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Autore: MaikoxMilo    17/11/2020    2 recensioni
La serie principale di Saint Seiya dagli occhi di Sonia, allieva di Milo. La sua vita, il suo percorso, i suoi ricordi che si intersecano e coesistono con la vita dei Cavalieri d'Oro al Santuario di Atene prima, dopo e durante la Battaglia delle 12 case fino ad arrivare al 2011, il nuovo corso per tutti, la conseguente rinascita.
Dal cap. I:
“Ti manca tuo fratello, vero?”
La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!
“Sì, ma tu come lo sai?”
La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.
“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”
Per comprendere meglio la storia, è necessario aver letto la mia serie principale: "Passato... presente... futuro!", buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 16: Il calore di una famiglia

 

 

Dintorni di Pevek, Siberia dell’est, 7 febbraio 2008

 

 

Faceva freddo.

Faceva un freddo porco, in effetti.

Di quella tipologia che Milo non aveva mai percepito sulla sua pelle e che, a dirla tutta, avrebbe fatto anche a meno di percepire. Lui, abituato da sempre al temperato clima della sua assolata isola e della Grecia, lui, che con la tramontana e i geloni alle mani non avrebbe mai voluto averci nulla a che fare, lui, che detestava le temperature inferiori ai 10°.

Non aveva mai percepito un gelo così intenso in vita sua, neanche la pesante giacca che si era portato dietro non bastava, per non parlare delle coperte pesanti con cui aveva imbacuccato sé stesso e Sonia, che teneva in spalla. Tutto inutile! L’aria gelida penetrava all’interno, infreddoliva fin nei recessi dell’anima, togliendo quasi il respiro e gelando il soffio vitale sulle labbra che, per un ironico contrasto, invece bruciavano.

“B-Bilo… - sentì la vocina di Sonia lamentarsi debolmente, tirando su con il naso – ho tanto, tanto, freddo...”

“L-lo so, piccoletta, v-vuoi… vuoi che ti riporti indietro e che torni qui da solo?” le chiese, prendendola dalle spalle e portandosela davanti al petto per provare a riscaldarla meglio.

I suoi occhietti verdi, feriti dalla tormenta, erano ridotti a due fessure, il naso rosso gocciolante e le manine, pur avviluppate in soffici guanti, intirizzite dal freddo. Non era abituata a quel clima, Milo lo sapeva bene e, anche se Sonia era la variante russa di Sofia come nome, la piccola non era affatto avvezzata a quel clima così rigido, avrebbe potuto ammalarsi come niente. Del resto, febbraio in Siberia era tremendo, lo aveva saggiato dai racconti di Camus e aveva sperato di non viverlo mai sulla propria pelle, ma il suo migliore amico era nei guai, era evidente, e non c’era ostacolo che avrebbe potuto fermarlo, né sciocchi divieti del Santuario, né rigidi climi inumani. Valeva anche per la piccola, che infatti scrollò con forza la testa.

“No, hai detto che Camus sta mavle, non boso tornare indietro! Voglio vedevle con i miei occhi le sue condicioni e… stargli vicina!”

“Camus capirà, Sonia, se non te la sentissi di proseguire...” insistette Milo, in pena per le condizioni della ragazzina, oltre che per quelle dell’amico.

In tutta franchezza, l’Acquario lo avrebbe strigliato non appena avesse visto Sonia lì, era poco ma sicuro, già giungeva alle sue orecchie la paternale che gli avrebbe riservato, dandogli del pazzo nel rischiare così la vita della piccola. Questo se fosse stato cosciente, certo, ma lo Scorpione aveva la terribile sensazione che non lo fosse, i sogni agitati dei giorni precedenti erano stati chiari a riguardo, fin troppo. Tentò di ricacciare indietro l’immagine di Camus che stramazzava a terra, preda di una forte emorragia interna.

“No, io revsto, con cte!” ribadì, più grintosa che mai, appendendosi al suo collo, malgrado tremasse come una foglia.

“Sei coraggiosa quanto testarda, piccoletta...” gli sorrise amaramente lui, portandosela ancora più vicina al petto ed espandendo il suo caldo cosmo dorato per avvolgerla.

“B-Bilo!!!”

“Va tutto bene! Sono un supereroe, ricordi? Posso fare anche questo! - la incoraggiò, regalandole un largo sorriso e continuando a camminare nella neve – Intravedo delle costruzioni là, tra il biancore della tormenta, la città è vicina!”

Sonia si acquattò contro di lui, chiudendo gli occhi, feriti dal gelo. Si fidava ciecamente di Milo, ma moriva dalla voglia di rivedere Camus, avrebbe tanto voluto essere già lì con lui, sincerarsi delle sue condizioni personalmente, accarezzarlo per dargli coraggio come lui aveva fatto quando si erano conosciuti e l’aveva strappata da un ingrato destino. Avrebbe tanto voluto essere già al suo fianco, scalpitava alla sola idea, ma non aveva alternative che aspettare. Si rannicchiò ulteriormente, affondando il visino nel cappotto del giovane uomo.

“B-Bilo, quavdo rivedrò Camus lo abbraccerò forte forte” si lasciò sfuggire, sorridendo, tanto da far intenerire il Cavaliere, che le posò un bacio sulla fronte tra i capelli.

“Fallo, piccoletta, vedrai che starà meglio quando tu sarai con lui...”

“Davvero?” gli occhioni di Sonia luccicavano.

“Sì, ti vuole molto bene, te l’ha detto, no?”

“Ci!”

La ragazzina sembrava su di giri, era molto legata all’Acquario, Milo lo sapeva bene, sorrise tra sé e sé, trovando nuove energie nella marcia. Ormai non mancava più molto, coraggio, le costruzioni erano sempre più nitide!

Pevek… uno dei luoghi abitati più a Nord e inospitali del mondo. Camus gli aveva parlato spesso di quel posto lontano anni luce, nella struttura e nel clima, alla piccola, graziosa, e confortevole isola di Milos; in effetti, dagli occhi dello Scorpione, era incredibile che qualche essere umano -pazzo, probabilmente!- vivesse in una simile regione così sperduta, dove le termiche erano talmente basse e la tramontana soffiava talmente implacabile da conciliarsi a stento con la vita. Eppure la gente viveva davvero in quella città! Milo si guardò allibito intorno, notando che i russi, malgrado la tormenta, giravano veramente come se nulla fosse, chi a portare un carrello, chi a bere alla bottiglia un qualcosa che a lui pareva alcool di bassa lega, chi addirittura portava il cane a passeggio… era davvero fuori da ogni logica!

Il Cavaliere si guardò nuovamente intorno alla ricerca del primo tizio che gli ispirasse un dialogo, il dramma era che non lo trovava. Tutti coloro che stavano all’esterno erano uomini barbuti e un poco inscuriti da qualcosa che Milo non volle indagare cosa fosse, taluni neanche si reggevano in piedi completamente, barcollavano, alla ricerca di qualcosa, gli sguardi arrossati e vacui, poco raccomandabili.

Finalmente individuarono un signore intento a buttare la spazzatura in dei cassettoni che erano inchiodati al permafrost per impedire che volassero via. Costui, a differenza degli altri, per il modo di vestire, sembrava qualcosa di più che non un semplice uomo di malaffare come invece apparivano le altre persone che avevano incontrato, fu questa ragione che spinse Milo a chiedere informazioni proprio a lui in un inglese tremolante. Lo raggiunse, salutandolo gioviale, ma l’altro non rispose subito, ragion per cui decise di attirare la sua attenzione con una sonora pacca sulla spalla, ma neanche il tempo di toccarlo che il tizio si era già voltato, ruttandogli praticamente in faccia e scrollandosi la neve ghiacciata di dosso, prima di regalargli a sua volta un largo sorriso, alzare il pugno, dire qualcosa a proposito di Putin e continuare per la propria strada strascicando i piedi.

“B-Bilo...” si lamentò Sonia, tappandosi il nasino nel tentativo di scacciare la tanfata di alito.

“Quello ha il cervello in pappa, inutile chiedere a lui...” disse Milo, disgustato, schifato alla sola idea di aver provato a toccare un tipo simile, e dire che, da dietro, lo aveva pure ispirato.

“Che cosa… ha?”

“E’ fatto di alcool e di qualcos’altro, tutti qui lo sono, mi sa, del resto… poveri diavoli anche loro, vivono davvero in un posto di merda!” le spiegò sbrigativo, riprendendo la marcia, cercando al contempo di non osservare per troppo a lungo quei casermoni osceni, che erano abitati, di cui Pevek era costituita. Non rammentava un altro posto più brutto di quello, davvero!

“Se sono tutti alticci e non sono in grado di darci informazioni come troverevmo Camus?”

La piccola sembrava abbattuta, il freddo, di per sé, non incoraggiava neanche gli animi, tanto meno i caseggiati lugubri, grigi e sporchi, tutto il contrario delle casette bianche dalle finestre blu di Milos. Il Cavaliere di Scorpio non poteva permettere però che la piccola si scoraggiasse così, pertanto, con un breve saltello sulle braccia, la posizionò meglio, regalandole un nuovo, dolce, sorriso.

“Ehi, ascoltami bene, frugoletta, noi due troveremo Camus e gli saremo di conforto. Ha bisogno di noi, di te, della tua dolcezza, hai detto che vuoi abbracciarlo forte forte, vero?”

“Ci!”

“E allora non dubitare: in un modo o nell’altro lo rintracceremo, te lo prometto!”

Sonia annuì, nuovamente determinata, appendendosi nuovamente al suo collo dopo averlo guardato negli occhi tutta adorante per fargli capire che era di nuovo rinvigorita nell’animo. Attese un poco, prima si sussurrargli nuove parole.

“Ti voglio bevne, Milo!”

Il cuore dello Scorpione perse un battito a quella rivelazione che raramente Sonia lasciava trasparire fuori da sé, ma che lo emozionava sempre tantissimo. Arrossì, sentendosi qualcosa di simile all’uomo più felice sulla Terra.

“Perché mi dici questo, ora?”

“Perché è la verità, non ti pevdi mai d’animo… ti voglio bevne!” ripeté, strusciandosi su di lui, in vena di coccole.

“Sonia...” le parole gli mancavano, persino lui, che ne aveva tante, si era ritrovato a non sapere cosa dire. Si limitò a stringerla a sé, baciandole la nuca, prima di proseguire, più deciso che mai.

Purtroppo trovare uno sano sembrava impresa da Guerra d’Indipendenza Greca dall’Impero Ottomano, tutte le persone che girovagavano intorno parevano ubriache, le poche un po’ più presenti, al suo avvicinarsi, lo mandavano a quel paese in russo senza troppi fronzoli, facendolo irritare non poco. Quelli lì erano impegnati a gozzovigliare, nessuno sembrava capire l’inglese, eppure lui aveva un disperato bisogno di farsi comprendere, una amico aveva bisogno di lui. Fortunatamente, a suon di camminare e camminare, era finito in un quartiere un po’ più carino, con i caseggiati che, pur rimanendo di base sempre osceni, almeno erano stati dipinti con altri colori che non fossero il grigio, sebbene si vedessero appena, perché erano incrostati dal ghiaccio. In quella zona erano presenti anche negozi e qualche bottega, Milo fu naturalmente portato ad entrare in una sorta di bar, un po’ per riscaldarsi, un po’ per avere la speranza di racimolare qualche informazione in più. Vi entrò con la piccola in braccio, meravigliandosi del tepore presente all’interno, che subito riscaldava il petto e i polmoni, che sentiva quasi rigidi a causa del freddo.

Più che bar, era forse una sorta di distributore di alcool, quello, a giudicare dal quantitativo di individui sui tavoli intenti a bere e a giocare d’azzardo, non certo il primo luogo adatto per una ragazzina di 12 anni come Sonia, che infatti si era ammutolita, lui stesso si bloccò per una serie di secondi, sentendosi scombussolato.

Che strana, quanto inspiegabile, sensazione di Deja Vu...

Appena ripresosi, si tolse di riflesso il cappuccio dirigendosi al balcone, dove il barista, abituato a che fare con una certa tipologia di clientela, gli stava già versando un liquido ambrato nel bicchiere.

“No, wait! - lo fermò, con gesto della mano, cercando al contempo di sforzarsi a pronunciare la richiesta in un inglese minimamente capibile – I need an information...”

Milo rabboccò aria nel pensare a come descrivere il suo migliore amico, purtroppo non era una cima di inglese, e l’inarcarsi del sopracciglio del signore non faceva ben sperare. Merda!

“I’m looking for a...”

In quell’istante il campanello della porta suonò, indicando l’entrata di una nuova persona, stavolta una donna. Subito il titolare perse interesse per lui, salutando invece la nuova venuta e andando in dispensa senza più degnarlo di uno sguardo.

