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Autore: SkyDream    16/11/2020    8 recensioni
[IwaOi]
Oikawa sentì la mente cominciare ad annebbiarsi sempre più, era diventato tutto buio e degli sprazzi di luce gli saltavano dietro le palpebre chiuse.
Come luci di emergenza durante un cortocircuito.
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«Smettila di prenderti sulle spalle dei pesi che non sono tuoi, idiota! Una squadra funziona bene quando tutti gli ingranaggi combaciano, non puoi pretendere di essere l’intero orologio.» Hajime si morse un labbro, era snervante.
Dopo tanti anni non aveva ancora imparato come riattivare Oikawa dopo un black out.
Ogni volta temeva di sbagliare, di buttarlo giù anziché risollevarlo. Il confine tra le due cose era flebile, lo sapeva.
Sfocato come quando dimentichi gli occhiali e provi a leggere.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si ringrazia musa07 per avermi ispirato questa introspettiva! Sei stata davvero preziosa ❤

~ Cortocircuito ~
[IwaOi]


Mi sento come quando piove con il sole
Provo fastidio ma nessuno da incolpare
Mi sento come quando piove con il sole
Non c'è una nuvola ma mi sembra di annegare
 
 
Oikawa chiuse gli occhi e inspirò profondamente, sentiva l’aria entrargli nei polmoni e fermarsi lì, al centro del petto.
Con le mani cercò il muro dietro di sé fino a sfiorarlo, lo sentì freddo contro le scapole prima di scivolarci contro e sedersi sul pavimento umido.
Preferì l’angolo posto in fondo al bagno, quello nascosto a tutti e che solo un occhio attento avrebbe notato.
Portò le mani sulle mattonelle ai suoi piedi spingendo contro di esse, quasi potesse finire al piano inferiore per pura magia.
Espirò, buttò via tutta l’aria finchè la testa non prese a girargli.
Si sentiva la febbre. Come ogni volta.
La Johsai aveva vinto, perché stava in quel modo?
Tutti i suoi compagni stavano festeggiando dal lato opposto della palestra, perché lui non era lì con loro?
Oikawa sentì la mente cominciare ad annebbiarsi sempre più, era diventato tutto buio e degli sprazzi di luce gli saltavano dietro le palpebre chiuse.
Come luci di emergenza durante un cortocircuito.
Portò la fronte sulle ginocchia e inspirò di nuovo, ringraziò la finestra aperta sopra di sé, gli permetteva di sentire dell’aria fresca almeno.
Dopo quel pensiero stranamente positivo, improvvisamente il buio tornò a ripiombargli davanti.
Gli sprazzi.
I tumulti.
Oikawa sollevò un braccio in aria per dare un pugno al pavimento, il dolore lo avrebbe distratto almeno un po’.
Ma qualcosa, anzi, qualcuno, lo afferrò.
«Se ti farai del male da solo, sappi che io te ne farò di più».
La voce di Iwaizumi lo convinse a demordere, si lasciò andare ancora di più contro quell’angolo angusto e riportò, delicatamente, il suo braccio sopra la testa.
«A costa stai pensando?» Gli chiese raggiungendolo a terra, Iwaizumi incrociò le gambe davanti a sé.
«Quel punto, quel maledetto punto.» Oikawa aveva affondato le dita tra le proprie ciocche castane ancora umide di sudore.
«E’ stato un errore, Tooru. Li commettiamo tutti».
«Se avessi colpito con un raggio di circa cinque gradi in meno, non sarebbe finita fuori».
«Tooru …».
«Gli abbiamo praticamente regalato un set».
«Abbiamo vinto. Tooru Oikawa, abbiamo vinto la partita, okay?» Hajime non ci aveva fatto l’abitudine, per quanto ormai conoscesse il suo Capitano e sapesse esattamente cosa frullava in quella testolina complessa.
Erano sensi di colpa.
Erano bramosia e voglia di migliorarsi per raggiungere un grado di perfezione ideale quanto platonico.
 
