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Autore: lyns    11/11/2020    0 recensioni
Tutti abbiamo dei segreti, alcuni importanti e altri un po’ meno… Una determinata Hermione, un Draco indagatore e i soliti personaggi di sempre a fare da cornice a questa leggera storia d’amore con un pizzico di intrighi.
Dal capitolo 2: “Draco si mantenne a dovuta distanza, pur non perdendo di vista la massa scura che zigzagava tra gli alberi. Ad un certo punto, lo sconosciuto decise di facilitare il compito del Serpeverde. Draco infatti rimase sconcertato quando, dopo circa un chilometro percorso nel bosco, la figura nera accese la bacchetta per far luce nel bosco che si stava infittendo sempre di più. Chi poteva essere l’idiota che correva un rischio del genere di notte nella foresta?
Genere: Avventura, Commedia, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Avvertenze: questa è una storia di fantasia basata sui personaggi di J.K. Rowling. Questa fan fiction non riprende gli avvenimenti citati nei libri, da cui prende in prestito soltanto i personaggi e alcune ambientazioni.
I riferimenti ai sopra citati avvenimenti sono poco precisi, poco accurati e talvolta temporalmente sbagliati: mi scuso se qualcuno ne risulterà irritato e ci tengo a ribadire che questa nasce come una fan fiction piuttosto leggera e poco seriosa, una valvola di sfogo in questo periodo di isolamento.
Buona lettura,
vostra lyns.

 
Capitolo 1   Complice la notte
In una notte buia e oscura, seduta sulla sua poltrona morbida e avvolgente, Hermione osservava la luna attraverso il vetro decorato della finestra della sua stanza da prefetto al quinto piano. La coperta marrone di lana grezza che le copriva le ginocchia le dava la sensazione di essere a casa, al caldo e morbidamente coccolata in un ambiente sicuro. Non era facile dormire in quelle nottate malinconiche. Era molto più semplice osservare con desolazione la natura cupa che le dava la sensazione di non essere l’unico essere al mondo a sentirsi giù. Hermione sapeva benissimo che era una sensazione passeggera, ma che capitava di tanto in tanto. Finchè era qualche ora di sonno a mancarle non era poi così problematico. Anzi, Hermione si aggrappava alla certezza che il giorno successivo sarebbe stato come i precedenti, caratterizzato da studio e diligenza, confortanti elementi di normalità nella sua vita. Si sentiva un po’ spaesata, si stava convincendo sempre di più di essere un essere solitario, un essere indipendente. E piano piano lo stava accettando e si sentiva ogni volta un po’ meglio. Col passare del tempo aveva capito. O meglio, stava capendo. Si bastava. Bastava a se stessa, accettando che per lo meno non si sarebbe mai tradita, che la coerenza sarebbe rimasta, accettando che sentirsi soli era probabilmente il male minore. Ogni crisi superata era un piccolo passo verso tranquillità mentale, e con la tranquillità mentale si può arrivare dove si vuole, ambire e puntare in alto nella vita.
Hermione stava cominciando a riprendere sonno, leggermente sollevata dalle sue riflessioni che erano riuscite a rincuorarla e confortarla. Le sue palpebre stavano quasi per chiudersi quando un movimento inaspettato la svegliò completamente. Si raddrizzò di scatto e pulì con il dorso della mano il leggero velo di condensa che copriva la finestra da cui osservava. Al di là del vetro, qualcuno stava camminando rapidamente allontanandosi dal portone di servizio dell’ala nord del castello verso la boscaglia. L’erba umida fece scivolare la figura nera dall’andamento nervoso, che incespicò ma non cadde. Con un gesto stizzito, lo sconosciuto si lisciò il mantello e proseguì sulla sua strada, raccogliendo da terra un fagotto che era caduto probabilmente da sotto il mantello. Qualcosa non tornava. Nessuno poteva uscire di notte dal castello. Erano ormai le due e nessuno si sarebbe azzardato a fare una passeggiata nella foresta proibita a quell’ora. L’allarme del portone non era scattato: Hermione, in quanto prefetto, aveva un contro allarme in camera, dovendo accorrere per controllare nel minor tempo possibile. Da dove era uscito quell’individuo? In un secondo la riccia era in piedi e si stava avvolgendo nel suo mantello nero. Afferrò la scopa, lanciò un incantesimo alla finestra e la aprì; essere una tra le streghe più brillanti della scuola le forniva non pochi vantaggi e non aveva intenzione di rinunciarci. L’allarme progettato da Sean Guthenfire del quarto anno era qualcosa di insuperabile per gran parte degli studenti, ma Hermione aveva imparato che nella vita è più utile applicare quello che studi quanto studiarlo in modo fine a se stesso. E così si era semplificata la vita, concedendosi qualche lusso e privilegio che teneva ben nascosto. Come il fatto di adorare il volo: nessuno l’aveva mai vista a bordo di una scopa volante, così poteva godersi i suoi giri notturni nel più totale silenzio. Si era impegnata a far credere di odiarlo. Nessuno infatti l’aveva mai vista sgattaiolare fuori dal castello di nascosto per dedicarsi ai suoi hobby. Nessuno sapeva dei suoi hobby. Ne era più che certa, la sicurezza era al primo posto per Hermione. In ogni situazione Hermione prevedeva un piano a, un piano b, ed un c, eventuali sviluppi ed eventuali scappatoie di riserva. C’erano certi giorni in cui lo stress la soffocava, quindi si era trovata una valvola di sfogo che l’aiutasse a sentirsi viva. E che valvola di sfogo.
