Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Shadow writer    07/11/2020    5 recensioni
In una metropoli urbana dominata da corruzione e giochi di potere, una giovane donna cerca di farsi spazio attraverso strade poco lecite.
Dopo gli ultimi eventi, la duchessa si trova alle strette e la posta in gioco si fa sempre più alta: il potere e le persone che ama.
Quello che non sa, è che qualcuno le sta alle calcagna, impaziente di vederla crollare. Ma come può combattere un nemico invisibile?
Dalla storia:
“Sentì un fermento nel suo stomaco e una sensazione di ebbrezza che le andò alla testa.
«Sei fortunata» replicò e si passò la lingua sulle labbra, come assaporando quel momento. «Si dà il caso che concedere favori sia la mia specialità».”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Emily
 



Per la prima volta, Emily si sentiva nauseata dalle persone che la circondavano. Per la prima volta, non riusciva ad evitare di notare la volgarità con cui il notaio guardava la scollatura della signorina Fedorovna né le sfuggivano le labbra innaturalmente gonfiate di silicone della donna stessa. Trovava insopportabile il modo in cui il detective Alton ingigantiva le proprie imprese o come il giudice Samson accennava a informazioni non accessibili al pubblico solo per sottolineare la propria posizione di potere.
Stranamente, l’unica persona che le appariva sopportabile tra quelle sedute al tavolo era Gabriel. Lei conosceva il vero carattere che si nascondeva dietro al suo volto innocente e lo stesso giovane lo lasciava talvolta trasparire con un sorrisetto sfacciato. La dissimulazione in lui era un gioco, non una pretesa.
Emily spostò gli occhi sulle vetrate, guardando il parco del suo palazzo che si estendeva al di là del vetro. Avrebbe voluto lanciarsi al di fuori e correre lontano da quel gruppo di persone che stava sotto al suo tetto. Intorno alla tavola sedeva la rappresentazione di tutte le classi di Tridell, accomunate da un unico e grande amore per il denaro e il potere.
Constatando di non poter sfuggire a quella tortura, Emily riportò lo sguardo suoi propri ospiti e si finse interessata alla conversazione. Con un senso di nausea crescente, pensò che le uniche persone che avrebbe voluto lì con lei, in quel momento la detestavano. Alexander la disprezzava per la manipolatrice che effettivamente era e Roman pareva stanco di sottostare alle sue regole. Nonostante l’irritazione che questa consapevolezza le provocava, la giovane sapeva di non poterli biasimare. Anche lei si detestava a volte.
«Emily!»
Un brivido l’attraversò, mentre spostava gli occhi su Gabriel che aveva parlato. Gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«La contessa Fedorovna ci ha augurato di avere figlie femmine e mi ha chiesto come vorrei chiamare la prima» spiegò lui, rivolgendole uno sguardo fin troppo penetrante.
«Emily?» ripeté lei storcendo il naso e Gabriel fece un cenno di assenso, senza distogliere gli occhi dal suo volto. 
«Un nome banale, per non dire noioso» continuò lei e scosse una mano nell’aria con finta nonchalance, anche se sentirglielo dire era stato come un colpo al cuore. Che Gabriel sapesse qualcosa? Il giovane era tornato a parlare disinvolto con l’altra donna ed Emily scacciò il pensiero.
Sopportò ancora per qualche minuto la maschera della padrona di casa ospitale, poi decise di scaricare il compito a Gabriel e, con la scusa di non sentirsi bene, raccomandò al “fidanzato” di prendersi cura dei presenti mentre lei si ritirava nelle proprie stanze.
Una volta salita al piano superiore, si diresse verso la camera di Noah, che ancora dormiva per il suo pisolino pomeridiano. Si sedette sul tappeto accanto al letto e, appoggiandosi al materasso, si perse nella contemplazione del volto del bimbo.
«So di essere un poco inquietante» mormorò, ma lui era così immerso nel sonno che non dette segno di aver udito le sue parole. 
«Sei bellissimo» continuò lei, perdendosi nel guardare la sua pelle diafana, il naso piccolo e le labbra rosse leggermente dischiuse da cui respirava. Se qualcuno le avesse chiesto cosa fosse il paradiso, Emily sapeva che nulla avrebbe potuto essere meglio che vedere il proprio figlio felice. 
Allungò una mano e, con delicatezza, gli sistemò una ciocca di capelli chiari che cadevano sulla sua fronte.
«Sono sicura che diventerai bello come tuo padre» gli sussurrò dolcemente. «E spero che erediterai il suo buon cuore, ma mi auguro che imparerai a prendere decisioni migliori delle sue.»
Noah si stiracchiò, sospirando, e lei tacque.
Lentamente vide il bambino svegliarsi e sollevare lentamente le palpebre che celavano gli occhi color ambra.
«Mamma» le disse non appena l’ebbe messa a fuoco.
Emily gli sorrise e Noah allungò le braccia verso di lei, come implorando un abbraccio. Lei non esitò e si stese sul letto al suo fianco. Lo accolse tra le braccia, inspirando il suo buon profumo, e lo strinse fino a che non si addormentarono entrambi.
 
