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Autore: Ms_Hellion    09/11/2020    1 recensioni
Izaya ha trascorso la sua vita proteggendo un complicato segreto, frutto di un passato tormentato che ha lasciato segni tanto sul suo corpo quanto sulla sua psiche: il famigerato informatore di Shinjuku soffre di un disturbo dissociativo dell'identità.
Quando però il suo segreto viene minacciato sia da un individuo misterioso che da un ben noto rivale, Izaya è costretto a rivalutare di chi fidarsi e ad affrontare i demoni del suo passato.
Genere: Hurt/Comfort, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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5.



 

In assenza di irritanti personalità co-coscienti e di interruzioni da parte di protozoi con problemi a gestire la rabbia, il successivo tentativo di appostamento si rivelò ben più fruttuoso.

L’informatore affittò un bilocale in un condominio fatiscente, in prossimità del luogo dell’incontro. Era a dir poco lurido – chiaramente non era stato utilizzato né pulito da anni – e ciò nonostante rimaneva un’opzione migliore ad accucciarsi tra il sudiciume del vicolo, dove poteva essere facilmente scoperto.

Per di più, la sua amata giacca di pelliccia si era già impregnata fin troppo del disgustoso tanfo di immondizia e altre sostanze di dubbia natura. Ancora un po’, e Izaya dubitava che sarebbe mai riuscito a lavarlo via.

Non aveva intenzione di buttare via il suo capo di abbigliamento preferito per uno stupido incarico! Era un’edizione limitata, dannazione!

Per fortuna, nonostante la condizione di degrado del bilocale, il suo punto di forza era la visibile assenza di spazzatura.

Inoltre, non pianifico certo di trascorrere qui più tempo di quanto sia strettamente necessario, pensò, sorseggiando caffè dal contenitore di plastica targato Starbucks.

Ah, le meraviglie della globalizzazione.

L’altro innegabile vantaggio dell’appartamento era la sua vista perfetta sul vicolo e di conseguenza sull’incontro che sarebbe avvenuto al suo interno… esattamente due piani sotto di lui.

Finalmente, il corvino riuscì ad assistere per intero all’incontro tra gli spacciatori. Un paio di occhi vermigli osservarono dall’alto, con l’acutezza di un falco, il passaggio di denaro dagli spacciatori di strada a Hirota. Dopodiché, come previsto, l’uomo aprì il suo zaino, da cui estrasse quattro pacchetti avvolti in carta da giornale, delle dimensioni del suo palmo, che distribuì tra i ragazzi. Izaya non aveva bisogno delle sue doti da informatore per indovinare cosa ci fosse al loro interno.

Lo scambio fu indubbiamente interessante; ancora di più, però, lo fu l’insolita domanda posta da uno dei ragazzi.

“Quando arriverà la prossima conigliera?”

Gli occhi dell’informatore scintillarono d’interesse.

“Tra due giorni”, fu la risposta di Hirota.

“Mi chiedo se sia sicuro”, disse casualmente un altro ragazzo. “La yakuza ha tenuto i suoi occhi su Ikebukuro sin da quando Ito e Fukuda hanno spacciato nel loro locale…”

“Andrà bene. La yakuza non è onnisciente, e per fortuna, quei due idioti non avevano alcuna idea di dove si trovi il porto. Anche volendo, non avrebbero potuto dire nulla.”

Il ragazzo borbottò qualcosa sottovoce.

“Questo è esattamente il motivo per cui neanche voi ne sapete nulla, razza di imbecille”, sbraitò Hirota in risposta. “Così nessuno di voi cretini può mettersi a straparlare appena la mafia gli fa ‘boo’. Tieni la testa bassa e fa’ il tuo lavoro, e vedrai che questa storia della yakuza si risolverà in un batter d’occhio. Quel branco di esaltati non può farci nulla. Se anche volessero, non sanno neanche che faccia abbiamo. E finché voi imbecilli tenete la bocca chiusa, non sentiranno mai nemmeno parlare del porto.”

Sopra di loro, Izaya sorrise.

Jackpot.

 

. . .

 

Izaya sapeva riconoscere il valore di un’informazione. Era il suo lavoro, dopotutto. Come esperto venditore d’informazioni, era bene in grado di capire quando l’informazione entrata in suo possesso era un gossip senza valore, buono al massimo per trollare qualche sventurato sulla rete, e quando si trattava di oro puro.