A Milo venne voglia di ribaltare il bancone, ma si trattenne, fremendo considerevolmente e dando un calcetto sotto. Maledizione, aveva già difficoltà a comunicare, se poi quelli neanche lo ascoltavano…

“Milo, non è che lo hai insultato nella sua lingua?” chiese la piccola Sonia, frastornata da quel caldo anomalo interno che era solo comparabile all’altrettanto freddo anomalo dell’esterno.

“No, sono semplicemente tutti così i russi, dei pezzi di merda ambulanti e menefreghisti, ora aspetta che ritorni che mi faccio capire a gesti e se ancora non mi considera lo prendo a botte!”

“Milo!!!”

“Non abbiamo tutto questo tempo da perdere, Sonia! Camus sta… - si fermò, scrollando il capo, sbuffando – Dobbiamo trovarlo!”

L’ansia dello Scorpione continuava a crescere senza sosta, unita al senso di frustrazione che incombeva su di lui. Doveva essere al suo fianco il più presto possibile, la sola idea che lui stesse così male lo faceva soffrire a sua volta.

Il barista tornò finalmente dalla dispensa e, sempre non degnandolo di un solo sguardo, si avvicinò alla donna portando con sé due bottiglie di un qualche liquido occulto. Si fermarono così a parlare tra loro.

Milo non sapeva se subentrare a forza nel discorso, oppure usare la poca pazienza che gli era rimasta per attendere ancora un po’, ma il dialogo, tra loro, pareva farsi sempre più fitto e consistente, non poteva sperare di attirare l’attenzione su di sé in qualche modo. Fu quindi sul punto di intervenire, ma la sua attenzione venne ben presto attirata da un tono interrogativo del barista, seguito da una minuziosa spiegazione della giovane. In mezzo a quelle parole russe che sembravano una bestemmia, Milo ne scorse un paio di cui sapeva il significato. Sussultò.

“Cosa facciamo ades…?”

“Aspetta un attimo, Sonia, solo un attimo!”

Tentò di seguire il dialogo, ma non ne riusciva a ricavare altre informazioni importanti, ciò gli dava sui nervi. Infine la donna si accomiatò con un inchino, uscendo subito dopo. Il titolare tornò quindi a concentrarsi su di lui, ma era il turno di Milo di non dargli ascolto, scattando invece fuori per inseguire l’obiettivo, la velocità di un vero e proprio scorpione che punta dritto la preda.

“Milo! Cosa stai…?”

“E’ lei la chiave! Lei conosce il nostro Camus!” fu la sua immediata risposta, mentre, balzando fuori dal locale, si guardò confusamente intorno. La tormenta si era fatta più fitta, rendendo i dintorni quasi completamente bianchi, le case a stento percettibili con la sola vista.

“Ne sei sicuvro? Come lo sai?” volle sapere Sonia, di nuovo infagottata nella coperta e col naso rosso per lo sbalzo termico.

“Nel loro dialogo ho individuato alcune parole in russo che conosco, il modo in cui gli abitanti di qui chiamano Camus...”

“E quale… quale sarebbe?”

“Maestro dei ghiacci...”

“Ne sei sicuro?”

“Sì, inoltre il tipo le ha posto una domanda, ci metto una mano sul fuoco che gli abbia chiesto come stava!” continuò, preda di una mordace speranza che si faceva sempre più forte. Finalmente riuscì ad individuarla, prendendo a correre disperatamente con la piccola ancorata al suo petto, trepidante come lui. Non ci volle molto per raggiungerla.

“Aspe… aspett… No, fermi tutti, volevo dire: WAAAIT!!!” si corresse, trasformando la sua parlata da greco ad inglese nel raggiungere la donna, la quale, spaventata, lasciò cadere una delle due bottiglie, correndo a cingere e a prendere in braccio un bambino munito di slitta che, come dal nulla, era comparso vicino a lei, chiamandola più volte ‘mamma’.

Milo si rese conto, con rammarico, che l’aveva giustamente terrorizzata, perché le era corso come un forsennato dietro, a tutta birra, minimo lei lo aveva creduto un malfattore, visto l’ambiente non propriamente dei più salubri. Se ne dispiacque sinceramente.

“I’m so sorry, b-but… - si affrettò a chiedere scusa, indietreggiando di qualche passo – Can I ask you a question?”

La giovane donna non rispose, limitandosi a fissarlo con stupore crescente, il figlioletto attaccato al collo, mentre con l’altra mano teneva la bottiglia reduce. Non rispose verbalmente, ma parve rilassarsi notevolmente.

“Please… you know Aquarius Camus, right? - domandò trepidante, il cuore accelerato in petto – I’m a friend and… I’m afraid he’s hurt, or worse...”

Niente, il suo inglese faceva raccapricciare, se ne accorse fin troppo bene, e poi tremava, quasi balbettava, non era sicuro di riuscire a farsi intendere.

La donna tuttavia sembrava essersi completamente rilassata, anche se non aveva riposto subito ai quesiti, semplicemente aveva posato il figlio per terra, chiamandolo ‘Jacob” e rassicurandolo in russo con una leggera carezza, prima di tornare a concentrarsi su di lui. Gli sorrise con naturalezza, facendo ben sperare sia Sonia che a Milo.

“Lo conosco, sì… - gli parlò in greco quasi perfetto, prima di portarsi una mano sopra il petto e farli meravigliare non poco – Ha salvato la mia Avrora!”

Milo la fissò incredulo, prima di darsi una scrollata e capire che, probabilmente, la donna possedeva una carica simile a quella di Adelpho, ovvero intermediario tra i due mondi, per questo conosceva così bene quella lingua. Aveva molte domande da porle, avrebbe quasi volute urlare di portarlo da lui, subito, perché lo aveva sentito quasi spegnersi e si era spaventato a morte, ma si rendeva conto che doveva dare delle spiegazioni, in merito, per il suo interessamento.

“E’ il mio migliore amico e… ah, sono Milo, un Cavaliere d’Oro, un suo compagno, un suo… - diavolo, non riusciva a parlare, scrollo la testa, ricacciando indietro la paura – Dov’è? In che condizioni?” chiese, andando dritto al punto, che indugiare non aveva più senso.

“Si è ferito gravemente per salvare la mia Avrora, i suoi allievi, nonché i figli della Siberia… io sono Leya, mio marito ha rapporti con il Santuario, per questo conosco il greco” spiegò brevemente, cercando di non approfondire troppo il discorso sulle effettive condizioni di Camus, che gli erano state narrate da Elisey, ma vide comunque la paura negli occhi dei due, alla ragazzina addirittura si erano inumidite le palpebre.

“Milo… Milo! Cosa significa gravemente???” chiese con urgenza, tremando e strattonandogli la giacca più volte.

“Quan-to?” riuscì invece a biascicare il Cavaliere, sforzandosi al contempo di mantenere la calma, anche se solo apparentemente.

“Non è più in pericolo di vita, di questo potete stare tranquilli. Per le sue condizioni… beh, forse fareste meglio a vederlo con i vostri occhi, siete giunti qui per questo, no?”

Entrambi annuirono, laconici. Le manine di Sonia si erano stretta a Milo, quasi singhiozzava per la paura, nascondendo il volto nel tessuto del giaccone, d’altro canto anche il Cavaliere di Scorpio aveva perso l’uso della parola, limitandosi ad accarezzare dolcemente la piccola per cercare di rinfrancarla.

Non era più in pericolo di vita… significava che quello scemo ci era andato di nuovo vicino e, a giudicare dal leggero tremolio nella voce di Leya, davvero troppo vicino. Fremette notevolmente, stringendo i denti, desiderando follemente sincerarsi delle sue condizioni per poi urlargli di tutto, di quanto fosse COGLIONE e incurante di sé stesso, di quanti anni di vita gli continuasse a far perdere, senza neanche averne idea.

Leya intanto si era chinata verso il figlioletto, tornando a parlare in russo per spiegargli la situazione, Milo vide il piccolo annuire determinato prima di rivolgersi a loro e dire a sua volta qualcosa in russo. Pronunciato da un bambino, il russo sembrava un po’ meno una bestemmia, ma dava comunque l’idea che fosse arrabbiato, cosa che invece non era.

“Lui è Jacob, conosce molto bene il Maestro dei Ghiacci e i suoi discepoli – snocciolò Leya, sempre con quel sorriso rassicurante – Vi condurrà lui da loro!”

 

 

* * *

 

 

Nella piccola isba siberiana, intanto, Hyoga ed Elisey erano finalmente tornati con le erbe medicinali, trovandovi, dentro casa, un Isaac affaccendato in mille e più movimenti diversi, quasi nel panico, perché le condizioni di Camus, anche quando sembravano migliorare, poco dopo peggioravano ulteriormente, portando l’allievo a pensare di essere un disastro come infermiere e a non essere in grado di controllare efficacemente il gelo in modo che la temperatura rimanesse stazionaria. Era disperato.

“...anche quando gliela abbasso poi quella, prepotentemente, risale, come vedete. Non so più che fare, sta molto male, sembra che il solo respirare gli costi una fatica atroce...” finì di spiegare, gli occhi quasi lucidi, mentre controllava a vista Elisey che aveva ripreso ad auscultare Camus, la mano destra sopra il petto, la sinistra sopra la fronte, tra i capelli. Hyoga era lì con loro, era tornato a stringere la mano del maestro, nuovamente molle tra le lenzuola. Isaac aveva fatto in fretta a celare il pacchetto, sebbene il maestro lo tenesse stretto contro di sé con tutte le forze, vergognandosi a mostrarlo agli altri.

“L’ossigenazione del sangue non è ottimale, in effetti, ma non è in pericolo di vita...”

“V-volevo che stesse meglio, ho.. ho tentato di stabilizzargli la temperatura corporea, m-ma...”

“No, Isaac, il tuo intervento è stato efficace! - lo fermò Elisey riaprendo gli occhi neri che brillavano di una luce quasi magica – Stai abbassando la febbre ogni volta che si alza, ma è normale l’aumento della sua temperatura, è una difesa del suo organismo!” gli disse, prima di togliere le mani e dare una nuova controllata alla flebo, appena rinnovata.

“Maestro… - lo chiamò Hyoga, accarezzandogli teneramente i capelli per poi scendere sulle guance. Camus non riusciva a rispondere verbalmente, in preda di nuovo agli incubi da febbre, la bocca semi-aperta, il respiro accentuato, ma si girò leggermente nella sua direzione, come se lo percepisse – Coraggio!”

“Qui la flebo va bene… gli stiamo somministrando anti-dolorifici naturali, trovati da Hyoga nella foresta, dovrebbe sentire meno dolore tra un po’, non ci resta che attendere”

“Prima, nell’incoscienza, cercava di togliersi il catetere, deve dargli un fastidio colossale, ho dovuto bloccarlo, prendendogli la mano, perché si continuava a tastare là sotto” disse ancora Isaac, prostrato all’inverosimile.

“Come sempre! Il signorino qui è tutt’altro che docile quando si tratta di dover star fermo, e ancora sta male, pensate quando si sentirà meglio, dovrete legarlo al letto come minimo… non vi invidio per niente, giovani pulli!” ghignò Elisey, passando subito a controllare anche la sacca dell’urina, come a volerne studiare il colore.

“Non gli possiamo levare almeno questo supplizio?” tentò Isaac, mordendosi il labbro inferiore, riferendosi al catetere.

Elisey non rispose, preso del tutto nei suoi accertamenti. Semplicemente tolse e andò a svuotare il sacchetto in bagno, prima di tornare diversi minuti dopo in religioso silenzio, gli occhi dei due allievi puntati contro. Si disinfettò, prima di posare una mano sull’addome di Camus, congiungere l’altra sul basso ventre e produrre movimenti ondulatori, prima lenti, poi sempre più veloci, come se si trattasse di un massaggio, imprimendo meno pressione possibile. Come era prevedibile, il corpo di Camus sussultò pesantemente, non riconoscendo quel tocco come famigliare, provando poi ad alzarsi, inarcando più volte la schiena per darsi la spinta, non riuscendoci. Non gli faceva bene muoversi, ma era chiaro volesse scappare da quel contatto. Isaac fu lì per intervenire, ma prima di poterlo fare, Hyoga aveva già posato le labbra sulla fronte del maestro con gesto naturale. Isaac lo guardò con ammirazione.

“So quanto sia dura per voi, ma è per il vostro bene, per farvi sentire meglio. Guarirete, dovete solo darvi il tempo per rimettervi in sesto!” gli sussurrò con dolcezza, baciandolo poi teneramente.

A quello schiocco di labbra, Camus si risvegliò, aprendo difficoltosamente gli occhi, più scuri del solito, cercando di focalizzare la persona vicino a lui e riconoscendo le forme del suo allievo. Quegli occhi azzurri... così splendenti e grandi, ben vigili, gli diedero immediatamente un po’ di sollievo.