 
Io sono qui, t'aspetto
Siamo in tanti, seduti distanti e arrivati in orari distinti
E tutti quanti convinti
di essere arrivati per primi
 
 
 
«Sei davvero uno stronzo egoista, lo sai?» Iwaizumi sospirò, poi allungò le gambe davanti a sé e portò le braccia dietro la nuca, in una posizione annoiata.
La frase ebbe l’effetto sperato e Oikawa sollevò la testa nella sua direzione con aria interrogativa.
«Ti comporti come se solo tu ti sentissi così, come se solo tu sbagliassi. Anche io rimugino su ciò che ho fatto, ciò che ho sbagliato. E come me lo fa ogni singolo componente della squadra, e lo sai benissimo tu. Li conosci meglio di chiunque altro».
Hajime era stato sincero, non aveva senso nascondere le proprie paure e le proprie debolezze con lui. O almeno, poteva permetterselo solo per la profonda amicizia che li legava.
E perché, se si fosse azzardato a prenderlo in giro, lo avrebbe utilizzato come pallone sul campo.
«Non è colpa degli altri, sono io che devo portare in cima la squadra. Dovrei dare l’esempio.» Tooru poggiò il mento sulle sue braccia e prese a fissare il muro azzurro di fronte a sé.
Con quel testardo di Iwa-chan accanto, notò, il mondo aveva smesso di vorticare.
Era stabile su quel pavimento immobile.
«Smettila di prenderti sulle spalle dei pesi che non sono tuoi, idiota! Una squadra funziona bene quando tutti gli ingranaggi combaciano, non puoi pretendere di essere l’intero orologio.» Hajime si morse un labbro, era snervante.
Dopo tanti anni non aveva ancora imparato come riattivare Oikawa dopo un black out.
Ogni volta temeva di sbagliare, di buttarlo giù anziché risollevarlo. Il confine tra le due cose era flebile, lo sapeva.
Sfocato come quando dimentichi gli occhiali e provi a leggere. E non capisci se il rigo è quello esatto, troppo vicino a quello sopra e a quello sotto.
«Non sono solo, vero?» La voce di Oikawa arrivò con qualche minuto di ritardo, giurò di averlo sentito sorridere.
«Hai l’intera Johsai dalla tua parte, e lo sai bene. Hai sbagliato un servizio, capita a chiunque. Tu non fai eccezione, Bakawa».
Tooru cercò i suoi occhi piccoli e, dopo averli trovati, si sforzò di sorridere.
«Torniamo a casa, Iwa-chan?».
«Se mi chiami ancora così, ti ci porto a calci nel sedere».
 
 
Senza mezzi toni
Lividi in faccia, ci siamo rifatti il naso
Ma a voler essere corretto
Il senno era deviato, non il setto
E guarda il caso ha voluto che fossimo salvi
Ma salvando ha sovrascritto su file precedenti
Prima di noi non è rimasto più niente
 
 
 
