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Autore: Ghostclimber    09/11/2020    5 recensioni
Rukawa sembra essere vittima di una crisi d'asma proprio nel bel mezzo di una partita contro il Kainan.
La sua determinazione lo porterà a continuare comunque a correre, e il successivo, prevedibile incidente lo metterà sulla strada di una sconvolgente presa di coscienza.
E delle sue conseguenze.
Warning: hanahaki
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ayako uscì dall'ufficio di Anzai, dov'era corsa per fare una rapida ricerca su internet.

Evitò accuratamente lo sguardo di Rukawa, seduto sulla panchina; il dottor Yamamoto comprese al volo l'esigenza della ragazza di non guardare l'amico e chiese: -Ayako, hai scoperto qualcosa?

-Secondo i siti che ho visitato, le rose nere significano “pericolo”.

-Quindi è possibile che sia successo qualcosa ad Hanamichi?- chiese Miyagi, attirando l'attenzione di Ayako e distogliendo ulteriormente il suo sguardo da Rukawa.

-Sì, credo di sì.- cadde un cupo silenzio, poi Mito sbottò: -Vado a casa sua.

-Aspetta, Mito!- lo richiamò Ayako. Il ragazzo si era già messo a correre, ma lei lo raggiunse poco fuori dalla porta della palestra e lo prese per un braccio.

-Senti, non chiedermi di restare qui. Di Rukawa non potrebbe fregarmene di meno, in questo momento, ok? Voglio sapere come sta il mio amico.

-Mito... la rosa nera potrebbe anche significare “morte”.- Mito sussultò.

-Non l'ho detto davanti a Rukawa perché non ho idea di cosa potrebbe succedere, ma credo che sia giusto che tu lo sappia. Per... essere preparato.

-Dubito che si possa essere preparati ad una cosa del genere...- bofonchiò Mito; ora sembrava dubbioso. Il suo piano iniziale era arrivare a casa Sakuragi e parlare con sua mamma: Hana era un gran testone, ma girava sempre con i documenti e i contatti di emergenza nel portafoglio. A meno che non fosse rimasto vittima di una rapina, di certo le autorità avevano già provveduto a chiamare i parenti più stretti. Mito contava di parlare con lei, farsi dire dove lo stavano portando, riferire alla palestra e poi correre in ospedale.

Ora, però, la possibilità vaga che a Sakuragi potesse essere successo qualcosa di irrimediabile lo bloccava. Era pronto a supportare una mamma in ansia, l'aveva già fatto anni prima, ma come avrebbe mai potuto offrire il degno supporto ad una madre in lutto? Oltretutto, quando lui stesso avrebbe avuto il cuore a pezzi.

Poi, ricordò tutte le volte in cui era stato ospite dei Sakuragi, il loro supporto spontaneo e mai forzato quando suo padre aveva mollato la moglie di punto in bianco andandosene a Maiorca con una stagista rifatta, il giorno in cui la mamma di Hana gli aveva lanciato un mazzo di chiavi dicendo: “ormai sei di famiglia, tanto vale che ti lascio le chiavi di casa”... sollevò la testa, raddrizzò la schiena e si sforzò di apparire fiducioso.

-Qualunque cosa sia successa,- disse ad Ayako, cercando di trattenere il panico, -Di certo hanno già informato sua mamma. Vado da lui, mi faccio dire dov'è e come sta e vi chiamo subito.

-Mito... grazie.- Ayako lo abbracciò rapidamente, e lui corse via, lungo una strada che aveva percorso così tante volte da poterla ricordare a memoria. Giusto un paio di settimane prima, ricordò con una fitta al petto, lui e Hana avevano scherzato dicendo che l'unico motivo per cui non si sfidavano a fare la strada con gli occhi chiusi era che avrebbero potuto pestare una cacca di cane: per quanto in Giappone vigessero delle stringenti norme di pulizie, il quartiere in cui abitavano e in cui si trovava lo Shohoku era poco raccomandabile, e non tutti i padroni di cani si preoccupavano della pulizia delle strade. Subito dopo aver finito la frase, ricordò ancora Mito, Hanamichi aveva pestato una cacca. Ne avevano riso fino allo sfinimento.