“Hyo-Hyoga, sei tu, anf?” chiese debolmente, provando sollevare, invano, l’arto attorcigliato nell’agglomerato di fili per tentare di accarezzare i ciuffi biondi dell’allievo. Il gesto andò a vuoto, qualcosa gli impediva il movimento, non rammentava però cosa. Il ragazzo, che aveva indovinato le sue intenzioni, dopo una nuova carezza tra i capelli, si chinò verso il braccio vessato dalla flebo e dai lividi, solleticandoglielo dolcemente. Gli prese la mano, vezzeggiandogli il dorso con pollice, prima di riadagiargliela tra le lenzuola.

“Sono io, sì, non agitatevi, dovete riposare...”

Ma Camus, che aveva gli occhi lucidi, guardandolo stancamente, con le poche energie a disposizione, negò con la testa, abbandonandosi poi sul cuscino, fremendo visibilmente.

“Non sai cosa hai rischiato… Hyo-ga! Qu-quella tecnica… potevi mori-re!”

“Sono qui e sto bene, Maestro...”

“Stai… davvero… bene? Sei molto… pallido, anf” insistette, rauco, continuando a guardarlo, nonostante facesse molta fatica a rimanere vigile.

Hyoga quasi soffiò fuori un mezzo sbuffo a metà strada tra il divertito e il rassegnato. “E’ perché non avete idea di quanto siate pallido voi...”

“Non ha… importanza!”

“La ha, per noi!”

“L’ho g-già detto a tuo f-fratello, anf – negò di nuovo con la testa, sprofondando ancora di più nel cuscino e chiudendo le palpebre, stremato – Starò bene…”

“Ne sono sicuro, proprio per questo dovete riposare...” gli sussurrò, baciandolo nuovamente sulla fronte, prima di passargli una mano tra i ciuffi della frangia, che gli ricaddero subito sulla pelle sudata.

“Avrei dovuto… proteggerti da Zi-Zima, i-invece non ne sono stato… in grado... perdonami...” riuscì ancora a dirgli, prima di lasciarsi andare alle nebbie dell’incoscienza con un sospiro più lungo dei precedenti. Hyoga non disse niente, ma visibilmente tremò, incassando poi la testa fra le spalle e stringendo i pugni, ancora tremendamente in pena per lui. Era davvero ancora molto debole...

“Certo che, se ogni volta che si sveglia si preoccupa per voi, anziché per sé stesso, si muove, parla, straparla, la guarigione sarà molto lunga, faremmo prima a sedarlo finché non migliora, così la pianta anche con questa lagna continua e...”

“ELISEY!” lo fulminò con lo sguardo Isaac, categorico, furente, minacciandolo con una piccola, incontrollabile, emanazione cosmica.

“Sto scherzando, giovane Skywalker! - lo prese in giro, alzandosi in piedi e fissando la figura di Camus, nuovamente incosciente – Comunque dovrò sedarlo per davvero tra poco!”

“Co…?!” sia Isaac che Hyoga si allarmarono, entrambi scattarono in piedi, pronti a difendere Camus con le unghie e con i denti.

“Per il catetere, non agitatevi! – si affrettò a dare spiegazioni Elisey, facendo spallucce – Non è presente più sangue nelle urine, non c’è più bisogno che le controlli, anche se non può ancora muoversi. Posso quindi levargli questo supplizio, meglio che lo faccia io piuttosto che aspettare che questa testa di cazzo se lo tolga da solo, no?!”

“E per farlo… è necessario per forza sedarlo?” chiese ingenuamente Hyoga, in evidente apprensione, ancora intento ad accarezzare i capelli del suo giovane maestro. Avrebbe voluto con tutto il cuore vederlo nuovamente in piedi, magari intento ad elargire quella punizione che gli aveva sussurrato tra i denti prima che la situazione precipitasse, sarebbe stato un indizio di guarigione, che avrebbe accolto con gioia, ma sembrava tutto lontano, troppo lontano, perché Camus riusciva a mantenersi vigile per poco tempo, poi crollava, in preda alla febbre. Non era affatto abituato a vederlo così, faceva impressione…

“Oh, non hai idea di quanto sia necessario! - affermò Elisey, quasi con una punta di sadismo nella voce, imprimendo i suoi occhi in quelli del biondo, che sussultò – Voi due siete fortunati, non avete idea di quanto faccia male estrarre un catetere, per questo meglio sedarlo, in modo da fargli percepire meno dolore possibile, credetemi!” sogghignò, soddisfatto.

“La nota di compiacimento puoi anche evitartela, vecchio pazzo!” gli fece notare Isaac, quasi ringhiando, resistendo all’ennesimo istinto di prenderlo a pugni.

“Uhmpf, comunque abbiamo preso abbastanza erbe per creare un blando sedativo naturale che dovrebbe permetterci di metterlo a nanna senza troppe controindicazioni. Voi pensate di riuscire, mentre lo preparo, a lavargli la schiena? Sta sudando tantissimo, ed è un bene, perché è uno dei mezzi con cui il corpo espelle le sostanza nocive per l’organismo, ma visto il tipetto esaustivamente pulito e perfettino, non penso che abbia molto piacere a sentirsi completamente bagnato!” disse, avviandosi verso la porta.

“Sì, leva pure le tende da qui, ci pensiamo noi, questo lo sappiamo fare meglio di te, anche perché il nostro tocco lo tranquillizza molto di più del tuo, Elisey!” ribatté Isaac, gonfiando il petto con orgoglio, fiero.

“Cominci a rispondere a tono, Isaac, stai meglio, e questo è un bene! Uhu! - ridacchiò Elisey, ormai dallo stipite – Lo lascio a voi, tornerò tra poco con il sedativo”

E uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Isaac prese un profondo respiro, rilassandosi notevolmente. Era sempre teso quando si trovava vicino a quel pazzo, ciò lo irritava.

“Io con quello non ci andrò mai d’accordo, deve essere psicopatico, o soffrire di disturbi della doppia personalità, o non so cos’altro...” si lamentò, sbuffando.

“Però siamo vivi grazie a lui e sta facendo molto per il Maestro, questo non puoi negarlo...” gli fece notare Hyoga, passando la spugnetta sul collo e sul torace del mentore.

“Certo… e questo mi irrita ancora di più! - ammise, sospirando rumorosamente – Piuttosto, come ci regoliamo per lavargli la schiena?” chiese poi al compagno di addestramento, ben sapendo che lui, con un unico braccio, non avrebbe potuto essere granché d’aiuto, anche se la cosa lo umiliava.

“Meglio girarlo dalla parte della flebo, in modo da non rischiare che si stacchi. Puoi aiutarmi a voltarlo e a tenerlo lì, contro di te, mentre io passo una nuova spugnatura?”

“Se questa può essere la mia sola utilità… farò del mio meglio” si ritrovò a sbuffare Isaac, affranto, rimproverandosi per la milionesima volta le conseguenze che avevano portato le sue azioni.

“Isaac...”

“Scusami, non è da me essere così sconfortato, vero? Sembro proprio patetico, ma non mi sono mai sentito con il morale così a terra...” ammise, scrollando la testa nervosamente, non reggendo lo sguardo candido del compagno di mille avventure. Non disse nient’altro e cadde momentaneamente il silenzio tra loro, mentre Hyoga, dall’altra parte del letto spingeva dolcemente Camus su un fianco, sforzandosi di non produrre movimenti bruschi, mentre lui, nel migliore dei modi che gli concedeva l’ausilio di un solo braccio, lo sistemava meglio in quella posizione, controllando al contempo che il catetere non si staccasse.

Hyoga, ultimata quell’operazione, buttò fuori aria, mentre, guardando la schiena del suo maestro, i suoi lunghi capelli incollati alla pelle, umidi a causa del suo stesso sudore, si chinò verso di lui. Glieli raccolse, discostandoglieli, prima di andare a recuperare la spugnetta, bagnarla con l’acqua e le fragranze precedentemente preparate e cominciare a passargliela con cura, partendo dai glutei per poi risalire lentamente, senza tralasciare il più piccolo centimetro. Camus non si oppose, anzi, parve rilassarsi a quel fresco che percepiva appena, a quei profumi fatti di erbe aromatiche che lui amava tanto, e che gli entravano nelle narici, facendogli quasi credere di trovarsi, ancora una volta, nella foresta boreale con il proprio mentore, come quando era bambino.

“M-maestro F-Fyodor… p-erché non siete più qui?” biascicò ad un certo punto, stremato, agitandosi un poco, preda di un nuovo incubo, muovendo appena la testa come se lo cercasse da qualche parte dentro di sé e non lo trovasse. Gli mancava terribilmente, Isaac lo sapeva bene, anche se non lo aveva mai conosciuto, sapeva anche che non si sarebbe mai dimostrato così fragile e privo di filtri se non si fosse trovato in quella situazione disperata, dopo essere stato ad un passo dalla morte. Non se lo sarebbe mai perdonato di dimostrarsi così debole davanti a loro, ma il dolore provato, l’essere stato ad un passo dalla morte, aveva annichilito tutte le sue barriere.

“Sta chiamando il suo amato maestro nel sonno?” chiese Hyoga, avvertendo il suo corpo agitarsi ancora prima della sua espressione, che era invece sotto gli occhi di Isaac.

“Sì, il fratello di Elisey...” disse solo Isaac, passandogli una mano sulla fronte, tra i capelli nella speranza che quel gesto potesse tranquillizzarlo un poco. Hyoga annuì, triste, prima di immergere nuovamente la spugnetta nell’acqua aromatizzata, e passargliela così sulle scapole. Avrebbe meritato delle spiegazioni, era certo, né lui né il maestro erano mai stati troppo esplicativi nel rivelargli di Fyodor, era una ferita che non era affatto risanata per Camus, e di cui Isaac era venuto a conoscenza per bocca dello stesso Elisey, ancora prima che dal proprio mentore, ma Hyoga era pressoché a digiuno di tutte quelle informazioni e rispettosamente aveva accettato il riservo sulla questione.

Ad un certo punto, lo notarono entrambi gli allievi, il corpo di Camus sussultò varie volte, vittima dei deliri, mentre la mano libera correva a tastarsi più volte l’addome, come se fosse preda di forti dolori.

“Cosa succede? Avete male?” chiese Isaac, il cuore in gola nel vedere le sue palpebre serrarsi più volte e la gamba sinistra calciare il fondo del letto, come a voler scacciare qualcosa. Ancora una volta il giovane si ritrovò a bloccare il braccio di Camus, che di nuovo era corso più sotto, a tentare di togliersi quel fastidio insopportabile. Hyoga posò subito la spugnetta sul comodino, correndo anche lui a bloccare i suoi movimenti e, al contemplo, a placarlo.

“Non vi fa bene muovervi così, abbiamo quasi finito, coraggio, poi non vi toccheremo più!” gli disse il biondo, ansato.

“N-no, n-non v-voi...”

“Se non noi cosa vi fa agitare così tanto?” chiese a sua volta Isaac, non sapendo di nuovo che pesci pigliare.

Camus non rispose subito, si strinse la mano sull’addome, incurvandosi ancora di più su sé stesso e respirando sempre più velocemente.

“P-peso qui…” provò a spiegare, affondando nel cuscino e stringendo i denti.

Nella genealogia del maestro quella parola indicava non solo un malessere, ma un vero e proprio dolore atroce, difficilmente sopportabile. Forse, per non farglielo più percepire, era davvero indispensabile sedarlo, sebbene la sola idea spaventasse entrambi gli allievi.

“Avete così tanto male… all’addome?” ritentò Isaac, non sapendo come attutire in altro modo quella sua sofferenza.

Camus borbottò qualcosa di incomprensibile, prima di nascondersi ancora di più nel cuscino, l’alzarsi e l’abbassarsi del suo torace sempre più frenetico e irrequieto.

“Maestro!”

“Penso di aver capito, Isaac… - disse ad un certo punto Hyoga, serissimo in volto, attirando l’occhiata preoccupata del compagno – Aiutami a voltarlo nuovamente supinamente, intanto la schiena l’ho lavata!”

Lo girarono, sistemandolo meglio sul cuscino, accompagnando il braccio libero lungo il suo fianco. Camus si tranquillizzò, sebbene il respiro fosse ancora terribilmente penoso, portando i due ragazzi a prendere una nuova, insperata boccata d’aria.

“Hai avuto l’intuizione giusta, Hyoga, ma cosa…?”

“E’ per via dell’emorragia interna che ha avuto… il sangue presente ancora nella cavità addominale, pur in evoluzione e quindi in graduale riassorbimento, gli da una perenne sensazione di costrizione e di peso sull’addome, perché, come dire, ehm… schiaccia per effetto della gravità”

“Non può quindi trovare requie nel sonno, non senza il sedativo?” chiese ancora Isaac, cominciando a capire.