Hermione era piuttosto allarmata: nessuno usciva a quell’ora, o meglio, nessuno era mai uscito a quell’ora, e lo sapeva bene perché usciva spesso anche lei. Chi era quell’individuo? Qualcuno in giro di notte rappresentava ben più di un problema: in primo luogo poteva essere uno studente in possibile pericolo, in secondo luogo era qualcuno che avrebbe potuto vederla nel remoto caso in cui lei avesse abbassato la guardia, prima o poi. La sua diligenza in quanto prefetto perfetto era in quel momento oscurata dall’idea che qualcuno potesse averla scoperta o che avrebbe potuto farlo di lì a breve. Inforcò la scopa e, seguendo il suo percorso d’ombra, arrivò sul tetto da cui aveva una visuale migliore. La figura scura era ormai arrivata al limite tra prato e foresta. Hermione la osservò inoltrarsi nel bosco e la seguì con lo sguardo fino a che fu possibile. Perfetto. La direzione che aveva preso era quella contraria a quella che portava al segreto di Hermione. Senza provocare il minimo rumore ripartì dal tetto e fece un giro panoramico nei dintorni del castello per controllare che non ci fossero terzi spettatori quella notte: una persona era facile da avvistare e controllare, due o più sarebbero state complesse da tenere d’occhio. Tornò in camera, leggermente preoccupata. Per questa notte avrebbe lasciato correre, tanto ormai quella figura era scomparsa dalla sua portata: non le importava della sicurezza di quel possibile studente, dal momento che l’allarme non era scattato e lei non sarebbe nemmeno dovuta accorgersene. Era preoccupata per se stessa: non doveva esserci nessuno a contendersi l’oscurità con lei.
 
Il giorno dopo in sala comune, seduta davanti ad un tazzone di caffè bollente, Hermione contemplava il vuoto accigliata. Si era pentita di non essere andata più a fondo alla questione della sera prima: non avrebbe dovuto prestare così poca attenzione all’individuo sconosciuto. E se l’avesse scoperta? Se avesse trovato qualche segno nel bosco che rimandava al suo capanno? Si torturò il labbro con i denti.
“Herm!” la voce di Ginny Weasley la distrasse dai suoi pensieri. La sorellina di Ronald si era appena seduta vicino a lei. “Herm, noi stasera prima di cena andiamo a Hogsmade a comprare il regalo di compleanno a Lavanda.”, disse Ginny squillante.
Bene, pensò la riccia, un giretto non può che farmi bene.
“Mi servirebbe la tua parte di soldi, se me la dai subito preferisco così non devo anticiparli io”.
