una impassibile maschera di cera. 

Narcissa aveva riconosciuto nell’aria l’odore indecente del sesso, simile a quello che a seguito di un rapporto carnale con Lucius lei si era sempre affrettata a cacciare via spalancando le ampie finestre, solo più disgustoso e più acre. Al suo occhio attento non sfuggì la disposizione scorretta di uno degli elaborati seggi antichi che incorniciavano il tavolo: sembrava che fosse stato allontanato dal suo sito in tutta fretta per fare spazio a due corpi attorcigliati, pregni di sudore e di peccato. Represse un conato al pensiero dell’uso atroce che era stato fatto della bella tavolata della famiglia Malfoy, da sempre sede di importanti convegni tra purosangue a cui quell’orrida bestia impura non avrebbe potuto sognarsi neanche di lustrare gli stivali, in un tempo passato e più giusto. 

Per sua sorella adoperava la compassione che si riserva a coloro che sono infermi di mente: non riusciva ad odiarla e così pensava “povera pazza”, perché non conosceva altri modi per giustificare il suo comportamento senza scoprirsi a desiderarne la sua morte.
- Ah, Draco. Avvicinati, giovanotto, qui dove i miei occhi possono scrutarti al meglio.-
Dal profilo della poltrona emerse un’ampia mano scheletrica, le unghie ingiallite e la disgustosa ragnatela di vene violacee come unica alternativa al bianco spettrale della carne.

Narcissa era immateriale agli occhi del Signore Oscuro, al punto tale che si chiese se si fosse dato pena di apprendere il suo nome o di registrare, anche solo passivamente, la sua esistenza. Le costò un grande sforzo abbandonare la presa sulla spalla del figlio e osservarlo avanzare, improvvisamente piccolo e incerto sulle gambe come nelle belle memorie passate, quelle in cui imparava la difficile arte di camminare; questa volta non andava incontro alle sue braccia spalancate per accoglierlo, ma in bocca alla più ripugnante delle creature.
Narcissa mosse i suoi passi silenziosi attorno al tavolo e si accostò alla sorella che, rapita com’era dalla visione del suo Signore, parve non notarla. L’Addolorata era invisibile e sperava di poter un giorno sfruttare questa condizione a proprio vantaggio: non ci si aspettano assalti né insurrezioni, da chi non esiste. La donna prese a torturarsi le mani in grembo mentre il figlio si genufletteva (dinanzi a un mostro, a un mezzosangue, quale affronto!) e tremava nella vorace fiamma del caminetto, o forse era solo un sadico gioco di luce unito all’angoscia di Narcissa nel vederlo così prossimo ad un padrone che sapeva adirato.
- Sai, Draco, a lungo e senza sosta ho riflettuto sulle aspre delusioni che ho raccolto dall’operato di tuo padre.-

Il Signore Oscuro aveva una voce morbida che poco gli si addiceva, sfumata e carezzevole, quasi piacevole a sentirsi; eppure, Narcissa lo sapeva bene, pronta a farsi grave e spietata negli istanti più imprevedibili: era come fissare i magnetici occhi d’ambra di una serpe in attesa di essere trafitti da micidiali zanne venefiche.

- Mi sono chiesto, possibile che una famiglia che aveva giurato fedeltà alla mia causa, tanto entusiasta di unirsi alle schiere di Lord Voldemort, sia in realtà composta da uomini pavidi e senza volontà? E mi sono risposto, non può essere. Sarei ingiusto a giudicarti solo in virtù dei deprecabili errori di tuo padre. Vedi, Draco, quanto profonda e compassionevole è la misericordia del tuo signore?-

Un sorriso sgradevole increspò la pelle del mostro laddove si sarebbero dovute trovare le labbra mentre Narcissa si costringeva ad ispirare con il solo ausilio della bocca: un’altra ondata di quell’insopportabile odore di marcio e di fresco su per il setto nasale avrebbe reso ingestibile la sua nausea. Fissò il Signore Oscuro oltre il profilo delle spalle di suo figlio e pensò che somigliasse ad una cosa morta lasciata nell’acqua troppo a lungo: stentava a credere che un tempo fosse stato un uomo, e che il suo corpo avesse potuto sopportare sì tanta corruzione senza rimanerne ucciso.