“No… l’unica posizione un poco distensiva è quella supina, ma nelle sue condizioni non dovrebbe né girarsi né tanto meno alzarsi, altrimenti…” disse, lasciando in sospeso la frase. In verità, entrambi gli allievi sapevano che, non appena Camus si fosse sentito un po’ meglio, si sarebbe alzato senza troppi fronzoli, incurante di sé stesso, desideroso di riprendere quel che faceva prima.

“Lo sai come è fatto, Hyoga! Non se ne starà a lungo quieto, forse giusto adesso che sta ancora così male!”

“C’è un modo forse per calmare il dolore che prova, intanto che aspettiamo il Sommo Elisey… ed è questo!” continuò il biondo, chinandosi verso il maestro.

Isaac lo vide posare con dolcezza la mano sulla parte alta dell’addome, poco sotto lo sterno, senza pesargli minimamente, per poi far scaturire dal palmo una luce azzurrina e accattivante: aria congelante. Lo osservò sempre più ammirato, del tutto preso dalle sue movenze leggere ed eleganti, dai suoi gesti che riservava a Camus e che dimostravano una dolcezza infinita, pari all’amore che il giovane allievo provava per lui. Lentamente l’espressione del maestro si fece sempre più rilassata, da tesa che era prima, il viso si distese, il corpo si abbandonò a quel refrigerio, il respiro si fece regolare. Quando ebbe terminato, Camus sembrava quasi dormire serenamente, anche senza sedativo, lasciandosi cullare dalle dolci carezze di Hyoga, che proprio in quel momento aveva preso a giocherellare con i suoi lunghi ciuffi per poi tornare a prendergli la mano adagiata sopra le lenzuola.

“Dove hai imparato ad essere così manuale senza fargli del male? Ha ragione Elisey, le tue dita sembrano onde serene del mare che lambiscono gli scogli, gorgogliando piacevolmente e rilassando l’animo umano” chiese Isaac del tutto ammirato da suo fratello.

“Io… - Hyoga esitò in attimo, fermandosi bruscamente e distogliendo lo sguardo in quel momento dolente, smise anche di toccare Camus, come se si sentisse a disagio – Ho imparato da… dalla mia mama...”

“Da tua madre Natassia?” chiese conferma Isaac, sull’allerta, perché sapeva quanto l’argomento fosse duro per il biondo, che infatti si limitò ad annuire e a tacere per una serie di secondi, prima di proseguire.

“Mia mamma aveva questa particolarità, nelle mani, quasi come se fossero piuma. Possedeva una delicatezza quasi ancestrale, una dote, che faceva sentire meglio chi veniva toccato, un po’ come gli antichi re Taumaturghi, hai presente? - riuscì infine a guardarlo brevemente negli occhi, prima di tornare su Camus – Penso a come… come avrebbe reagito lei, alle sue dita delicate come un soffione, che sembrano accarezzare il paziente, facendolo sentire al sicuro. Ecco, vorrei che il maestro si sentisse protetto, qui con noi… a casa!” spiegò arrossendo visibilmente.

Isaac si accorse, in quel momento, che Hyoga stava scoprendo il suo cuore, lì con lui, nel piccolo rifugio costituito dall’isba siberiana, il loro nido. Si accorse altresì che sentiva il bisogno di fare lo stesso, per cui, ricalcando la scia dei ricordi, sorrise di sbieco, sentendosi un poco triste.

“Mia madre sembrava un macellaio, invece, la dolcezza non sapeva neanche cosa fosse. Non era cattiva, eh, anzi, era solo un poco brusca, da quel lato era molto più delicato mio padre, un po’ Camus, sai? Me lo ricorda molto...”

Hyoga lo fissò, era raro che Isaac rinvangasse il passato, ancora di più perché, memore gli insegnamenti ricevuti, voleva lasciarlo alle spalle e, insieme ad esso, quelle brutali immagini della loro uccisione, che gli avevano sconvolto la vita.

“Non è infatti un caso che, quel giorno… il primo a morire fu mio padre. Gli… hanno tagliato la gola di netto e… e mia madre diede di matto, si avventò contro uno di quei bastardi, lo ferì, prima di essere… crivellata...”

“Isaac, non… non c’è bisogno di...”

Ma il ragazzo continuò, gli occhi lucidi. Fremette, lasciando che la rabbia lo lambisse completamente, non come un mare calmo, ma come delle onde tempestose che tutto travolgono. Gli serviva la rabbia. Per non dimenticare. Era il suo nutrimento, ciò che gli permetteva di perseguire sempre i suoi ideali e i suoi obiettivi.

“Io, non visto, assistetti a tutta la scena. Volevo urlare, volevo fargliela pagare, ma… l’unica cosa che mi riuscì fu quella di muovere le gambe per scappare in camera mia, sotto il letto. Rimasi lì per… non mi ricordo quanto… le scene seguenti sono molto confuse...”

“Isaac, non… ti fa male, parlare di questo...”

“Non ha importanza!” il ragazzo incassò la testa fra le spalle, il pugno chiuso, la mascella disperatamente serrata in una smorfia. Aveva voglia di esternare tutto quel peso, di urlare, di distruggere ogni cosa sbagliata di quel mondo in cui viveva e che poteva essere così dannatamente crudele, ma riuscì a riportarsi difficoltosamente alla calma nel fossilizzare la sua espressione nel volto stremato del maestro e in quella di Hyoga. La sua famiglia.

“Non ha davvero importanza adesso… - ripeté, con cipiglio deciso, chinandosi a sua volta verso Camus, passandogli il braccio dal collo per affondare più consistentemente la mano nei suoi capelli blu e il viso nel declivio della sua spalla – S-siete voi ora che...” si fermò, ritrovandosi a singhiozzare, tentando di nascondersi alla ben meglio, perché infine aveva ceduto al pianto.

“Isaac...”

Udì la appena la voce di Hyoga, prima di sentirsi circondare dalle sue braccia, nivee ali di cigno, che lambirono anche Camus, avvolgendo tutti e tre in un abbraccio aperto e rassicurante.

Che stesse piangendo anche lui, infangando i precetti dell’insegnante? Pazienza… aveva trovato infine le parole per esprimersi.

“Non ha importanza… - biascicò Isaac per la terza volta di seguito – Ora sono forte, lo sarò ancora di più, per proteggervi. Siete voi la mia famiglia adesso, non permetterò più a nessuno di torcervi anche un solo capello, stavolta salvaguarderò quanto ho di più caro al mondo!”

Hyoga aumentò la stretta, sia verso Isaac che verso Camus, al centro dell’abbraccio dei due, sebbene incosciente, il biondo si ritrovò a chiudere gli occhi, mentre alcune lacrime gli rigavano il volto. Anche per lui era così, un padre e un fratello era quanto di più prezioso la vita gli avesse fatto dono. Li amava, avrebbe voluto proteggerli, con tutto sé stesso; avrebbe anche voluto non guardarsi più indietro, come voleva il maestro e come lui si era proibito di fare. Nonostante l’orizzonte fosse davanti a lui, però, non riusciva ad arrivarci con lo sguardo, si girava costantemente indietro, a ciò che più non era. Non riusciva ad aggrapparsi a nient’altro che non ad un ricordo, quello di sua madre, il solo pensare di staccarsi, rassegnandosi a continuare a vivere, lo faceva struggere, lo spaventava, impedendogli di lasciarla totalmente indietro.

Isaac ci era riuscito, invece. Non aveva rimosso i suoi, ma li aveva lasciati andare, proiettandosi verso un futuro che considerava luminoso, proiettandosi nel desiderio irrefrenabile di proteggerli, perché lui invece non ci riusciva? Cosa c’era di sbagliato in lui, per non riuscirci?

“Isaac, Maestro Camus, i-io… perdonatemi...” riuscì solo a biascicare, aumentando ulteriormente la stretta, trattenendo a forza un singhiozzo. Suo fratello si mosse appena, forse nell’intento di chiedere spiegazioni, Camus farfugliò debolmente qualcosa che non riuscirono bene ad udire, ma le azioni di tutti vennero bloccate dal subentrare di una nuova voce.

“Ma che bel quadretto famigliare! Però, giovani pulli, così facendo, state rischiando di far soffocare la persona che amate di più al mondo!”

I due allievi scattarono entrambi sull’attenti, imporporando.

“S-Sommo Elisey!”

“Da quanto diavolo sei qui?!”

“Da un po’… mi stavo gustando la scena!” sorrise sornione Elisey, ghignando, mentre si avvicinava ai due ragazzi per posare la scodella sul comodino.

“Fottiti Elisey!” lo insultò Isaac, voltandosi bruscamente dall’altra parte per non farsi vedere in faccia, asciugandosi maldestramente il viso.

“Che brutta parola! Te l’ha insegnata il paparino?”

“Fottiti due volte!” esclamò ancora, sempre girato di spalle, fremendo notevolmente.

Elisey avrebbe voluto far presente ad Isaac che era tardi per celarsi, che gliele aveva viste benissimo quelle lacrime che gli rigavano il volto e che, probabilmente, aveva percepito anche Camus su di sé, perché proprio in quel momento si era mosso più volte cercando di chiamare il nome dei due allievi per dirgli, con ogni probabilità, di non piangere e di essere forti, anche se nella pratica quel procedimento era assai meno facile. In ogni caso, il ragazzo dai capelli verdi sembrava davvero allo stremo delle forze, persino il suo vecchio cuore, inaridito dalla morte del fratello Fyodor, si rendeva conto che non meritava più di essere bistrattato, non dopo quello che erano riusciti a fare insieme. Decise quindi di rivolgersi a Hyoga.

“Ho portato il sedativo per Camus, pensi di essere in grado di farlo bere?”

“I-io… ci posso provare!”

“Molto bene, sollevagli un poco il busto e mettilo in posizione comoda, io gli porgerò la scodella vicino alle labbra, sperando che non la rifiuti”

Hyoga annuì trepidante, prima di procedere con tutte le premure possibili. Tornò ad accarezzargli dolcemente i capelli, poco prima di chinarsi e passare la mano destra dietro le sue spalle, mentre la sinistra, posta sopra il suo petto, lavorava in sinergia. Produsse una leggera pressione, spingendo così la schiena di Camus a piegarsi naturalmente in avanti, nonostante i deboli lamenti di quest’ultimo e riuscendo a tenerlo sollevato quanto bastava per farlo bere.

Elisey porse la scodella vicino alle sue labbra, recitando formule in sciamanico che avrebbero dovuto tranquillizzarlo, ma Camus discostò il volto, restio, rifiutando il liquido e lasciandosi andare sull’avambraccio di Hyoga, la testa reclinata all’indietro.

“Sarebbe meglio per te se bevessi, Camus, togliere un catetere non è ciò che esattamente si può definire piacevole!” gli fece notare Elisey, un poco rude, non ricevendo alcun tipo di risposta.

“Oh, sicuro otterrai qualcosa, così!” si fece beffe Isaac, ghignando a sua volta, avvicinandosi ai due. Dopo l’attimo di debolezza, nonostante gli occhi rossi, era tornato allegro, irriverente e vivace come sempre.

“Ha paura… a lasciarsi andare completamente” capì Hyoga solo guardandolo, perché di nuovo si stava agitando, sebbene si fosse appoggiato completamente a lui.

“E ha paura a lasciarsi andare, a mostrare l’addome, a farsi vedere fragile, a palesare i sentimenti, ad essere esposto… non è un Cavaliere, né uno Sciamano, è direttamente un caso umano dei più difficili!” sbuffò Elisey, certo non un campione di pazienza, riprovando a dargli da bere e ottenendo l’ennesimo rifiuto netto.

Hyoga a quel punto lo sistemò meglio, raddrizzandogli il volto e accarezzandogli le guance con la mano sinistra.

“Dovete bere, Maestro Camus, è per farvi stare meglio e percepire meno dolore, siete ancora disidratato!” affermò in tono tranquillo, avvicinando il viso tra i suoi capelli per respirare la loro fragranza. Era sorprendente che, nonostante il malessere, profumassero ancora di Foresta Boreale, un profumo che Hyoga amava alla follia.

“Uh… urgh...”

“Provate ora, Sommo Elisey, sembra un poco più tranquillo!” lo incoraggiò poi, guardandolo negli occhi.

La scodella fu di nuovo avvicinata alle sue labbra, che fremettero più volte prima di dischiudersi e cominciare così a bere.

“Così… bravissimo!” si complimentò ancora il biondo, le dita sotto il mento per tenere dritto il volto e permettergli così di deglutire meglio quanto gli stavano dando. Ed effettivamente la discesa del liquido era ben evidente grazie allo spostamento del pomo d’Adamo verso l’alto, prima di sparire nell’ampio petto.

Finalmente la scodella fu svuotata, mentre il viso di Camus si piegò da un lato, vicino a Hyoga che lo tenne stretto, continuando a parlargli con voce sicura e dolce allo stesso tempo.