Tooru si era ritrovato il naso gonfio e sanguinante. Forse sentiva del dolore, ma non ne era sicuro.
Alzò gli occhi e vide Iwaizumi tenersi il pugno in una mano. Avrebbe giurato che stesse piangendo, ma non riuscì a dire nulla.
Inoltre, avrebbe dovuto accorgersene, il sangue gli era ormai arrivato al mento coprendo totalmente le labbra e macchiando la maglia verde marino della Johsai.
«Se ti farai del male da solo, sappi che io te ne farò di più. Te lo avevo già detto, no? Sei davvero un … idiota!» Tuonò lo schiacciatore senza voltarsi. Non sarebbe riuscito a farsi scendere l’immagine di Tooru che sanguinava per colpa sua.
Il dolore alla mano, però, era pulsante e sentiva fin troppo bene il punto esatto in cui la sua pelle aveva colpito il viso dell’altro.
Ma non ci aveva visto più.
Aveva perso il senno quel pazzo di Oikawa. Era piena notte, avrebbe dovuto essere a letto, non in quella fredda palestra, da solo, a fare servizi a vuoto.
«Come hai fatto a trovarmi?» Tooru non si preoccupò minimamente del sangue che continuava a scendere, sembrava continuare a non accorgersene.
Era troppo preso a fissare gli occhi lucidi di Hajime.
Lo aveva visto piangere così poche volte, da non ricordare nemmeno come si trasformasse il suo volto in quelle occasioni.
«Preoccupati di questo solo quando un giorno non ci riuscirò».
Iwaizumi si morse la lingua per quello che aveva appena detto, poteva essere interpretato in troppi modi.
Tooru si avvicinò, lento e silenzioso come un fantasma, fino a poggiare una mano tremante sulla spalla del suo amico.
«Mi dispiace, Iwa-chan, non volevo coinvolgerti».
Hajime sussultò a quelle parole. Si sarebbe aspettato molte cose, ma non quello.
Il setter sentì la testa farsi sempre più pesante, le gambe sempre più molli. Ebbe il tempo solo di identificare qualche goccia di sangue che scivolava a terra.
Le ginocchia, già malandate e stressate dal continuo allenamento, cedettero su se stesse facendolo oscillare in avanti.
L’ultima cosa che vide fu proprio il viso del suo amico, i suoi occhi lucidi spalancati in un’espressione sorpresa.
Iwaizumi si ritrovò il corpo di Tooru tra le braccia, privo di sensi.
La stanchezza, il digiuno e quell’emorragia nasale lo avevano decisamente steso. Lo portò delicatamente a terra, rialzandosi poi per prendere degli asciugamani.
Gli tamponò la ferita che lui stesso aveva creato, gli sollevò i piedi e lo chiamò, a voce bassa, finchè non lo rivide riaprire gli occhi.
«Smettila di pretendere così tanto, Tooru. La Johsai non ha bisogno di un altro Capitano, ma se continui a fare così mi costringi a prenderti a pedate fino ad Osaka».
L’altro sorrise, ancora debole.
«A volte sembri tu il vero capitano, Iwa-chan. Anche se hai modi un po’ burberi per richiamare i tuoi sottoposti. Dovresti sforzarti di essere un po’ più dolce con me».
Risero entrambi. Iwaizumi palpò il naso gonfio dell’altro, non sembrava rotto.
Aveva fatto un lavoro niente male, costatò.
«Non averti preso a pedate è già segno di dolcezza, idiota. Durante la settimana c’è bisogno di un giorno di riposo, o tutto il tuo corpo ne risentirà e le tue prestazioni saranno tremende.» La voce di Iwaizumi si sparse debole per tutta la palestra.
«Lo so».
«Non mi pare proprio!».
Oikawa sorrise e riuscì a sedersi accanto al suo amico, portò la testa sulla sua spalla.
Chiuse gli occhi e si accorse che la crisi non c’era più. Il cortocircuito era rientrato.
«Grazie, Iwa-chan».
Rimasero in quella posizione tutto il resto della notte. A parlare come se, prima di allora, non si fossero mai conosciuti davvero.
 
 
Cala la notte su tutta la Terra
E io continuo a pensare
Di avere vinto la guerra
Ma poi non riesco a dormire
 
