Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Mistral    21/08/2009    4 recensioni
La manica ampissima di questo strano abito che mi hanno offerto da indossare mi si distende sul corpo, come una coperta. E persino una cosa così stupida che in altre circostanze avrebbe fatto sorridere il vecchio me stesso, adesso non fa che far correre di nuovo i miei pensieri a lui.
Lui che, per colpa mia, al suo risveglio avrà per sempre una manica vuota nei suoi abiti strani…

[Missing moment tra i capitoli 166 e 167][Fic parallela a Accidentally in Love]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Possiamo definire questa fanfic

Possiamo definire questa fanfic il frutto di una lunga riflessione, iniziata non so più nemmeno quanto tempo fa, sullo stato di prostrazione mentale in cui si ritrova Fay una volta tornato da Celes. Perché sebbene a quel punto si possa dire che il mago è finalmente libero dato che le due maledizioni sono state spezzate, è anche vero che ha appena visto sfumare la possibilità di realizzare ciò che in pratica l’ha tenuto in vita fino a quel punto – vale a dire esaudire il desiderio di Ashura e resuscitare suo fratello. Tutto questo, sommato alle condizioni critiche in cui Kurogane si è ridotto per salvarlo, immagino l’abbia fatto precipitare in una crisi profonda, che qui cerco semplicemente di indagare. Ditemi voi con quali risultati

Missing moment tra i capp. 166-167

Fic parallela a Accidentally in Love

 


 

 

Loving Liar

 

Perché si è comportato così? Qualcuno me lo vuole spiegare? Non intendo solo a Celes, ma anche l’altra volta, quando mi ha ostinatamente salvato la vita, e prima ancora e… e da sempre, in pratica - da quando l’inevitabile ha incrociato le nostre vite. 

Anche se io non credo che tutto questo fosse inevitabile, che facesse parte del disegno di quell’uomo o dei progetti della Strega… no, non ci credo. E allora perché?

 

Sdraiato sulla schiena, all’ombra di un gazebo costruito al centro di un laghetto perso nel parco del palazzo imperiale, chiudo gli occhi e mi copro il viso con il braccio, cercando inutilmente nel buio un sollievo alle troppe domande e al troppo dolore che mi stanno dilaniando dall’interno.

La manica ampissima di questo strano abito che mi hanno offerto da indossare mi si distende sul corpo, come una coperta, e persino una cosa così stupida che in altre circostanze avrebbe fatto sorridere il vecchio me stesso, la mia maschera (quella che io mi ostino ancora a pensare come tale, ma che in realtà mi sono reso conto non essere altro che ciò che sarebbe stato il mio vero volto se la mia vita fosse stata diversa), adesso anche questa manica troppo ingombrante non fa che far correre di nuovo i miei pensieri a lui.

Lui che, per colpa mia, al suo risveglio avrà per sempre una manica vuota nei suoi abiti strani…

Lui che, contro ogni logica razionale, ha preteso che io continuassi a vivere, nonostante io sia quel tipo di persona che più di tutte odia, perché non ho la forza di andare avanti.

 

Una parte di me vorrebbe ancora disperatamente poter morire.

Perché ormai l’unico scopo del mio esistere è scomparso assieme ai ghiacci di Celes: ho mancato alla promessa che avevo fatto a Fay di restituirgli la sua vita e il suo nome… allora che senso ha che io continui a vivere una vita che non mi spetta? Una vita che avrebbe dovuto finire anni fa, una vita già rubata una volta, costruita su un cumulo di menzogne, una menzogna essa stessa?

 

Eppure c’è un’altra parte di me che rifiuta tenacemente l’idea di morire.

Perché, se morissi, perderei anche quel poco di vero che sono riuscito a costruire durante questo viaggio, intrapreso e condotto nella menzogna… perderei ognuno di loro, perderei lui…

Anche se, ora che le mie menzogne si sono infrante tutte, una per una, dalla più stupida alla più crudele, ora che lui ha scoperto che non è mio nemmeno il nome con cui non mi ha mai chiamato… ora probabilmente lo perderò comunque…

 

Ma nonostante tutto non posso morire: perché ho un debito di riconoscenza troppo grande verso di lui che ha messo in gioco se stesso per salvare me. 