“Un’impresa titanica… ma ce l’abbiamo fatta! - constatò Elisey, posando finalmente la ciotola sul comodino, permettendosi poi di sfiorargli i capelli – Ora ti sentirai invadere da una stanchezza colossale, Camus. Stavolta non resisterle, lasciati guidare da lei, come la corrente marina, permetti al tuo corpo di cedere, per una volta, quando riprenderai coscienza ti sentirai meglio” gli disse, modulando la voce.

Hyoga fece per posare nuovamente il corpo del maestro tra le lenzuola, permettendogli così di riposare, ma lo avvertì irrigidirsi, opponendosi.

“N-no!” si lamentò, serrando gli occhi.

“Ma Maestro...”

“Q-qui, v-vorrei… stare... mmmh”

“Penso ti stia dicendo che vorrebbe addormentarsi lì, tra le tue braccia...” capì Isaac, gli occhi lucidi e il cuore gonfio. Davvero sarebbe stato meglio dopo quel riposo indotto? Lo sperava con tutto il cuore!

“Tra le mie…?!”

“Ha ragione, Hyoga… lui vi sente, ha percepito la tua presenza, il tuo tocco, la dolcezza insita in ogni tuo gesto. Lo rassicura cedere all’incoscienza con te li vicino, che lo sorreggi. Avverte… il tuo calore!” confermò Elisey, alzandosi in piedi.

“Maestro, davvero volete…?”

Camus fece un leggero cenno con la testa, prima di sospirare. Stava perdendo le poche forze che aveva racimolato, sprofondando nell’incoscienza, ne aveva un’atroce paura, solo il calore dei suoi ragazzi riusciva a rassicurarlo un poco. Averli lì era la sua forza, necessitava di sentirli vicini, di percepire le loro dita su di lui, dopo tutto quello che aveva passato. Finalmente a casa, con la sua famiglia, al sicuro. Al contempo aveva un bisogno disperato che anche Milo e Sonia fossero lì con lui, ma erano lontani, e Fyodor, e la sorella di cui aveva smarrito il nome, che erano ancora più distanti, e ciò lo faceva soffrire. Li avrebbe voluti tutti lì, i suoi cari, eppure le condizioni in cui versava lo facevano vergognare. Si agitò un’ultima volta, mentre la percezione veniva sempre meno.

Bisogno di sicurezza e orgoglio erano due antipodi che convergevano su di lui, uniti dal desiderio di farsi vedere forte, per loro, per proteggerli che tuttavia nascondeva una spessa fragilità che in simili momenti non riusciva a stemperare. Doveva essere un sostegno per loro, una garanzia, si rimproverò di non esserci riuscito, apparendo invece così debole. Scalpitò, prima di avvertire la mano di Hyoga tra i capelli, e quella di Isaac a stringergli la mano. Sorrise tra sé e sé, finalmente acquietandosi.

“Dormite… starete presto meglio!” gli dissero all’unisono dolcemente, rimanendo con lui fino alla totale perdita della coscienza.

Elisey, Hyoga e Isaac videro distintamente il suo respiro mutare d’intensità, facendosi sempre più profondo e ritmato. Il corpo si rilassò centimetro per centimetro e le palpebre, prima serrate, finalmente si distesero.

Era ancora appoggiato con la testa sull’avambraccio di Hyoga quando Elisey gli posò una mano sulla fronte per l’ennesimo controllo. Camus si era lasciato andare totalmente tra le braccia degli allievi, non reagiva più agli stimoli, quasi del tutto abbandonato contro il petto del biondo. Nessuna reazione, neanche quando gli si toccava una zona delicata come il basso ventre.

“Il sedativo ha avuto effetto praticamente immediato, deve essere stato proprio stremato, eppure ha rifiutato fino all’ultimo di cedere – constatò lo Sciamano, sospirando un poco – Hyoga, adagialo tra le lenzuola, il difficile viene adesso. E tu staccati, Isaac, non può più percepirvi, la mano gliela puoi stringere anche dopo la rimozione del catetere, quando finalmente potrà dormire tranquillo!”

I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, sebbene Isaac ringhiò sommessamente verso di lui, come un cane rabbioso a cui era stato tolto l’osso con l’inganno, si fulminarono brevemente con lo sguardo, mentre Hyoga accompagnava Camus tra le lenzuola, sistemandolo comodo.

Elisey gli fece cenno di spostarsi di un poco, mentre, con il palmo della mano nuovamente aperto, tornò ad auscultargli il torace, contando le pulsazioni.

Chiuse gli occhi, i due allievi attesero, trepidanti. Passarono una manciata di minuti.

“Sì i battiti del cuore sono stabilizzati sui 70, possiamo procedere” dichiarò, prima di fare nuovamente il giro del letto e posizionarsi frontalmente alle gambe di Camus. Gliele aprì, prima di chinarsi verso il tubicino del catetere per prepararsi alla rimozione.

Isaac discostò lo sguardo, non riuscendo a reggere quella scena, ingoiò a vuoto, agitandosi e imbarazzandosi al suo posto, sebbene il maestro, precipitato in un sonno profondo, non reagisse più a niente. Elisey lo continuava a toccare e ritoccare, proprio lì, senza alcun tipo di imbarazzo, cosa che invece i due allievi avevano entrambi. Deglutirono di nuovo.

Hyoga era tornato ad accarezzargli il volto, anche se Camus non riusciva più a percepirlo, aveva comunque bisogno di rassicurarlo, continuò con premura e dedizione, almeno fino a quando il vecchio sciamano non volle la sua attenzione per fargli una richiesta.

“Hyoga, riesce a sollevare un poco il bacino del tuo maestro? Tu puoi usare entrambi le mani, solo un po’, quanto basta per mettergli sotto l’asciugamano.

“Co-cosa serve quest’ultima cosa?”

“Lo vedrai, Isaac!” fu la serafica risposta, quasi ghignante. Quello stronzo… sembrava quasi ci avesse preso gusto.

Hyoga borbottò qualcosa al limite dell’imbarazzo, poco prima di procedere. Con la mano destra passò sotto la schiena dal fianco sinistro, con la sinistra dal fianco destro, sollevandolo appena e cercando altresì di non pesargli sull’addome. Camus era un peso morto, difficilissimo accettarlo così, se non impossibile, ma non era il momento per soffermarcisi.

Con un cenno, Elisey fece intendere che bastava, prima di posizionare e stendere l’asciugamano.

“Va bene così, riadagialo”

Hyoga eseguì, sempre più in fibrillazione alla sola idea di quello che stavano attraversando, si morse il labbro inferiore, le guance imporporate e assurdamente calde.

“E… e ora cosa…?” Isaac avrebbe voluto rendersi utile, ma non trovava le parole, scioccato com’era nell’assistere a quello spettacolo.

“E ora si toglie, fine!” disse pratico Elisey con una naturalezza disarmante, sconvolgendo ancora di più i due giovani ragazzi, che non ebbero neanche il tempo di reagire. Semplicemente, con le dita della sinistra, pressò il basso ventre di Camus, probabilmente dove si trovata la vescica, e con l’altra mano, ben stretta al tubicino, lo tirò verso di sé con decisione, un movimento secco, nulla di più.

STOCK fu il laconico suono, mentre il campo visivo di Isaac e Hyoga si riempì di un rosso purpureo e il corpo di Camus sussultava bruscamente un’unica volta, prima di cominciare a tremare prepotentemente. Aveva comunque percepito il dolore, lo si presagiva dall’espressione, prima ancora dell’irrigidirsi del suo corpo.

Isaac fu sul punto di dargli un nuovo pugno in faccia, ma ebbe abbastanza autocontrollo per serrare la mascella, afferrare il braccio di Elisey, allontanarlo bruscamente da Camus per poi guardarlo dritto negli occhi e sibilare:

“Che cazzo fai, di nuovo?! Ti piace davvero così tanto vederlo soffrire, pezzo di merda?!”

“Oh, Isaac, ti vedrei bene come avvocato, se non avessi già ampiamente seguito un addestramento da Cavaliere, sai? - ironizzò il vecchio, sbuffando - Pensavi che l’estrazione sarebbe stata indolore? Che non perdesse neanche una goccia di sangue?! E’ chiaro che non sai davvero niente di Medicina!”

“E’ chiaro che tu non sia un infermiere, Elisey, non hai avuto un minimo di delicatezza!”

“Quante storie per una goccia di sangue...”

“Una goccia di sangue?!? - il tono del ragazzo si fece paurosamente acuto, quasi soffiando tutto il disprezzo che provava, lo sguardo gli cadde verso il basso – Sembra una macchia purpurea di petrolio quella lì e la chiami goccia?!? SEI PAZZO!”

“Perché non fai come Hyoga, che sta zitto e buono e mi fa operare senza fare il sindacalista di turno?!” lo rimbrottò Elisey, alzandosi come se nulla fosse per andare verso il comodino, dove c’erano il disinfettante e le salviette.

Isaac scrutò il fratello per scorgerne la reazione, effettivamente era rimasto fermo e immobile, assolutamente non in grado di parlare, mentre con gli occhi sbarrati per lo shock accarezzava la fronte di Camus, di nuovo con quell’espressione sofferente stampata sul viso.

“D-dopo questo lo possiamo lasciare stare? - chiese, quasi sconvolto, sforzandosi di non vedere il quantitativo di sangue che usciva da là sotto – Non… non ne posso più di vederlo così...” ammise, tutto tremante.

“Hyo-Hyoga… - lo chiamò Isaac, attirando lo sguardo del biondo e permettendosi di scompigliargli teneramente i capelli, un po’ come faceva lo stesso maestro – Coraggio, il peggio è passato, no? Potrà dormire in pace, adesso!”

“Per una volta Isaac ha detto la cosa giusta, ho finito di torturarlo…” disse di nuovo Elisey, tornando vicino a loro con quanto necessario per la medicazione.

I due allievi lo video agire, passando con cura la salvietta bagnata dal disinfettante nella zona che stava sanguinando. Gliela avvolse con cura per tamponare l’uscita di sangue, rimanendo in attesa, mentre i due ragazzi si scambiavano occhiate ricolme di imbarazzo.

Anche Isaac, come Hyoga, si sforzava di non guardare la scena, per rispetto almeno, o… chissà per cosa d’altro, ma si vergognava da morire. Tornò a fissare il viso di Camus, che lentamente tornava a rilassarsi, sebbene le palpebre fossero ancora un poco contratte.

 

Fortunatamente siete sedato, Maestro Camus, se foste stato anche solo un poco cosciente, sareste sicuramente sprofondato dalla vergogna. Mi dispiace enormemente… ciò che state vivendo è stato causato da me, io… no, non ha più senso piangere sul latte versato, contraccambierò con azioni da Cavaliere tutto questo, ve lo prometto!

 

Gli accarezzò delicatamente i capelli, scendendo poi giù dalla linea del collo e delle spalle per giungere alla mano vessata dalla flebo. Gliela strinse. Non l’avrebbe più lasciata, non finché Camus non sarebbe stato meglio.

Finalmente dopo la stilettata di dolore sembrava dormire serenamente, il respiro nuovamente regolare, più nessuna sofferenza sul suo viso. Sorrisero entrambi gli allievi, constatando che il peggio era davvero passato.

Elisey aveva finito di tamponare la zona, che non sanguinava più, gliela lavò una volta in più, per precauzione, prima di raddrizzarsi e dichiarare:

“Bene, il mio lavoro qui è compiuto, al resto potete pensarci voi!”

Sia Isaac che Hyoga ebbero appena il tempo di alzare lo sguardo che il secondo fu costretto a scattare in piedi per prendere al volo una cosa che il vecchio Sciamano gli aveva lanciato, contando sui suoi riflessi.

“Cosa… cosa sono?” chiese il biondo, rigirandosi confusamente il pacco tra le mani, prima di capire. Una scintilla passò nei suoi occhi. Isaac si sporse incuriosito, ma la voce di Elisey lo raggiunse prima.

“Pannolini”

“COSA?! Stai scherzando, vero?!”

“No, perché dovrei, Isaac?”

Ci fu una lunga pausa di sguardi in cui il più giovane quasi boccheggiò alla disperata ricerca di qualcosa da dire che non arrivava.

“Pensate di riuscite a metterglieli, o avete bisogno dell’assistente anche per questo? Sono molto stanco, badare a voi è uno strazio, un’impresa degna delle dodici fatiche di Hercules!”

“Oh, ehm...”

“Sapete metterli?” insistette Elisey, mentre con lo sguardo passava da uno all’altro dei discepoli di Camus.

“Non è discorso di sapere, è che… mi rifiuto!”

Isaac strinse i pugni, arrossendo.

“Ti rifiuti? E perché mai, Isaac?”

“E’ un disonore… - disse tra i denti discostando lo sguardo, stringendo il pugno – E’ un disonore per un Cavaliere, ancora di più lo è per il Maestro! Non lo merita!”