 
Se Iwaizumi lo avesse scoperto, Tooru avrebbe potuto scegliere i vestiti da indossare al proprio funerale.
Inspirò e poi buttò fuori l’aria.
Avevano perso la partita più importante, non sarebbero arrivati ai nazionali.
La sua mente, quindi, continuava a ripetere passo passo ogni singola mossa e tecnica che aveva messo in campo.
Ma era sbagliato. Non doveva rimuginare sui suoi errori.
Chiunque li commetteva, il suo amico lo ripeteva sempre come un mantra.
“Kageyama non mi pare proprio il tipo da errori, però.” Si disse risentito mentre si sforzava di scivolare sotto le coperte.
Non riusciva a riposare e non aveva nessuno con cui chiacchierare. Tutta la Johsai era provata da quella lotta all’ultimo set e, proprio per lo sconforto immane, si era addormentati immediatamente.
“Non devo alzarmi, se mi alzerò Iwa-chan mi sentirà e mi farà un’altra delle sue strigliate.” Oikawa deglutì a vuoto e riprese a fissare il soffitto.
Aveva visto Hajime piangere dopo la partita, lo aveva visto portare un pugno al muro e quelle lacrime scorrere sul suo volto.
Non se lo sarebbe aspettato, aveva sempre avuto la sensazione che per Iwa-cha la pallavolo non fosse che una distrazione, un passatempo.
Invece sembrava esserci rimasto sinceramente male per quell’amara sconfitta.
Forse, per quella volta, Hajime si sentiva esattamente come lui.
Tooru scivolò fuori dalle coperte e infilò una felpa tirando su il cappuccio. Il futon del suo amico era poco distante dal suo. Al solito.
Si accovacciò di fronte a lui: sembrava dormire, aveva l’espressione rilassata e le labbra schiuse.
Era così strano non vederlo incazzato come sempre. Tooru sorrise e provò l’immensa voglia di toccargli una guancia per verificare che fosse reale.
«Che vuoi?» Sussurrò a bassa voce quello, rivelandosi decisamente più sveglio del previsto.
Tooru sobbalzò per la sorpresa e si ritrovò con il sedere a terra. Hajime aprì un occhio, fulminandolo.
«Stai male?» Chiese stranamente preoccupato. Era inusuale ritrovarsi Oikawa ad un palmo dal naso in piena notte.
«No, sono solo venuto a vedere come-» Tooru scostò lo sguardo e fece per tornarsene nel suo futon. Il tutto poteva essere interpretato molto male.
Hajime si sollevò da sotto le coperte e cercò il suo sguardo, era sinceramente confuso.
Tooru, seduto per terra e con quella felpa troppo grande, sembrava davvero un bambino indifeso.
Una scena così lontana da quella del perfetto Capitano che porta in vetta la squadra.
In un moto di sincera tenerezza, Hajime gli fece spazio e lo invitò sotto le lenzuola.
«Vuoi che rimanga con te?» Tooru sgranò gli occhi e, giurò a se stesso, sentì le guance in fiamme.
«Almeno sarò sicuro che passerai la notte a dormire e non a zonzo ad allenarti o a riguardare la partita!».
«Non avevo intenzione di guardare la partita e andare a zonzo!».
«Ah sì? Dimmelo di nuovo guardandomi negli occhi, se ci riesci!».
«Iwa-chan, sei tremendo!».
«Tu sei un idiota!».
Tooru lo guardò in cagnesco e si accomodò al suo fianco. Il futon era piacevolmente caldo e il corpo di Iwaizumi rilasciava un tepore che poteva sentire bene sulle sue mani infreddolite.
«Vedi di dormire adesso, non ho intenzione di farti da balia».
Hajime ringraziò l’oscurità della notte per avergli permesso di arrossire senza che nessun essere vivente lo vedesse.
La vergogna sarebbe stata troppo grande per poterla reggere.
Sentì le mani di Tooru farsi sempre più vicine, non resistette all’impulso e ne sfiorò una. Era fredda, il dorso leggermente screpolato.
Si era soffermato un secondo di troppo, pensò, così per rimediare si disse che sarebbe bastato afferrare il polso e uscirsene con una frase ad effetto.
«Iwa-chan?» Sussurrò l’altro con un cipiglio sorpreso quando sentì la mano dell’altro prima sfiorare la propria e poi afferrarla con decisione.
«Buonanotte!» Fu tutto quello che riuscì a dire l’altro prima di voltarsi e dargli le spalle. Era davvero imbarazzante quella situazione.
Oikawa non riuscì a trattenere un sorriso e allungò le mani sulla schiena del suo compagno, avvicinandosi fino a sfiorarle.
Chiuse gli occhi e finalmente scivolò nel sonno.
Quel tepore e quelle spalle imponenti sembravano aver spento le mille luci che gli affollavano la mente durante le sue crisi. Mentre dormiva, con la mente in chissà che sogni lontani, il suo corpo lo portò sempre più vicino alla schiena di Iwaizumi, fino a circondarla totalmente.
L’attaccante sentì quel peso dietro di sé, ma lo lasciò fare. Se una cosa così banale poteva servire a tranquillizzare Tooru, avrebbe continuato senza problemi.
Anche tutta la vita.
Il suo cuore gli urlava di voltarsi e stringerlo, di tuffare il viso su quei capelli morbidi.
Ma il suo orgoglio glielo impedì, ordinandogli di tornare a dormire.