Si sarà pentito di aver legato tanto strettamente, forse in un momento di follia, la sua vita così nobile e pura alla mia, così vigliacca e fasulla?

Ha dato il proprio sangue ad una persona che non ha fatto altro che ingannarlo dal primo all’ultimo momento, una persona che non ha mai neanche avuto il coraggio, la dignità, di chiamarlo per nome, ma l’ha sempre preso in giro per suo puro diletto (o forse solo per inconscia paura).

Ha dato il proprio braccio per salvare una persona che non ha fatto altro che fingere dal primo all’ultimo momento di essere chi non era, una persona che, quando ha deciso di usare finalmente il suo nome, l’ha fatto solo per ferirlo e allontanarlo.

 

Malgrado tutto, però,  lui voleva che io vivessi, non ha mai smesso di volerlo. Anche davanti alle prove della mia meschinità non è mai arretrato di un passo, non si è mai preoccupato di cosa fossi stato: tutto ciò di cui gli importava era ciò che ero diventato stando accanto a loro.

Ma quando riaprirà gli occhi, cosa accadrà?

 

Avevo giurato a me stesso che nessuno avrebbe più dovuto soffrire per causa mia, che non mi sarei più coinvolto con nessuno tanto da fargli del male. E invece, ancora una volta, non sono stato capace di mantenere le mie promesse: sono solo un infido bugiardo che ama disperatamente una persona di cui non sarà mai degno. Ma non importa, è questo che si meritano gli idioti che rincorrono per tutta la vita il miraggio della morte.

Ora però non posso più inseguire quel miraggio: io devo vivere, voglio vivere.

Voglio vivere per saldare almeno in parte il mio debito verso di lui, per liberarlo dalle catene che la sua scelta dissennata gli ha imposto, perché il suo sacrificio non sia stato vano. Farò in modo che riabbia il braccio che ha dato per salvarmi e continuerò a viaggiare, con loro o senza di loro, per recuperare il mio occhio e spezzare il legame di sangue che forzatamente lo unisce a me.

 

Mi tiro seduto ad osservare per qualche istante i petali di ciliegio che il vento fa cadere sulla superficie quieta del laghetto, creando lievissime increspature concentriche. In questo paese regna un’atmosfera incredibilmente tranquilla, sono felice che la fuga dalla mia terra ci abbia condotti qui.

Quando ho espresso alla Strega il desiderio che la destinazione successiva dopo Celes fosse un posto in cui tutti potessero curare le proprie ferite fisiche e morali, non credevo che l’avrei visto anch’io: ero davvero convinto che i miei giorni si sarebbero conclusi accanto ad Ashura-ou…

Scuoto lievemente il capo, scacciando quei pensieri, mentre col dito disegno un cerchio nell’aria profumata per mettermi in contatto con la Strega delle Dimensioni.

 

***

 

La trattativa con Yuko-san si è svolta proprio come prevedevo: la mia ultima magia in cambio di un braccio artificiale per lui. Non so se sia uno scambio alla pari, probabilmente no – quel poco di potere magico che mi è rimasto non potrà mai competere con la forza di un combattente come lui al massimo delle sue potenzialità. O forse la Strega ha accettato perché ha capito che, in fondo, io non avrei potuto darle nient’altro, se non la mia vita… ma quella non posso più cederla così alla leggera, perché la mia vita ora appartiene a lui ed è per lui che devo spenderla. E lei lo sa.

 

Sta calando il tramonto; sono già passati quattro giorni da che siamo giunti in questo paese.

Mi alzo lentamente e mi accingo a rientrare verso il palazzo, ma non per mangiare, né tantomeno per dormire - non ci riuscirei. Passerò anche questa notte, come tutte le altre, a vegliarlo dal tetto dell’edificio accanto a quello in cui lui riposa.

