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Autore: Mr Lavottino    13/11/2020    3 recensioni
STORIA AD OC
In una fredda giornata di Ottobre, Noah Hayden, famoso avvocato, riceve una lettera anonima che lo invita a tornare a Wawanakwa. Una volta giunto all’indirizzo indicatogli, incontra sei ragazzi che, circa sette anni prima, aveva aiutato a salvarsi dal carcere mentendo sulla loro colpevolezza, e scopre di essere all’indirizzo della casa di Dawn, la ragazza uccisa dal gruppo in un incidente d’auto.
Lo spirito di Dawn è tornato per vendicarsi ed il gruppo è rinchiuso all’interno della casa fino a che il fantasma non otterrà ciò che vorrà.
Genere: Horror, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Emma, Noah, Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Disegno di: reginaZoey1999


Pomeriggi al parco, passeggiate in riva al mare e chiacchierate su una delle moltissime panchine che ricoprivano tutti i punti panoramici più belli di Wawanakwa. Questi erano i ricordi che Abbey aveva della sua amicizia con Dawn. Erano state amiche per un sacco di tempo, dall’asilo fino alle scuole superiori. Abbey ricordava perfettamente quanto adorasse stare assieme a Dawn e quanto si divertiva quando giocavano assieme. Avevano un feeling unico, riuscivano a capirsi semplicemente guardandosi. 

Abbey non aveva più trovato una persona con la quale si intendeva così bene ed era ben conscia che mai ci sarebbe riuscita, perché il loro legame sembrava essere collegato da un lungo filo invisibile che, tuttavia, si era dimostrato troppo dissolubile. 

Il motivo principale per cui Abbey e Dawn avevano smesso di essere amiche fu l’adolescenza, ovvero quel periodo in cui si effettuano i salti di interesse che Dawn aveva sempre rifiutato di fare. Nel gruppetto di amiche di Abbey si parlava di vestiti e di ragazzi, Dawn preferiva altro, come giocare a nascondino o fare pigiama party nei quali parlava di cartoni e di libri fantasy. 

Non è quindi difficile capire il perché le due si erano allontanate. Abbey, come parecchie volte nella sua vita, aveva dovuto scegliere. Quella volta fra la sua migliore amica, quella che riteneva speciale ed unica, e la popolarità. 

Per lei fu parecchio ironico quando realizzò che, col senno di poi, fu proprio quella sua scelta ad uccidere, per vie traverse, Dawn. Se non si fossero mai separate, forse quella sera Abbey non sarebbe andata alla festa e Dawn non sarebbe stata investita. 

Rimorsi a parte, Abbey aveva sempre dato la colpa al destino e alla sfortuna, così da potersi incolpare il meno possibile. Tuttavia ogni volta che vedeva o sentiva qualcosa che parlava di Dawn, come telegiornali che rievocavano il fatto o articoli di giornale che in maniera sadica andava a rileggersi, si dava la colpa di tutto. 

Fu proprio quel condizionamento a farle perdere i sensi, seppur per pochi minuti. Vedere la stanza di Dawn, uguale a come l’aveva lasciata l’ultima volta che ci era stata, le aveva ricordato che quell’omicidio era solo e soltanto colpa sua, che tutti gli altri non erano che pedina mosse dalle sue scelte. Perché Abbey, come parecchie volte nella vita, aveva dovuto scegliere e, come ogni volta, aveva scelto male. 

Quando riaprì gli occhi, vide davanti a se il soffitto che nell’infanzia aveva amato un sacco. C’erano appiccicati numerosi adesivi a forma di stella ed un grosso lampadario con delle pale di legno, al quale il signor Medrek aveva attaccato delle copie in scala dei vari pianeti per far sì che girassero quando le pale venivano attivate. Non poteva dimenticare quel particolare, perché c’era anche lei quando le aveva montate. 

- Abbey, ti sei ripresa? - riuscì a staccare gli occhi dal soffitto solo quando sentì la voce di Ginevra chiamarla. Voltò la testa alla sua sinistra e la trovò seduta sul bordo del letto, mentre alla sua destra c’era Noah. 

