Anime & Manga > D'Artagnan
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Autore: zorrorosso    19/11/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22

Harmonices Mundi 


D’Artagnan guardò i due armeggiare animatamente sulle leve e le corde di quell’apparecchio, la stufa bruciare, su un complesso di oggetti concentrici che, tramite fumo e vapore, roteavano attorno ad altri ingranaggi.

Solo una volta raggiunta una sorta di equilibrio, notando che le ali dell’arnese continuarono a battere autonomamente e senza l’aiuto di leve, i due sembrarono tornare con la loro mente all’interno del carro e ricordarsi della sua presenza.

La stanza all’interno della macchina era piccola quanto una camera da letto, i suoi soffitti altrettanto bassi, costringevano gli altri a chinare la testa e accovacciare le gambe, conservavano il calore proveniente da quella stufa, rendendo l’aria quasi irrespirabile. Un’immagine ormai familiare agli occhi del ragazzo.

 

Porthos riuscí faticosamente a sedersi e raddrizzare la schiena, mentre Aramis si curvó ancora di piú verso la scatola con gli specchi, successivamente su un’altra leva e un’altra scatola, mentre uno sbuffo di aria fresca provení da quest’ultima, risucchiando con se il fumo della stufa verso l’esterno. 

 

“Un aggeggio del genere ci metterebbe soltanto ore per una traversata che, da terra, si completerebbe in parecchi giorni”- disse 

 

“Ore?”- chiese D’Artagnan 

 

Gli altri due annuirono.

 

“Non vi piacerebbe essere dall'altra parte del mondo?”- chiese Porthos.

 

“Vorrei essere dall'altra parte di questo regno. Vorrei comunque mostrare questa cosa a certa gente... In Guascogna!”- D’Artagnan si rivolse ai due con un tono quasi sognante, ma loro erano già al lavoro per trovare la rotta più veloce.

 

“Detto, fatto...”- commentò, indicando Aramis verso una serie di oggetti e carte, addossate dall’altra parte del fuoco. Cercando di tenersi lontano dal fumo, il giovane lesse una delle mappe e i due arrangiarono gli strumenti in modo che potessero cambiare rotta verso le sue terre d’origine, controllarono altre carte e bussole e la forza dei venti, in modo che l’intera struttura rimanesse abbastanza regolare.

 

“Com’è possibile tutto questo?”- chiese il ragazzo, indicando la schiera di arnesi che stavano manovrando.

 

“Automi, Pile e macchine, create per impressionare i sovrani di regni e imperi. Abbastanza rare, ma nulla di nuovo”.

 

Gli ricordò Porthos.

 

“C’è chi ha costruito macchine così perfette da sembrare troppo vere. Leggende che descrivono animali meccanici ed alcuni trattati antichi che ricordano i movimenti automatici provocati dal vapore, come l'eolipila, il cuore di questo meccanismo”.

 

“I disegni sono per mano di Leonardo da Vinci”- disse Porthos.

 

“Dunque è Leonardo da Vinci il creatore di questa macchina?”- chiese D’Artagnan.

 

“Non è lui il creatore originale dell’elica e della sua struttura. Queste sono nient’altro che la conseguenza di un’antichità mai del tutto perduta o il senso innato, inspiegabile eppure logico e meccanico della natura che porta l’umanità sempre alle stesse conclusioni: come i matematici odierni che ancora descrivono le Harmonices Mundi tramite la geometria, decifrando i testi antichi, la sezione aurea”.

 

Con quelle parole, Aramis sembrò correggere Porthos.

 

“Che ragione avete per credere tutto questo? Cosa dà prova che non sia Leonardo il vero inventore di quest’opera e i suoi disegni? In fondo non è proprio lui che ha creato il leone meccanico e la statua equestre?”- chiese lui, di rimando.

 

Aramis annuì, prese aria dal naso e, con un sorriso compiaciuto rispose:

 

“Dovreste guardare in un tempo molto più lontano, antichi rilievi, come quelli della Colonna Traiana, il movimento elicoidale dei suoi fregi non poteva essere dettato che dall’idea di un’elica, un movimento rotatorio come quello della Pila, un nastro che si avvolge un asse, proprio come l’albero motore, la struttura fondamentale di macchine costruite nella Grecia antica”.