Sono talmente vigliacco che non ho avuto neanche il coraggio di entrare nella sua stanza per vederlo da vicino. So quali sono le sue condizioni solo perché ho sentito i medici riferirne a Tomoyo-hime, ma non ho mai parlato nemmeno con lei. A dire la verità non ho parlato proprio con nessuno qui nel castello - appena mi sono risvegliato nella mia stanza sono fuggito dalla finestra, ho troppa paura di incrociare lo sguardo con chiunque. È irrazionale, me ne rendo conto, ma non posso evitarlo.

Comunque Tomoyo-hime è davvero bella e ha un viso così dolce e dei modi così gentili che non faccio fatica ad immaginare perché lui abbia deciso di votare la sua vita a lei. E stupidamente un po’ la invidio.

 

Giunto nei pressi del complesso, vorrei salire sul tetto con un solo balzo, come le altre volte, però mi rendo conto di non averne più le forze. Mi sento spossato, la «sete» si sta facendo sempre più forte e questo maledetto corpo di vampiro non accetta altro alimento che il sangue. Ma non posso nutrirmi, non ora. Se lui fosse sveglio, sono certo che mi costringerebbe a bere, anche se questo volesse dire essere costretto di nuovo a letto per la debolezza.  No, non posso fargli anche questo.

Una lacrima mi riga incontrollata la guancia, mentre mi lascio scivolare a terra, poggiato contro la parete di una costruzione che sorge proprio di fronte alla sua finestra. Per questa notte lo veglierò da qui, continuando a sperare di rivedere finalmente i suoi splendidi occhi scarlatti.

 

In questo momento non c’è nessuno nella stanza, solo lui che dorme tranquillo sul futon; le tende del baldacchino che copre il letto sono completamente scostate, per cui riesco a vederlo senza difficoltà. Alla luce bianca della luna ormai alta, distinguo perfettamente anche la fasciatura che gli avvolge quasi tutto il petto e quella manica vuota che però si perde pressoché subito sotto la coperta… ma faccio comunque in tempo ad intuirla ed è una vista che mi fa dannatamente male – sarà un’immagine che mi porterò dietro per tutta la vita, anche dopo che gli avrò dato quell’arto artificiale.

Come sempre quando il dolore si fa troppo forte, chiudo gli occhi per qualche istante, nella vana e codarda speranza che questo basti a farlo andar via almeno per un momento. Stanotte però, dietro il buio delle palpebre non trovo nemmeno un fuggevole sollievo e anzi, le immagini di Celes - il braccio che si è amputato davanti a me, il sangue che ne sgorgava a fiotti, la sua espressione distorta dal dolore – quelle immagini tornano prepotenti e più spaventose che mai.

E allora è meglio guardarlo dormire con quella manica terribilmente vuota ma saperlo per certo vivo, piuttosto che temere per lui nel vederlo protagonista degli incubi orrendi che mi suscitano i miei sensi di colpa.

Respiro profondamente e rovescio la testa contro la colonna di legno, asciugandomi la guancia. Vederlo ridotto in quello stato per me è una sofferenza, perché è una vista che non fa altro che rinfacciarmi costantemente la mia debolezza e la mia vigliaccheria - e ogni notte è sempre peggio, ma non sarà certo questo che mi farà desistere dallo stargli accanto, anche se da lontano.

 

Perso completamente nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che qualcuno è entrato nella sua stanza. Quando inizio a sentire delle voci, riporto lo sguardo verso la camera e mi trovo a puntare gli occhi in quelli gentili di Tomoyo-hime che parla con i medici dando loro le spalle e stando affacciata alla finestra, proprio davanti a me.

Sussulto e scatto in piedi, come per andarmene, ma lei mi sorride amabile, quasi invitandomi a rimanere ad ascoltare. I due dottori, impegnati a cambiare le medicazioni, non si sono accorti di nulla.

Mi avvicino a lei in silenzio, lottando contro il tremito delle mani e le lacrime che premono per scendere.

 

***

 

Si salverà… starà bene, dovrebbe svegliarsi a breve… ieri sera quando ho sentito quel medico pronunciare queste parole, ho dovuto farmi forza per non lasciarmi sopraffare dall’emozione.