La mente del corvino lavorò per riflettere sulla conversazione appena avvenuta, elaborandola nei dettagli.

Tra due giorni la conigliera arriverà al porto.” Era, in breve, ciò che Hirota aveva detto.

Tra due giorni – ovvero sabato.

La conigliera. Ora, a meno che Hirota non progettasse di aprire uno zoo, Izaya era piuttosto sicuro che non si riferisse a una vera gabbia per conigli… non conigli nel senso letterale nel termine, per lo meno. Più corretto sarebbe stato parlare di una cassa, un container o ancora meglio – un carico.

Un carico di droga.

Al porto. C’era un solo porto a Tokyo, ma era trafficato giorno e notte e regolarmente controllato dalla polizia. Per di più, la sua locazione non era esattamente un mistero. No, il “porto” doveva essere un altro luogo.

Nella mente di Izaya, risuonò la voce di un ragazzo.

Sarà sicuro? La yakuza ha tenuto i suoi occhi su Ikebukuro fin da quando Ito e Fukuda hanno spacciato nel loro locale…”

Ikebukuro, concluse. Il "porto" è a Ikebukuro.

Restava solo da scovare la locazione esatta.

Riluttante a indugiare ma altrettanto riluttante a muoversi quando rimanere nella zona di Ikebukuro poteva tornare utile al momento, decise di rendere il bilocale fatiscente la sua base provvisoria per l’ora successiva, giusto il tempo necessario a mettersi in contatto con le sue fonti di Ikebukuro e surfare sul web.

Era un peccato che i suoi computer fossero rimasti a Shinjuku. D’altro canto, non era come se ne avesse veramente bisogno. Un qualsiasi accesso a internet era sufficiente per l’informatore di Shinjuku… specialmente se stava indagando sulla sua città.

La sua Ikebukuro, checché ne pensasse un certo mostro.

Shizu-chan sarebbe stato fuori di sé se avesse realizzato fino a che livello si estendeva realmente l’influenza dell’informatore. Anche quando Izaya era fuori da Ikebukuro, non lo era mai per davvero.

Ma per quanto fitta e vasta fosse la sua rete di contatti, era un’altra la sua fonte prediletta, da tutti sottostimata meno che da lui, un’insospettabile miniera di informazioni che volta dopo volta non finiva mai di stupirlo e intrattenerlo.

Naturalmente, si riferiva alla chat dei Dollars. Fu lì che Izaya venne a conoscenza dell’esistenza di un edificio abbandonato che, molti anni prima, era stato una piscina. L’edificio non era mai stato smantellato e, con il tempo, era andato in rovina. Per un periodo era stato frequentato dalle color gang, ma alla fine anche loro avevano smesso di farne uso. Si vociferava che fosse infestato.

Eppure da alcuni mesi si stavano verificando dei fatti insoliti che non avevano nulla a che vedere con i fantasmi. Girava voce di avvistamenti, nel cuore della notte, di automobili nere e camion nei dintorni dell’edificio abbandonato. Qualcuno era convinto che le color gang si fossero riprese i vecchi territori. Qualcun altro aveva menzionato la presenza di individui vestiti con uniforme scure, e di conseguenza aveva avanzato l’ipotesi che la yakuza fosse coinvolta. Altri ancora avevano ipotizzato che si trattasse di un qualche giro illecito, forse armi, forse droga.

Ancora una volta, hai i miei più sentiti ringraziamenti, Mikado-kun, pensò l’informatore, sogghignando leggermente al pensiero del timido liceale.

Certo, avrebbe dovuto confermare l’informazione lui stesso, tuttavia sentiva di avere fatto centro. I soldatini di carta sembravano proprio il tipo di persone prive di fantasia che avrebbero usato l’alias “porto” per riferirsi a una vecchia piscina. E ora, non restava che attendere un paio di giorni.

Lasciatosi alle spalle il lercio bilocale, Izaya era finalmente sulla via di casa, un ghigno soddisfatto stampato in volto mentre trotterellava attraverso le strade, in direzione della stazione. Considerò la possibilità di fare una deviazione al Russia Sushi per celebrare la sua piccola vittoria…

Pff, chi voleva prendere in giro? Non c’era nulla da celebrare, non ancora. L’incarico era ancora lontano dalla sua risoluzione. Ciò nonostante, quella sera avrebbe acquistato una doppia porzione di nigiri al tonno, perché lui era Orihara Izaya e poteva fare come più gli piaceva.