 

Porthos sbuffò e gli mostrò il fuoco della stufa che avrebbe dovuto attendere, invece di parlare.

 

D’Artagnan guardò verso l’esterno, notando il sistema che, roteando, faceva battere le ali. Come un’elica che ruota su se stessa e si avvolge sul suo asse, così i fregi della colonna romana ricordavano lui la corda che legava e avvolgeva stretta un animale attaccato ad un palo. Se il nodo e il palo fossero stati stretti e fissi, senza alcuna possibilità di muoversi, nonostante la corda fosse stata abbastanza lunga, sarebbe arrivato il punto inevitabile in cui si sarebbe avvolta solo su se stessa. 

 

Appiattita, e vista dall’alto, questa avrebbe la forma di una chiocciola o di una conchiglia, i cerchi concentrici di un albero tagliato al suo interno, la proporzione dei cerchi avrebbe seguito una definitiva costante. Così come un alveare, anche quello selvatico, non cambia mai la sua struttura interna, così come un fiore d’altra parte mondo, il girasole e la sezione concentrica dei suoi semi, dei suoi alveoli regolari, siano sempre una costante fissa, la sezione aurea, l’impercettibile e inaudibile ritmo che comanda la natura, la vita e il mondo: la Musica Mundana.

 

“Non avrei mai creduto che qualcuno potesse costruire una macchina simile”- disse il ragazzo.

 

“È assaporando il frutto della conoscenza che Eva si rende conto di essere viva e mortale. È una grande responsabilità poiché priva gli esseri umani della loro innocenza e li rende parte attiva del loro destino: è una lama a doppio taglio che può essere usata per il bene e per il male.

Però la nostra conoscenza, sono le nostre esperienze che creano la nostra identità”.

 

Aramis sospirò, il suo compiacimento lasciò spazio ad un ricordo passeggero, il suo sguardo si soffermò per un attimo sulle sue mani aperte, ancora sporche della fuliggine della stufa, come se avessero realizzato qualcosa di concreto, volse lo sguardo verso Porthos e di nuovo verso D’Artagnan.

 

Come l’ignoranza è a volte causa di tante paure, così a volte, la conoscenza di chi, o cosa, ci si aspetta e si ha di fronte, porta coraggio. La macchina su cui stavano viaggiando ne era un certo senso l’esempio: una volta compreso come avesse funzionato, non era più una creatura fantastica, ma un oggetto in grado di essere guidato.

 

__________________

 

D’Artagnan non aveva mai visto tramontare il sole da quell’altezza, le montagne mostravano i colori della roccia e la notte che tardava ad arrivare, così come i pascoli della prima montagna non erano ancora stati ritirati, i greggi di pecore e le vacche nutrite e di solito a riposo.

 

Per quanto la macchina fosse così veloce e non temesse la difficoltà delle strade scoscese, arrivarono alla tenuta dei D’Artagnan nel pieno della notte, lanterne accese, quello strumento ne possedeva fin troppe e potevano essere appese sia al suo interno che all’esterno. Anche queste richiedevano olio e combustibile, ma come se si trattasse di un eterno miracolo, l'eolipila, il cuore che batteva in quello stomaco di assi, rami intrecciati e tele, sembrava averne sempre a sufficienza.

 

D’Artagnan tirò la leva, proprio come aveva visto fare a Porthos, ma questa volta uno spruzzo di combustibile originò dal collo dello strumento, una sorta di acciarino e una mistura dagli odori sulfurei accese una fiamma, allo stesso modo in cui uno sputafuoco meravigliava il suo pubblico.

Questo, dalle dimensioni molto più grandi, continuò a bruciare e illuminare i campi attorno a se nella luce delle fiamme in calda e primordiale. Erano giunti in Guascogna, nel mezzo di un’anonima tenuta montana.

 

Tra il fuoco, i carboni brucianti e muggiti dolorosi, l’odore invitante di carne arrostita fece notare ai tre che il loro fuoco aveva forse incontrato un pascolo. Una lanterna giunse verso il fuoco ed un volto familiare al ragazzo, sbirciò tra gli specchi della scatola.