Hermione le rivolse un’occhiata esasperata per poi rendersi conto di quanto poco in realtà le importasse di non essere stata neanche presa in considerazione, ad eccezione che per i soldi ovviamente. Harry e Ron non erano ancora scesi, per lo meno si sarebbe risparmiata la solita scena dei due ragazzi che mangiavano con foga e poteva regalare a Ginny Weasley tutte le eleganti occhiatacce di cui era capace senza che uno dei due la notasse. Non che le importasse in realtà, ma i due ragazzi si erano per qualche strana ragione illusi che loro quattro sarebbero stati un quartetto perfetto, e notare la scarsa simpatia che nutriva Hermione per la rossa avrebbe rappresentato per i due un tuffo al cuore. La ragazza, per amor proprio, preferiva evitare di mostrare loro una cosa del genere, così non l’avrebbero assillata. La riccia bevve l’ultimo sorso di caffè, guardò l’ora e raccolse le sue cose. Appoggiò la tracolla di pelle marrone sulla panca ed estrasse il portafogli. Diede a Ginny qualche banconota e salutò, diretta verso le sue lezioni. Avrebbe dovuto aspettare i ragazzi? Di fatto erano anche le lezioni di Harry e Ron, ma Hermione apprezzava particolarmente il silenzio la mattina, e, non avendoli ancora visti nonostante l’ora, si avviò.
Camminando in corridoio, era ancora accigliata e preoccupata e tornava con la mente alla nottata. “Per quale motivo non ho voluto controllare?”, pensò seccata.
Ora avrebbe dovuto usare la Giratempo, ed erano mesi che non doveva ricorrere al suo uso. Non le dispiaceva averla accantonata per un po’: ogni volta che tornava indietro nel tempo, al ricongiungimento si scopriva debole e stanca, e ci voleva una bella settimana per riprendersi completamente. Tirando un sonoro sbuffo, Hermione cambiò strada e si diresse verso il dormitorio. Aprì la porta della sua camera. La Giratempo era nel baule, sepolta sotto le pesanti coperte invernali. Si sedette sul letto con la collanina al collo. Un giro, poi un altro e un altro ancora…
 
Seduta immobile su un ceppo appena qualche metro dopo l’inizio della boscaglia, Hermione osservava l’altra versione di se nel castello appoggiata alla finestra che guardava fuori. L’incantesimo per vedere al buio funzionava meglio che mai quando c’era la luce della luna a dare una mano. Guardò l’orologio: mancava ancora qualche minuto all’arrivo dello sconosciuto. L’Hermione di ieri continuava a fissare malinconica fuori dalla finestra. Avrebbe fatto esattamente le stesse cose che Hermione stessa aveva vissuto fino a qualche minuto prima e si sarebbero ricongiunte la mattina, nel dormitorio, subito dopo colazione, pronte per andare alla prima lezione in programma. Ma ora la versione notturna di una Hermione sull’attenti era pronta a non farsi vedere né sentire, come un predatore che tiene d’occhio la sua preda. Il sibilo leggero di una scopa la fece voltare: Hermione era appena volata sul tetto. Questo significava che lo sconosciuto stava raggiungendo il limitare della foresta. Se ben ricordava, ora lei sarebbe rientrata senza fare alcun rumore, dopo aver perso di vista la figura che si inoltrava nel bosco. Partì di corsa, convinta che lo sconosciuto, almeno per il tratto iniziale, non si stesse dirigendo verso di lei. Voleva raggiungere il capanno il più in fretta possibile per salire sul tetto e osservare dall’alto movimenti nel bosco. Era troppo rischioso seguire da vicino quella figura misteriosa. Nonostante l’incantesimo visore, di notte il bosco era assai insidioso ed estremamente rumoroso: non conoscendo l’eventuale percorso da seguire per quel pedinamento, Hermione preferì non pedinare quel qualcuno ma arrivare al capanno seguendo uno dei suoi percorsi abituali, battuti a dovere per renderli sicuri e silenziosi. Dal trespolo sul tetto avrebbe avuto una visuale quasi ottima.
La strada per il capanno non era intuitiva: Hermione aveva scelto apposta una zona impervia e difficile da raggiungere e aveva creato alcuni dei suoi migliori incantesimi di protezione e camuffamento. Ci arrivò rapida. Non avendo potuto prendere la scopa non poté volare direttamente sul tetto. Aprì di fretta i chiavistelli e fece le scale a due a due, diede uno spintone alla botola che dava sul tetto ed uscì con un balzo, inciampando nel bordino di legno di appoggio dell’asse. Per evitare la caduta e il fracasso che ne conseguiva, cercò un appiglio con la mano sulla tettoia, tagliandosi il palmo della mano. Avrebbe dovuto pulire in seguito, non era solita lasciare prove in giro, tantomeno tracce di sangue. Si ricompose e si appiattì nel punto più alto del tetto, sforzandosi per individuare qualche movimento che la potesse aiutare a capire in che direzione stesse muovendosi la figura sconosciuta.