- Sì, mio signore. Siete molto generoso… grazie.-
- Molto generoso….eppure con ardimento tu eviti di guardarmi. Hai paura, Draco?-
Narcissa trattenne il fiato. Accanto a lei Bellatrix fissava la scena come la bambola meccanica cui era ridotta, un inferus ebbro di vita, pelle calda e labbra di ciliegia, appeso alla volontà di un essere folle, sempre arrabbiato.
- No…-
Soffocò l’impulso suicida di correre ad abbracciare il proprio figlio e intimare al Signore Oscuro di sfogare addosso a lei la propria ira, ma era come precipitata in uno degli incubi che la tormentavano, immobile e costretta al silenzio di fronte alla sofferenza di Draco.
- Quante menzogne balbetti al tuo padrone, mio ingenuo ragazzo. Lord Voldemort conosce già ciò che ti illudi di potergli nascondere, tienilo a mente.-
Le unghie indugiarono per qualche istante sui braccioli della poltrona, poi le mani di betulla furono giunte di nuovo sotto al mento.
- Invero, non hai motivo di temere alcunché. Non sei qui per essere punito. La mia magnanimità è tale che non solo ho piena intenzione di concederti una possibilità di redimere ai miei occhi il rispettabile nome dei Malfoy, ma di farlo attraverso la più nobilitante delle imprese. Qualcosa cui nemmeno i miei più fedeli Mangiamorte…-
E qui il suo sguardo abbandonò Draco per posarsi su Bellatrix, che tratteneva il respiro e non sbatteva le palpebre, disposta a morire, forse, pur di non perdersi un singolo verbo proferito dal suo padrone.
-...hanno mai potuto ambire.-
Narcissa spostò lo sguardo in direzione della luce lattiginosa che filtrava attraverso lo spiraglio della porta. Pensò al romanzo abbandonato sulla sedia nel giardino d’inverno, al tè che andava raffreddandosi nella tazza di porcellana che era stata dono di nozze di sua suocera, in un tempo lontano in cui la sua vita era fatta solo di cose pulite e belle. Uscita da quella botola d’inferno avrebbe raccolto i boccioli di lavanda e li avrebbe riposti con ordine all’interno di morbidi sacchetti di seta lucente, da adagiare poi nei cassetti della biancheria. 

- Lord Voldemort ha deciso di incaricarti di uccidere Albus Silente.-
Fu troppo. Narcissa non riuscì a trattenere un singulto orripilato, ma l’Addolorata era invisibile e nessuno ci fece caso; quella donna folle che era stata sua sorella invece, per una qualche ragione, sorrideva con orgoglio e un po’ d’invidia. Ma era pazza, non era colpa sua, mentre Draco folle non lo era e poteva dunque immaginare il suo sgomento: come avrebbe potuto, lui che era solo un ragazzo, porre fine alla vita di un mago tanto monumentale? All’improvviso aveva compreso che erano stati convocati in quella stanza appestata di sudore e di marcio e di sesso perché gli fosse chiaro come la casa non gli appartenesse più: il Signore Oscuro era padrone delle belle mura e delle alte siepi e Bellatrix era la nuova matrona, una lei più sconcia e più scura, non più invisibile, che avrebbe fatto morire di sete i suoi fiori e incenerito ogni bel ricordo della sua vita di prima. In quella grottesca realtà non c’era spazio per lei, anche se viveva in punta di piedi, né per il suo figlio adorato.
- Io…-
Draco si sforzava di rimanere con la schiena dritta, minuscolo di fronte al mostro che torreggiava assiso sulla poltrona che era stata di suo padre e che aveva accolto la sua figura di bambino, nelle rare occasioni in cui Lucius accettava di prenderlo sulle ginocchia, col raffinato bastone da passeggio poggiato ad uno dei braccioli e levrieri dai musi arcuati e dalle belle code dove ora giaceva un orrido, immenso serpente.
- Il fallimento non è contemplato. Per il bene della tua intera stirpe e di te stesso, Draco, bada bene che la tua fedeltà non vacilli e che io tragga compiacimento dai tuoi sforzi. Nessuno deve essere al corrente del tuo incarico, o terribile sarà l’ira di Lord Voldemort. Non dimenticare che io so, io so sempre.-
Narcissa osservò quel ragazzo farsi uomo dinanzi agli scherzi di luce del fuoco. Con una determinazione che raramente rimembrava di aver udito proclamare dal padre, il prezioso frutto del suo grembo s’inchinò fin quasi a sfiorare con la fronte la fredda pavimentazione legnosa.