 

I tre scesero dalla macchina, per essere riconosciuti da qualcuno.

 

“Charles! Ben tornato!”- gridò André, affatto intimorito dall’arnese dietro di loro e dall’incendio poco distante. Non sembrò neppure preoccupato dai campi danneggiati, dalla sofferenza delle povere bestie, alcune arrostite dalle fiamme.

 

Il volto di D’Artagnan sbiancò: vacche?! Animali di un gregge? Non erano sulla tenuta dei D’Artagnan! Erano sulla tenuta del Marchese di Navarra! Cosa avrebbe potuto spiegare ad André, come avrebbe potuto ripagare il danno di aver bruciato i loro pascoli, dopo tutto quello che era successo?

 

André alzò le spalle.

 

“Non preoccupatevi, parlerò io con il Conte de Batz e i vostri fratelli. Sono sicuro che questo inconveniente non sarà neppure notato, anzi! Che serva di lezione ai Navarra!”- disse con una strana indifferenza.

 

“Conte de Batz? Siamo sulla tenuta di famiglia? Perché allora le vacche del Marchese di Navarra sono sulla nostra tenuta?”- chiese D’Artagnan.

 

André sbuffò ed indicò con la sua lanterna un recinto poco distante. Si poteva chiaramente distinguere come fosse stato danneggiato e come, senza preavviso, le mucche dei Navarra avevano attraversato il confine per raggiungere quella parte del pascolo.

 

“Certe cose sono cambiate, da quando siete partito. I De Batz non hanno più bisogno di questi campi e non si sono mai accorti di quello che stava succedendo qui”.

 

“Come mai?”

 

“Ricordate delle stampe che portaste a casa dalla città? Della fattoria di legno cui parlavate? Ebbene i vostri fratelli hanno trovato quelle carte ed il modo di costruirla, con più di trenta servi e in meno di una settimana! Il Conte vostro avo ha celebrato i loro meriti ed ora le pecore passano gran parte della notte nella nuova stalla. Nutrirle la sera è così facile adesso... Non hanno più bisogno di essere mandate al pascolo tutto il giorno e la notte!”

 

“Ma sono stato io a trovare quelle stampe!”

 

La voce di D’Artagnan si trasformò in lamento.

 

“Voi non eravate più qui quando sono cominciati i lavori. I meriti sono andati tutti ai vostri fratelli”.

 

Alcune vacche carbonizzate si accasciarono da un lato, in un rumore attutito dall’erba e le ceneri. Erba bruciata, terra rovente. Le fiamme divamparono in un falò di fieno, secchi cespugli e splendide vacche.

 

D’Artagnan sbuffò, come se quell’ammissione gli avesse ricordato di nuovo in che razza di ambiente era cresciuto, la vera ragione per cui voleva diventare un cavaliere errante e lasciare finalmente la sua terre. Forse non era proprio la Guascogna, la sua terra nativa, la causa delle sue frustrazioni. Tuttavia André era sempre stato un pastore onesto e rispettoso. 

 

Per quanto il ragazzo fosse stato ferito segretamente nel suo orgoglio, non aveva ragione di protestare apertamente contro di lui se la causa del suo male erano, in realtà, tutti gli altri. Quell’ammissione fu un monito, un messaggio importante, ma tutto l’impeto della sua gioventù ed il suo orgoglio ferito, si fermarono all’odore e irresistibile di carni arrostite e affumicate ai fumi dei legni di tiglio.

 

“Un arrosto delizioso, non trovate?”- disse Porthos cambiando discorso.

 

“Povera creatura... Così buona!”- disse Aramis, a bocca piena.

 

Andrè guardò i due combattenti affamati, continuare ad arrostire le carni dei Navarra. Preso dall’odore invitante, si avvicinò ai due, tirò fuori un coltello e cominciò a tagliare un altro pezzo dell’animale bruciato.

 

Porthos notò la lama brillare tra la luce della lanterna e delle fiamme.

 

“Vi piace?”- chiese Andrè, notando la sua attenzione.

