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Autore: zorrorosso    16/11/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21

Ex Machina

 

Orleans, Aurelia Francese, cittá originaria della civitá romana. 

Proprio lì, il Comandante Rochefort trovava, di solito, quel senso di ordine e rassicurante ritorno dopo un un lungo viaggio. Era passato del tempo, per certo, ma quello non era stato affatto un viaggio dalle lunghe distanze.

 

Il breve tratto di strada, non sarebbe dovuto essere cosí lento, non più di una giornata al passo e ancora meno al galoppo. Se soltanto avesse portato con se meno uomini e meno cavalli.

E invece rimaneva costretto a tardare la sua partenza nella mattinata, per accontentare i suoi uomini più stanchi, che avevano passato la notte in piedi, a festeggiare, per le strade del villaggio.

 

Un villaggio nel quale non avrebbe voluto alloggiare per nulla al mondo, ma era stato costretto obbedire alla maggioranza. Tutto ciò non aveva un senso: era lui il Comandante, come si era ridotto a dover accomodare i voleri dei suoi uomini? Qualcuno avrebbe dovuto pagare per questa umiliazione, ma c’era ancora tempo per questi altri piani, per amministrare le dovute punizioni. Per adesso, era soltanto giunto il momento di fare ritorno.

 

La sua missione era arrivata al termine e non voleva veramente rimpiangere una scelta del passato alla quale era impossibile rimediare, meglio andare avanti e pensare dopo.

 

Soltanto due ore di strada e le truppe si dovevano nuovamente fermare e dovevano essere nuovamente riprese: cavalli già stanchi, armamenti disordinati. Alla gioventú e salute delle sue truppe, coincideva altrettanta inesperienza e confusione: tempo perso a riallineare le schiere, ad aspettare risvegli ed armamenti. Al loro nuovo battibecco e diserzione, ad un’altra delle loro nuove pigrizie, il Comandante arrese la vista e le orecchie, scosse la testa in un senso di disgusto e disonore, distolse lo sguardo sospirando e sognando le stanze pacifiche e accoglienti di Palazzo Richelieu.

 

Un combattente, un soldato, che contava il doppio o il triplo dei loro anni non avrebbe certo perso tempo! Avrebbe avuto sia l’esperienza del combattimento, che la fretta di tornare indietro. Peró non avrebbe avuto la stessa forza o la stessa vista e, soprattutto, avrebbe contrapposto le scelte del Comandante con molto piú vigore e con la logica di una personale esperienza.

 

A lui non piaceva pensare troppo alle filosofie degli altri, essere giustamente contraddetto e rispondere al dibattito. Non aveva voglia di superare in astuzia soldati pronti a contestare le sue decisioni: un comandante andava obbedito, senza troppo pensare, senza critiche. 

 

Un soldato troppo vecchio e troppo testardo, capace di propri pensieri, capace di negare un ordine e questionare la sua parola, andava sostituito con uno più giovane, dalle gambe migliori e il giudizio... 

 

Quale giudizio? Il Comandante era la voce della coscienza e del giudizio, la sua scelta dettata da Richelieu, dalla fortuna e da Dio! 

 

Forse era meglio se quei giovani non avessero mai avuto un giudizio e, se mai fosse arrivato il giorno in cui i loro cervelli avessero davvero cominciato a funzionare, andavano trattati allo stesso modo in cui lui aveva sempre trattato i soldati più esperti: come soldati vecchi, dalle gambe deboli, malati e dunque pronti ad essere subito sostituiti con truppe più giovani e in salute.

 

Pazienza, virtú dei forti, avrebbe dovuta trovarne fin troppa per un solo giorno di viaggio, così breve e allo stesso tempo interminabile. 

 

L’attenzione di Rochefort abbandonò i suoi uomini, in cerca di un ristoro silenzioso, una camera tutta per se dove poter distendere le spalle doloranti, o altre compagnie più gradevoli, e tornò col suo sguardo in avanti, verso l’orizzonte. 

 

Una volta fermi sulla strada cittadina, proprio all’angolo di un incrocio che portava verso una delle prime taverne, notó le vesti azzurre dagli orli impolverati ed un volto familiare, di poco lontano, colsero i suoi interessi. 

 

Santi Numi! Ricordava di aver visto quella ragazza non troppo tempo prima, a Parigi! Era...

 

Il Comandante raddrizzò le spalle, spronò leggermente il suo cavallo e si avvicino a quella vista insolita. Una volta riconosciuta, i loro sguardi si bloccano l’uno sull’altra e lei non sarebbe potuta più scappare alle sue reverenze. Scese da cavallo e si avvicinò. 