Il cellulare squillò. Rallentando appena i suoi saltelli entusiasti, Izaya lo accostò all’orecchio.

“Pronto?”

Dall’altro capo della linea provenne un coro di schiamazzi e risate. L’informatore storse le labbra in una minuscola smorfia infastidita.

Yo, Orihara”, provenne una voce familiare.

Che cosa vuole adesso, questo adorabilmente insopportabile essere umano?

“Sì, sono io. Chi parla?”, domandò Izaya, sebbene avesse già riconosciuto la voce.

L’uomo ignorò la sua domanda. “Avresti dovuto aiutarci quando sono venuto a chiedertelo, Orihara”, disse. “Forse, se ci fossimo uniti, il mostro Heiwajima sarebbe già morto.”

Ah. Ne deduco che lo scontro con Heiwajima Shizuo non sia andato come sperato… ne, Takahashi-san?”

È andato come puoi immaginare…

Izaya ghignò. Poteva immaginarselo perfettamente.

“A essere sinceri, sono sbalordito che tu sia ancora in grado di tenere in mano un telefono e sostenere una conversazione. Shizu-chan deve avere perso il suo tocco.”

Tch, quel bastardo non ha perso proprio nulla, te l’assicuro. Quattro dei miei sono ancora all’ospedale.

“In tal caso, auguro ai tuoi amici una pronta guarigione”, disse il corvino con voce vellutata. “Però, Takahashi-san, ti avevo avvertito riguardo a Heiwajima Shizuo.”

Avevi ragione. Heiwajima non è un uomo, è uno schifoso mostro. Una bestia.

Izaya provò un’irrazionale punta di irritazione. “Mostro” e “bestia” erano i suoi insulti per Shizu-chan, con quale arroganza li utilizzava quella miserabile feccia?

Qual è il mio problema?, si chiese incredulo, scuotendo il capo. L’unica cosa che avrebbe dovuto provare era soddisfazione per il fatto che Takahashi gli avesse finalmente dato ragione.

“Lieto che tu abbia imparato la lezione, Takahashi-san”, rispose in modo più tagliente di quanto avesse pianificato.

Dall’altro lato della linea, Takahashi ridacchiò.

Oh, l’ho imparata eccome, la lezione. Quel mostro non ci sfuggirà un’altra volta.

Aspetta, cosa?! Non è questo che dovrebbe dire! Dovrebbe ammettere che Shizu-chan è un pesce troppo grande per lui e stare alla larga dalla mia nemesi!

Aspetta. La mia nemesi?

“Cosa intendi, Takahashi-san?”, chiese con tono attentamente controllato per non lasciar trapelare la sua frustrazione, egualmente rivolta verso di sé e verso l’uomo dall’altro capo della linea. “Pensavo concordassimo sul fatto che Heiwajima Shizuo è un mostro invulnerabile.”

Heiwajima è sicuramente un mostro. Ma non è affatto invulnerabile.

Izaya smise di camminare. Aveva una brutta sensazione.

Abbiamo pugnalato quel bastardo, e ha sanguinato. Certo, se ne è a malapena accorto, però ha sanguinato. Se sanguina, si può uccidere.

“Takahashi-san…”

Quello che sanguina, si può uccidere”, ripeté Takahashi, alzando la voce. “Vero, ragazzi?

Dall’altro capo della linea esplose un coro di ovazioni.

Li senti, Orihara? Se tu sei troppo codardo per occuparti di Heiwajima, non importa. Infatti, non fa alcuna differenza. Ho chiamato soltanto per farti sapere che i tuoi servizi non sono più necessari.

Ci fu un ulteriore coro di acclamazioni, questa volta con alcuni fischi e insulti diretti sia a Shizuo che all’informatore.

“Aspetta un attimo, Takahashi-san”, disse Izaya, sforzandosi di suonare ragionevole. “Non fare mosse affrettate. Ricorda, l’ultima volta non è andata come volevi tu. Rifletti. Se cercate di eliminarlo una seconda volta e fallite, Shizuo sarà fuori di sé. Stavolta potrebbe davvero uccidervi.”

Takahashi rise come se Izaya avesse appena fatto la battuta più divertente del secolo.

Credimi, Orihara, questa volta non falliremo. Tu resta pure seduto con il culo sui tuoi cuscini di velluto. Assicurati di tenere accesa la televisione, però. Tra poco potresti ricevere delle buone notizie.

