Capitolo 42
Le nude pareti del cuore
“Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla
soleggiata.
Ti credo persino padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.”
Pablo Neruda, Giochi ogni giorno
Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”
La
chiave girò nella toppa. La mano grande di Matteo racchiudeva quella affusolata
di Sarah per compierne assieme il gesto e varcare la soglia della nuova vita da
marito e moglie. L’impazienza correva nelle vene di lui, l’emozione pulsava nel
cuore di lei ed entrambi avevano ancora addosso l’adrenalina per esser fuggiti
dal ricevimento.
Come
da usanza, Matteo prese in braccio la sua sposa e, con un piede, aprì e
richiuse la porta. Il pavimento in legno scricchiolava sotto i suoi passi
appesantiti, seppur la giovane tra le sue braccia non fosse poi così pesante,
diretti verso la camera da letto, mentre le risate di Sarah echeggiavano tra le
pareti fresche, alcune ancora spoglie di una casa da ultimare che profumava dei
fiori di calendula dalle sfumature gialle e arancioni posti nel vaso sul tavolo
della cucina. Per terra, all’ingresso, erano già pronte le valigie per la luna
di miele a Ischia, ma non avrebbero aspettato l’arrivo sull’isola per vivere la
prima notte di nozze.
Sarah
lasciò scivolare le mani dal collo di Matteo, mentre lui l’adagiava ai piedi
del letto, ponendosi al suo fianco e poggiando il proprio peso su un lato, i
propri occhi su un corpo di donna, le cui nudità ancora celate dai candidi
abiti, fino a quel momento, aveva soltanto intravisto, sfiorato, immaginato. Senza
più remore, le dita poterono accarezzare il pendio del suo florido seno che
palpitava a ogni respiro affannoso, a ogni battito accelerato e fu bravo ad
accorgersi che, dietro il silenzio delle sue risate ammutolitesi quasi
all’improvviso, si nascondeva un’espressione stanca, triste. Trattenne la mano
e si mise a sedere e Sarah, come lui, turbata dalla propria sensazione di
malessere e disagio, lo seguì.
Si
scambiarono uno sguardo interrogativo. La giovane era intimorita dal non
comprendere cosa le stesse accadendo, ma, in quegli occhi un po’ persi che non
riuscivano a riflettersi nei suoi, Matteo vide la paura di concedersi,
riconducibile alla violenza subita, e, a sua volta, ne fu impaurito, gravato
della tensione per quella che sarebbe stata la sua prima volta.
“Aiutami
con la cerniera, ti prego”, fece Sarah a fior di labbra, dandogli lentamente le
spalle, temporeggiando e acuendo così l’imbarazzo in Matteo il quale quasi
balbettò: “Ah… Certo.”
Ma
l’ansia non poté inibirlo, quando, abbassandole con accortezza la lampo del
vestito, le toccò lievemente la pelle liscia e olivastra, contemplandone poi la
schiena dritta e aggraziata, sulla quale non ricadevano i capelli, ancor più
corti e dai riflessi color rame più accesi. Solo adesso se ne accorgeva. Capelli,
onde morbide e ribelli, che tentò di spostare su un lato del collo per
baciarglielo, ma non fece in tempo, giacché Sarah si volse e a lui non rimase
altro che imprimerle un bacio sulla rosea bocca. Bacio che la giovane non seppe
ricambiare con la stessa passione e al quale presto si sottrasse.
“Sei
ubriaco”, gli disse a mo’ di rimprovero e la sua fu più una scusa per prendere
altro tempo. Gli occhi lucidi, infatti, la contraddissero.
“Non
ho bevuto molto”, ribatté Matteo con l’espressione di un bambino che tenta di
giustificarsi per evitare il castigo, l’astinenza da lei.
“Ti
preparo una bevanda calda al limone.” Seria e risoluta, Sarah fece per alzarsi,
ma lui la trattenne per un braccio, moderando la forza della presa e il tono di
voce, mentre le diceva: “Aspetta.” Sapeva che insistere sarebbe stato un errore
e che avrebbe dovuto fare tutto il possibile per rassicurarla. “Ci penso io. Tu
rilassati e mettiti a tuo agio.”
A
tale premura, forse, Sarah non si sarebbe sentita in colpa, se solo avesse saputo
che, in un futuro molto vicino, l’indifferenza ne avrebbe preso il posto.
Rimasta
da sola e restando seduta, si sfilò il vestito, abbassandolo per le maniche e
prese a grattarsi un braccio, con le spalle curve in avanti, gli occhi e la
mente vaganti nel vuoto. A darle prurito non era stato il tessuto in pizzo che
per tutto il giorno le aveva fasciato le braccia, bensì un senso di nervosismo
scaturito dall’incomprensione del proprio turbamento.