- Sì, ho avuto solo un calo di zuccheri. - si tirò su e poggiò una mano sulla fronte, che le faceva ancora male. 

- Non credo. - le disse Noah, facendole prendere un colpo. 

- Ti dico di sì, è da un sacco che non mangio. - tentò di mantenere fede alla sua versione, seppur avesse davanti due belve spietate che erano fin troppo brave nel riconoscere le bugie. 

- Hai detto di essere stata amica di Dawn, vero? - Ginevra non ci girò molto intorno, andò dritta al punto come suo solito. 

- Sì. - rispose Abbey. 

- Vi conoscevate bene? - questa volta fu Noah a porre la domanda. 

- Non proprio. - abbozzò la castana, senza risultare convincente. 

- Dicci la verità. - Ginevra la gelò con un’occhiata e ciò porto Abbey a capire di non dover scherzare con il fuoco. Aveva già mentito durante il processo, farlo anche in quel momento non avrebbe avuto senso. 

- Da piccole eravamo migliore amiche, poi ci siamo perse di vista – si fermò per un istante, perché sentiva ancora la gola leggermente impastata – però, quando è accaduto l’incidente, già non ci parlavamo da due anni. - 

 Avresti dovuto dircele prima queste cose. - Noah scosse la testa e si lasciò andare ad un lungo sospiro. 

- A cosa sarebbero servite? Non penso che c’entrassero molto con il processo. - Abbey si lasciò cadere sul materasso e riportò gli occhi verso il lampadario. 

- Non in quel senso, idiota. - ribatté Ginevra – Quando eravamo fuori dalla casa. Se ce l’avessi detto prima, forse, avremmo agito diversamente. - specificò. 

- Ah, beh, sì, avete ragione. - lo sguardo di Abbey si perse fra Venere e Mercurio. 

- Comunque sia, il danno è fatto. Non possiamo far altro che capire come uscire da qui. - Noah si alzò dal letto ed iniziò a gironzolare per la stanza. 

- Se non erro, quella voce ci ha chiesto di tirare fuori il colpevole. - ricordò Ginevra. 

- Questa cosa non ha senso, siete tutti colpevoli. - Noah poggiò una mano sotto il mento – O, per certi versi, siamo. - scosse la testa. 

- Se siamo già tutti qui, cos’altro potrebbe volere? - domandò Abbey, dando voce a quello che era l’interrogativo che tutti e tre si erano posti nelle loro teste. 

- C’è qualcosa che non sappiamo, qualche dettaglio che ci sfugge. - Noah si morse un labbro e cercò di far ragionare il cervello al meglio che poté. 

- Mancano ancora dei pezzi. - sentenziò Ginevra - Ma chi -  

Sentirono un grosso colpo alla porta, che si ripeté per circa due volte. I loro occhi, sgranati, si focalizzarono sulla maniglia che, ad intermittenza, si muoveva a piccoli scatti. Un altro colpo, poi un altro e, infine, la porta si aprì. 

 

 

Clara cadde a terra di peso. Aya, che fino a quel momento si era limitata a starle accanto per cercare di placare la sua tosse, si fiondò al suo fianco. La mora respirava a malapena ed aveva della bava che, mischiata al sangue, le stava uscendo dalla bocca. Aya ci mise poco a capire cosa le fosse successo: aveva un’altra crisi di astinenza. Cosa poteva fare? Senza le pasticche praticamente nulla. L’unica cosa che le venne in mente fu di uscire dal bagno per cercare aiuto. Corse alla velocità della luce verso una delle tante stanze del corridoio e la aprì con violenza. 

Si trovò davanti allo stesso corridoio di prima e alle sue spalle c’era di nuovo Clara stesa a terra. 