Accelerò il passo, sperando che non gli fosse appena stata preclusa la possibilità di prendere in giro il suo amico per il resto dell'eternità, chiedendosi se è solo l'adolescenza a fare schifo, se ad un certo punto la vita migliora o se voler diventare grandi è tutto aspettativa e niente risultato.

 

Ayako rientrò in palestra e si dipinse in volto un tremulo sorriso. Con gli occhi fissi in quelli di Miyagi, riferì: -Mito sta andando a casa di Hanamichi. Ha giustamente pensato che sua mamma sarà già stata avvisata. Appena sa qualcosa ci chiama.

-Sveglio, quel ragazzo, non c'è che dire.- commentò vago Miyagi. Aveva capito che Ayako sapeva più di quel che aveva detto, ma si rendeva conto che se non aveva parlato in tutta sincerità doveva esserci un motivo ben preciso.

-Forza, ragazzi.- disse, battendo le mani, -Per adesso non c'è niente che possiamo fare. Cominciate a fare un po' di riscaldamento. Kakuta, puoi dirigere tu gli esercizi? Io devo scambiare due parole con Ayako per organizzarci.- Kakuta annuì, e insieme ai compagni si mise a fare un po' di stretching.

Yasuda si diresse verso Rukawa, e con gentilezza chiese: -Te la senti di unirti a noi? È meglio che stare lì a rimuginare, non pensi?- Miyagi per poco non si mise a strillare come la fan di un gruppo idol ad un concerto. I compagni di squadra avevano saputo solo che Rukawa aveva una strana malattia, ma per discrezione nessuno aveva parlato della connessione con Sakuragi; certo, Yasuda non era un imbecille e ormai si era nel range di deduzione del 2+2=4, ma mai e poi mai Miyagi si sarebbe immaginato una simile delicatezza dal compagno di squadra, ormai famoso per la sua poco felice abitudine di scoreggiare su diverse note. Il passo dall'esecuzione di Fra Martino con il buco del culo alla gentilezza con cui si stava rivolgendo a Rukawa era enorme.

Prese Ayako per il braccio, con dolcezza, e fece appena in tempo a sentire Yamamoto che dava la sua autorizzazione prima di sparire dentro l'ufficio di Anzai.

Aveva a malapena fatto in tempo a chiudere la porta, quando Ayako scoppiò a piangere. Tra le lacrime, la ragazza disse: -La rosa nera può voler dire “morte”. Oh, Ryota, cosa facciamo se Hana è...- Miyagi la interruppe. -Non dirlo.- le ordinò, spingendola delicatamente verso la scrivania di Anzai, alla quale la ragazza si appoggiò portandosi le mani al viso. Miyagi la strinse in un tenero abbraccio, cullandola contro di sé; il berretto di Ayako cadde a terra, ma entrambi lo ignorarono. Forte della consapevolezza che la porta fosse chiusa, anche Miyagi si concesse di piangere.

 

Mito corse più veloce che poteva verso casa di Sakuragi; all'ultimo incrocio, per poco non finì in mezzo alla strada per lo slancio esagerato, ma riuscì a curvare aggrappandosi ad un palo della luce; un manifesto stampato su un foglio di carta che denunciava la scomparsa di un gattino si disintegrò sotto alla sua mano sudata.

Mito lanciò uno sguardo verso la casa del suo amico, e fu parzialmente sollevato nel vedere che la vecchia Suzuki della signora Sakuragi era parcheggiata a caso, per metà sul marciapiede e per metà giù, con le quattro frecce inserite e la portiera del guidatore aperta. Il lieve ping che avvertiva il guidatore del fatto che le luci fossero rimaste accese era quasi assordante nella quiete del pomeriggio di un giorno settimanale. Mito si fece coraggio ricordando il giorno della morte del signor Sakuragi. Aveva visto con i suoi occhi la signora Sakuragi rientrare dall'ospedale dove aveva firmato i moduli per la donazione degli organi e disposto la cremazione della salma: con una calma e una precisione tanto impeccabili da risultare inquietanti, la donna aveva posteggiato l'auto con metodo, riuscendo ad effettuare un parcheggio da manuale, di quelli che si sarebbero potuti misurare con squadra e goniometro, poi era scesa dall'auto, composta, e aveva raggiunto la porta di casa. Una vocina disfattista disse a Mito che forse quello poteva essere un modo della donna di venire a patti con la morte del suo amato concentrandosi sul figlio e sulla necessità primaria di non lasciarlo solo, mentre ora che non aveva più niente da perdere...