Per quanto fosse sorpresa di essere riconosciuta in quella città da un uomo come lui, l’attenzione della ragazza sembrava essere rivolta vagamente altrove.

 

“Mademoiselle?”- chiese lui con inchino di discrezione.

“Comandante?”- disse lei, con lo stesso tono di apparente spavento.

 

“Vi vedo leggermente stanca. Cosa fate per le strade di questa cittá? Cosa vi porta cosí lontano da Palazzo Reale?”- chiese lui, scrutando attentamente i suoi modi nervosi e preoccupati.

 

“Che dite! Non siamo mica poi così lontani! Non più di due giorni di strada a piedi, uno a cavallo. Voi stesso arrivereste a Parigi domattina, ancora prima dell’alba, se vi metteste in viaggio proprio adesso!”- Constance sorrise, ma non lasciò mai il suo sguardo: gli occhi di lei altrettanto attenti su di lui. Qualche cosa tradì l’apparente serenità della ragazza.

 

Rochefort cercò di notare la ragione di quella preoccupazione, lo strano nervosismo negli occhi della giovane dama, ma si distrasse quando le parole appena pronunciate, puntarono direttamente verso le sue stesse preoccupazioni, la causa dei suoi stessi mali. 

Infastidito da quei pensieri, sospirò digrignando i denti, in un rumore che ricordò quello del ringhiare di un animale colpito di nuovo nella piaga aperta dai mali che lo affliggevano e che stentava a guarire.

 

“Nulla mi porta così lontano, è solo una semplice scampagnata”- si giustificò lei.

 

“Da sola, per le strade di Orleans?”- chiese, in un tono di sorpresa.

 

Entrambi sapevano che, incontrarsi in una città del genere, non era come incontrarsi per le strade di Parigi: tutt'altra città e tutt’altro ducato. Eppure non un ducato qualunque, quello del contendente al trono di Francia, fermato alla sua ascesa al trono soltanto qualche anno prima, grazie ai complotti di Richelieu.

 

“Ne siete proprio sicura?”

 

Constance sorrise di nuovo, senza rispondere.

Rochefort voltò lo sguardo dietro di se, verso le porte della città attraversate qualche attimo prima. Come se avesse riconosciuto la strada futura che la dama avrebbe dovuto percorrere per arrivare alla sua destinazione.

 

“Che dico, ci troviamo proprio verso la porta dell’Ovest, quella che dà su Meung e Beaugency! A proposito della Torre del Diavolo...”- il comandante si interruppe.

 

Constance esitò un solo attimo, ma il nome incuteva in lei le stesse ire, la stessa ansia che l’aveva portata ad Orleans, in quel giorno di viaggio tra le piatte banche e pianure della Loira. 

 

“Dai vostri occhi sembra che il villaggio non vi è nuovo. Non dite che siete diretta proprio a Beaugency! Anche voi?”

 

Rochefort alzò le sopracciglia, corrugando la fronte, notando l’espressione sul volto della ragazza. 

 

Constance deglutì.

 

“Certo, Beaugency. Sto andando proprio in quella direzione. Ho...”

 

Le bugie della ragazza si fermarono nella sua gola, così come il respiro. Si interruppe, pensando a quello che avrebbe potuto dire. Se aveva lasciato i moschettieri e D’Artagnan perché avevano perso fin troppo tempo, di certo le guardie di Richelieu e le loro preoccupanti intenzioni, non sarebbero mai arrivate in suo aiuto. 

 

Pensò attentamente al pericolo che stava correndo, all’idea di essere interdetta nella sua missione una volta che la collana fosse stata scoperta. Un’altra serie di domande, un interrogatorio piú accanito, ma se il comandante avesse scoperto la ragione per la quale si trovava ad Orleans ed il suo intento di ritornare a Parigi, in quel momento, se avesse anche solo avuto il sospetto di quello che il Cardinale stava davvero cercando...

 

“Parenti, amici, anche da quelle parti”- disse, tendendo le labbra in un falso sorriso. 

Lo sguardo di Rochefort si strinse, diventando ancora più sottile e tagliente.

 

“Che strana coincidenza”- disse lui, con uno strano sibilo.

 

Il Comandante attese qualche attimo. La situazione, da noiosa e formale, si stava facendo vagamente più interessante, se non per il fatto di capire le vere intenzioni della dama.

 

“Vi accompagnerei volentieri, ma siamo proprio di ritorno da quel villaggio e, sinceramente, non trovo nulla di interessante da ricordare proprio laggiù. Si sta già facendo tardi e non ho ragione di tornare indietro, a meno che...”- il Comandante si interruppe, Constance avrebbe dovuto avere una buona ragione per convincerlo a tornare con lei a Beaugency.

