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Autore: EllyPi    11/11/2020    1 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ci stanno chiamando per la cena, Murtagh” , fu risvegliato il Cavaliere dal suo sogno ad occhi aperti dalla regina. Avevano guardato il tramonto seduti sulle scale d’accesso alla dimora di Roran con le teste accostate e il piccolo Finiarel che muoveva i suoi piccoli arti nella coperta ogni qualvolta si svegliasse. I suoi occhi ancora ciechi vagavano nel mondo cercando di carpirne qualche immagine senza successo, ma quando chiamato dalla madre si dirigevano istantaneamente verso la sua dolce voce e un appena accennato sorriso nasceva sulle sue labbra. Più che il tramonto il Cavaliere aveva lanciato occhiate al bimbo, a ogni suo movimento, a ogni suo sospiro. Lo aveva osservato, studiato, ma soprattutto ammirato.

Credo sia l’essere umano più bello che abbia mai visto, non trovi? , aveva chiesto al suo Compagno, che aveva sbuffato e risposto di sì per farlo smettere di ripeterselo e ripeterglielo. Siccome condividevano la mente era stanco di sentire pensieri ripetitivi ed estatici da un’ora buona.

 

“Certo, arrivo subito. Tu entra, ti raggiungiamo in un attimo.” , le disse vedendo i suoi amici, i gemelli, rientrare verso la loro casa.

“Non trattenerti troppo. Se mio figlio dovesse congelare ti farò uccidere all’istante.” , lo ammonì scherzosamente - ma non senza uno sfondo di verità - la ragazza salendo gli ultimi gradini.

Il ragazzo si avvicinò agli amici.

“Oggi devi essere stato molto occupato da non averci più raggiunto. O forse troppo adirato con noi per stamattina. Ci dispiace”, disse Albriech quando furono abbastanza vicini per parlarsi senza urlare.

“Nessun problema. Anzi, vi devo io delle scuse per non essere stato sincero del tutto ed essere scattato così con voi” , rispose il Cavaliere.

“Che hai lì?”, chiese Baldor quando notò il fagotto essendo ormai a quattro piedi di distanza.

“Ecco… non è vero che io non sia legato ad una donna. Lui è mio figlio, Ruaidhrì. Mio e della regina Nasuada…”

“Lo conosciamo, in realtà… nostra madre si è occupata di lui da quando è nato praticamente. È un gran rompiscatole, non dorme mai tutta la notte. Sono solo stupito che abbia un nome tanto scontato solo perché il padre è un individuo che si veste sempre di rosso. Avrei potuto darti qualche altro nome più originale…” , commentò allegro il giovane apprendista fabbro.

“In realtà il suo nome è Finiarel”

“Che sarebbe? Inventato? Meglio allora l’altro” , disse l’altro gemello con un grande sorriso sulle labbra.

“È Antica Lingua, un appellativo onorifico per un giovane di grandi promesse.”, sorrise Murtagh nel dirlo a voce alta.

“È un po’ presto - non credi? - per giudicare il suo valore” , commentò Baldor e Albriech gli lanciò un’occhiataccia. “Baldor, stai parlando comunque del tuo futuro re!” , lo rimproverò.

“Ad ogni modo, siamo contenti che sia venuto a dircelo non appena l’hai saputo, amico. E complimenti per tua moglie, è veramente una donna meravigliosa.” , terminò strizzandogli un occhio.

Era abituato ad essere geloso di Nasuada, sin da quando aveva poggiato i suoi occhi su di lei e non c’era ancora nulla tra loro: era una delle donne più belle di Alagaesia, la sua bellezza era decantata anche nel villaggio sperduto in cui si era rifugiato dopo la sua partenza. Ora era sua moglie, e non avrebbe permesso a nessuno di fare commenti inappropriati su di lei, perciò lo guardò per un attimo in risposta in modo severo, perché gli servisse come ammonimento.