-MIDORI SAN!- chiamò Mito, vedendola uscire di casa con una grossa valigia in mano.

-Oh!- la donna sussultò. I suoi occhi erano cerchiati da grandi ombre scure, e il suo solitamente impeccabile chignon mostrava parecchi ciuffi per aria; nel suo smarrimento, del tutto distante dalla tipica pacatezza giapponese, sembrava tendere molto più al lato paterno, quello irlandese, e i riflessi rossastri dei suoi capelli, ereditati poi dal figlio, la facevano somigliare ad una strana e bellissima fata affaccendata. -Yohei, caro, Hana ha avuto un incidente!- disse, poi lasciò cadere la valigia e si coprì il viso con le mani, in lacrime. Mito si avvicinò a lei e la prese per le spalle, poi l'abbracciò e lasciò che lei si sfogasse. Fremeva dal bisogno di chiederle come stava Sakuragi, ma non poteva nemmeno immaginare cosa stesse passando per la mente della donna, quindi le lasciò qualche minuto per ricomporsi.

-Come sta, Midori san?- chiese infine.

-Non lo so. Lo stanno portando all'ospedale di Yokohama, non mi hanno detto altro.- Mito trattenne un sospiro di sollievo che sarebbe senz'altro stato considerato inopportuno; si aggrappò alla consapevolezza che Hana, quantomeno, era ancora vivo, e disse: -Midori san, non ho tempo di spiegare adesso, ma sapevo che gli era successo qualcosa. Posso fare una telefonata?

-Poi mi raggiungi all'ospedale? Per favore.- Mito l'abbracciò d'impulso. Con quella donna era facile dimenticarsi di essere in Giappone, e le convenzioni sociali per quel che lo riguardava potevano andarsene tutte affanculo se un piccolo abbraccio poteva giovarle.

-Arrivo appena possibile, Midori san.- promise Mito. L'aiutò a mettere in macchina la valigia, dalla quale spuntava la manica del pigiama preferito di Sakuragi, quello con le stelle e i pianeti, poi corse verso la porta d'ingresso.

Entrò usando le proprie chiavi, si diresse al telefono e compose il numero della palestra dello Shohoku. Miyagi rispose al primo squillo, con la voce un po' soffocata: -Mito, sei tu?

-Sono io. Hana è vivo, lo stanno portando all'ospedale di Yokohama. Non so altro, vi richiamo da lì.

-Col cazzo, veniamo anche noi.- rispose Miyagi, poi riagganciò. Mito sorrise al pensiero di quanta gente volesse bene a quel gigante mezzo matto del suo amico, poi uscì, cercando di ricordarsi quale fosse il mezzo di trasporto migliore per raggiungere la zona di Yokohama.

Chiuse la porta, si voltò e rimase sorpreso nel vedere che Midori Sakuragi era ancora lì di fronte, le mani sul volante e lo sguardo fisso nel vuoto. Si avvicinò: -Midori san?

-Yohei, ho paura di andare a sbattere. Guardami, tremo.- disse, sollevando le mani dal volante. Con un senso di irrealtà, Mito vide le sue nocche, che erano diventate bianche tanta era la forza con cui stava stringendo le dita, riprendere colore poco a poco, assumendo quella strana e quasi psichedelica tonalità rosa chiaro che caratterizzava le estremità della donna e di suo figlio.