Dopo qualche minuto passato a scrutare il nulla, Hermione stava quasi per perdere le speranze. L’aveva perso, doveva farsene una ragione. Per lo meno, il fatto che non stesse vedendo niente era indice di sicurezza: non aveva avvistato il suo capanno. All’improvviso in lontananza, ma non abbastanza per potersi dire al sicuro, si accese una bacchetta: il cono di luce era inconfondibile, era sicuramente la luce di una bacchetta. Hermione era sinceramente sorpresa: non si aspettava una tale imprudenza da parte della sua ignara preda. Aveva imparato con il tempo che la luce, nel pieno della foresta, era comunque un rischio, nonostante la presenza fitta di foglie e rami. Dall’alto si vedeva tutto, e se non ci si voleva far vedere quello era sicuramente un metodo poco efficace.
“Chi è questo idiota?” pensò Hermione al limite dell’incredulo.
La lucina si stava allontanando, cosa che le suscitò un sospiro di sollievo. Rimase ancora un po’ ad osservarla correre lungo il pendio, finché non scollinò, sparendo dalla sua vista. Nonostante la curiosità si fosse impossessata di lei, ormai lo sconosciuto era troppo lontano per poterlo raggiungere, senza scopa per giunta. La mano le pulsava e il sangue si era ormai rappreso. “Accidenti” mormorò osservando che si era procurata un bel taglio profondo. “Sarà meglio tornare”, pensò osservando la luna che stava scomparendo dietro alle nuvole. Arrivava la pioggia, perfetta per cancellare i segni della corsa, e non solo quella di Hermione.
 
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Draco sbuffò stizzito quando notò che il cielo si stava rannuvolando. Si sarebbe beccato la pioggia al ritorno. Che seccatura. Spense la sigaretta e la fece evanescere, si sistemò il mantello e alzò il cappuccio, pettinando il ciuffo biondo in uno dei suoi abituali gesti di vanità. Tornò all’interno e riprese da dove si era interrotto. Allora, una, due, tre… già qualcosa non quadrava. Le scope non erano disposte nell’ordine corretto. Le possibilità erano due: o i Grifondoro erano talmente idioti da non saper nemmeno sistemare la propria scopa nella posizione corretta della rastrelliera oppure qualche scopa mancava all’appello ed era quindi più che corretto che il capitano della squadra avversaria cominciasse ad avere qualche sospetto.
 Dal giorno in cui Timothy Castleblack si era schiantato contro il Platano Picchiatore nel tentativo (inutile, è doveroso ricordarlo) di impressionare la sua ultima dolce conquista, era stato stabilito che gli studenti in possesso di una scopa non avrebbero più potuto conservarla nei dormitori, ma andavano tutte riposte nelle apposite rastrelliere negli spogliatoi del campo di Quidditch. L’esplosione di furti e vandalismo non era stata prevista dai professori che si erano trovati a dover riempire di incantesimi e parole d’ordine le suddette rastrelliere per evitare che studenti di casate diverse si impossessassero di scope volanti non proprie, o che manomettessero quelle da corsa degli avversari. Malfoy aveva ricevuto una soffiata anonima sulla parola d’ordine della rastrelliera giallo rossa e non aveva certo sprecato tempo: ghignando come una iena era corso agli spogliatoi per spiare un po’ in giro, giusto qualche piccola occhiata per vedere cosa combinavano i grifoni con i loro mezzi, come potenziavano le scope e se si poteva magari manomettere qualcosa. Ogni casata era gelosa dei propri segreti in fatto di Quidditch: squadre vere e proprie di studenti erano state fondate col solo obiettivo di ottimizzare le performances delle scope, il peso delle divise a parità di caratteristiche protettive e aerodinamiche e via dicendo. Questa novità del dover depositare le scope al di fuori degli allenamenti aveva lasciato tutti di stucco, dal momento che le ore più produttive per questi team di ricerca e sviluppo erano quelle notturne in cui si poteva sperimentare un po’ più liberamente.