Ho passato la notte davanti alla sua finestra, in parte in compagnia di Tomoyo-hime che per tutto il tempo mi ha narrato di lui e degli anni che ha passato al suo servizio.

L’alba sembrava non arrivare mai. Questa notte è stata forse una delle più lunghe che ho vissuto - una notte trascorsa come le altre a spiare il suo respiro lento e regolare e i movimenti impercettibili del suo corpo, ma desiderando più che mai scavalcare questo basso davanzale e avvicinarmi al letto, anche solo per togliergli con una carezza quei ciuffi ribelli incollati alla fronte sudata.

Però non mi sono mai mosso, il fisico forse troppo debole e il cuore sicuramente troppo spaventato per fare anche un solo passo in più - come se la mia semplice vicinanza potesse essere per lui causa di nuova sofferenza, oltre a tutta quella che gli ho già procurato.  So che lui non la penserebbe così, anzi mi darebbe dell’idiota a sentirmi parlare in questo modo, ma proprio non ce la faccio…

 

Quando il sole è ormai salito del tutto, Tomoyo-hime ritorna da lui. E ora che c’è lei, io posso allontanarmi, perché ho la certezza di lasciarlo in buone mani. Ma la principessa mi sorride e, sempre senza dire nulla, mi fa cenno di non andare via, piuttosto di restare ad aspettare ancora un poco fuori dalla porta.

È questione di un momento che non so quantificare, ma comunque all’apparenza interminabile, poi infine sento la sua voce - e con essa una stretta dolorosa al cuore, quando mi rendo conto che la sua prima preoccupazione è per noi… i suoi compagni di viaggio.

Tomoyo-hime lo conforta, lo rassicura e odo le loro voci basse intrecciarsi e cambiare di tono, in un discorso che vorrei ascoltare ma che so di non avere il diritto di conoscere.

E allora mi limito a sentire quelle voci salire e scendere, lasciandomi cullare da esse, dalla malinconia, dalla dolcezza e dalla sicurezza che trasmettono e cerco di trovare in esse un po’ di forza anche per me – perché la principessa mi ha chiesto di entrare, di andare da lui, di affrontarlo… ma io non so se ne ho il coraggio.

Perché lui è troppo in tutto rispetto alla mia piccolezza e, sebbene sono certo che lui non mi ami, tuttavia i gesti che ha compiuto mi parlano di un affetto nei miei confronti troppo smisurato perché io possa anche solo immaginarlo…

 

Però quando lei mi chiama, non posso fare a meno di risponderle. Quando lei mi chiama, metto da parte tutto e apro quella porta.

Tengo gli occhi bassi, ma so che lui mi sta guardando: percepisco la sua tensione e anche il suo sollievo nel vedermi vivo…

Sono solo pochi passi, eppure a me sembrano una distanza quasi infinita, lunga quanto i giorni che ha passato tra la vita e la morte, quanto gli anni in cui ho atteso qualcuno che mi portasse via dal mio incubo.

Ma adesso lui è qui, si è svegliato, e quella distanza si è ridotta a pochi metri che percorro con incredula, riconoscente lentezza. E quando finalmente giungo a fianco di quel letto che per quattro interminabili notti ho visto solo da lontano, i nostri sguardi infine si incontrano.

Nel silenzio, senza una parola, mi basta vedere un’ombra di sorriso nelle sue iridi color del fuoco per decidere di cominciare a ripagare il debito che ho contratto con lui: perché lui ha fatto di tutto per tenermi in vita, perché per lui la mia vita vale qualcosa - nonostante io non ne abbia mai saputo trarre qualcosa di buono, perché lui vuole che io dimentichi il passato e viva per il presente… e allora lo farò!

 

Ma tu non ti azzardare mai più a farmi prendere uno spavento simile!

“Questa è la mia vendetta, Kuro-sama!”

 

 


 

L'ultima battuta di Fay è presa direttamente dal manga (cap. 167, pagina 22)

   
 
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