Li salutò per dirigersi verso la dimora del cugino quando il piccolo iniziò a lamentarsi, forse per il freddo, forse per la fame, lasciando i gemelli a discutere se avessero o meno vinto - il Cavaliere rosso e la regina - il premio di coppia più bella di Alagaesia, se il premio fosse esistito.

 

 

Murtagh salì i gradini, entrò nella casa e trovò la famiglia del cugino seduta al tavolo davanti al camino, Nasuada nel posto d’onore riservato agli ospiti di rango più alto del conte, a capotavola. Murtagh in quanto nobile di rango maggiore, avrebbe seduto accanto a Katrina, alla destra della regina.

Si stupì di ricordare ancora così bene l’etichetta di corte e dei lignaggi sociali, dopo che in quanto primo e unico Cavaliere del re aveva potuto fare quello che gli andasse e sedersi dove volesse per tanto tempo. “Vedo che state prendendo confidenza tu e il piccolo…”, iniziò per poi interrompersi Roran, accorgendosi di non essere stato informato del nome del neonato.

“Finiarel Ruaidhrì.”, rispose Nasuada per lui.

Normalmente sarebbe spettato al padre, all’uomo più importante della famiglia comunicare il nome dell’erede, ma nel loro caso la regina aveva maggiore diritto di lui, che era solo un Vassallo e presto Emissario diretto della regina.

“Di un nome non conosco il significato, dell’altro invece sì e posso dire che sia un nome adatto al bambino.” , si complimentò Fortemartello a voce alta.

Poi si rivolse a Murtagh: “Prego, cugino, siediti alla nostra tavola e mangia con noi. Da quando sei qui siamo stati scortesi e non abbiamo condiviso il pane e il pasto con te.”

“Ti devo io delle scuse per aver riposato nella tua dimora senza che tu mi avessi offerto la tua ospitalità” , rispose cordialmente anche se in realtà sperava che i convenevoli finissero presto.

Il conte gli indicò il suo posto, che prese dopo aver lasciato il neonato all’unica domestica di Roran, che da quel che poteva vedere dal suo seno ingrossato era stata anche la nutrice di suo figlio fino al risveglio della regina.

“Se dovesse avere fame portalo qui da me, cortesemente. Una regina è tenuta a nutrire dal proprio seno suo figlio” , si raccomandò Nasuada con la ragazza, forse di un paio d’anni più giovane della regina, prima che uscisse. Murtagh questo dettaglio non lo conosceva, sapeva solamente che era ritenuto volgare per una nobildonna allattale il figlio. Lui stesso aveva avuto una balia, una madre di latte, perché Selena - in aggiunta ai compiti che le affidavano il re e Morzan, che l’avevano strappata dal figlio subito dopo la nascita - in quanto duchessa non avrebbe potuto nutrire il suo bambino. Ma Galbatorix non aveva né una moglie né figli, perciò non aveva mai imparato l’etichetta della vita di re e regine, solo come lui doveva rivolgersi a loro.

Murtagh si trovò a invidiare suo cugino per la sua vita da contadino, semplice e libera da tutte le costrizioni delle corti e dei ranghi nobiliari. Gli unici parenti che aveva potevano vantarsi di una vita sì povera ma - dal suo punto di vista - privilegiata: poter esprimere liberamente i propri sentimenti, vivere l’amore dei propri genitori senza regole di comportamento da rispettare, svegliarsi il mattino dovendo solo lavorare e coricarsi la sera stanchi per la fatica, mentre lui aveva dovuto da sempre, dopo la morte dei suoi genitori, avere un occhio vigile anche di notte contro cospiratori, uomini che lo volevano morto, nemici di suo padre.

Tra i pensieri del Cavaliere gli altri iniziarono a mangiare, lui li seguì non appena si accorse di essere l’unico fermo immobile.

“Ci sono giunte notizie che il castello è quasi pronto”, iniziò il discorso il cugino.