Era piuttosto evidente che nella rastrelliera Grifondoro ci fossero dei buchi, e che buchi. Mancava la scopa di Potter, la numero sette, e le scope dei battitori. “Interessante” pensò Malfoy, riflettendo su chi fosse la mente delle scuderie rosso oro. La Granger? Impossibile, quella non sapeva neanche come mettere il sedere su una scopa. Ma allora chi? La riccia era forse l’unico cervello funzionante in quella manica di idioti, ma era più che evidente la sua abilità sportiva fosse rasente a zero. Finnigan, perché no. Poca voglia di studiare ma tanta inventiva. Anche la pezzente poteva essere una del team, poco sveglia ma con le mani in pasta. Lei e suo padre e la loro vile affinità con i babbani. La loro sporca tecnologia poteva fornire spunti interessanti, e chi meglio della Weasley poteva conoscerli. Rabbrividì al pensiero di dover pedinare la Weasley, piccola oca starnazzante. Avrebbe cominciato da Potter: il bambino sopravvissuto era uno spasso da tenere d’occhio, era così poco silenzioso e misterioso nelle sue azioni che gli si leggeva in faccia ogni intenzione che aveva. A meno che avesse intenzione di usare il mantello dell’invisibilità, e allora per Draco sarebbe stato un po’ più impegnativo tenerlo d’occhio.
“Ma è pur sempre Potter”, pensò Draco. Richiuse la rastrelliera e la sigillò con gli stessi incantesimi che aveva usato per aprirla. Uscì dagli spogliatoi e attraversò con calma il campo da Quidditch deserto. Non c’era nessuno in giro a quell’ora e Draco si sentiva al sicuro avvolto dall’oscurità e mimetizzato nel so mantello nero. Si accese un’altra sigaretta e la oscurò con un incantesimo. Camminava svelto verso il passaggio che i Serpeverde si erano creati per vari usi. Stava tirando soddisfatto una boccata di fumo quando qualcuno in lontananza uscì di corsa dal bosco e altrettanto in fretta sparì dietro una delle torri dell’ala nord. Gli prese un colpo e, in un gesto di panico, si buttò nel bel mezzo dei cespugli che stava costeggiando. Con il cuore a mille, riemerse dalle foglie qualche secondo dopo: nessuna traccia della causa di un tale colpo al cuore. Era sparito come un lampo. Abbassò lo sguardo infuriato con se stesso per una mossa tanto stupida e notò la sigaretta che era caduta sul mantello e lo aveva bucato. “Porca puttana” pensò, era il mantello firmato. Rialzò il suo sguardo di fuoco sugli alberi all’inizio del bosco. Chi diavolo si azzardava a fargli venire un colpo del genere? Scocciato per averlo perso di vista, Malfoy si rialzò e riprese la sua strada. Sbuffò in silenzio. Maledetti Tassorosso che si imboscavano di notte nel bosco.
 
 
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La lezione annoiava Hermione. Aveva già letto tutto ciò che aveva trovato sull’argomento e la professoressa non stava assolutamente aggiungendo nulla di nuovo; anzi, avrebbe potuto aggiungere lei qualche informazione alla lezione. Come ogni volta si pentì di essersi già portata avanti: la sua mente aveva tempo per divagare e riflettere e finì come al solito per osservare vagamente annoiata i suoi compagni di corso. C’era Harry che giochicchiava con la piuma facendola rotolare tra le dita avanti e indietro e si stava macchiando gran parte delle dita con l’inchiostro. Stava sicuramente pensando a Ginny: lo sguardo perso nel vuoto e il leggero accenno di sorriso indicavano che la sua attenzione non era tanto per il velo sospeso a mezz’aria  di fronte alla cattedra che si stava tramutando in una barriera protettiva dalle elevate proprietà meccaniche, quanto per una bella rossa che stava probabilmente seguendo le sue lezioni al piano di sotto. Accanto a lui Ron si stava grattando un orecchio con enfasi mentre osservava con un cipiglio confuso ciò che si stava creando in quella lezione. Hermione era sicura che si stesse domandando che genere di relazione complessa avrebbe dovuto scriverci. La riccia sogghignò al pensiero di cosa le avrebbe promesso stavolta in cambio del suo aiuto. E di quali tentativi squallidi avrebbe tentato pur di lasciarle un lascivo bacio sulla guancia in segno di ringraziamento. E forse in segno di qualcosa di più. Rabbrividì sulla sedia pensando alle recenti battutine ammiccanti che qualche volta le rivolgeva. Dall’altro lato del corridoio che divideva la stanza c’era Malfoy e la sua cricca di scimmioni. Il primo ascoltava con vaga attenzione la lezione, scarabocchiando un appunto ogni tanto, mentre le sue mastodontiche guardie del corpo sembravano impegnate in un’ardua battaglia navale disegnata sui blocchi di pergamena. Il velo era quasi arrivato a completa trasformazione ed Hermione si stava girando di fronte per osservare il finale della trasformazione quando un particolare attirò la sua attenzione. Cercò di non voltarsi troppo di scatto. Malfoy aveva un lungo graffio irregolare sull’avambraccio, come se fosse rimasto impigliato tra i rami. Oh si, quello era sicuramente il frutto di una caduta nel bosco, pensò Hermione. Li conosceva talmente bene quei graffi (ne aveva sperimentati talmente tanti!) che non poteva non riconoscerli sugli altri. Questa cosa le fece drizzare le antenne. Abbassò lo sguardo sulle scarpe di Malfoy, constatando che erano immacolate. Ciò che non era immacolato era il suo mantello: sul fondo presentava un alone marrone di terra, che non era affatto da Malfoy, sempre curato com’era. Hermione si voltò e si appoggiò dritta alla sedia. Gli occhi le brillavano dalla soddisfazione per aver notato dei particolari talmente lievi ma significanti. Ghignò soddisfatta: Malfoy era un ottimo candidato per ricoprire il ruolo di figura misteriosa della sera prima.
