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Autore: Nadine_Rose    16/11/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 42

 

Le nude pareti del cuore

 

“Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.

Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.

Ti credo persino padrona dell’universo.

Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,

nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.

Voglio fare con te

ciò che la primavera fa con i ciliegi.”

Pablo Neruda, Giochi ogni giorno

 


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Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”

 

La chiave girò nella toppa. La mano grande di Matteo racchiudeva quella affusolata di Sarah per compierne assieme il gesto e varcare la soglia della nuova vita da marito e moglie. L’impazienza correva nelle vene di lui, l’emozione pulsava nel cuore di lei ed entrambi avevano ancora addosso l’adrenalina per esser fuggiti dal ricevimento.

Come da usanza, Matteo prese in braccio la sua sposa e, con un piede, aprì e richiuse la porta. Il pavimento in legno scricchiolava sotto i suoi passi appesantiti, seppur la giovane tra le sue braccia non fosse poi così pesante, diretti verso la camera da letto, mentre le risate di Sarah echeggiavano tra le pareti fresche, alcune ancora spoglie di una casa da ultimare che profumava dei fiori di calendula dalle sfumature gialle e arancioni posti nel vaso sul tavolo della cucina. Per terra, all’ingresso, erano già pronte le valigie per la luna di miele a Ischia, ma non avrebbero aspettato l’arrivo sull’isola per vivere la prima notte di nozze.

Sarah lasciò scivolare le mani dal collo di Matteo, mentre lui l’adagiava ai piedi del letto, ponendosi al suo fianco e poggiando il proprio peso su un lato, i propri occhi su un corpo di donna, le cui nudità ancora celate dai candidi abiti, fino a quel momento, aveva soltanto intravisto, sfiorato, immaginato. Senza più remore, le dita poterono accarezzare il pendio del suo florido seno che palpitava a ogni respiro affannoso, a ogni battito accelerato e fu bravo ad accorgersi che, dietro il silenzio delle sue risate ammutolitesi quasi all’improvviso, si nascondeva un’espressione stanca, triste. Trattenne la mano e si mise a sedere e Sarah, come lui, turbata dalla propria sensazione di malessere e disagio, lo seguì.

Si scambiarono uno sguardo interrogativo. La giovane era intimorita dal non comprendere cosa le stesse accadendo, ma, in quegli occhi un po’ persi che non riuscivano a riflettersi nei suoi, Matteo vide la paura di concedersi, riconducibile alla violenza subita, e, a sua volta, ne fu impaurito, gravato della tensione per quella che sarebbe stata la sua prima volta.

“Aiutami con la cerniera, ti prego”, fece Sarah a fior di labbra, dandogli lentamente le spalle, temporeggiando e acuendo così l’imbarazzo in Matteo il quale quasi balbettò: “Ah… Certo.”

Ma l’ansia non poté inibirlo, quando, abbassandole con accortezza la lampo del vestito, le toccò lievemente la pelle liscia e olivastra, contemplandone poi la schiena dritta e aggraziata, sulla quale non ricadevano i capelli, ancor più corti e dai riflessi color rame più accesi. Solo adesso se ne accorgeva. Capelli, onde morbide e ribelli, che tentò di spostare su un lato del collo per baciarglielo, ma non fece in tempo, giacché Sarah si volse e a lui non rimase altro che imprimerle un bacio sulla rosea bocca. Bacio che la giovane non seppe ricambiare con la stessa passione e al quale presto si sottrasse.

“Sei ubriaco”, gli disse a mo’ di rimprovero e la sua fu più una scusa per prendere altro tempo. Gli occhi lucidi, infatti, la contraddissero.

“Non ho bevuto molto”, ribatté Matteo con l’espressione di un bambino che tenta di giustificarsi per evitare il castigo, l’astinenza da lei.

“Ti preparo una bevanda calda al limone.” Seria e risoluta, Sarah fece per alzarsi, ma lui la trattenne per un braccio, moderando la forza della presa e il tono di voce, mentre le diceva: “Aspetta.” Sapeva che insistere sarebbe stato un errore e che avrebbe dovuto fare tutto il possibile per rassicurarla. “Ci penso io. Tu rilassati e mettiti a tuo agio.”

A tale premura, forse, Sarah non si sarebbe sentita in colpa, se solo avesse saputo che, in un futuro molto vicino, l’indifferenza ne avrebbe preso il posto.

Rimasta da sola e restando seduta, si sfilò il vestito, abbassandolo per le maniche e prese a grattarsi un braccio, con le spalle curve in avanti, gli occhi e la mente vaganti nel vuoto. A darle prurito non era stato il tessuto in pizzo che per tutto il giorno le aveva fasciato le braccia, bensì un senso di nervosismo scaturito dall’incomprensione del proprio turbamento.