 
 
***
 
 
Gabriel lanciò un’occhiata al cancello davanti a sé, oltre al quale si estendeva la grande distesa di erba del cimitero. Erano trascorsi due giorni da quando era stato al vecchio appartamento di Emily e finalmente aveva trovato il tempo di fare visita al cimitero.
Emily, ripeté mentalmente, come assaporando quel nome, così comune, così poco straordinario, a differenza della sua portatrice. Da quando lo aveva scoperto, Gabriel guardava alla giovane in modo diverso. Si sentiva come se avesse scoperto la sua vera natura, come se riuscisse a vedere al di là della seta e dei pizzi dei suoi abiti e la vedesse, nuda, per quello che era. Nient’altro che una ragazzina povera e disperata che aveva fatto ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere. Nessuna remora lo trattenne quando aprì il cancello e si infilò all’interno del cimitero, perché sapeva che Emily avrebbe fatto lo stesso. Tutti devono pur sopravvivere e, per farlo, Gabriel doveva distruggere lei.
Una volta entrato nel cimitero, notò sulla destra la casupola del custode. Si avvicinò, sbirciando all’interno del vetro rovinato della finestra, ma non vide nulla, così decise di bussare due colpi secchi sul legno della vecchia porta. 
Quella si aprì bruscamente, rivelando un uomo non più giovane, dal volto coperto da una barba imbiancata. Il custode lo squadrò, in attesa di una spiegazione.
«Salve, io sto cercando una tomba…» si frugò nelle tasche e gli tese il nome della nonna di Emily che si era segnato.
L’uomo gli fece cenno di attendere e scomparse dietro alla porta. Quando si ripresentò gli diede brevemente indicazioni per raggiungere la sua destinazione. 
Gabriel lo ringraziò con un cenno del capo e fece per andarsene, ma un’idea lo trattenne. Estrasse da un’altra tasca una fotografia della duchessa che si era procurato – con grande difficoltà, dato che non ne esistevano in circolazione – e la mostrò all’uomo.
«Può dirmi se l’ha mai vista?»
L’uomo la scrutò per qualche istante con le sopracciglia cespugliose aggrottate.
«Sì» rispose, con grande gioia del ragazzo. «Alla pensione che c’è in fondo alla strada. Puoi chiedere là se la conoscono.»
Senza riuscire a trattenere un sorrisetto trionfante, Gabriel ringraziò ancora e decise di dirigersi verso la pensione.
Dovette camminare quasi una ventina di minuti e rimpianse di aver congedato il taxi non appena aveva raggiunto il cimitero. Fare attività fisica non era decisamente tra le sue cose preferite, soprattutto non in quella strada sperduta in mezzo al nulla.
Vide la pensione da lontano, una vecchia casa mal verniciata e con il tetto che aveva bisogno di una seria sistemata. All’entrata lo accolse un uomo dall’aria annoiata, che non distolse neanche gli occhi dal libro che stava leggendo quando gli chiese come poteva essergli utile.
«Vorrei sapere se ha mai visto questa donna» domandò Gabriel allungando la fotografia di Emily.
Con fastidio, l’uomo spostò lo sguardo dal libro all’immagine e poi sul suo interlocutore.
«Sì, ha alloggiato qui pochi giorni fa.»
Gabriel sgranò leggermente gli occhi, colto alla sprovvista da quella risposta. Si chiese se la duchessa fosse una cliente abituale.