 
 
Giurami che veglierai con me
Se no poi domani saranno guai
 
 
«Vedi di non farti arrestare, per favore.» Iwaizumi si stese sul letto del suo amico e rimase lì a fissarlo mentre l’altro, con le mani ai capelli, guardava l’armadio.
Che cavolo doveva portare in Argentina?!
«Mi sto dimenticando qualcosa, ne sono sicuro!».
«Il cervello lo hai messo in lista? Credo potrebbe servirti!» Hajime sospirò e tornò a stendersi su quei cuscini ormai familiari. I suoi occhi finirono sul soffitto bianco e sulla macchia d’umidità che ormai conosceva bene. Se chiudeva le palpebre avrebbe potuto elencare ogni singolo oggetto presente nella stanza e il punto esatto in cui era posto.
Oikawa era sempre stato precisissimo, non solo nelle alzate.
Era preoccupato per il suo amico, l’Argentina era veramente lontana.
“E se le lucine d’emergenza tornassero? Come farà da solo?” Pensò senza mollare il soffitto bianco. Si sentiva impotente.
Aveva sempre protetto quell’idiota di Tooru, gli era stato accanto durante le crisi d’ansia, lo aveva sostenuto dopo le vittorie e le sconfitte, lo aveva accompagnato alla fisioterapia quando si era infortunato.
Ogni mattina si assicurava che stesse bene, che mangiasse adeguatamente.
Come avrebbe fatto senza quella testolina castana che gli ronzava intorno da una vita?
«Questa voglio portarla!» Oikawa tirò fuori la sua vecchia maglietta degli allenamenti, quella verde marino della Johsai.
«Quella? E’ vecchia e rovinata, idiota. A cosa potrebbe mai servirti in Argentina?» Iwaizumi aveva abbassato lo sguardo su quella valigia troppo piena.
Sembrava quasi che Tooru stesse partendo per sempre.
«Per dormirci la notte, potrei usarla come pigiama. Tanto farà caldo, no?».
Il setter riuscì a infilarla, in qualche modo, tra i bagagli. Tornò poi dentro l’armadio.
«Non potresti portarti un pigiama vero al posto di una maglia sgualcita?».
«E’ la nostra maglia sgualcita! Non voglio lasciarla qui!».
«Come sei sentimentale oggi, ti stai forse pentendo di questo colpo di testa?».
Oikawa si girò verso di lui con lo sguardo tremendamente ferito.
Seguì un silenzio interminabile.
«Colpo di testa? Hajime, non sei contento per me?» La voce con cui lo chiese avrebbe fatto sciogliere chiunque, compreso il suo attaccante che si ritrovò a riemergere dai cuscini e a mettersi una mano in fronte per non prenderlo a sberle.
«Certo che sono contento per te, Bakawa. Solo -.» Non riuscì a finire, la frase gli morì in gola insieme al coraggio.
«Solo?».
«Chiamami se succede ancora, okay?».
Gli occhi di Tooru si spalancarono in un’espressione sorpresa. Iwaizumi era davvero preoccupato per quello?
Sentì qualcosa pungolare nel petto e si fiondò sul materasso al suo fianco. Tornarono a guardare il soffitto bianco, con quella maledetta macchia d’umidità che era rimasta lì ormai da anni.
«Non succederà, te lo prometto».
«Oh, ma smettila! Non fare promesse che non puoi mantenere!» Hajime sbuffò sonoramente provocando la risatina dell’altro.
«Puoi scommetterci! E tornerò anche a prenderti!» Tooru si godette l’espressione confusa del suo amico.
«Che diavolo stai dicendo?».
«Sto dicendo che qui in Giappone stiamo stretti tutti e due. Abbiamo bisogno di spazi più grandi. Andrò in Argentina, mi farò conoscere e poi troverò una squadra disposta a prenderti!».
«Idiota, lo sai che ho chiuso con la pallavolo. Mi sono iscritto all’università, per i prossimi due anni dovrebbe bastare».
Tooru rise, stavolta un po’ più forte, irritando il suo amico.
«Non ti vedi proprio come allenatore, Iwa-chan?».
Hajime inarcò un sopracciglio e lo guardò con espressione confusa. No, decisamente non ci aveva pensato.
«Dai, Iwa-chan! Sul campo sei sempre sicuro di te, riesci a dare direttive senza sembrare un Re dispotico e hai ottime capacità organizzative. Chiunque ti vorrebbe come allenatore, e lo sai».
«Bakawa, non so leggere nella mente degli altri né comprendere le loro abilità come fai tu. Se c’è qualcuno qui che diventerà un allenatore, di certo non sono io».
Oikawa sospirò e si voltò verso il suo amico. Pur di averlo al suo fianco, sarebbe stato disposto a trovargli qualunque impiego volesse.
Ma era inutile, l’idea di vederlo ad allenare una squadra non voleva abbandonare il suo cuore.
«Sei sempre stato un testone, Hajime! Spero di trovarti un po’ più malleabile quando tornerò!».
Il silenzio che cadde fu addirittura più pesante del precedente. I loro respiri si sentivano echeggiare per tutta la stanza.
«E quando tornerai?».
Quella domanda rimase sospesa.
Non aveva ancora avuto il coraggio di buttarla fuori, non voleva sembrare … affezionato fino a quel punto.
Ma la verità era che ci teneva da morire a quell’idiota e che vederlo preparare i bagagli per l’Argentina gli aveva tolto il sonno ormai da giorni.
«Presto» Fu la risposta secca dell’altro.
Oikawa si sollevò e raccattò due pigiami dal cassetto, riposò però una maglietta e uscì nuovamente la divisa della Johsai dalla valigia.
«Che stai combinando adesso?».
«Questi te li puoi mettere tu, in bagno trovi gli asciugamani se ti servono. Lo spazzolino è nel secondo ripiano a destra, accanto allo specchio».
Oikawa si cambiò come se nulla fosse davanti gli occhi increduli del suo amico che, ancora confuso, si era ritrovato la maglietta verde marino e dei pantaloncini in mano.
Era un chiarissimo invito a rimanere per la notte.
Proprio poco velato, cosa stranamente inusuale per il caratterino di Oikawa.
«Che ti è preso?».
«Domani ho un aereo da prendere, anzi due. Cerca di essere un po’ gentile e fammi contento!».
Iwaizumi si lasciò scappare un sorriso e si cambiò indossando quella maglietta un po’ troppo stretta sui bicipiti.
Si chiese come mai avesse scelto di dargli proprio quella, avrebbe potuto tenerla pulita e stirata in valigia.
Aveva un sospetto, ma preferì tenerlo per sé.
Se avesse avuto conferme, lasciarlo andare in aeroporto sarebbe stato solo più difficile.
 