“Sarebbe un disonore, preferite quindi che...”

“NO, NON DIRLO!” lo fermò Isaac sempre più rosso in viso, non sapendo più come rigirarsi in quel discorso di merda, nel vero senso della parola. Hyoga taceva, ma era in imbarazzo quanto lui se non di più..

“Camus non può muoversi per il momento, anzi, anche quando si risveglierà meno lo farà e meglio è, il sangue nella sua cavità addominale non è poco, schiaccia e, fino ad adesso, lo ha reso discretamente stitico, non vorrei che...” lasciò la frase in sospeso, sogghignando nel vedere le reazioni dei due, sempre più impacciati.

“Va bene, va bene, abbiamo capito!” sbuffò Isaac, rosso come una ciliegia, passandosi la mano tra i capelli, nervoso.

“… Che facesse tutto in un colpo! Immaginate che macello, poi, lavar...”

“BASTA!!! Abbiamo capito!” gli urlò Isaac, desiderando di lanciargli qualcosa per farlo tacere.

“Bravi ragazzi! Tanto ripetete che siete grandi, no? Queste sono cose da grandi! - rise di vero gusto, massaggiandosi poi la barba con soddisfazione – Consideratelo un modo per sdebitarvi per tutte le volte che è stato Camus a pulirvi il culetto arrossato dalla troppa… popò!”

Sia Hyoga che Isaac, a quell’ultima frase, sussultarono in sincrono, esclamando, sempre in perfetta sinergia, la stessa frase.

“CAMUS NON MI HA MAI...”

“Come no! E quando avete avuto entrambi la polmonite? Non mi direte che non lo rammentate perché eravate troppo piccoli?! 8 anni entrambi! Bastano per aver dei ricordi!”

“Quella volta anche il Maestro si è ammalato, non aveva le forze per...” tentò una scappatoia Isaac, rifiutando con tutto sé stesso l’immagine che gli si era creata in testa, di lui e Hyoga bambini mentre Camus… MA ANCHE NO!

“Sì, l’avete attaccata anche a lui la febbre, è vero, sono dovuto intervenire anche io, è stato quando ho conosciuto Hyoga, ma vi posso assicurare che, pur con la febbre, si è preso cura di voi in tutto e per tutto! - spiegò, dando ad entrambi le spalle – A buon intenditor…” rise, quasi beffardo, lasciando intendere, neanche troppo velatamente cosa aveva fatto il maestro per loro.

“FOTTITI, ELISEY!”

“Oh, lo so, è la terza volta che me lo ripeti! Buon lavoro, giovani pulli!” li salutò, andandosene via come se nulla fosse dopo aver gettato loro nel più completo imbarazzo.

Cadde il silenzio tra loro, mentre Isaac tornava a prendere posto sulla sedia, la gola secca e il desiderio di scavarsi una fossa da solo.

“Voglio morire, dopo questa rivelazione! Tu?” tentò di alleggerire la tensione con un mezzo sorrisetto.

“Credo di essere già morto di vergogna quando Elisey ha lasciato intendere che il Maestro mi ha pulito il didietro in quel frangente! L’immagine mentale che si è creata non andrà più via!” buttò fuori aria Hyoga, ritrovandosi poi a ridacchiare insieme al fratello per tentare di scacciare la vergogna.

“Che figlio di...”

“Però Elisey ha ragione, il Maestro si è sempre, sempre, preso cura di noi, ora è giunto il tempo di ricambiare il favore” aggiunse, ancora rosso in viso, passando una mano teneramente tra i lunghi ciuffi di Camus, che respirava profondamente, perso in chissà quale sogno, senza vergogna né dolore. Isaac sorrise a sua volta, augurandosi che si fosse ricongiunto a Fyodor, almeno nel tempo del riposo, poi si accucciò al suo fianco, sempre tenendogli la mano, stando ben attento a non comprimere la flebo, che era ancora tenacemente attaccata al suo braccio.

“Penso proprio che tu abbia ragione… Hyoga!”

“Rimani quindi con lui, Isaac, io vado a catturare del pesce per stasera, ti va?”

“Tu dovresti riposare come Camus, lo hai dimenticato?”

“Dei tre sono il più in forze, conta su di me… fratello mio!” gli sorrise, arrossendo a quell’appellativo che sentiva dentro di sé, e che Isaac raccolse con un borbottio sommesso al limite dell’imbarazzo. Non si dissero nient’altro, il loro scambio di sguardi bastava per intendersi al volo.

 

 

* * *

 

 

In quell’universo di bianco tutto uguale a sé stesso, che quasi infastidiva gli occhi, solo due cose erano certe: che il sole, già tendenzialmente basso sull’orizzonte, assolutamente incapace di riscaldare, stava già declinando, e che un soldo di cacio di, sì e no, sette anni, era più abile di lui a muoversi nel permafrost, tra la tormenta. Lui che era Cavaliere d’Oro di Atene, lui che era un giovane uomo di 18 anni, nel fior fiore dell’età e della forza… incredibile!

Sul serio, cosa davano da mangiare ai marmocchi delle latitudini nord, steroidi?! Era inconcepibile che un simile bambinetto sapesse destreggiarsi così abilmente in mezzo ai ghiacci perenni, che diavolo di trucco sfoderava per…

Non ebbe il tempo di chiederselo che si ritrovò quasi con la faccia nella neve, mentre Sonia, ancora tenuta sulle spalle si appendeva ancora di più a lui.

“E-ehi, bimbo, time-out, ti prego!” esclamò, volendo chiedere al nanerottolo di rallentare l’andatura, ma non ricordandosi che il piccolo, che sapeva chiamarsi Jacob, non conosceva il greco.

Fortunatamente il bimbo sembrava sveglio, tornò sui suoi passi, aspettando docilmente e facendosi capire a gesti.

Milo ne dedusse, dai suoi movimenti che continuavano ad indicare in fibrillazione una zona più in là, che non dovesse mancare tantissimo, perciò si fece coraggio e, sorridendo, si rimise in piedi, riprendendo il tragitto.

“Bilo, quel bambivno ti fa mangiare la polvere, anzi la nefve...” lo prese scherzosamente in giro Sonia, le manine rigide per il freddo, nonostante fossero coperte.

“Quello non è un bambino… è una macchina da guerra! E poi io non ci vivrei mai, qui, guarda il sole, dopo essere rimasto smorto per un paio di ore si sta già eclissando...” si lamentò lui, guardandosi nervosamente intorno.

“Però è bello, ha un fascino… suo!” commentò la ragazzina, sempre più incuriosita da quell’ambiente totalmente diverso da quello in cui viveva, e che, proprio per quella ragione, la carpiva fin dai recessi dell’anima.

Milo scrollò la testa, glissando ulteriormente sull’argomento. Pareva che alla piccola piacesse genuinamente quel luogo, stava a lui chiedersi come fosse possibile, era del tutto incomprensibile.

Camminarono ancora per qualche minuto. Sebbene continuassero a muoversi, sembrava quasi di rimanere fermi in uno stesso luogo, da quanto fosse tutto uguale a sé stesso. Orientarsi era impossibile, e Milo finalmente capì come alcuni allievi che erano stati portati a Camus per essere addestrati alla vita da Cavaliere, avessero potuto sparire nel nulla per non essere più ritrovati. Rabbrividì. Che morte… atroce!

Ad un certo punto il bimbo fece cenno di fermarsi in un punto e lo Scorpione, pur non capendone la ragione, eseguì docile. Lo vide poi avvicinarsi cautamente ad una apertura nel ghiaccio, pigiando i piedi davanti a sé come a sincerarsi della robustezza del permafrost, poi prese a guardarsi intorno, zampettando largo rispetto all’apertura, come se aspettasse qualcosa, o qualcuno.

Che diavolo stava facendo?! Un rito per scacciare le foche? Gli orsi polari? Quale era il motivo di quella strana danza circolare che il piccolo riproduceva? Fu quasi tentato di avvicinarsi, ma un guizzo improvviso, di qualcuno che balzava fuori dall’acqua gelida con un’agile capriola per poi atterrare di fianco al bambino, lo fece sbigottire talmente tanto da farlo quasi cadere all’indietro, e Sonia con lui, giacché aveva spalancato la boccuccia in un ‘o’ di meraviglia.

Milo, in quel movimento fluttuante, aveva riconosciuto istantaneamente la grazia e l’eleganza propria di Camus, impossibile sbagliarsi. Gli fu chiaro fin da subito che doveva trattarsi di uno dei due allievi. Sorrise tra sé e sé, sentendosi improvvisamente stanco per la lunga attraversata, strinse le manine di Sonia, percependone la trepidazione, che era anche la sua.

Dalla parte di Hyoga, invece, per il momento c’era solo Jacob nel suo campo visivo, lo aveva chiamato con il loro codice speciale, spingendolo a riemergere, visto che stava catturando pesci, a pochi metri dalla superficie, per soddisfare il bisogno di nutrimenti di Isaac, che era ancora anchilosato, e per il maestro, quando si sarebbe risvegliato. Fu felice di vederlo il bimbo in piedi nel pieno delle sue energie, mentre il piccolo accorreva verso di lui con le braccine spalancante. Gli sorrise, riprendendo il fiato, dicendogli altresì di non avvicinarsi ulteriormente, perché era zuppo. Jacob si arrestò un attimo prima, gli occhioni verdi fissi su di lui.

“Cosa ti porta qui, piccoletto? Dovresti riposare!”

“Non sono qui per me, Hyoga, ma per Camus! Ha… visite!” gli disse il pargolo, su di giri, indicando poi dietro di sé.

Hyoga si ritrovò ad irrigidirsi, riconoscendo in quel momento il cosmo di un Cavaliere d’Oro al massimo fulgore.

Milo si bloccò.

Hyoga fece altrettanto, sforzandosi comunque di guardarlo in faccia perché si stava avvicinando a passi un poco appesantiti per studiarlo.

Trascorsero secondi di assoluto silenzio. Milo non fissava altri che Hyoga; Hyoga non fissava altri che il nuovo venuto e, brevemente, la ragazzina che si conduceva dietro, sulle sue spalle, parzialmente nascosta dietro le ampie spalle del Cavaliere.

Una raffica di vento più potente delle altre scosse i ciuffi di entrambi, facendoli ridestare dal torpore.

“Capelli biondi, occhi azzurri come un lago ghiacciato, e una notevole abilità nel nuoto… tu devi essere Hyoga, giusto? Allievo di Camus...”

Gli aveva parlato in greco, dimenticandosi per l’ennesima volta che lì non lo capivano. Scrollo quindi la testa, apprestandosi a riformulare la domanda in inglese, ma il ragazzo si mosse, alzandosi cautamente in piedi sempre con gli occhi puntati verso di lui.

“Chi… lo vuole sapere?” chiese il biondo in greco, un pizzico di freddezza nello sguardo e nel tono.

Quelle quattro parole da sole furono in grado di far scoppiare Milo in una fragorosa risata: era finalmente arrivato dove voleva, quasi stentava a crederlo.

 

E’ davvero tuo allievo, amico mio! Da risposte del cazzo degne di te, ostentando una presunta freddezza che gli hai trasmesso tu medesimo. Sembra davvero un cigno da quanto è agile ed elegante, si vede che gli hai insegnato bene, e… ringrazio la tua pignoleria, nonché fissa per le lingue, per avergli insegnato il greco, già mi veniva da piangere a pensare di comunicare solo in inglese!

 

“Milo… Milo di Scorpio, sono il migliore amico di Camus, e… - si fece serio, lo sguardo un poco dolente – Ho avvertito il cosmo del tuo maestro, non… non è stato molto bene, vero? E’ questa la ragione per cui siamo qui”

Anche lo sguardo di Hyoga si fece un poco sofferente, mentre, tra le mani, si faceva rigirare la sacca contenete i pesci che aveva appena pescato. Non rispose subito, si sentiva a disagio, ma tutta la sua attenzione era incentrata sui due nuovi venuti, che scrutava attentamente.

“Io… io sono Sonia, e… come sta Camus? Ci hanno detto che è rimasto ferito gravemente!” andrò dritta alla questione la piccola, prendendo profondi respiri, sbucando da dietro le spalle del Cavaliere nel tentativo di farsi vedere.

Milo e Sonia… il Maestro Camus aveva parlato spesso di loro, nei suoi ritorni dalla Grecia, non aveva mai professato quanto gli volesse bene, ma il ragazzo lo percepiva dagli occhi luminosi e dalla sfumatura che acquisiva la sua voce. Gli avrebbe fatto bene averceli lì, al suo fianco, in quel momento così difficile, sapeva che poteva fidarsi, ne avvertiva il cosmo puro, sebbene nella ragazzina non fosse ancora sviluppato.

“Seguitemi...” disse solo, precedendoli.