«C’era qualcuno con lei?» chiese ancora e l’uomo gli rivolse un’espressione sospettosa.
«Perché vuoi saperlo?»
Il ragazzo sospirò e prese alcune banconote dal portafoglio, per poi farle strisciare sul bancone verso l’uomo. Da come l’altro tese il collo, capì di avere la sua attenzione. Ritirò la mano e lasciò le banconote in bella vista sul legno. Rapido come un fulmine, l’uomo le prese e le fece sparire dall’altro lato della reception.
«Sì, un uomo. Alto, con i capelli chiari e vestito bene. Credo sia uno famoso, perché aveva un aspetto familiare»
Gabriel sentì un leggero formicolio attraversarlo. Coincideva con la descrizione che aveva fatto la vecchia. Doveva trattarsi del padre del bambino. La sua mente cominciò a galoppare e si chiese se la duchessa avesse un qualche affare amoroso con lui. Non l’aveva mai considerata una tipa sentimentale, men che meno una da relazione.
«Sa dirmi altro? Magari ricorda il nome dell’uomo?»
L’altro scosse il capo e Gabriel si lasciò scappare un verso di frustrazione.
«Però ho la fotocopia della sua carta d’identità nel registro delle prenotazioni.»
Le parole dell’uomo gli stamparono sul volto un sorriso ebete. L’altro gli fece capire che visionare il registro era ben più costoso delle banconote che aveva appena intascato e Gabriel si affrettò a strisciarne altre sul bancone di legno.
L’uomo si abbassò per rovistare tra i cassetti, fino a che estrasse un grande quaderno ad anelli nero e lo passò al ragazzo.
«Mentre lascio sbadatamente in bella vista il registro delle prenotazioni, vado al bar a bermi qualcosa» gli disse e si allontanò per dirigersi verso la zona ristorante poco lontano.
Gabriel non perse tempo e cominciò a sfogliare quelle pagine alla ricerca di un volto che potesse coincidere con quello che stava cercando. La maggior parte delle fotografie ritraevano uomini anziani o camionisti che sostavano in quella pensione in mezzo al nulla per necessità.
D’un tratto la sua attenzione fu attratta da un volto diverso dagli altri. Si trattava di un uomo di mezz’età, che dalla fotocopia in bianco e nero sembrava avere capelli chiari e un’aria affascinante. Gabriel non aveva mai sentito il suo nome e per un attimo si chiese se fosse proprio quello l’uomo che stava cercando. Incerto, decise di guardare anche le poche pagine rimanenti e voltò il foglio.
I suoi occhi caddero su una nuova fotografia e lui rimase a fissarla, come paralizzato. La sua mente corse alla scena che aveva visto alla festa nel palazzo della duchessa. Si era anche preso la briga di andare dal responsabile e fargli notare che non si addiceva ad un uomo sposato sparire da una festa in compagnia di un’altra donna. 
Si diede dello stupido per non esserci arrivato prima. La vecchia gli aveva detto che si trattava di un giovane alto e biondo, con l’aria da divo e quella era l’esatta descrizione del ragazzo d’oro di Tridell, dell’uomo che aveva vinto e perso la carica di sindaco in meno di due giorni e che dopo un anno di carcere era ricomparso nelle sale dell’alta società come se nulla fosse successo.
Gabriel accarezzò la fotografia con un sorrisetto.
 