Non perse nemmeno tempo a meravigliarsi della cosa, si limitò ad andare nella porta alla sinistra di quella che aveva attraversato prima, per finire esattamente nello stesso punto. Allora provò quella alla destra, quella accanto a quella a sinistra e quella accanto a quella a destra. Addirittura, quella accanto a quella accanto alla sinistra e quella accanto a quella accanto alla destra. 

Provò anche ad aprire le stesse due volte, ma si rivelò inutile.Stava andando in panne, nella sua testa c’era un piccolo timer immaginario che le diceva di fare presto, altrimenti Clara sarebbe morta. Vedeva i minuti, se ne era data circa cinque, scendere alla velocità della luce nella sua mente. 

Più quel timer scendeva e più l’immagine di Clara morta si focalizzava nella sua testa. Non poteva lasciarla morire, non poteva assolutamente farlo. 

Aprì ancora tutte le porte una ad una, senza riuscire a sbloccare quel labirinto intricato e dispersivo che sembrava non avere alcuna logica. 

Poi, quando il timer era sceso a zero e le sue gambe stavano per cedere, si fermò davanti ad una delle porte, che non riusciva nemmeno più a distinguere. Presa dalla frustrazione, la colpì con una testata talmente forte da farle tremare tutto il corpo. La colpì di nuovo, con più forza di prima. Appoggiò quindi la mano sulla maniglia e si rese conto che non scendeva. Era chiusa. 

Qualcosa, però, le diceva di essere sulla strada giusta. Trattenne il fiato e colpì nuovamente la porta con una testata talmente forte da rischiare di spaccarsela. Poi, con la testa che girava ed un senso di nausea misto a dolore, usò tutte le sue forze per tirare in giù la maniglia che, come per magia, scese e le permise di aprire la porta. 

Entrò di peso, rischiando di cadere, e sentì le lacrime bagnarle le guance quando vide davanti a se Noah, Abbey e Ginevra. I tre, sulle prime esitanti, le andarono incontro. 

- Che diavolo ti è successo? - domandò Abbey, che la aiutò a tenersi su. Aya, ancora nel panico, si discostò ed iniziò a gesticolare. 

- Cosa diavolo sta dicendo? - Noah si girò verso Ginevra. 

- Ah, non ne ho idea. Perché dovrei saperlo? - ribatté l’altra. 

- Che ne so, siete suoi amici. - l’avvocato alzò le spalle e cercò di decifrare tutte quelle mosse fatte con le dita da Aya.  

Aya, per piacere, non stiamo capendo. - le disse Abbey, portandola a fermarsi. A quel punto Aya si mise le mani nella tasca per prendere il blocco note, ma si accorse di non averlo dietro. Lo aveva lasciato per terra nel bagno. Capì quindi di non avere altra scelta. Non avrebbe mai voluto farlo, ma per salvare Clara era costretta. Fece un colpo di tosse e, dopo aver respirato a fondo, parlò. 

- Clara è svenuta, ho bisogno di aiuto. - disse tutto d’un fiato. La sua voce roca e bassa lasciò stupiti tutti che, sulle prime, non seppero bene come reagire. Nessuno di loro l’aveva mai sentita parlare e adesso capivano il perché. 

- Va bene, andiamo. - Noah guardò verso il corridoio davanti a loro, le cui porte erano tutte chiuse – Facci strada. - e così si incamminarono verso quel labirinto confusionario. 

 

 

Abbey se n’era andata da qualche minuto e l’aria all’interno della sala era tornata respirabile. Brodie non sentiva più quella sensazione di tensione e malessere che le litigate gli davano. Non era mai stato un grande amante delle liti, soprattutto perché i suoi genitori spessi si lasciavano andare a disgustose guerra fra di loro con il solo scopo di risultare più forte l’uno dell’altra. Due personalità egocentriche che, inesorabilmente, si andavano a scontrare in ogni occasione. Suo padre un poliziotto, sua madre un’imprenditrice di successo, nessuno dei due sapeva perdere. 

Però non poteva negare che, nel suo animo più profondo, si sentiva elettrizzato quando vedeva due persone litigare, in particolare se era lui stesso la questione della disputa. Aveva quel sano egoismo passatogli dai genitori che, di tanto in tanto, gli piaceva tirare fuori. 