“Takahashi-san-”

Biiip.

Izaya fissò lo schermo del cellulare con espressione incredula. Takahashi gli aveva appena chiuso in faccia.

Merda!

Izaya prese un respiro profondo per calmarsi.

Non sarebbe successo nulla. Certo, Takahashi e la sua gang facevano sul serio, e certo, per qualche motivo l’uomo pareva incredibilmente sicuro che stavolta lui e la sua gang avrebbero avuto successo. Ma questo era lungi dall’essere il primo attentato alla vita di Shizu-chan – Izaya lo sapeva bene, essendo stato la mente dietro a gran parte di essi – e il biondo era sempre sopravvissuto. Non c’era motivo di essere preoccupato.

Aspetta… preoccupato?!

Izaya sgranò gli occhi.

Non sono preoccupato! Anzi, sarei il primo a gioire se quel bruto morisse. Spero che muoia. Infatti, nulla mi farebbe più piacere che ammazzarlo io stesso!

Sotto questo punto di vista, i suoi sentimenti avevano senso, si disse Izaya. Detestava Shizu-chan con tutta l’anima, e l’idea che fosse qualcun altro ad ammazzarlo gli faceva provare una profonda delusione.

Perché era questo che provava. Delusione all’idea di non essere in grado di uccidere Shizu-chan con le sue stesse mani. Nulla di più.

Izaya non si rese nemmeno conto di avere iniziato a dissociarsi finché una signora anziana non gli posò una mano sul braccio, riscuotendolo con un sussulto. La signora gli chiese gentilmente se stesse bene, al che l’informatore si affrettò ad annuire, senza osare aprire bocca… o avrebbe corso il rischio di affondare i denti nel collo della donna.

Soffocò l’improvviso, folle impulso.

Non adesso.

Nel secondo in cui la donna si allontanò, le dita pallide di Izaya si strinsero attorno a una ciocca d’ebano, tirando leggermente. Avvertiva la presenza di Izetsuki premere ai margini della sua coscienza, attirata dalla tensione nelle sue membra, dalla promessa di violenza.

La ragione che aveva indotto suddetto stato di stress lampeggiò nella sua mente, e Izaya lottò silenziosamente contro il vampiro.

“Non adesso”, disse tra i denti. “Lasciami in pace.”

Trascorsero diversi minuti prima che Izaya si sentisse di nuovo in pieno controllo del corpo – o quanto più in controllo fosse possibile sentirsi, per qualcuno come lui – e fu allora che la realizzazione di avere perso la cognizione del tempo lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Controllò freneticamente l’ora sul cellulare e sibilò un’imprecazione.

Mezz’ora. Era trascorsa mezz’ora dalla telefonata di Takahashi. Aveva appena sprecato trenta interi minuti.

Notò che sul display era comparsa la notifica di un messaggio non letto. Proveniva da un numero anonimo.

Automaticamente, lo aprì.

 

[Da: Anonimo, 19:37

Tenderanno un agguato a Heiwajima Shizuo nella strada davanti a casa sua. Lo uccideranno quando ritorna dal lavoro.

Hanno una pistola.]

 

Izaya avvertì una stretta alla bocca dello stomaco.

Una pistola. In qualche modo, quella banda di teppisti era entrata in possesso di una maledetta pistola.

Ah… Ecco perché Takahashi è tanto convinto che avranno successo.

Il messaggio risaliva a venti minuti prima. Izaya non sapeva a che ora Shizuo fosse solito tornare dal lavoro, ma ormai erano le otto passate; probabilmente sarebbe tornato a casa da un momento all’altro.

Sempre che non lo avesse già fatto.

Non osare morire, stupido mostro. Solo io posso ucciderti, hai capito? Perciò non osare morire per mano di quegli idioti.

Izaya si mise a correre.

Non osare.

 

. . .

 

Era tardi, e Shizuo era stanco.

Era stata una lunga giornata al lavoro. L’ultimo debitore da cui erano andati a riscuotere si era dato alla fuga non appena li aveva visti arrivare, e Tom e Shizuo erano stati costretti a inseguirlo per mezza Ikebukuro. Era stato Shizuo a prenderlo alla fine, il che era andato come ci si poteva aspettare: l’uomo era stato steso con un pugno e scagliato a una distanza di quindici metri. Così, i due collettori di debiti erano stati costretti ad aspettare che riprendesse conoscenza, soltanto per sentirsi dire che l’uomo non aveva i soldi e che anzi era completamente al verde, sebbene la restituzione del prestito fosse dovuta da più di due mesi. A quel punto, il biondo lo aveva steso una seconda volta.