“Sì, non appena mi sarò ripresa un altro poco partiremo, altrimenti la mia assenza prolungata potrebbe destare sospetti”, rispose Nasuada guardando Murtagh di nascosto.

“Tra quanto tutto questo, all’incirca?”, chiese il ragazzo dai capelli corvini.

“Cinque giorni, forse una settimana. Dobbiamo considerare anche il tempo di viaggio.”

“Non ho visto nessuno della corte, sono tornati indietro lasciandoti qui?”, chiese il Cavaliere.

“Sono stata accompagnata fino a Therinsford, dove ci hanno raggiunto in delegazione con dei guaritori i nostri ospiti. Jormundur e Farica sono stati lasciati tornare alla loro dimora siccome sarei stata in buone mani.”

“Potremmo allora aspettare che tu ti rimetta perfettamente e tornare a Illirea volando”, propose il Cavaliere.

“Sarebbe la soluzione più veloce, se non fosse che Finiarel non può volare così piccolo.”, lo fulminò la regina con lo sguardo.

“Lo copriremmo bene e lo circonderei di incantesimi di protezione contro il freddo. Sarebbe meglio anche per lui essere in viaggio per il minor tempo possibile, piuttosto che venti giorni di cammino e accampamento nel bel mezzo di foreste e valli innevate!”, ribadì il Cavaliere la sua idea.

“Finchè sarò in vita sarà mio dovere - oltre governare questo regno - proteggere mio figlio, anche dalle idee potenzialmente letali di suo padre! Ricordati che non stai parlando di spostare la tua famiglia da ovest a est del paese, tua moglie e tuo figlio su cui hai pieni poteri, no: ti stai rivolgendo a una regina, a suo figlio e tuo futuro re!” , sentenziò lei come una leonessa protettiva.

“Ne sono consapevole… non volevo mancarti di rispetto. Voglio anche io che nostro figlio sia al sicuro. Non ti imporrò mai nulla, puoi starne certa.” , sospirò lui.

Intuire che Nasuada temesse per delle sue azioni sconsiderate come padre nei confronti del loro bambino lo feriva molto, ma al contempo poteva comprendere e, ancora una volta, immaginare che la colpa fosse dovuta a quell’uomo che era stato suo padre, che gli aveva scagliato la spada che adesso lui portava al fianco addosso quando era solo un innocente bambino.

Lo sguardo della ragazza si ammorbidì, poi per un secondo fece una smorfia di dolore, pentendosi della sua reazione. Cercò timidamente la sua mano sotto il tavolo per stringerla in segno di scuse. Lui non si ritrasse e la guardò con la coda dell’occhio, annuendo appena.

Portarono via la zuppa, per servire loro piccione ripieno di uvetta, prugne e mele.

“Spero vi piaccia, sono le prime prede che prendo come cacciatore. Io mi sono sempre occupato degli animali e dell’orto con mio padre, senza mai cacciare perché se ne occupava Eragon. Ora ho deciso di cimentarmi in suo onore. Volevo sorprendervi con un cervo o un capriolo almeno, ma con l’arco sono ancora poco pratico. Perciò sono riuscito solo a cacciare questi piccioni con la fionda.” , introdusse il pasto Roran con un sorriso imbarazzato. Cercava con la sua storia forse di cambiare argomento e rianimare la cena? Murtagh, cogliendo la palla al balzo iniziò con lui una conversazione cordiale sulla caccia, ponendo più domande e rispondendo poco a quelle del cugino, per non farlo sfigurare essendo lui un cacciatore più che esperto.