- Non vi deluderò, mio Signore. Porterò a termine l’incarico che mi avete affidato, vi renderò fiero.-
A pochi metri da lui sua madre annaspava alla ricerca d’aria pulita e di un appoggio cui affidare il proprio peso, poiché tutto le sembrava perduto e la sua stessa esistenza pareva fosse andata in pezzi davanti ai suoi occhi senza che le fosse neanche concesso di raccoglierli, non senza rischiare di toccare i viscidi piedi che ivi stanziavano. Non era certa che Draco avesse compreso l’’immensità del carico che gravava sulle sue spalle ancora fragili, che egli credeva forti perché ebbro dell’entusiasmo tipico di un’età giovanile in cui ci si pensa eterni e infallibili; forse anche lui aveva appreso a nascondersi dietro una maschera di aspettative: del resto, aveva appreso dalla migliore. 

- Bella, ti scongiuro…-
Implorò in un estremo sussurro la sorella, che per tutta risposta la fissò coi suoi occhi di lupa famelica, elettrizzata oltre ogni dire, come se il Signore Oscuro avesse espiato le colpe di Lucius senza pretendere in cambio alcunché.
- Oh, sono così felice Cissy! Così felice per Draco..!-
Povera pazza, pensava Narcissa, mentre a pochi metri da lei suo figlio scopriva poco a poco l’avambraccio sinistro e lo offriva in pasto al mostro.

L’Addolorata gemeva il suo dolore contro un fazzoletto odoroso di lavanda, mentre la carne del figlio veniva profanata col peccato della medesima orrida icona di schiavitù che deturpava anche il padre.
- Sono così felice, Cissy!- Continuava a ripetere Bellatrix, e Narcissa, che faticava a stare in piedi mentre il mondo intorno a lei si sgretolava, pensò che se ne sarebbe potuta andare al diavolo, lei e quel suo ripugnante abominio, anche se l’Addolorata, che aveva fatto del buon costume il centro della propria esistenza, non avrebbe dovuto formulare pensieri imbevuti di una simile ira bestiale. 

Mentre suo figlio serrava tra i denti atroci grida di dolore e la pelle del braccio perdeva la sua purezza sotto l’orrido artiglio del mostro, Narcissa decise che avrebbe impegnato ogni istante delle sue giornate solitarie alla ricerca di una via di fuga per Draco. Se lei fosse rimasta uccisa nel tentativo non avrebbe avuto poi molta importanza, perché ormai maturava auspici di morte e sognava di membra recise e facce bianche e fiumi di sangue e aveva respirato l’aria impura di umori peccaminosi, e forse solo nel trapasso, similmente alla sorella, avrebbe recuperato la dignità perduta.


Per quell’annata e per la prima volta dal suo grazioso ingresso nel maniero, l’Addolorata lasciò  appassire la sua bella lavanda.


***

 

Note dell’autrice: Nonostante non sia un personaggio che amo, ho voluto tentare di immaginare l’esasperazione di Narcissa e la disperazione che l’ha portata a tradire Voldemort nella foresta proibita. 

Il riferimento alla prostituta trovata morta nel fiume viene dalla Morte della Vergine di Caravaggio: sembra infatti che abbia scelto proprio questo soggetto come base per ritrarre la Madonna. 

L’esortazione che Voldemort rivolge a Draco quando lo invita ad avvicinarsi dove i suoi occhi possano scorgerlo vorrebbe in qualche modo ricordare una sorta di novello Lupo Cattivo, pronto ad ingannare Cappuccetto Rosso per divorarla. 

Detto questo, spero che la storia possa piacervi! Grazie per aver letto e a presto!

 
  
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