Il suo stomaco gorgogliò. Era passata l’ora di cena, grazie al tempo che avevano perso a correre dietro a quel furfante. Shizuo non avrebbe saputo dire se era più affamato, irritato o semplicemente esausto. Non vedeva l’ora di arrivare al suo appartamento, buttare giù qualche avanzo della cena di ieri e infilarsi nel suo futon.

Il suo umore migliorò un po’ al pensiero. Per lo meno, i suoi guai per quel giorno erano finiti.

Nell’istante stesso in cui udì la voce, capì di essersi sbagliato di grosso.

“Yo, mostro.”

Shizuo non aveva bisogno di indovinare a chi si riferisse. Si voltò per vedere quale idiota avesse avuto la brillante idea di attaccare briga con lui quando era di così pessimo umore, e si trovò di fronte una figura in ombra.

L’uomo fece un passo avanti, spostandosi sotto la luce di un lampione. Aveva una faccia vagamente familiare.

“Cosa vuoi?”, chiese il biondo, seccato. “Ci conosciamo?”

Dai lati della strada sbucarono diversi individui, circondandolo da tutti i lati. Finalmente Shizuo ricordò dove aveva già visto quel tizio: era il capo della banda che giorni prima aveva cercato di farlo secco. In effetti, guardandosi intorno, notò che molti dei teppisti portavano delle fasciature, e uno era persino in stampelle.

“Ah, siete di nuovo voi”, sospirò Shizuo. Non gli piaceva pestare gente che era già ferita, tuttavia… “Se siete venuti per il bis, posso accontentarvi.”

Mosse un passo minaccioso in direzione del capo… e si bloccò immediatamente, immobilizzandosi sul posto, come si trovò a fissare, con occhi grandi di stupore, la canna di una pistola.

L’uomo ghignò, scoprendo l’incisivo mancante. Puntò l’arma dritto alla sua fronte.

“Non stavolta, mostro.”

Shizuo fissò l’arma, ammutolito. La sua sorpresa era tale da cancellare tutto il resto. La rabbia, la paura, le emozioni che ogni normale essere umano prova di fronte alla morte – Shizuo non provò niente di tutto ciò. Soltanto un grande stupore.

Ah, quindi è così che finisce.

Ammazzato dietro casa sua da un codardo armato di pistola. Nessuna persona cara accanto a lui nel momento della morte, nessuno spettatore eccetto per un manipolo di sconosciuti che non vedeva l’ora di sputare sul suo cadavere.

L’uomo fece scattare la sicura.

Non doveva finire così.

Davanti agli occhi di Shizuo lampeggiò l’immagine di un volto dai tratti affilati e la pelle pallida, sulla quale spiccavano un paio di orbite rosso vermiglio.

Chissà cosa avrebbe pensato la pulce della sua morte. Sarebbe stato contento, senza dubbio.

La pulce… quasi gli sembrava di sentire il suo odore…

Il braccio dell’uomo si tese. Il suo dito si contrasse. Shizuo chiuse gli occhi…

…Soltanto per riaprirli subito dopo, come un urlo di dolore squarciò l’aria.

La pistola non era più puntata alla sua fronte, e la mano dell’uomo sanguinava copiosamente dal punto in cui si era conficcata una lama argentea.

Shizuo strappò la pistola dalla debole presa dell’uomo e piegò a metà la canna, per poi gettare l’arma lontano da sé.

L’uomo gemette di dolore e di paura e fece un passo indietro, come se quella misera distanza sarebbe servita a proteggerlo. Purtroppo per lui, niente lo avrebbe protetto, perché adesso Shizuo la sentiva, la rabbia, e l’adrenalina di avere sfiorato morte certa.

E tutto a causa dello stronzo suicida davanti a lui.

“Tu…”, ringhiò, ed era più vicino al verso di una bestia che alla voce di un essere umano.

Afferrò l’uomo per la collottola, impedendogli di dileguarsi.

“Tu… BASTADO! MEGLIO CHE TU SIA PRONTO A CREPARE!”, sbraitò a un palmo dal suo naso.