-Si sposti, guido io. Se ci beccano siamo nella merda, ma se ci schiantiamo stiamo ancora peggio.- disse Mito. Midori scese, girò attorno al cofano, salì dal lato del passeggero e si sedette allacciando la cintura. Le mani erano strette in grembo, tra le gambe, nel vano tentativo di farle smettere di tremare. Mito si concesse il tempo di farle una lieve carezza sull'avambraccio, poi cercò di ricordarsi quel poco che sapeva: specchietti retrovisori, posizione del sedile, frizione, leva del cambio in prima, mani sul volante a dieci e dieci.

L'auto non partì, e Mito si ricordò di dover girare la chiave; dimenticò tuttavia di premere la frizione: la macchina fece un balzo in avanti e si spense.

Dal sedile del passeggero venne la voce di Midori: -Calma, Yohei. Metti in folle, gira all'indietro la chiave, premi la frizione e accendi.- Mito trasse un profondo respiro per calmarsi ed eseguì. -Bene, adesso metti la prima, togli poco a poco il piede dalla frizione e parti.- a scossoni, la macchina partì e Mito, troppo terrorizzato per pensare ad altro, si immise nel traffico.

 

Un eterno quarto d'ora più tardi, Mito mollò la macchina al secondo piano del parcheggio dell'ospedale. Quando scese, vide che stava occupando due posti, ma non aveva la minima intenzione di risalire per provare a sistemarla meglio. Midori mise il talloncino del parcheggio sul cruscotto e scese; Mito prese la valigia e insieme si diressero agli ascensori, in silenzio. Il pensiero che occupava la mente di entrambi era che non sapevano cosa fosse successo in quel quarto d'ora. La telefonata della polizia era stata, aveva spiegato Midori, breve e sbrigativa. Le avevano riferito che il figlio era stato investito da un'auto e che lo stavano trasportando all'ospedale di Yokohama. Non le avevano detto se e quanto era grave, non le avevano detto se era cosciente, nulla. Per quanto ne sapevano, avrebbero potuto cominciare a sentirlo sbraitare di trattamenti indegni del Genio da un momento all'altro, oppure non sentirlo urlare mai più.

Mito rimase un passo indietro a Midori mentre la donna si rivolgeva all'accettazione. La udì dichiarare il proprio nome e il nome del figlio, poi la vide porgere un documento d'identità con mani tremanti. L'infermiera al banco inserì i dati in un computer, poi sorrise: -Eccolo qui. Lo stanno operando proprio ora, ma non è grave. Ha subito qualche danno alla milza e avrà bisogno di qualche punto di sutura qui e là, ma non ha battuto la testa e non ha ossa rotte.- Midori si accasciò sul banco dell'accettazione. -Oh, grazie al cielo!

-Quel coglione, mi ha fatto prendere un colpo!- sbottò Mito d'impulso. Midori e l'infermiera scoppiarono in una risatina imbarazzata.

-Dove possiamo aspettare l'esito?- chiese Mito, prendendo in mano la situazione. L'infermiera gli indicò una saletta d'attesa, e Mito aggiunse: -Altri amici di Hana stanno arrivando. Possono aspettare con noi?

-Se la signora Sakuragi è d'accordo, senz'altro.- rispose l'infermiera; guardò Midori, che annuì, poi tornò alla propria postazione.

Mito prese un bicchiere d'acqua al distributore e lo porse a Midori, che bevve a piccoli sorsi, poi chiese: -Come hai fatto a saperlo? Hai sentito suonare le campanule?

-Eh?- ribatté Mito, spiazzato.

-A Derry dicono che se senti suonare le campanule è successo qualcosa ad una persona cara.- Mito ricordò improvvisamente che le campanule erano un tipo di fiore, e scoppiò in una risata isterica. Si versò un bicchiere d'acqua a sua volta, poi si sedette di fronte a Midori e disse: -Ok, Midori san. Si tenga forte perché è una storia davvero assurda. Non erano campanule, erano rose.

 

Mezz'ora più tardi, Midori commentò stralunata: -Sento la mia nonna che dall'alto dei cieli mi dice che aveva ragione.- Mito scosse il capo in una muta richiesta di spiegazioni.