Infatti, si nutriva di quell’aria tossica e pesante, anche se in cuor suo voleva credere di no. A riprova di ciò, non appena le acque si erano calmate un’irrefrenabile voglia di seguire Abbey lo pervase. 

- Vado da lei. - disse, senza aggiungere altro. Fece per muovere il primo passo, ma Delfina gli afferrò la mano. 

- Eh? Sei per caso impazzito? - la mora lo tirò a se di violenza, senza riuscire a spostarlo – Lei ti ha rovinato la vita. - lo tirò ancora. 

- Non mi interessa, voglio andare da lei. - la risolutezza con cui Brodie disse quelle parole fece vacillare non poco Delfina. La mora aveva pensato, visto il completo silenzio del ragazzo durante la discussione, di averlo dalla sua parte, in cuor suo l’aveva sperato con tutta se stessa. 

- No! - gridò, senza sapere cosa altro dire. Le ci volle qualche secondo per riuscire a trovare delle altre parole da abbinare a quell’urlo – Non puoi andare da lei. Tu dovresti stare con me. - lasciò la presa sulla mano di Brodie. 

- Con te? - il ragazzo strabuzzò gli occhi. 

- Esatto! Con me, che ti vengo dietro da quando ti ho conosciuto, che ti ho sempre trattato come un re e che ti ho dato l’anima! - Delfina agitò le braccia, mentre urlava incessantemente contro il ragazzo. La sua faccia si fece rossa ed il suo respiro affannoso. 

- Questo che c’entra? - domandò Brodie, che accennò ad una risata d’incredulità. Delfina inspirò aria con la bocca e lo guardò, facendo in modo che i suoi occhi lo colpissero nel profondo. 

- Dannazione, Brodie. - iniziò, per poi fermarsi subito senza però distogliere nemmeno per un istante lo sguardo da lui – Io ti amo! Ti amo più di quanto quella puttana possa farlo. Ti amo e ti ho sempre amato. - più che una dichiarazione, sembrava una confessione sotto tortura. 

Brodie rimase stecchito, trafitto in due da ciò che aveva appena sentito. Adesso nella sua testa tutte le volte che Abbey gli aveva detto, quando stavano ancora insieme, che Delfina lo amava prendevano senso. Lui non ci era mai arrivato, perché mai aveva pensato a Delfina come ad una spasimante. Per lui non era altro che la sua vicina di casa e migliore amica, che si comportava con fare materno perché si era affezionata. Già, però di mamma ce n’è una e Delfina non era certo sua madre. Ci sarebbe potuto arrivare, ma non gliene era mai fregato molto. 

- Mi fa piacere. - il suo tono non lasciò a Delfina nemmeno la speranza. Parlò con voce mortuaria, come se stesse dando l’ultimo saluto ad un parente passato a miglior vita – Però io amo Abbey. - e lo disse con un sorriso genuino in bocca, come se quei sei anni non fossero passati e lui fosse sempre all’ultimo anno di scuola. Perché, effettivamente, duemilacentonovanta, più o meno, giorni erano passati ed il pensiero che per tutto quel tempo Brodie avesse amato Abbey sembrava utopistico. 

Ma non lo era, non lo era affatto. L’aveva allontanata, era sparito e non si era più fatto sentire, ma questo non significava che aveva smesso di amarla. Se lo aveva fatto, era per stare a posto con la sua coscienza, quella che ogni sera gli ricordava di aver distrutto una vita e, paradossalmente, anche quella delle persone in macchina con lui. 

- Come puoi amarla ancora? - le lacrime, a quel punto, scesero da sole. Delfina aveva accettato il silenzio di Brodie per quei sei lunghi anni, perché anche lei, ovviamente, aveva provato a contattarlo senza ricevere mai una risposta. Però l’aveva presa con filosofia, si era convinta che un giorno l’avrebbe incontrato di nuovo e lo avrebbe avuto tutto per seCol senno di poi, aveva solo sprecato tempo. Aveva atteso ed atteso qualcuno che non la considerava, che non la vedeva più di una semplice amica intima. E questo non poteva accettarlo. 