 

“Eh, infatti, comandante, non avete ragione di perdere tempo con me, non siete obbligato ad accompagnarmi da nessuna parte!”- la voce della ragazza tremò, mentre le guance ed il naso si contrassero in una piccola smorfia.

 

“Dovrò sembrarvi così sgarbato, ma ahimè, il tempo passa troppo in fretta! Purtroppo, mentre voi andate avanti per la vostra strada, io devo già tornare indietro, Richelieu aspetta mie notizie”- Rochefort sembrò avanzare, sporgersi in avanti per inchinarsi in un cenno di saluto, abbandonare la ragazza a se stessa e non perdere altro tempo, ma in quel momento si rialzò verso di lei e continuò la sua conversazione.

 

“Si dà il caso che in quel villaggio, alcuni membri dell’aristocrazia ospitino certi particolari nobili e invece altri ne hanno eterno riposo. Ed ora anche voi arriverete laggiù. Non sia mai che il vostro arrivo sia motivo di nuove da riportare a Corte... Per la Regina. Forse potrei esservi d’aiuto?”

 

Constance sbarrò gli occhi e scosse la testa. 

Nascose le mani tra le pieghe delle gonne, dicendo:

 

“No, affatto! La Regina non conosce questi miei parenti! Ho lasciato la Corte del Louvre solo per qualche giorno”- disse poi, chinando il capo. 

 

Rochefort annuì.

 

“Certo per incontrare i vostri parenti. A Beaugency. Che posto strano, l'Orléanais, per una famiglia come la vostra, che ha fatto di tutto per insinuarsi alla corte Parigi. Tuttavia, non vedo nessuno accompagnarvi!”- l'uomo sbirció attorno incuriosito.

 

Constance distolse lo sguardo e accarezzò i diamanti della collana nascosta tra le pieghe e le tasche delle sue gonne.

 

“Vi sbagliate! Sono tutti lá fuori! In quella carrozza, anzi! Li sentite? Mi stanno chiamando! Oh povera me! Sono cosí in ritardo!”- la sua voce si spezzò, il fiato si rapprese, mentre cercò nella sua mente e, tra le tasche delle sue gonne, per altre false verità.

 

Il Comandante guardò nella sua stessa direzione, senza notare nulla.

 

“Quanti siete?”

 

D’istinto, si rivolse a lei come se stesse parlando al capitano di un’altra schiera. La dama reagí in tutta fretta.

 

“Fin troppi! Impossibile accontentare sempre tutti in famiglia, vero?! Meglio sbrigarsi o faremo tardi! Aspettate!”- lei distolse lo sguardo per qualche attimo dalla loro conversazione, come se fosse rivolta a qualcuno e fece segno a loro di aspettare, ma nessuno rispose al suo segnale.

 

I tacchi di Constance fecero un balzo indietro e poi subito in avanti, proprio come se la dama stesse offrendo un passo di danza verso un etereo cavaliere e, con un’agilità incomprensibile ai suoi fiocchi impolverati e a quei tacchi troppo alti, abbandonò la vista di Rochefort verso una carrozza che non aveva nulla a che vedere con le vetture destinate ai sovrani.

 

Beaugency tornava di nuovo tra gli argomenti delle sue discussioni. Una dama al servizio della Regina diretta proprio là a breve dalla sua stessa spedizione. Avrebbe dovuto affrettarsi a Parigi e riferire quello a cui stava assistendo a Richelieu? Avrebbe dovuto tornare indietro oppure aspettare? Tardare la sua missione e seguire la giovane dama e i suoi intenti? 

 

Dubbi affollarono il giudizio del Comandante della Guardia Cardinale, ma nessun altro, neppure la tanto adorata Déa Francia, avrebbe potuto portargli consiglio in quel momento.

Preso dalla sorpresa e dalla rassegnazione dell’incertezza, radunò i suoi uomini e, nella completa inedia dei giovani soldati, decise per un’altro tempo di attesa e un momentaneo assedio pacifico delle taverne di Orleans.

 

___________________

 

Inevitabilmente, come per incanto o eterna maledizione, le azioni di D’Artagnan avevano in quel momento fatto per lui una scelta cruciale: aveva scelto il Mostro a Constance, l’oro dei campi di grano alle rive smeraldo e argento della Loira, al di là del ponte per Orleans. 

 

La macchina si era presentata di fronte ai suoi occhi e, con stupore e sorpresa, la sua mente era stata di nuovo sopraffatta: troppo affascinato da quella vista gigantesca ed il complesso meccanismo, D’Artagnan seguì l’orizzonte e l’ombra misteriosa che gli ricordava proprio quella di una nave. Però l’intreccio delle sue assi di vimini non era accompagnato dall’odore del sale e del mare, ma da quello dell’olio, della pietra e del catrame. 