 

Campo di Fossoli, 23 febbraio 1944

~ Il giorno dopo la partenza per Auschwitz ~

 

Con un’interiezione di dolore, Sarah ritrasse indietro le spalle e, istintivamente, tentò di allontanargli la mano, morbida e ben curata, intenta a fasciarle il braccio contuso.

“Un po’ deve stringere, altrimenti non serve a nulla.” Sentire l’inflessione apprensiva nella sua voce dall’accento tedesco le faceva sempre un certo effetto, una sensazione dolce e amara allo stesso tempo che giungeva fin sotto la pelle, dentro le ossa a lenirne il dolore e oltrepassava le nude pareti del cuore pregno di mancanze.

Diffidando che la fasciatura adoperata dal medico del campo fosse pulita, Hermann aveva preso dal suo armadietto dei medicinali delle bende nuove. Una scusa per prendersi cura di lei, il desiderio inconscio di abbandonarsi a un gesto d’amore che s’eran nascosti dietro le parole farfugliate nella sua madrelingua contro il dottore ebreo, mentre raggiungeva il bagno per rovistare tra la scorta di medicine.

“Così va meglio?” Quand’ebbe finito, sfiorando l’avambraccio, la mano scivolò lentamente sulla sua e le labbra si posarono sul suo collo. Le vibrazioni delle parole sussurrate all’orecchio, il calore dei baci umidi impressi sulla pelle le suscitarono brividi mai provati che fecero tremare di piacere la sua voce, mentre gli rispondeva in tono lascivo: “Sì… Va meglio.”

Un bacio appassionato sulla bocca, il desiderio dell’appagamento dei propri sensi, il bisogno di provare ancora, all’infinito quei brividi sulla pelle che la svuotavano dai mali presenti e alleggerivano il proprio essere spinsero Sarah a sdraiarsi, ad abbandonarsi sul letto, a lui, a se stessa. E fu più lei a guizzare dalla sottoveste che Hermann a sfilargliela.

Da esperto amatore qual era, il giovane uomo seppe ascoltare e soddisfò la sua muta richiesta d’amore, tracciandole una linea invisibile di baci lungo il corpo di forme e carnagione mediterranee. Partendo dal centro del collo, le labbra percorsero l’incavo tra i seni, scendendo sul pendio dell’addome che, assieme alle espressioni del viso, si era contratto al morbido tocco e veleggiando sul tondo ombelico, fino a raggiungere il basso ventre e poi ancora più giù.

Con gli occhi socchiusi e le labbra semiaperte in una mescolanza di gemiti e sorrisi, fino ad allora, Sarah non immaginava che una donna potesse essere amata in quel modo, ma non ebbe neanche il tempo di stupirsene che le sue mani erano già affondate nei capelli biondo grano di Hermann ad accompagnarlo nell’istinto passionale. 

 

Quasi non si scottò la bocca con la bevanda calda, troppo impaziente Matteo di unirsi alla sua sposa che, dalla cucina, stava osservando, mentre, seduta davanti allo specchio del comò, dopo aver indossato una lunga vestaglia di seta bianca dalle maniche larghe – sensuale momento che non si era fatto sfuggire –, spazzolava i capelli. Metà bevanda finì nel lavello.

Avvicinatosi, mantenendo un contegno riguardoso, le porse una mano che Sarah, visibilmente riluttante, accettò e strinse più forte, mentre da lui si lasciava adagiare sul letto. Lentamente, con dita tremanti, le sollevò l’orlo della candida sottoveste, senza neanche slacciarle la vestaglia e abbassò la cerniera dei pantaloni. L’unione dei corpi non fu armoniosa fusione di menti e cuori.

Paralizzata Sarah dalla rassegnata consapevolezza che, consumato il matrimonio, non avrebbe più potuto revocare la promessa del per sempre e dall’imbarazzo di poter mostrargli la propria esperienza, frenato Matteo da paure tra loro contrastanti di suscitarle brutti ricordi e di ridestarle vecchie emozioni, di farle male e di sembrarle poco virile, entrambi furono incapaci di esprimersi nell’intimità, come lo erano già stati in amore con le verità taciute e inascoltate.

Il cigolio del letto e gli ansiti di Matteo riempirono il silenzio nella stanza e tra di loro, mentre Sarah, a occhi chiusi, stringeva tra le mani lembi di coperta, forzandosi in sensazioni che, con lui, non arrivavano.

Se, con Hermann, aveva imparato a essere se stessa, con Matteo, imparò ben presto a fingere.

 

“Sarò il tuo contadino e tu la terra mia,

combatterò col vento che non ti porti via,

poi spargerò il mio seme nella tua verde valle

e aspetteremo insieme che venga primavera.”

 

Riccardo Cocciante, Primavera

   
 
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