- Non lo so. - Brodie scosse la testa e sorrise. Stava sottovalutando la situazione senza rendersene conto, non aveva idea della mina carica di esplosivo che aveva a meno di un metro. 

- “Non lo so” non è una risposta accettabile! Se pensi che dopo tutto questo tempo mi accontenterò di una stronzata del genere sei sulla cattiva strada! - gridò Delfina e a quel punto Brodie tornò sulla Terra. Fece fatica a risponderle, ma sapeva bene che fosse costretto a farlo. 

- L’ho sempre amata, ma l’ho capito solo ora. - quella, che pensava essere la risposta più scontata ed accettabile, fu la frase che accese la miccia. 

-L’hai sempre amata?! Hai sempre amato una puttana del genere, che non ha fatto altro che metterti nei casini? - Delfina rise – Preferisci un’idiota del genere a me, che ti sono sempre stata accanto tutto questo tempo. - calciò con violenza il bracciolo del divano. 

- Calmati, Delfina. - il ragazzo provò ad avvicinarsi, ma capì prontamente che non fosse il caso di procedere oltre.  

- No, cazzo, non mi calmo! Tu dovevi amare me, la nostra storia d’amore era già scritta. - fu lei a farsi avanti, costringendo Brodie ad indietreggiare – Avevo già deciso tutto: il nostro fidanzamento, la proposta, l’anello, il matrimonio, il vestito da indossare, il nome di nostra figlia e dei nostri due gemelli, addirittura la casa di riposo in cui saremmo invecchiati assieme! - estrapolò tutte le sue fantasie che fino a quel momento aveva tenuto per se – E scopro che andrà tutto in fumo per colpa stronzetta con le manie di egoismo?! - Delfina si tirò i capelli con talmente tanta forza che rischiò di strapparseli – Tu devi amare me! - gridò a pieni polmoni. Brodie, che delle urla ne aveva abbastanza, esplose. 

- Io non ti amo! - gridò più forte di lei, così da sovrastarla – Non ti amo e non ti amerò mai. Non potrei mai amare una persona come te. - preso dalla foga, colpì anche lui il bracciolo del divano, che si spezzò in due – Sei maniaca, nevrotica e permalosa. - ci aveva provato a contenersi, ma non ci era riuscito. Aveva convissuto con Delfina per abbastanza tempo da rendersi conto di quali fossero i suoi pregi ed i suoi difetti ed in quel momento riusciva a vedere solo quest’ultimi - Vaffanculo, tu ed il tuo matrimonio del cazzo! - la scostò con uno spintone e si diresse ad ampie falcate verso il piano superiore. 

- Bene, vai pure da lei. Va a vivere una vita di merda al suo fianco. Stare con lei ti porterò solo a soffrire, ma te lo meriti. Ti meriti anche tutto quello che hai passato! - ormai era una guerra a fuoco incrociato, Delfina, esasperata e portata allo sfinimento e al logoramento mentale dalle parole di Brodie, iniziò a sputare fuori tutto l’acido che aveva in corpo. Brodie smise di sentire le sue urla, che si alternavano a forti e profondi singhiozzi, solo quando arrivò alla fine della rampa di scale, dove ormai le grida non erano che un leggero eco inoffensivo. 

Si trovò davanti ad una porta rossa che, senza esitazione, attraversò con una certa foga. Stava ancora sbollendo la rabbia, sentiva le mani fremergli ed una voglia incessante di colpire qualcosa o, addirittura, qualcuno. Era arrivato al punto di non avere nemmeno paura del fantasma. 

Poi, all’improvviso, una voce giunse alle sue orecchie e la sua rabbia sparì in un istante. 