Roran, quando metteva da parte il risentimento ingiusto verso il Cavaliere, era un ragazzo simpatico, semplice ma molto intelligente. A Murtagh piacque molto e si ritrovò a pensare che avrebbe voluto sapere della sua esistenza prima, magari avrebbe anche convinto il suo maestro Tornac a fargli passare del tempo a Carvahall, a cacciare, ad allenarsi con la spada nei boschi, a risalire i corsi dei fiumi della montagna. Tornac forse avrebbe permesso un tale viaggio, magari anche una volta all’anno e Murtagh non avrebbe atteso altro… Ma il re non avrebbe mai permesso al giovane di abbandonare la corte, non gli permetteva nemmeno di tornare al castello di suo padre per verificare i suoi averi. E magari avrebbe anche messo a rischio la vita del fratello, tenuta nascosta alla conoscenza del re-tiranno per permettere al suo grande destino di avverarsi.

Scoprì che suo cugino aveva un anno di più del fratellastro di entrambi, perciò un anno in meno circa del Cavaliere rosso. Avrebbe voluto imparare l’arte orafa, ma non aveva mai potuto intraprendere l’apprendistato poiché non aveva mai imparato a leggere e a scrivere, se non dopo la sua fuga da Carvahall e aver preso parte alle fila dei Varden. Ora stava addirittura studiando con Katrina l’antica lingua per non essere due Conti e Protettori del Nord sprovveduti.

“Sono ammirevoli la tua volontà e la tua forza, cugino

Roran sembrò sorpreso di sentire quella parola e Murtagh si maledì per essersi lasciato scappare un termine così pericoloso se proferito dalla sua bocca, ma inaspettatamente la reazione di Fortemartello fu calma, cordiale. “Ti ringrazio. Devo ammettere invece che non mi dispiace la tua persona. Su di te ho sentito tante cattiverie, tante parole di orrori. Ho sperato tanto che la gente non collegasse te a me, non menzionasse mai la nostra parentela. Immagino ci sia della verità di base in quello che si dice, ma come te anche io sono stato costretto ad uccidere per salvarmi la vita. E non sei un uomo malvagio. Sei un ragazzo come me, come tutti in questa stanza nato durante la Guerra. Ci siamo arrangiati tutti, siamo sopravvissuti come meglio potevamo, magari approfittandoci della dipartita di altri a nostro favore. Ma siamo ora qui perché i nostri figli possano vivere in un tempo di Pace e crescere come persone migliori. Potrai chiamarmi cugino, e io chiamerò te cugino senza vergogna. E farò in modo di difendere il tuo Nome ogni qualvolta lo sentirò denigrare, è una promessa nel nome del Nord.”

La cena terminò e i quattro giovani si ritirarono per la notte. Roran e Katrina si fermarono al piano di sotto della dimora, probabilmente liberando il tavolo dal resto della cena, Murtagh e Nasuada invece salirono al piano sovrastante.

“Dormirai qui o con Castigo?”, gli chiese la ragazza dalla pelle d’ebano entrando nella sua stanza sentendo il figlio iniziare a piangere. Il Cavaliere la seguì fermandosi sulla porta, un po’ a disagio per non essere stato invitato ad entrare. La ragazza si sedette su una poltrona ricoperta di pellicce sotto la finestra per nutrire il bambino.

“Io non lo so… Non avrebbe senso per me rimanere qui per la notte quando fuori c’è il mio Compagno, a meno che tu non mi stia chiedendo di rimanere qui con te, con voi.”

“È esattamente quello che ti sto chiedendo, Murtagh. Hai deciso di restare accanto a tuo figlio, accanto a me. Sei a tutti gli effetti il mio consorte, non avresti limitazioni se volessi condividere il mio letto. Prima o poi dovremo rompere i muri di educazione che ci tengono così distanti anche se vicini.” , rispose sussurrando per non svegliare il piccolo che le si era addormentato tra le braccia con la pancia piena di nutrimento.

Si avvicinò per baciarla, un bacio dolce, non di quelli sensuali che sapeva sfoggiare, ma un bacio che incanalasse tutto l’amore che provava per la regina, delicato come le loro labbra a contatto.

“Rimarrò con voi questa notte e per sempre, è una promessa, Amore mio” , sussurrò il Cavaliere al chiaro di luna.

  
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