 

“Fin troppo. Quanto volete per questo bel gioiellino?”

 

André guardò il moschettiere con perplessità. Porthos intendeva davvero comprare il suo coltello.

 

“Oh, questo brutto ferro? Per voi? Mi basterebbe un’altra vacca arrostita”.

 

Andrè non fece in tempo a chiudere la bocca, che Porthos aveva già premuto la leva e due altre vacche lasciavano le terre dei pascoli della Guascogna per raggiungere i cieli del Paradiso tra mille sofferenze, ma altrettanta umana delizia, i loro corpi avvolti dalle fiamme. 

Due guardiani dall’altra parte del recinto danneggiato cercarono di attraversare la tenuta, avvicinarsi e ritirare il resto degli animali dal pascolo dei de Batz, ma Porthos lanciò un’ultima fiammata di monito e gli uomini fuggirono via, in preda al terrore. 

Aramis portò entrambe le mani sugli occhi e scosse la testa, forse più preoccupato dalla perdita di altro combustibile, che dall’odore invitante delle carni arrostite delle povere bestie.

 

André annuì e lasciò il coltello nelle mani di Porthos senza dire una parola, lui lucidò la lama con invidia, per notare quanto il riflesso fosse chiaro e brillante. Un acciaio lucidato così bene da sembrare uno specchio. Porthos riflesse il suo volto sulla lama e pulì con grazia un angolo della bocca, come se nulla di tutto ciò che stava accadendo importasse veramente. Non era odore di morte e distruzione, ma quello di cibi deliziosi.

 

“Monsieur, Bucefalo non ha un filo di lama dai tempi in cui lo trovai in mezzo ai campi. È il più inutile pezzo di metallo che abbia mai posseduto”- disse Andrè alzando le spalle, quasi scusandosi di quello scambio così svantaggioso.

 

“Bucefalo?”- chiese lui.

 

“Il suo nome, ma lo potete sempre cambiare se non vi piace”- continuò il pastore in un’espressione incredula.

 

Porthos affondò la lama con confidenza sul lato dell’arrosto che stava assaggiando e ne tagliò un altro pezzo. Non era il miglior coltello che avesse mai posseduto, ma era così lucido... Tagliava decentemente la carne cotta. Questo per lui era più che abbastanza. 

 

Aramis sorrise, mentre guardò Porthos faticare con il suo nuovo coltello. 

 

“Potreste sempre usarlo come uno specchio oppure insieme al vostro rapière... Un ultimo colpo di grazia contro i vostri nemici!”- disse il giovane alzando le spalle.

 

Porthos ricambiò il sorriso ed annuì.

 

“Una lama poco affilata causa la peggiore delle ferite che si possono infliggere! Tuttavia porta così poco onore alla Dea Francia e i suoi ambiti coltelli!”- disse intento alla sua opera.

 

Aramis non lo ascoltò, strappò il suo coltello dalle mani e porse il suo stesso alito sulla lama lucida, per notare come il suo respiro l’aveva appannata. Porthos notò quel gesto con sorpresa e fece lo stesso: i loro respiri appannavano la lama allo stesso modo di come avrebbe fatto uno specchio. Non era il colpo di grazia che avrebbe inferto, quella lama brillante era come lo specchio, così come rifletteva il volto, poteva riflettere un ultimo respiro. 

 

Un attimo dopo e la lama di Bucefalo affondava lo spazio vuoto al fianco di Aramis in un gesto di scherno.

 

Il giovane si ritrasse in un semplice gesto, gli prese il braccio e due altri dei suoi pugnali, definitivamente meno lucidi, ma molto più affilati, comparvero tra le dita dell’altra mano.

 

“L’esperienza di combattere al mio fianco dovrebbe avervi insegnato meglio!”- disse senza guardarlo.

 

Porthos sbottò una mezza risata e ripose immediatamente Bucefalo fuori dalla sua vista, insieme al suo rapière.

 

“Sono belli, molto più belli di Bucefalo... Come si chiamano?”- chiese Andrè rivolto verso Aramis.