Sonia gonfiò un poco le gote, non contenta di non aver ricevuto risposta, ma sulle labbra di Milo si fece largo un sorriso, riconoscendo interamente il temperamento di Camus che tanto lo faceva tribolare ma che aveva anche imparato ad amare.

Salutato il bimbo, anzi, la macchina da guerra abituata ad andare a zonzo per la steppa, il viaggio verso l’isba trascorse in religioso silenzio. Hyoga manteneva lo sguardo basso in notevole disagio, un leggero colorito rosso sulle guance, l’andatura un poco incerta, le braccia conserte, non per proteggersi dal freddo, no, si sentiva davvero fuori posto, esattamente come il suo maestro. Per Milo invece il tragitto fu come un libro aperto per conoscere il ragazzo, sondandolo indirettamente, acciuffandolo un po’ di più. Ad ogni passo gli sembrava di saperne un po’ di più, di certo era una vertigine di contraddizione, come lo stesso Camus, un universo di cose non dette, un qualcosa di inestimabile.

Percepì altresì che quell’incontro, prima o poi, avrebbe cambiato la vita ad entrambi e che, cosa ancora più importante, non sarebbe certo stata la prima volta che i loro cammini si sarebbero intersecati.

Arrivarono all’isba -che Milo giudicò deliziosa, la miglior cosa che avesse visto quel giorno- sempre senza parlare. Ne varcarono la soglia preceduti da Hyoga, il sole ormai toccava l’orizzonte, arrossando il cielo plumbeo in un insperato bagliore di vita. La casetta era avvolta dalla semi-oscurità, c’era solo questa luce ad irradiare i dintorni, quasi abbagliava Milo che, come ipnotizzato, seguiva la chioma del biondo, che andava tingendosi di riflessi cremisi, come la sua cuspide scarlatta. Li portò verso una stanza, che aprì, i bagliori del sole morente si potevano ben vedere, così come il suo languire, che rischiarava una pelle diafana coperta da candide lenzuola.

Sembrava tutto così ovattato, eppure così vero, così intenso… lo Scorpione si accorse che il suo cuore stava perdendo battiti, e lo faceva perché aveva riconosciuto a chi apparteneva quel corpo adagiato sul letto. Sonia, sporgendosi di riflesso sopra di lui, si lasciò sfuggire un singhiozzo, portandosi le mani alla bocca. Si impietrirono entrambi, incapaci di proseguire oltre.

In quel momento Hyoga farfugliò qualcosa, ci fu una imprecazione, uno scatto, a stento avvertito, poco prima che il campo visivo di Milo, che fissava sconvolto Camus, sdraiato del tutto incosciente sul letto, venne riempito da un nuovo ragazzo, che fino a poco prima era vicino al giaciglio, ma che, al solo vederli, era balzato in piedi come una molla.

“Vi ho chiesto chi siete!!!”

Milo, a quell’esternazione affatto docile, si riscosse, accorgendosi che l’altro allievo di Camus, dai capelli verdi e gli occhi dello stesso colore, con una pesante fasciatura sul torace che gli limitava i movimenti, fremeva distintamente, come una belva inferocita intenzionata a proteggere ciò che per lui era prezioso e che, senza di lui, non aveva difesa alcuna. Lo guardò sbalordito, riconoscendo un cosmo immenso e irrequieto in suo possesso, semplicemente surreale, se si pensava che aveva ricevuto un semplice addestramento da Cavaliere di Bronzo.

Hyoga si affrettò a tentare di calmare gli animi, frapponendosi tra loro nel cercare di fare da paciere.

“Isaac, stai tranquillo! Lui è un Cavaliere d’Oro, e lei...”

“Lo so bene anche io, avverto il suo cosmo, del tutto simile a quello del maestro, ma chi mi assicura che sia un amico?! - esclamò, continuando a fremere, del tutto iroso, pronto a scattare al minimo cenno di pericolo – Perché li hai accompagnati qui, Hyoga?! Sai in che condizioni è Camus, sai che non vorrebbe mai essere visto così!”

“Li ho accompagnati perché il loro animo era sincero. Ho avvertito davvero preoccupazione, sono qui per lui, perché hanno avvertito il suo cosmo vacillare fino a quasi a spegnersi e… anche il maestro ha bisogno di loro, un sostegno!” spiegò sbrigativamente Hyoga, con chiarezza, attirando lo sguardo incuriosito di Milo.

Aveva una capacità percettiva incredibile, degna del maestro che gli aveva insegnato. Lui, tutte quelle cose, non gliele aveva dette, il biondo le aveva semplicemente percepite, studiandolo. Si erano studiati reciprocamente in quella lunga camminata che li aveva condotti all’isba, era chiaro, pur non utilizzando il linguaggio verbale.

Isaac parve acquietarsi un poco. Il braccio sano continuava a rimanere alzato nell’intenzione di proteggere Camus, ma gli occhi si erano fatti un poco meno arcigni. Prese un profondo respiro, imprimendo fierezza nei suoi occhi.

“Chi siete?” chiese di nuovo, sempre sul chi vive.

“Milo di Scorpio, e questa è Sonia” la presentò, perché la ragazzina continuava, per quanto possibile, a fissare incredula il corpo di Camus, quasi non riconoscendolo neanche.

A quelle ultime parole la muscolatura di Isaac si rilassò completamente e il ragazzo si lasciò cadere sul bordo del letto, esausto. Lo era già ampiamente prima, ma era balzato comunque a proteggere il maestro, avendoli reputati un pericolo.

“Milo e Sonia? - chiese conferma, prima di regalargli un tiratissimo sorriso, dato probabilmente dalla stanchezza – Potevi dirmelo prima, Cavaliere di Scorpio, ti conosco, il Maestro Camus mi parla spesso di voi”

“Anche Camus mi parla spesso di te, Isaac… - gli sorrise di rimando lui, accennando un passo nella sua direzione – Mi dice molte cose sul tuo conto, che sei molto protettivo, per esempio, questo l’ho potuto constatare oggi stesso!” disse ancora, prendendo Sonia dalle ascelle e posandola a terra, dove stette, tutta tremante, continuando a guardare in direzione del letto senza trovare le parole.

“Sì, beh… è in queste condizioni per colpa mia, altro che proteggerlo!” commentò il ragazzo, affranto, distogliendo l’attenzione da lui per tornare a concentrarsi sul viso pallido di Camus, cosa che fece anche lo Scorpione.

“A-amico mio...” biascicò Milo, trovando infine la forza per muoversi e dirigersi verso il letto, il cuore piccolo piccolo nel rivederlo in simili condizioni. Isaac lo lasciò fare, raddrizzandosi a fatica per fargli posto. Si sedette dall’altro lato, prendendogli la mano non vessata dalla flebo e solleticandogli dolcemente il dorso con il pollice.

Non si vedevano da un anno, forse addirittura di più. Milo, nelle notti in cui la mancanza di Camus si acuiva fino a renderlo insonne, si era perso più volte a congetturare su come e quando si sarebbero rivisti. Aveva pensato di abbracciarlo, quando ciò sarebbe accaduto, in barba alle lamentele che probabilmente l’Acquario gli avrebbe lanciato, non gli importava, avrebbe solo voluto stringerlo, dirgli che era contento fosse tornato a casa, cose così. Forse avrebbero preso un tè insieme, parlando degli allievi, di Sonia, dei dubbi sul Grande Sacerdote.

Si era immaginato proprio tutto, ogni singolo attimo, ogni parola taciuta e pronunciata, ma… non quello! Milo di Scorpio non si sarebbe mai immaginato di rivederlo così, ridotto così male da faticare persino a respirare autonomamente.

Prese posto sul bordo letto adiacente, stando attendo agli innumerevoli fili che collegavano il suo braccio agli arnesi del diavolo -che cazzo era tutta quella roba a cui era legato?!- prendendosi tempo per guardarlo, l’ossigeno quasi gli mancava, il petto doleva. Avrebbe voluto toccarlo, ma, nella pratica, era totalmente immobilizzato, non riusciva a fare altro che fissarlo, con crescente peso sul cuore.

Il volto pallido di Camus era parzialmente reclinato sulla spalla destra, quasi ci si appoggiava, la bocca semi-aperta, il respiro un poco difficoltoso, a tratti si velocizzava senza un apparente motivo. Il peggio sembrava fortunatamente passato, ma la sua espressione ancora sfatta, il pallore del suo volto, rendevano aspramente l’idea di quello che aveva passato fino a poco prima. Le palpebre erano tirate in un’espressione ancora paurosamente contratta, sebbene stesse dormendo profondamente.

“Amico mio… - ripeté, in tono strozzato, allungando finalmente una mano per accarezzargli i capelli – Cosa hai combinato per ridurti così?” chiese, a vuoto, mentre con gli occhi seguiva la linea del collo e delle clavicole per arrivare fino al petto, coperto da un lenzuolo, glielo discostò un poco, appurando, con sollievo, che almeno il torace non era collegato a quei macchinari che producevano suoni infausti che a lui avevano fatto sempre impressione.

“Ha subito una stalagmite all’addome per salvarmi...”

“Isaac, non...” tentò di opporsi Hyoga, non volendo che il fratello si prendesse tutta la colpa.

“No, è giusto che lui sappia, è il suo migliore amico!”

Milo guardò entrambi i due allievi, prima di fissarsi sugli occhi un poco spenti di Isaac, l’orgoglio di Camus, colui che, più di ogni altro, era riuscito a fare breccia nel suo cuore congelato.

“Dicevo… ha subito una stalagmite al posto mio durante una missione. Essa gli ha perforato la parete addominale, procurandogli una grossa emorragia intera. Ha rischiato la vita, ma ora è fuori pericolo, deve solo… recuperare, diciamo!” terminò la breve spiegazione, non approfondendo ulteriori particolari, cosa che lo Scorpione volle comunque conoscere.

I due allievi si alternarono abilmente nel racconto. Sembravano ambedue piuttosto stanchi, anche se non lo davano a vedere e, stante la prodezza della missione, avevano tutte le ragioni per esserlo. E Camus era la solita testa di cazzo cubica. incurante di sé stesso ma quello ormai era un fatto assodato. Milo sospirò teatralmente.

“Posso… vederlo?”

Entrambi annuirono con la testa, continuando a fissare il loro maestro. Erano molto protettivi con lui, era lampante che gli volessero un gran bene, per questo gli era sembrato giusto chiedere il loro permesso e… beh, per evitarsi un congelamento subitaneo in caso di rifiuto.

Si alzò, esitando ancora un attimo, prima di tirargli lentamente giù il lenzuolo fino al basso ventre, dove era presente, come gli era già stato detto, un enorme ematoma sottocutaneo di grosse dimensioni. Milo si ritrovò a mordersi il labbro inferiore.

“Non molto diverso da quando sei arrivato al Tempio, amico mio… se non fosse che questo ha dimensioni maggiori e il colore più scuro. Fa… davvero… paura!” commentò aspramente, accarezzandogli dolcemente lo sterno per poi scendere giù sull’addome, che era ancora contratto e rigido in seguito al dolore. Temeva di stargli facendo male, perché al suo tocco lo vide sussultare, sofferente. Ritirò la mano, continuando però a ispezionarlo con gli occhi, centimetro per centimetro.

Le sue parole intanto avevano attirato la curiosità di Isaac.

“Che significa? Non è la prima volta che se lo fa?”

“No, è arrivato al Santuario con un vistoso ematoma, non si è mai capito da cosa fosse stato causato e… PER ATENA, che diavolo è questo?!” domandò, un poco brusco, indicando il taglio pochi centimetri sotto l’ombelico

“Elisey… - disse sbrigativo Isaac, non sembrava esattamente un campione nelle spiegazioni – Ha dovuto praticare quell’incisione per assorbire meglio il sangue”

“Fa impressione, sembra… oddei, so io cosa sembra!” biascicò Milo, scosso, nascondendogli quella zona con le lenzuola.

“Ah, allora fa senso anche a te, che sei Cavaliere d’Oro...” commentò, sorpreso e un poco rincuorato. Si sentiva debole per essersi immobilizzato varie volte davanti a quello squarcio, mentre Camus stava così male, ma Milo sembrava persino più sconvolto di lui.

“Farebbe senso a chiunque vedere una persona cara in simili condizioni, non ti sembra, Isaac?” chiese di riflesso il Cavaliere, passandogli una mano tra i capelli con gesto confidente. Camus gli aveva parlato così tanto di lui… era come se lo avesse sempre conosciuto. Il ragazzo socchiuse gli occhi, sorridendo appena davanti a quella rassicurazione.

“Hai detto che… è arrivato al Santuario già ferito?” insistette ad un certo punto il giovane, non conoscendo quella storia, sentendo altresì montare la rabbia: chi aveva osato tanto?!

“Sì, con un grosso ematoma più o meno nella stessa zona, ma non ne ama parlare, è un po’ una...”

“...testa di cazzo, lo so!”