Tooru spense le luci e si infilò sotto le coperte del suo materasso a due piazze. Vedere Hajime con la sua maglietta gli provocava uno strano effetto al centro del petto e non solo.
Poteva vedere quei bicipiti ben tesi, i muscoli del torace che si spandevano sotto i respiri profondi dell’altro, lo schermo del cellulare che gli illuminava il volto corrucciato in un’espressione concentrata su chissà quale dilemma.
Tooru si chiese come avrebbe fatto a salire su un aereo sapendo di lasciare al Giappone un’emozione così intensa.
Ma sarebbe tornato e lo avrebbe portato con sé.
Lontano dalla sua famiglia piena di pregiudizi, da quei luoghi che li avevano visti crescere come migliori amici.
Sarebbero maturati lontano da lì, in un posto nuovo, ancora da esplorare e da marchiare a fuoco.
Forse avrebbe perfino avuto il coraggio di parlargli, una buona volta, e vuotare il sacco.
I suoi sentimenti si erano ingigantiti negli anni, e tutto era andato a rotoli più del solito dopo la loro ultima partita e quella notte passata fianco a fianco.
Non era la prima volta che dormivano insieme, da bambini accadeva spesso, ma mai aveva provato quel brivido mentre riposava sulla schiena dell’altro.
«A che stai pensando?».
Oikawa tornò sulla Terra e guardò confuso l’altro, ancora intento ad armeggiare su chissà quale social.
«Ai cortocircuiti. Non mi è più capitato da quella partita con la Karasuno».
«Forse perché abbiamo giocato solo amichevoli?».
No.
No, c’era dell’altro.
Iwaizumi gli aveva fatto capire che perfino una sconfitta importante come quella non era la fine del mondo.
Che ognuno di loro aveva comunque trovato la propria strada, che lui sarebbe partito comunque e che non aveva reciso alcun legame quella sconfitta.
Anzi, tutti sembravano guardarlo con più tenerezza, con più affetto.
Tutti i suoi kohai si erano stretti attorno a lui, sostenendolo, e Hajime non era stato da meno.
Lo aveva promesso: Sarebbe rimasto per sempre il suo unico setter. Non ne voleva altri.
E così Tooru aveva smesso di andare in cortocircuito, non si era più rintanato a terra né aveva provato la spasmodica voglia di allenarsi in piena notte per spegnere quelle luci che gli divoravano la mente.
Ma non poteva dirlo.
Non in quel momento. Le luci d’emergenza si erano spostate nello stomaco e si stavano ribaltando.
«Forse è meglio se dormiamo, o domani perderò l’aereo».
«E’ l’unica occasione che ho per liberarmi di te, non sia mai che fallisse!».
«Sei uno stronzo, Iwa-chan!».
«Mai quanto te che parti per l’Argentina».
 