 
 
 
 
 
Walt Morris scese dall’auto che lo aveva accompagnato e fece cenno all’autista di aspettarlo al solito posto, mentre si dirigeva verso il pub. Non amava particolarmente gli incontri con quel ragazzino viziato di Leroy, ma il dovere era dovere e lui sapeva svolgere il proprio lavoro celando gli eventuali sentimenti di disprezzo che provava.
Si fermò un istante davanti alla porta a vetri del pub per controllare il proprio riflesso. Il cappello nero di feltro era ben sistemato sulla sua testa rasata e la lunga barba nera appariva in ordine.
Spinse la porta e si immerse nel locale che odorava di birra e sigarette. Gabriel Leroy lo attendeva al balcone, già attaccato ad un bicchiere dal contenuto denso e scuro. Il ragazzino sedeva mollemente su uno sgabello e, nonostante se ne stesse con i gomiti sul balcone e la schiena leggermente curva, c’era comunque una certa grazia nella sua posa. Walt ipotizzò che si trattasse di un privilegio di quelli che nascevano ricchi e imparavano a muoversi nel mondo come se la loro presenza fosse un beneficio offerto agli altri. Non risultavano mai sgradevoli all’apparenza e questo era il loro potere.
Gabriel si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso storto che l’uomo non ricambiò.
«Spero sarai pronto a lasciarli tutti» lo accolse il ragazzo, ammiccando verso la valigetta che Walt stringeva tra le mani.
L’uomo non cambiò espressione e prese posto sullo sgabello accanto a lui. «Vediamo se le tue informazioni ne valgono la pena.»
Il sorriso dell’altro non vacillò mentre si preparava a parlare.
«Il vero nome della duchessa è Emily Robak. È lei la madre del bambino e ho i documenti dell’ufficio adozioni per provarlo. Questo spiega il suo attaccamento ossessivo.»
L’uomo lo fissò in silenzio, poi chiese: «Perché il bambino era in adozione se lei gli è così attaccata?»
Gabriel gli raccontò del quartiere che aveva visitato e del palazzo in cui Emily aveva vissuto. 
«Certamente non navigava nell’oro ai tempi. Forse non ha avuto altra scelta» concluse e Walt fece un cenno di assenso.
Stava decidendo se lasciare direttamente la valigetta o consegnargli solo parte del denaro che conteneva, quando l’espressione sul volto di Gabriel gli fece capire che non era finita.
«C’è dell’altro» gli disse infatti. «Non indovinerai mai chi è il padre del bambino».
Walt gli rivolse uno sguardo scocciato. «Non sono venuto per risolvere indovinelli.»
Gabriel si guardò attorno, circospetto, poi si piegò in avanti e gli sussurrò il nome nell’orecchio.
L’uomo rimase immobile e lo fissò in silenzio, come per assicurarsi che avesse detto la verità.
«Ne sei sicuro?» gli domandò poi.
Il ragazzo fece un vigoroso cenno di assenso. «Dopo essere stato alla pensione dove lui e la duchessa hanno passato la notte, sono tornato dalla vecchia con cui avevo parlato e le ho mostrato una fotografia. Mi ha confermato che si trattava proprio di lui.»
Walt tacque. 
Gabriel gli passò una mano davanti agli occhi e l’uomo tornò in sé, scoccandogli un’occhiata infastidita.
Gli tese in modo brusco la valigetta e disse: «Questi sono tuoi. Ma potremmo avere ancora bisogno di te, mi farò vivo io.»
Detto ciò, si alzò dallo sgabello e uscì dal locale. L’auto lo attendeva con il motore già acceso. 
«Portami dal capo» disse all’autista e, con un cenno di assenso, quello si infilò nella strada trafficata.
In pochi minuti raggiunsero l’alta cancellata che circondava la villa del capo. L’auto si infilò per la strada asfaltata che superava l’ampio giardino ben curato e raggiunse il parcheggio sotterraneo del palazzo. 
Walt si diresse verso le scale riservate al personale, che conducevano direttamente davanti allo studio del padrone di casa. Salì rapidamente i gradini e, quando raggiunse la porta di legno massiccio, bussò in modo deciso.
«Avanti» gli rispose una voce al di là della porta.
Walt scivolò all’interno e notò che l’uomo gli dava la schiena mentre, seduto comodamente sulla sua poltrona, osservava il giardino dall’ampia vetrata opposta alla porta.
«Che notizie mi porti, Walt?» domandò il padrone, con quel suo modo di parlare subito di affari che lo caratterizzava.
«Vengo dall’incontro con Gabriel Leroy.»
«Ah» esclamò l’uomo, «ogni volta mi stupisco che quel ragazzino riesca a vedere un altro giorno senza che le droghe lo uccidano. Cosa ti ha detto?»
«Ha confermato che il punto debole della duchessa è il bambino, Noah. È suo figlio biologico.»
Il silenzio dell’altro lo spinse ad andare avanti.
«Il vero nome della donna è Emily Rodak e pare sia cresciuta in un contesto piuttosto umile, per non dire degradato».
Il padrone continuò a tacere, ma ruotò leggermente la poltrona verso la porta e Walt scorse il suo profilo scuro contro la luce che veniva dalla finestra.
«Leroy è riuscito a risalire al padre del bambino e ha anche le prove per dimostrarlo. Si tratta di Alexander.»
Il capo si voltò completamente verso di lui e il suo sguardo trafisse Walt con una tale intensità da farlo trasalire. Ma quella reazione prevedibile.
«Alexander?» ripeté l’uomo al di là della scrivania e Walt annuì.
«Mio figlio» aggiunse l’altro e Walt non poté far altro che osservare il volto di Robert Henderson mentre accettava quest’informazione.









 




 
 Ciao, sono anche su instagram e wattpad!




 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Shadow writer