-Lei era molto superstiziosa. Fagioli contro i vampiri e i poltergeist, cerchi delle fate, polvere di mattone negli angoli delle stanze... io la prendevo in giro. Ma questa cosa che mi stai raccontando... va oltre ogni logica del mondo reale.

-Già. Nemmeno io ci crederei, ma l'ho visto succedere.

-Questo ragazzo come sta, adesso?- chiese Midori. Mito sentì di amarla un pochino. Con suo figlio in sala operatoria, quel cuore di donna era in grado di preoccuparsi per lo sconosciuto che tossiva fiori pensando ad Hanamichi.

-Non ho chiesto, ma quando sono uscito dalla palestra sembrava essersi ripreso. In ogni caso, credo che verrà qui anche lui.

-Bene, mi piacerebbe conoscerlo.- Midori era tornata ad essere apatica, colma di preoccupazione. Il discorso su Rukawa l'aveva distratta per un po', ma ora che era concluso tornava ad essere concentrata sulle condizioni del figlio.

-Signora Sakuragi.- chiamò l'infermiera dell'accettazione, -Sono arrivati gli amici di suo figlio. Posso farli entrare?- chiese.

-Naturalmente.- rispose Midori con un sorriso stanco. Miyagi e Ayako entrarono per primi, tesi e imbarazzati. Ayako si era tolta la sua iconica polo e indossava la divisa scolastica, si era data una pettinata e cercava di sorridere, nonostante i suoi occhi fossero ancora gonfi e arrossati. Anche Miyagi indossava la divisa, ed era così nervoso che sembrava che qualcuno gliel'avesse riempita di polverina pruriginosa: continuava ad agitarsi, a disagio, e la sua mano continuava a tornare all'orecchino, che girava e rigirava nel foro.

-Signora Sakuragi, buongiorno.- disse Ayako, sfoderando tutto il suo delicato charme, -Sono Ayako Ikebana, la manager della squadra di basket di Hanamichi. Lui è Ryota Miyagi, il capitano.- Midori si alzò e le strinse la mano con calore; Ayako dissimulò in fretta lo stupore per quel contatto fisico inusuale e reciprocò la stretta, poi senza soluzione di continuità le due donne si abbracciarono strette. Miyagi fissò Mito, confuso, poi entrambi fecero spallucce. Midori liberò Ayako dalla stretta e disse: -Yohei mi ha parlato di un ragazzo, mi pare... Rukawa? È qui anche lui? Come sta?

-Sì, è qui anche lui, sta meglio.- Ayako si voltò verso il corridoio e disse: -Avanti, Kaede, muoviti! O devo cominciare anch'io a darti della volpe narcolettica?

-Occhio, Rukawa, che oggi Ayako ha il ventaglio fa... AHIA!- Miyagi si interruppe sotto un violento colpo del famigerato ventaglio di carta di Ayako, che sottolineò e confermò le sue parole. Timidamente, Rukawa entrò nella saletta, seguito dal dottor Yamamoto e dall'infermiera Sawada, che messa al corrente della situazione li aveva raggiunti.

-Buongiorno, signora Sakuragi,- si spremette Rukawa, poi trasse un respiro sibilante, -Come sta suo figlio?- la donna lo guardò con tenerezza.

-Lo stanno operando, ma l'infermiera è ottimista.- rispose, poi sorrise. Rukawa annuì, poi trasse un altro, faticoso respiro. Il dottor Yamamoto lo raggiunse e lo spinse verso una poltroncina: -Vieni, Kaede, siediti un attimo. Vuoi l'inalatore?- Rukawa scosse il capo.

Il dotto Yamamoto alzò gli occhi verso Midori e disse: -Signora, potrebbe assistere ad una scena... inusuale. Kaede è...

-Sono al corrente della situazione.- rispose Midori, poi si sedette di fianco a Rukawa e aggiunse: -Come ti senti, caro? Hai bisogno di qualcosa?- Rukawa non rispose, ma un colpo di tosse gli scosse le labbra. -Ora mi passa.- disse con voce strozzata, poi cedette e cominciò a tossire.