L’odore di una città dall’altra sponda del mare, fin troppo mordace e ancora familiare.

 

La creatura sconosciuta lo oltrepassò rapidamente, l’aria che ne veniva emessa era come un vento, la brezza generata, ma che allo stesso tempo faceva muovere le pale di un mulino e solo una volta lontana potè percepirne la forma, dal lungo collo, come quella di un cigno o un drago, le grandi ali, fatte di legno e di tela.

 

Preso dallo spavento dell’ombra, Ronzinante stentò il passo, sobbalzò nervosamente senza voler raggiungere la destinazione, fino a che non fu costretto a riportarlo verso stalla e proseguire a piedi.

Tra quei campi alti e dorati, anche Porthos ed Aramis stavano raggiungendo la stessa meta. Riconobbe le loro figure in lontananza, camminare più lentamente, di fronte a lui. Quando lo riconobbero, fecero lui cenno di raggiungerlo, ma di agire con calma.

 

Gli occhi di quell’essere sembrarono puntare su di loro, ma non si voltarono quando Porthos ed Aramis aggirarono il suo fianco. I due non sembravano intimoriti dalla sua vicinanza, più che dalla possibilità che ci fosse qualcuno al suo interno. Tuttavia, D’Artagnan continuava a non capire da dove una persona potesse entrare, non capiva se gli occhi che lo osservavano erano veri o le finestre di un mondo interno, costruito di proposito per accomodare la vista di qualcuno.

 

“Dovrebbe trovarsi qui...”- disse Porthos verso Aramis, aggrappandosi ad una specie di becco e, con un semplice balzo aveva già raggiunto parte di un’ala. Una leva, una maniglia che ricordava quella quella del coperchio di una pentola gigantesca, scaturiva da una specie di cupola.

 

Dopo un’attenta esaminazione, accertandosi che non ci fosse nessun altro nei paraggi, Porthos si arrampicò su quelli che sembravano i pioli di una scala ed in cima potè aprire un portello, del tutto simile a quello di una carrozza molto piccola. Si accovacciò e lentamente si strinse dentro la porta, come ingoiato dalla macchina.

 

“Dunque a questo servirono di documenti che Milady ci portò via!”- esclamò poco dopo guardandosi attorno.

 

Gli altri due lo seguirono dentro quella stretta carrozza.

 

“Bisogna ammettere che il creatore di questa cosa ha fatto comunque un ottimo lavoro”- continuò rivolto verso Aramis.

 

“Credete che Milady sia ancora nei paraggi?”- chiese D’Artagnan.

 

“Probabilmente sì, visto che ha assistito al funerale. Potrebbe essere lei stessa o chi per lei ad aver portato questo oggetto proprio qui, in bella vista, forse per una personale ripicca...”- rispose Aramis senza guardarlo. I due cominciarono a scrutare attentamente tutte le leve e gli ingranaggi con cui la macchina era stata costruita.

 

D’Artagnan cercò di riconoscere qualche strumento ed ebbe l’impressione di vedere un orologio, un compasso, una sorta di strumento navale ed una serie di leve in legno e metallo, una a fianco all’altra, come pali di una staccionata, a cui non riusciva a dare un vero e proprio senso. Dall’alto pendevano altre corde, anch’esse con una loro funzione.

 

“Così si aprono le ali”- disse uno, tirando una leva.

 

“Così si manovra la testa”- rispose l’altro, tirando una delle corde.

 

“Per osservare cosa si vede dagli occhi, potete guardare qui”- Porthos, mostrò una specie di scatola, attaccata al soffitto, dalla quale una serie di specchi rifletteva un lato esterno della macchina. 

 

D’Artagnan sorrise, quell’aggeggio impensabile aveva in se qualcosa di sconosciuto e meraviglioso...

 

“State pensando a ciò che sto pensando io?”- chiese Porthos, rivolto ad Aramis.

 

“La nostra peersonale vendetta! L’occasione di farci finalmente giustizia! Accendete quella Pila! Si parte!”

 

“Siete sicuri di potercela fare?”- chiese D’Artagnan ai due.

 

“Se ce l’ha fatta qualcuno da solo a trasportarla per tutta questa strada, non vedo come non potremmo farcela noi, in tre!”- ribatté Porthos, accendendo una specie di fuoco, dentro quella che sembrava una sorta di stufa e poi alterando la posizione delle leve avanti e indietro.

 

La macchina sobbalzò, le ali trovarono nei loro movimenti una sorta di equilibrio quando si sollevò da terra e cominciò a librare verso l’alto, in un movimento che ricordava quello di un vascello sulle onde.

 

  
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