Se siamo già tutti qui, cos’altro potrebbe volere? - 

Era la voce di Abbey, non poteva sbagliarsi. Davanti a se Brodie aveva un corridoio con varie porte. Non riuscì a capire da quale di esse provenisse la voce, pertanto si limitò ad andare a tentoni. Aprì una prima, quella nel mezzo, e la trovò vuota. Mise un piede dentro e lo sentì gelare. La temperatura là dentro era sotto lo zero. Entrò dentro, preso dalla curiosità, e sentì qualcosa toccargli la spalla destra. Sulle prime sussultò, poi si rese conto che era la cordicella della luce. La afferrò, rabbrividendo per quanto fosse ghiaccia, e la tirò con un gesto secco. La luce sembrò esitare, ci fu un rapido susseguirsi di luce-buio che non gli permise di vedere bene, solo di distinguere una figura seduta su una sedia. Poi, tutto d’un tratto, la luce si accese. 

Davanti a lui, seduta con le mani sullo schienale e la testa appoggiata sopra di esse, c’era Dawn. O meglio, il cadavere di Dawn. Aveva la testa graffiata, il viso ed i capelli sporchi di sangue, gli occhi vitrei rivolti verso il pavimento, i vestiti completamente imbrattati di rosso e la pelle tendente al bluastro per il freddo. Inoltre la sua gamba destra era piegata in una posizione innaturale, perché quello era il punto dove la macchina l’aveva colpita, Brodie lo ricordava bene.Il ragazzo rimase impietrito, con gli occhi congelati sulle labbra blu di Dawn. Delle nubi di fumo bianche, causate dal suo respiro, iniziarono ad impedirgli di vedere bene. 

Brodie, ti sei dimenticato? - sussurrò Dawn, muovendo appena le labbra. Brodie irrigidì i muscoli – Io non l’ho dimenticato. - gli occhi della bionda si spostarono sempre più in su, fino a puntare contro quelli del castano. 

Brodie. - ripeté Dawn, con tono lagnoso – Perché, Brodie? - a quel punto, il ragazzo non ce la fece più, uscì dalla stanza e chiuse la porta, per poi appoggiarcisi con la schiena. 

Brodie, perché hai bevuto? - riuscì a sentire quella frase, prima di correre a tutta velocità verso un’altra porta. La aprì in fretta e furia, sperando cdi allontanarsi quanto bastava per non dover più sentire la voce di Dawn. 

Quando entrò nella nuova stanza, ebbe un attimo di deja . Però, invece che il cadavere di Dawn, c’era Clara che, stesa per terra, non sembrava passarsela bene. 

- Clara! - le andò incontro e tirò su la sua testa. Aveva un rivolo di sangue e di bava che le usciva dalla bocca, la sua faccia era bianca e gli occhi erano mezzi aperti. 

Capì subito di cosa si trattasse, perché una volta era successo anche a lui: era in crisi di astinenza. Istintivamente portò la mano sulla tasca dei pantaloni. Sentì subito la confezione di pasticche. La tastò per qualche secondo, indeciso sul da farsi. Aveva solo una pastiglia e, a breve, anche lui sarebbe potuto finire in quel modo. 

Cosa fare? Se lo chiese più volte. Aveva due scelte: lasciare Clara morire in quel modo e tenersi la pillola o darla a lei e rischiare lui stesso. 

La tentazione di andarsene era forte, aveva provato una crisi di astinenza in passato ed anche prima ci era andato vicino, perciò sapeva l’orribile sensazione che causava. Si alzò e, quasi in punta di piedi, si diresse verso la porta. Appoggiò la mano sullo stipite e fece per andarsene, quando una vocina nella sua testa, quella che non lo faceva dormire, lo chiamò a se. 

Vuoi farlo ancora, Brodie? - bastò quella domanda. Estrasse il contenitore dalla tasca, prese l’ultima pillola dal fondo e, dopo averla guardata come un cane guarda un biscotto, si avvicinò a Clara. Le aprì la bocca con le dita e le inserì la pastiglia in gola. Gli sembrò quasi di aver inserito una monetina per un vecchio gioco arcade. Uno, due, tre e poi, di colpo, Clara si tirò. Respirò pesantemente per qualche secondo, mentre con gli occhi sgranati guardava davanti a se, poi incominciò a tossire. 