 
 
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Non riusciva a concentrarsi, nonostante lo sforzo immane che stava facendo. Uno sbadiglio, l’ennesimo, gli procurò una smorfia per tentare di camuffarlo. Il rientro era stato traumatico quella notte: pioggia e gelo lo avevano rallentato, aveva sbagliato strada un paio di volte ed era stato tormentato dalla netta sensazione di essere circondato da ragni, da ogni direzione. Sbadigliò di nuovo e si grattò con veemenza un orecchio. Le due ore di sonno che aveva alle spalle non erano servite a molto, anzi lo avevano soltanto stancato di più, se possibile. Rivolse uno sguardo vacuo alla lavagna, sentendo gli occhi che si incrociavano e la testa che diventava pesante. Quando riaprì gli occhi potevano essere passati due secondi così come minuti. Raddrizzò la schiena e cercò terrorizzato di riprendere il filo della lezione. Non doveva assolutamente beccarsi un altro rimprovero perché ormai aveva superato la decina tra una lezione e l’altra e una strillettera, se ne fossero venuti a conoscenza i suoi genitori, non gliel’avrebbe levata nessuno. La sua attività extracurricolare notturna lo stava prosciugando. Già di suo Ronald non amava lo studio, se poi il tempo e la concentrazione diminuivano così velocemente come in questi giorni le cose si mettevano male. Ma Ron era sempre stato fiducioso e ottimista, la vita gli sorrideva. Poi c’era Hermione che lo avrebbe aiutato. Sorrise sornione immaginandosi lui e la bella riccia insieme in un pomeriggio piovoso alle prese con tomi e tomi da studiare. Le sedie vicine, il tepore del fuoco che brillava nel caminetto, il rumore della pioggia sui vetri… lui le avrebbe chiesto un chiarimento con voce sconsolata , lei si sarebbe messa una ciocca di capelli dietro all’orecchio con fare suadente, avrebbe iniziato a spiegargli con fare da maestrina e lui taac! le avrebbe preso il viso tra le mani e regalato un dolce, dolcissimo bacio su quella labbra a bocciolo di rosa. Ah, i suoi capelli boccolosi e morbidi… era più che sicuro che profumassero di miele, così come i suoi occhi caldi gli ricordavano il cioccolato. Per non parlare delle sue gambe! Quelle gambe…Ron ora era decisamente sognante, con la testa nelle nuvole e lo sguardo lesso perso nel vuoto.
La differenza tra l’amico dormiente e l’amico sognante non era troppo chiara a Harry, che gli tirò una secca gomitata svegliandolo bruscamente dal suo sogno romantico, che stava prendendo un carattere decisamente erotico, e facendolo sobbalzare sulla panca con non poco rumore.  Ron si girò furibondo verso l’amico. Hermione stava per spogliarsi e lui lo interrompeva così!
“Ron, sveglia! Continua a fissarti”, gli disse Harry, alludendo alla professoressa che aveva terminato la trasformazione e stava riepilogando alla classe come voleva fosse svolta la relazione e con che versioni di incantesimo dovevano esercitarsi.
“Dici che se n’è accorta?” gli chiese bisbigliando Ron.
“Sicuramente Ron, ma hai una tale faccia da zombie che le avrai fatto pena” rispose l’amico, “che cazzo hai fatto ieri sera? Qualcuno ha rimorchiato, eh?” chiese Harry ammiccando.