Campo
di Fossoli, 23 febbraio 1944
~
Il giorno dopo la partenza per Auschwitz ~
Con
un’interiezione di dolore, Sarah ritrasse indietro le spalle e, istintivamente,
tentò di allontanargli la mano, morbida e ben curata, intenta a fasciarle il
braccio contuso.
“Un
po’ deve stringere, altrimenti non serve a nulla.” Sentire l’inflessione
apprensiva nella sua voce dall’accento tedesco le faceva sempre un certo
effetto, una sensazione dolce e amara allo stesso tempo che giungeva fin sotto
la pelle, dentro le ossa a lenirne il dolore e oltrepassava le nude pareti del cuore
pregno di mancanze.
Diffidando
che la fasciatura adoperata dal medico del campo fosse pulita, Hermann aveva
preso dal suo armadietto dei medicinali delle bende nuove. Una scusa per
prendersi cura di lei, il desiderio inconscio di abbandonarsi a un gesto
d’amore che s’eran nascosti dietro le parole farfugliate nella sua madrelingua
contro il dottore ebreo, mentre raggiungeva il bagno per rovistare tra la
scorta di medicine.
“Così
va meglio?” Quand’ebbe finito, sfiorando l’avambraccio, la mano scivolò lentamente
sulla sua e le labbra si posarono sul suo collo. Le vibrazioni delle parole
sussurrate all’orecchio, il calore dei baci umidi impressi sulla pelle le
suscitarono brividi mai provati che fecero tremare di piacere la sua voce,
mentre gli rispondeva in tono lascivo: “Sì… Va meglio.”
Un
bacio appassionato sulla bocca, il desiderio dell’appagamento dei propri sensi,
il bisogno di provare ancora, all’infinito quei brividi sulla pelle che la
svuotavano dai mali presenti e alleggerivano il proprio essere spinsero Sarah a
sdraiarsi, ad abbandonarsi sul letto, a lui, a se stessa. E fu più lei a
guizzare dalla sottoveste che Hermann a sfilargliela.
Da
esperto amatore qual era, il giovane uomo seppe ascoltare e soddisfò la sua
muta richiesta d’amore, tracciandole una linea invisibile di baci lungo il
corpo di forme e carnagione mediterranee. Partendo dal centro del collo, le
labbra percorsero l’incavo tra i seni, scendendo sul pendio dell’addome che,
assieme alle espressioni del viso, si era contratto al morbido tocco e
veleggiando sul tondo ombelico, fino a raggiungere il basso ventre e poi ancora
più giù.
Con
gli occhi socchiusi e le labbra semiaperte in una mescolanza di gemiti e
sorrisi, fino ad allora, Sarah non immaginava che una donna potesse essere amata
in quel modo, ma non ebbe neanche il tempo di stupirsene che le sue mani erano
già affondate nei capelli biondo grano di Hermann ad accompagnarlo nell’istinto
passionale.
Quasi
non si scottò la bocca con la bevanda calda, troppo impaziente Matteo di unirsi
alla sua sposa che, dalla cucina, stava osservando, mentre, seduta davanti allo
specchio del comò, dopo aver indossato una lunga vestaglia di seta bianca dalle
maniche larghe – sensuale momento che non si era fatto sfuggire –, spazzolava i
capelli. Metà bevanda finì nel lavello.
Avvicinatosi,
mantenendo un contegno riguardoso, le porse una mano che Sarah, visibilmente
riluttante, accettò e strinse più forte, mentre da lui si lasciava adagiare sul
letto. Lentamente, con dita tremanti, le sollevò l’orlo della candida
sottoveste, senza neanche slacciarle la vestaglia e abbassò la cerniera dei
pantaloni. L’unione dei corpi non fu armoniosa fusione di menti e cuori.
Paralizzata
Sarah dalla rassegnata consapevolezza che, consumato il matrimonio, non avrebbe
più potuto revocare la promessa del per sempre e dall’imbarazzo di poter
mostrargli la propria esperienza, frenato Matteo da paure tra loro contrastanti
di suscitarle brutti ricordi e di ridestarle vecchie emozioni, di farle male e
di sembrarle poco virile, entrambi furono incapaci di esprimersi nell’intimità,
come lo erano già stati in amore con le verità taciute e inascoltate.
Il
cigolio del letto e gli ansiti di Matteo riempirono il silenzio nella stanza e
tra di loro, mentre Sarah, a occhi chiusi, stringeva tra le mani lembi di
coperta, forzandosi in sensazioni che, con lui, non arrivavano.
Se,
con Hermann, aveva imparato a essere se stessa, con Matteo, imparò ben presto a
fingere.
“Sarò il tuo contadino e tu la terra mia,
combatterò col vento che non ti porti via,
poi spargerò il mio seme nella tua verde valle
e aspetteremo insieme che venga primavera.”
Riccardo Cocciante, Primavera