- Merda, che cazzo è successo? - disse, sentendo la bocca impastata. Sia asciugò il sangue e la bava con una mano, con fare molto poco femminile, e poi provò a tirarsi su. 

- Ferma, non mi sembra il caso. - Brodie le mise le mani sulle spalle e la spinse in giù, impedendole di alzarsi. 

- Non sei mia madre. - riuscì a dire lei, anche se all’orecchio dell’altro arrivò come un insieme di parole ciancicate e senza senso. 

- Sì, sì, certo. Sta buona. - la liquidò lui, facendola indispettire. Nonostante non stesse per nulla bene, la sua voglia di discutere era comunque alta come suo solito, al punto che stava per controbattere, ma un forte rumore di passi la interruppe. 

Accadde tutto in un attimo, si ritrovò spinta contro il pavimento e con addosso un Aya piangente che l’abbracciava e singhiozzava come una bambina. Clara non fece nulla, si limitò ad appoggiarle una mano sulla testa e ad accarezzarle i capelli. Brodie guardò la scena, fino a quando non sentì degli occhi addosso. Quello sguardo lo avrebbe riconosciuto fra milioni. Si voltò verso l’ingresso e vide Abbey, appoggiata allo stipite della porta, che lo guardava. Nei suoi occhi leggeva la voglia di parlare, di dire qualcosa, ma sapeva bene quanto le fosse difficile farlo, perché prima Brodie l’aveva lasciata da sola e, giustamente, lei non credeva di averlo dalla sua parte. 

Il castano capì cosa doveva fare: le andò vicino, muovendo i passi con fare incerto, e si fermò a qualche centimetro da lei. La vide boccheggiare, con le labbra che tremavano dalla voglia di esprimersi, ma non ci riuscivano. Allora Brodie prese l’iniziativa. 

- Scusami. - disse, abbassando la testa fino a guardare il pavimento. Non dovette aggiungere altro, perché ad Abbey il messaggio arrivò forte e chiaro. Un secondo, due secondi, poi non riuscì più a resistere. La castana si fiondò fra le sue braccia e lo strinse con forza. 

- Non fa nulla, Brodie. Va bene così. - sussurrò.In quel clima così dolciastro e diabetico, Noah dovette irrompere come la pioggia in un giorno di sole. 

- Scusate se interrompo i vostri momenti magici - iniziò con schiettezza – ma qui c’è da risolvere qualcosa. - roteò il dito su se stesso, poi iniziò a contare – Manca Delfina, giusto? - domandò, ricevendo un cenno sommesso da parte di Brodie. 

- Dove si trova? - chiese Ginevra. 

- Al piano di sotto. - abbozzò Brodie con tono colpevole. 

- Perfetto, allora andiamoci. Dobbiamo indire una bella riunione. - Noah guardò i cinque e, dopo aver fatto cenno con la testa, si avviò verso una delle tante porte, conscio che avrebbe dovuto affrontare un bel labirinto per arrivare a destinazione. 

 

 

ANGOLO AUTORE: 

Ma ciao! Sembrerà strano, ma sto rivalutando questa storia. Cioè, quando l’avevo finita non mi piaceva, la sentivo troppo frettolosa e poco dettagliata. In effetti si poteva fare di meglio, ma ad essere onesto penso sia un prodotto discreto che mi ha divertito scrivere. 

Le tematiche “più adulte” mi hanno permesso di usare i personaggi con un senso, al contrario di quello che accadeva nelle vecchie storie, perciò... beh, in cuor mio sono soddisfatto. 

Spero che voi stessi vi divertiate a leggerla e spero vivamente vi piaccia 😉 

Detto ciò, solita storia: se qualche frase è sovrapposta è colpa di Libre Office, ho provato a sistemare il tutto ma, ehi, nessuno è perfetto. 

Alla prossima! 

   
 
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