La lezione era terminata e gli studenti si stavano alzando. Ron dovette trovare una risposta rapida da dare all’amico, perché un’esitazione troppo lunga avrebbe destato il sesto senso di Potter, che si chiedeva da giorni perché Ron fosse così stanco ultimamente.
“Qualcosa del genere, diciamo” farfugliò, “ma è ancora troppo presto per esserne certi” aggiunse per sviare l’amico che altrimenti avrebbe voluto sapere ogni minimo dettaglio. Soprattutto chi fosse lei, di quale anno e di quale casata. Si pentì subito dopo di questa pessima scusa.
“Chi è amico?” Harry aveva un’espressione così ammiccante sulla faccia che Ron intuì che ci aveva proprio creduto e ora l’avrebbe tartassato fino a quando non gli avrebbe rivelato un nome. Avrebbe anche spiattellato la cosa a Hermione, illudendo la ragazza che Ron fosse impegnato, rendendo così vano ogni sforzo che lui aveva tentato con lei, perché lui era sicuro che Hermione ricambiava. E ora invece aveva rovinato tutto dicendo all’amico di avere una storia.
“No, no Harry, in realtà non c’è nessuna, davvero”, balbettò tentando di riparare. Ma ormai Harry era partito per la tangente e stava ridacchiando sotto i baffi.
“Ron, è inutile che tenti di negare ora per non rivelarmi niente.” Gli tirò una pacca piuttosto sonora sulle spalle e si mise a ridere contento. “Era ora, Ron!” Un sorriso allegro illuminava Harry, che era sinceramente felice per il suo migliore amico. “Però vedi di studiare un po’, che stai rimanendo indietro.”
Harry infatti dedicava più tempo allo studio ultimamente. Complici la tranquillità di quell’anno e la volontà di far colpo su Ginny Weasley, Harry aveva iniziato a frequentare la biblioteca per poterla vedere. Nonostante la secolare cotta di Ginny per Harry Potter, la ragazza rimaneva sulle sue e Harry era troppo timido in quell’ambito per tentare una mossa decisiva. Allora era diventato un frequentatore della biblioteca del castello, luogo dove la ragazza studiava piuttosto che in Sala Comune e si posizionava sempre ad un tavolo da cui poteva avere una buona visuale e da cui, qualche volta, poteva anche essere visto. Ginny infatti lo aveva visto, e Harry lo sapeva. La rossa però teneva imperterrita la testa china sui libri. Solo qualche occhiata fugace qualche volta. Ma per la maggior parte delle ore pomeridiane studiava. E anche Harry allora si era adeguato: lanciarle occhiate per ore non aveva dato i suoi frutti, quindi aveva pensato che dimostrarsi studioso l’avrebbe colpita di più. La tattica adottata da Ginny lo aveva conquistato: quella sua apparente (così pensava Harry) indifferenza era così affascinante.
Ron rivolse a Harry un’occhiata scandalizzata.
“Da quando sei diventato Hermione?” La sua faccia esprimeva un disappunto tale che Harry scoppiò a ridere di gusto. “Cazzo ma state diventando tutti dei secchioni” sbottò il rosso, irritato.
Cos’era questa storia? Hermione che studiava era la normalità, ma Harry? Ok, lui era sempre stato un po’ più diligente di Ron, ma mai a questi livelli, mai tanto da ricordargli che stava rimanendo indietro. Si mamma, avrebbe voluto rispondergli. Hermione poteva rimproverarlo, oh sì che poteva. Ron trovava molto eccitante Hermione che si inalberava. Spuntarono due macchie rosse sulle sue guance. Questi pensieri impuri tormentavano da tempo il povero Ronald che rimaneva tutto impacciato per un po’ dopo certe fantasie e faceva fatica a farsi passare l’imbarazzo che gli provocavano. Sicuramente nell’immediato faticava a rivolgere la parola ad Hermione, anzi quasi a rivolgerle lo sguardo. Questa volta si azzardò a girarsi verso di lei, che era rimasta dall’altro lato dell’aula rispetto a dove si erano seduti i due ragazzi, e la vide sistemare i suoi libri dentro la cartella di pelle. Aveva sul volto un ghigno soddisfatto che la faceva apparire così intrigante. Probabilmente era soddisfatta dalla lezione. Ron sospirò come una streghetta del primo anno e promise a se stesso che l’avrebbe conquistata.
 
 
 
 
  
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