“He-he-heiwajima-san, non farl-”

Shizuo tirò indietro il braccio e colpì l’uomo in faccia con tutta la sua forza. Qualcosa si ruppe sul volto dell’uomo, sprizzando sangue che andò a bagnare le nocche del biondo – che fosse un dente, il suo naso oppure un osso cranico, Shizuo non lo sapeva, ed era troppo fuori di sé per provare qualcosa di diverso da animalesca soddisfazione.

Gli altri teppisti se la diedero a gambe. Il biondo si gettò all’inseguimento con un ruggito bestiale. Non si fermò finché la nebbia rossa che gli occludeva la vista non si dissolse. Per allora, la maggior parte dei teppisti era riuscita a scappare, ma quelli che Shizuo aveva raggiunto sarebbero stati fortunati se se la fossero cavata di nuovo con qualche fasciatura e delle stampelle.

Nonostante tutto, avvertì una fitta di senso di colpa.

“Non è colpa mia”, si disse. “Sono stati loro ad attaccarmi. Se la sono cercata… razza di stupidi…”

Non sono un mostro. Sono loro a essere nel torto.

Se solo avesse potuto crederci.

Infilò le mani in tasca con un sospiro.

Quanto odio la violenza…


 

Molte ore più tardi, mentre era sdraiato sul futon e aspettava di addormentarsi, ripensò al momento in cui aveva rischiato la vita. Ripensò al sogghigno crudele dell’uomo, alla pistola puntata alla sua faccia, al coltello che si era conficcato nella mano che reggeva l’arma, al sangue, alla rabbia animalesca e alla violenza che era seguita…

Un’idea improvvisa lo colpì come un fulmine.

Il coltello.

Spalancò gli occhi, d’un tratto perfettamente sveglio.

Da dove proveniva il coltello?

Aveva pensato che la strada fosse vuota eccetto per lui e la banda di teppisti. Chiaramente si era sbagliato.

Qualcuno aveva lanciato quel coltello. Qualcuno con una mira incredibile era riuscito a conficcare un coltello nella mano di quell’uomo, nonostante fosse notte e quella persona fosse molto lontana – o almeno, abbastanza lontana da passare del tutto inosservata. Abbastanza lontana perché Shizuo non fosse in grado di vederla, o sentirla, o… annusarla…

No.

No, no, no, no.

È impossibile. Non può essere stato lui. Non avrebbe il minimo senso!

Shizuo si rifiutava di credere a un’idea così ridicola.

La persona che aveva lanciato quel coltello possedeva una mira formidabile, degna di un professionista. E allora? Chissà quante persone a Tokyo erano brave con i coltelli. Magari il suo salvatore lavorava in un circo!

E tuttavia… in quel momento, soltanto per un istante… aveva sentito il suo odore.

Aveva perfettamente senso. Eppure non aveva il minimo senso.

Non voleva crederci, ma quanto più ci pensava, tanto più si convinceva che l’inaccettabile, insensata conclusione a cui era giunto, era anche l’unica possibile.

Izaya gli aveva salvato la vita.

 

. . .

 

A Shinjuku, dietro all’unica finestra illuminata del complesso di appartamenti, l’informatore che aveva salvato la vita al suo peggior nemico era ancora lontano dal dichiarare la giornata finita e andare a dormire. Nonostante l’ora tarda, era seduto in fronte alla scrivania con tre diversi schermi accesi di fronte a lui e una tazza di caffè posata alla sua destra.

Al momento, però, non stava prestando attenzione né agli schermi, né al caffè, e nemmeno stava pensando alla nemesi che ancora respirava per merito suo. Sotto le sopracciglia leggermente aggrottate, il suo sguardo era rivolto al cellulare tra le sue mani, rileggendo lo stesso messaggio più e più volte.

 

[Da: Anonimo, 19:37

Tenderanno un agguato a Heiwajima Shizuo nella strada davanti a casa sua. Lo uccideranno quando ritorna dal lavoro.

Hanno una pistola.]

 

Interessante. Qualcuno lo aveva avvertito riguardo a dove e come sarebbe avvenuto l’attentato alla vita di Shizu-chan.

La domanda era: chi?

Chi era a conoscenza di quanto stava accadendo?

Chi sarebbe stato in grado, e volenteroso, di aiutarlo?