E quella notte non dissero più nulla, rimasero svegli entrambi fingendo però di dormire, Oikawa si accoccolò sul petto dell’altro, all’altezza del numero uno che spiccava sulla sua maglia.
Avrebbe profumato di loro due e gli avrebbe ricordato il vero motivo per cui stava partendo.
Sorrise, nascondendo le piccole lacrime che minacciavano di uscire.
Sentiva il petto del suo amico scosso da singhiozzi che cercava di trattenere.
Ma era solo per poco tempo, lo giurò a sé stesso, sarebbe tornato.
«Andremo via insieme.» Lo sussurrò come un giuramento mentre, per l’ennesima volta, si aggrappava a lui.
 
 
Mi sento come quando piove con il sole
Non c'è una nuvola ma mi sembra di annegare


Angolo autrice: Spero che qualcuno di voi abbia riconosciuto "Lettera al prossimo" degli "Eugenio in Via di Gioia", sicuramente una delle loro canzoni più belle.
In questa fanfiction Oikawa mostra chiaramente i segni dell'ansia da prestazione ma anche, seppur lievi, i segni del disturbo d'ansia.
Non sono propriamente del settore, per cui, nel caso in cui ci fossero errori, vi chiedo di segnalarmeli senza problemi.
Mi andava di parlarne, di mostrare anche quanto sia difficile per Hajime star vicino a Tooru.
Non tanto per il suo comportamento, quanto per la frustrazione di non sapere come aiutarlo.
E' una dinamica che spesso ci coinvolge, e trovo giusto far capire che non si è i soli a vivere queste esperienze.
E soprattutto, credetemi, se ne esce.

Un bacio e, come avevo già promesso, in arrivo valanghe di fluff Kagehina e un triangolo amoroso a tema Bokuaka!
Sì, se ve lo state chiedendo, sto studiando. Giuro che sto studiando! :')

A presto!
   
 
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