Midori si guardò intorno, preoccupata: le sembrava che la crisi fosse piuttosto violenta, eppure né il medico né l'infermiera sembravano particolarmente preoccupati. Ayako si strinse a Miyagi, e la mano di Mito si appoggiò sulla spalla di Midori, che vi posò sopra la propria. Le si stringeva il cuore a vedere quanto stava male quel ragazzo, e pensò incoerentemente che quando ti dicono che l'amore fa male non t'immagini certo una cosa del genere.

Finalmente, dopo un colpo di tosse che sembrava proprio non voler uscire, Rukawa si placò. Si trasse un fazzoletto dalla tasca e vi sputò dentro qualcosa. L'infermiera, professionale, indossò un paio di guanti di lattice e prese il fazzoletto, lo aprì e lo esaminò: -Credo sia un fiore di elleboro.- Ayako si avvicinò e sbirciò tra le sue mani, poi annuì. -Confermo.

-Caspita, ti sei messa a studiare i fiori?- chiese Miyagi, in un goffo tentativo di spezzare la tensione.

-No...- rispose Ayako, arrossendo, -È che in Harry Potter, quando Harry e Hermione vanno sulla tomba dei genitori di Harry, Hermione fa apparire una corona di elleboro da metterci sopra.

-Oh, talk nerdy to me...- disse Miyagi, e Rukawa commentò: -Ottimo, adesso mi verrà anche il diabete.- tutti risero nonostante la tensione.

-Sa cosa significa, Sawada san?- chiese il dottor Yamamoto.

-Sì, significa...- l'infermiera dell'accettazione bussò con delicatezza sullo stipite e disse: -Signora Sakuragi... suo figlio è uscito dalla sala operatoria.

-Come sta?- chiese Midori, alzandosi in piedi con le mani giunte sul petto.

-Posso parlare qui o preferisce in privato?

-Parli pure. Questi ragazzi sono qui perché vogliono bene a mio figlio, è giusto che lo sappiano.

-Sta bene. La milza era in condizioni migliori del previsto, sono riusciti a salvarla. Come le dicevo, alcune delle sue ferite hanno avuto bisogno di suture. Ha una costola incrinata, ma la schiena, che da quanto vedo aveva subito dei danni l'anno scorso, non è stata ulteriormente danneggiata. Nessun trauma cranico, nessun osso rotto. Per il momento è ancora sotto anestesia, ma se volete potete entrare nella sua stanza, massimo due persone per volta.- Midori si fece avanti, e con le lacrime agli occhi le strinse una mano tra le sue: -Grazie. Grazie infinite.- disse.

-Andiamo. Yohei, tu entri con me. Sei come un altro figlio per questa povera signora.- uscirono dalla saletta, e prima di seguirli Ayako si rivolse a Rukawa: -Vieni, Kaede?- il ragazzo annuì.

Rimasti soli nella sala d'aspetto, il dottor Yamamoto chiese: -Allora, Sawada san?- la donna lo fissò stralunata. Poi scosse il capo e disse: -Se non l'avessi visto non ci crederei. L'elleboro significa “liberazione da una situazione infausta”. Il corpo di Rukawa ha previsto che Hanamichi era uscito dalla sala operatoria.

 

 

 

Elleboro: liberazione da una situazione sgradita

 

 

 

 

Ciaossu!

Raga, vi giuro che MORIVO DALLA VOGLIA di usare l'elleboro da quando Aimi_fantasy me l'ha consigliato. Il tutto per quella cosa che dice Ayako, perché anche se j.k.rincowling sta ormai rotolando lungo l'aspra china della demenza senile e della transfobia, Harry Potter sarà sempre una parte di me e il supporto degli attori che hanno interpretato i film (Daniel “Prescelto” Radcliffe in primis) mi lascia sperare che Hogwarts sia ancora la mia casa.

Anyway, grazie a tutti per i commenti, il supporto, e i miei complimenti a quei magnifici detective che hanno addirittura ricordato il mio compleanno. Vi ammiro la memoria, veramente, io non mi ricordo cos'ho mangiato a colazione.

Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!

XOXO

 
   
 
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