Prima di tutto, ragionò, conosceva i dettagli del piano chiunque fosse coinvolto nell’omicidio, ossia Takahashi stesso e la sua banda. Era possibile che un membro della gang fosse giunto alla conclusione, all’ultimo momento, di non essere interessato ad avere un omicidio sulla coscienza, o possibilmente sulla sua fedina penale. Tuttavia…

Izaya notò come, all’interno del messaggio, era stata usata la terza persona plurale per riferirsi alla banda di Takahashi – “tenteranno un agguato”, “hanno una pistola”. Ciò puntava a una persona esterna, un terzo partito interessato a mantenere Heiwajima Shizuo in vita.

Il che conduceva a un ulteriore quesito: perché inviare quel messaggio? Se lo scopo era salvare la vita del biondo, perché avvisare proprio lui? La rivalità tra Orihara Izaya e Heiwajima Shizuo era praticamente leggendaria a Ikebukuro. Nessuno che fosse in pensiero per il collettore di debiti avrebbe informato proprio Izaya che Shizuo era in pericolo di vita, poiché di certo l’informatore non avrebbe mosso un dito per intervenire, se non per inviare una bouquet di ringraziamento agli assassini.

Eccetto che non era andata così.

 

[A: Anonimo, 00:05

Tutte le informazioni erano corrette. Chi devo ringraziare per il suggerimento?]

 

La risposta giunse quasi subito.

 

[Da: Anonimo, 00:06

Interessante. Devo ammetterlo, non mi sarei aspettato un simile risultato.]

 

L’informatore inarcò un sopracciglio, incuriosito dall’inusuale replica.

 

[A: Anonimo, 00:06

Potresti per cortesia essere più specifico?

 

Da: Anonimo, 00:06

Dimmi, perché hai salvato la vita di Heiwajima Shizuo?]

 

Izaya esitò.

Perché lo odio troppo per permettere a qualcun altro di ucciderlo. Perché voglio vederlo soffrire e il suo decesso significherebbe che è in pace. Perché, prima che muoia, tutti devono scoprire che razza di mostro è.

Così tante possibili ragioni; così tante, logiche spiegazioni.

Izaya non era più certo di sapere quali fossero la verità e quali fossero solo intricate bugie.

 

[A: Anonimo, 00:08

Se la metti così, sembrerebbe quasi un test di qualche tipo.

 

Da: Anonimo, 00:08

Lo era. Lo è.]

 

Oya?

Questo era inaspettato.

 

[A: Anonimo, 00:10

Posso chiedere il motivo?

 

Da: Anonimo, 00:11

Sicuramente un informatore talentuoso come te sarà in grado di scoprirlo da solo, Izaya-kun.]

 

L’informatore arcuò un sopracciglio al tono familiare adottato dall’altro individuo.

 

[A: Anonimo, 00:12

Perdona la mia franchezza. Ci conosciamo?

 

Da: Anonimo, 00:14

Che domanda meravigliosamente complessa.

Mi piace pensare di sì. Mi piace pensare di conoscerti, Izaya-kun.

 

Da: Anonimo, 00:14

Se sei Izaya, naturalmente.

 

A: Anonimo, 00:14

Chi altri dovrei essere?

 

Da: Anonimo, 00:16

Potresti essere Kanra, per esempio, oppure Sakuraya.

Devi perdonarmi, ho ancora delle difficoltà a distinguervi, soprattutto per messaggio.]

 

Il telefono atterrò sul pavimento con un tonfo.

Izaya non si mosse. Non poteva muoversi.

Un singolo pensiero si fece strada nella sua mente paralizzata dallo shock.

Qualcuno sa.

Lui sa.

È affascinante quanto in fretta le più profonde certezze possano crollare. In un battibaleno, fortezze che sembravano di roccia possono rivelarsi il castello di carte che sono in realtà.

Per anni Izaya era riuscito a nascondere il suo segreto. Per anni aveva mentito, imbrogliato, ingannato, e tutto per tenere celata una singola verità.

I suoi segreti lo avevano protetto.

Eppure, le bugie non sono altro che castelli di carte dai bordi affilati come lame. Sono destinate a crollare e, quando lo fanno, inevitabilmente feriscono ciò che avrebbero dovuto proteggere.

Lui sa.

Questa persona – lui o lei – conosceva il suo segreto. E Izaya, di contro, non aveva la minima idea di chi ci fosse dall’altro capo del telefono.

 

 

- Izaya è entrato in chat -

 

Izaya: Abbiamo un problema.


 

   
 
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