 

Il giovane si distrasse da quel mezzo combattimento con Porthos e guardò l’uomo con una strana curiosità. Per quanto fosse un semplice pastore, trovava particolare quel suo modo di dare un nome alle cose. Avevano forse un nome tutte le sue pecore?

 

“Sono cose. Non hanno un nome”- rispose Aramis scuotendo la testa.

 

“Che ne dite di Castore e Polluce?”- chiese Andrè.

 

Aramis lasciò la presa del braccio di Porthos, guardò i suoi pugnali, Porthos e il pastore con una strana curiosità, un lieve senso di imbarazzo. Ripose le sue armi nei foderi nascosti dalla cinta e del farsetto, senza dire una parola.

 

_________________________

 

Con le prime luci dell’alba ad illuminare le montagne che avevano circondato la sua vita prima di quel momento, D’Artagnan provò un nuovo senso di malinconia, il rimpianto di non aver assistito al lavoro compiuto dai suoi fratelli, un progetto di cui si erano presi tutti i meriti, adombrando le sue idee con il loro stupido orgoglio, di cui lui si sentiva ancora far parte.

 

André gli fece cenno di seguirlo verso la villa della tenuta, per incontrare gli altri membri della sua famiglia, ma in cuor suo il ragazzo sentiva che non c’era veramente più nulla ad attenderlo, con la gioia di rivederlo. Nessuno avrebbe voluto ascoltare le sue storie e le sue avventure, tutti erano ancora impegnati nel loro mondo divenuto, in quei soli pochi giorni, così distante da lui... 

 

Come quella nuova costruzione era ora il nuovo orgoglio dei D’Artagnan de Batz, così si rese conto di come, durante il breve momento di assenza, la sua Guascogna non era più sua: era tornato ed aveva pienamente soddisfatto il torto subìto, ma non poteva rimanere lì senza macchina, senza Constance e senza gli onori reali, il suo cuore non era più là, ma alla volta di Parigi. 

 

Il ragazzo salutò il pastore con un cenno della mano e raggiunse gli altri due moschettieri.

 

I tre cominciarono a sollevare l’arnese da terra e prepararsi per il viaggio di ritorno. Sotto il suo sguardo attento, rivolto per un’ultima volta verso le terre in cui era cresciuto, i campi e i tetti si fecero sempre più piccoli, fino a diventare minuzie inesistenti. 

 

Il fuoco divampato notte prima, causa di tante sofferenze e allo stesso tempo di arrosti deliziosi, si trasformò in una piccola bruciatura di candela sul velluto verde dei pascoli montani. A quell’altezza tutto diventava indifferente, come mere formiche agli occhi delle nuvole, del sole e degli Dèi. 

 

Esattamente come la macchina non era il prodotto di un’unica mente ingegnosa, così il progetto di quella costruzione non era veramente il suo, in quel senso. In fondo D’Artagnan non aveva inventato nulla, aveva soltanto piegato un foglio e portato la stampa a casa. 

Non era certo lui ad aver creato quella maniera di costruzione delle fattorie di montagna.

 

Gli altri due, troppo attenti ad armeggiare con il macchinario, non notarono una lacrima di nostalgia brillare della luce dell’alba e percorrere lucida la sua guancia. Il giovane scosse la testa: soltanto il giorno prima sembrava aver preso la sua decisione, sembrava che il destino e la vita fossero comunque andati avanti senza di lui. Così come Constance aveva preso la sua strada, la sua tenuta e la sua famiglia avevano preso la loro, mentre lui era rimasto indietro, nel tentativo di seguire una macchina, un sogno...

 

A bordo di quell’arnese il tempo sembrò fermarsi e per un attimo gli sembrò davvero di poter essere in due posti differenti quasi allo stesso momento.

 

“Non temete, avrete presto i vostri onori, siamo ancora in perfetto orario!”- disse Porthos rivolto verso il ragazzo, ma con gli occhi fissi sul vetro degli specchi e senza mai voltarsi verso di lui.

 

“Prima dobbiamo fermarci a Beaugency”- aggiunse Aramis, anche il suo sguardo puntato verso l’orizzonte, preso dai suoi pensieri.



 
  
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