Milo si ritrovò a ridacchiare, colpito dalla sua assoluta incapacità di trattenersi, sembrava concordare con lui su quel punto. Gli sorrise. Camus, nei racconti, lo aveva tratteggiato esattamente così, ma dal vero era, se possibile, ancora più irriverente e caustico.

“Chi può aver osato tanto?” chiese, stringendo ulteriormente la mano del maestro con premura.

“Credimi… vorrei saperlo anche io! E’ da anni che non mi do pace, ma prima o poi lo scopriremo!”

Isaac sospirò, tornando a guardare Camus: avrebbe volentieri ucciso con le sue stesse mani chiunque avesse perpetrato un simile crimine.

“E’ fuori pericolo comunque… gli farà bene sapere che sei qui!” ripeté ancora, guardando con ammirazione Milo, che aveva la fierezza tipica dei Cavaliere d’Oro, esattamente come lui se li era immaginati.

Lo Scorpione si limitò ad annuire, inaspettatamente a corto di parole, mentre tornava ad accarezzare teneramente il volto dell’amico fino a scendere giù sulle spalle tornite e prendergli dolcemente la mano vessata dalla flebo. Isaac teneva l’altra tra le sue dita. E tacquero, tornando a fissarlo in religioso silenzio.

Hyoga rimaneva in disparte, osservando la scena come uno spettatore esterno; si sentiva esterno effettivamente. Sorrise amaramente, a metà strada tra l’intenerito, nel vedere quanto tenessero al maestro, e il percepirsi di nuovo come accessorio, del tutto superfluo.

Suo fratello Isaac aveva già stretto amicizia con il nuovo arrivato, gli parlava con naturalezza, sollevato nello spirito di avere un valente Cavaliere d’Oro in più al suo fianco. Non aveva peli sulla lunga, si esprimeva con sicurezza e fermezza di linguaggio, il contrario suo, che invece si era ammutolito.

Fu quasi tentato di andarsene e lasciarli lì, a parlare e a prendersi cura di Camus, ma la ragazzina, ancora immobile a pochi passi da lui, aveva attirato la sua attenzione. Sembrava quasi una sua coetanea, anche se era di aspetto più piccolo e mingherlino rispetto a lui e ad Isaac, che del resto avevano ricevuto un addestramento da Cavaliere; il lieve accenno di seno -Hyoga si ritrovò ad arrossire nello scorgerglielo!- indicava un cammino sempre più accentuato verso l’adolescenza, che probabilmente stava varcando, esattamente come loro. Al di là di questo, della sua apparente fragile costituzione, non era stata la sua fisicità a spingerlo a continuare a guardarla, quanto gli occhi sbarrati in direzione del letto e le lacrime che le rigavano le guance. Era… del tutto sconvolta, smarrita, cosa che portò il giovane Hyoga a provare a rompere il ghiaccio.

“Prima volta?” le chiese, alludendo alle condizioni di Camus, steso sul letto, che proprio in quel momento rabbrividiva, iniziando ad agitarsi.

Gli occhi della piccola erano puntati sulla scena davanti a lei, annuì a stento fremendo notevolmente, non riuscendo a rispondere verbalmente.

“Camus, che ti succede adesso?” chiese Milo, accorgendosi del suo tremore, tornando ad accarezzargli i capelli e la guancia.

“L’effetto del sedativo che gli abbiamo somministrato comincia a perdere efficacia, la coscienza comincia a ritornare, così si sta rendendo conto di essere scoperto” indovinò Isaac, prendendo il polso del maestro per contare le pulsazioni.

Ricordò le raccomandazioni di Elisey:

“Quando comincerà a risvegliarsi, il cuore accelererà il suo ritmo, Isaac, sappilo, e preparalo per il risveglio. Il sedativo è piuttosto blando, ma basta per renderlo confuso, straparlerà, dirà cose strane, forse, cose non da lui, tienilo ben a mente: dovrete tranquillizzarlo!”

Le pulsazioni effettivamente erano in vistoso aumento.

“Calmati, Camus, siamo qui… sei al sicuro!” gli sussurrò Milo, vedendolo sempre più agitato, asciugandogli il sudore con una pezza.

“Sarà forse meglio coprirlo e aspettare che apra gli occhi, sai bene quanto è schivo!” disse Isaac, dando un’occhiata d’intesa allo Scorpione, che sbuffò prima di ridacchiare nervosamente.

“Oh, lo so, eccome se lo so!” rispose, prendendo il lenzuolo e accompagnandolo fino a metà torace, lasciandogli le braccia adagiate sopra, in modo da potergli stringere dolcemente le mani e fargli percepire che non era da solo. Perché Camus ciarlava tanto, ma quando si trovava in situazioni simili aveva bisogno di sentire le persone che amava vicino a sé, cosa che gli riusciva grazie ad una percezione eccezionale che aveva ereditato come Sciamano dal suo maestro.

Anche Sonia, dalla sua posizione, rabbrividì. Voleva essere d’aiuto a Camus, essergli di conforto, come aveva promesso, e abbracciarlo forte forte, ma nella pratica non gli riusciva altro che rimanere lì, imbambolata, come un peso inutile, del tutto impossibilitata a riscuotersi.

Ad un certo punto avvertì una mano sulla testa accarezzargli delicatamente i capelli, voltandosi verso la presenza, i suoi occhioni totalmente persi si fissarono su due iridi di un azzurro limpido; la stessa limpidezza che Sonia riusciva a scorgere in Camus.

“Anche per me è la prima volta, sai? Non l’ho mai visto così, è dura da accettare… lui, sempre così forte, a tratti impenetrabile, una roccia, una garanzia di sicurezza, ridotto immobile a letto, senza riuscire minimamente ad alzarsi, vittima di una letargia che sembra quasi perenne...” provò a rassicurarla Hyoga, tenendo la mano sulla sua testa e indicando, con lo sguardo, il suo amato maestro.

“Tu sei più forte di me, sigh… - si lasciò scappare un singhiozzo Sonia, stringendo i pugni, livida – Non… non riesco nemmeno a muovermi, da quando l’ho visto, e-eppure volevo abbracciarlo forte forte… sigh, sono una...”

“...Debole? No, non lo sei, le tue emozioni sono semplicemente la manifestazione del tuo forte attaccamento a lui!”

Sonia lo guardava meravigliata, spalancando la bocca con fare sorpreso, mentre il biondo, contro ogni previsione, la prese delicatamente in braccio da sotto le ascelle. La ragazzina si ritrovò quindi appoggiata contro la sua spalla, come aveva fatto Camus la prima volta che l’aveva salvata. Era molto meno alta di lui, constatò, il suo corpo tonico, atletico ed elegante sembrava appartenere ad un ragazzo ben più grande rispetto alla sua vera età, che sapeva essere la stessa sua.

Hyoga e Isaac erano nati il suo stesso anno, il 1995, ma uno a gennaio e l’altro a febbraio, lei invece a novembre, eppure il loro fisico, temprato dalle mille e una intemperie, sembrava già pienamente sviluppato, al contrario suo che, malgrado un lieve abbozzo di seno, assomigliava ancora ud una bambina. Desiderò, una volta in più, diventare forte come loro e seguire il loro stesso addestramento.

Hyoga la cullava tra le braccia senza più proferir parola, bastava la sua sola presenza, proprio come Camus. Le narici di Sonia vennero invase dallo stesso profumo frizzantino. La cosa, di per sé, la emozionò.

“Hai detto che… che vuoi stringerlo forte forte?” chiese ancora il biondo, guardandola negli occhi. La ragazzina si soffermò sulle sue iridi, trovandovi, in fondo al lago, una malinconia del tutto simile al suo maestro, come una goccia d’acqua. Eppure sembravano così dolci...

Annuì, laconica, mentre il biondo la riconduceva a terra, continuando a sorriderle.

“Vieni con me, allora” le sussurrò, porgendole la mano. Lei gliela strinse, facendosi guidare da lui che con passi leggeri ma decisi si stava avviando in direzione del letto.

“Hyoga...” lo chiamò Isaac, vedendoselo così vicino, distinguendo nei suoi occhi la solita espressione sofferente. Anche lo sguardo di Milo lo seguiva pedissequamente, incuriosendolo come non mai.

“Anche la piccola ha bisogno di stare vicino al Maestro Camus... può toccarlo?” chiese all’amico, inclinando un poco la testa.

“Certo che può, non c’è bisogno di...”

Ma Sonia si era di nuovo pietrificata, così vicina al letto, così vicina nel vedere che quel viso rotto dalla sofferenza era davvero di Camus, del suo Camus, che le aveva salvato la vita, e che amava. Si irrigidì, scrollando più volte la testa.

“Non posso...” diceva a fatica, gli occhioni lucidi, le gambe che tremavano.

Milo fu lì lì per intervenire, ma decise all’ultimo di fidarsi del biondo, che gli ispirava una naturale sicurezza.

“Puoi invece, non sei qui per abbracciare forte forte Camus?” gli chiese Hyoga sempre con dolcezza, sospingendola ancora di più verso il letto, sempre con la mano congiunta alla sua.

“Ma io… ho paura di fargli male!”

“Non succederà, se sarai delicata… lui ti percepisce, avrebbe piacere ad essere toccato da te!”

Sonia era sempre più sbalordita. Non solo il portamento, non solo i modi e neanche solamente le iridi splendenti erano simili a quelle di Camus, ma anche il modo di esprimersi. Quel ragazzo biondo dal sorriso tristissimo ma gentile l’aveva folgorata in pieno, riuscendo ad ammutolirla con naturalezza.

Lentamente annuì, mentre sotto gli sguardi attenti degli altri due, si lasciava nuovamente condurre da lui, facendosi sollevare per poi essere posata sul bordo letto, mani che la sorreggevano per non farla cadere. Rabboccò aria nello scorgere quel viso pallido, sfatto, e sudato della persona che sentiva di amare.

“Ca-Camus...” lo chiamò in tono fievole, perché la voce non le usciva che a fatica. Il giovane uomo non rispose verbalmente, non poteva, ma quasi ad udire la voce della piccina si voltò difficoltosamente nella sua direzione, le labbra tremarono, come a voler pronunciare parole che però non trovarono sbocco.

Sonia era riuscita infine a spiccicare parola, ma i muscoli e le giunture erano ancora rigide, le impedivano qualsiasi movimento. Hyoga la sostenne quindi con il braccio sinistro intorno al suo petto, mentre con la mano destra prendeva la sua, conducendola finalmente in prossimità di Camus.

“Gli piace molto essere accarezzato tra i capelli, sai? Non lo ammetterà mai, ma… in verità, ha assai bisogno del contatto fisico” le sussurrò Hyoga alle orecchie, mentre, guidandola, la portava tra i lunghi ciuffi blu del maestro, dove, con gesto lento e delicato al tempo stesso le permetteva di saggiarne la setosità.

“Sono così morbidi, malgrado stia così...” constatò Sonia, commossa, non riuscendo più ad esprimersi.

“Continua così, lo tranquillizza! Guarda la sua espressione, non ti sembra più rilassata?”

“S-sì… forse sì!”

“Questo è merito tuo, piccoletta!”

Il cuore di Sonia batteva all’impazzata nel toccare, dall’alto verso il basso, la chioma di Camus, il quale aveva preso a respirare più tranquillamente, grazie a quel gesto. Si era girato completamente nella sua direzione e ora stava lì, nuovamente addormentato profondamente, il petto che si alzava e si abbassava con regolarità, la bocca dischiusa. Alla ragazzina vennero i lacrimoni agli occhi, mentre, facendosi coraggio, lasciando la guida di Hyoga, continuava ad accarezzarlo, scendendo anche sul volto con le dita trepidanti.

“Camus… - ripeté il suo nome, chinandosi verso di lui, appoggiandosi senza pesargli – Guarisci presto, ti prego!” si raccomandò, baciandolo appena sotto la palpebra destra abbassata. Fatto questo, si rannicchiò al suo fianco, sdraiandosi vicino a lui, appena sotto la piega dell’ascella, quasi nascondendo il visetto ancora un poco infantile tra le lenzuola che lo ricoprivano.

“Può stare un po’ lì, vicina a Camus? - chiese Milo guardando entrambi gli allievi con attenzione – Non lo disturberà, promesso, se il vostro maestro dovesse girarsi o provare fastidio provvederò io, statene certi!”

“Io non ho nulla in contrario. Camus sta già meglio ora che siete venuti voi, sei un Cavaliere d’Oro, nonché suo migliore amico, lui si fida di te e… anche io!” disse Isaac, alzandosi stancamente in piedi e sfregandosi l’occhio. Hyoga invece si limitò ad annuire, ormai si era capito che non era un tipo di tante parole.

Milo vide passare distintamente la scintilla nella stanchezza in entrambi gli occhi degli allievi. Isaac era a busto scoperto, perché l’ampio bendaggio e il braccio fasciato gli impedivano di mettersi una maglietta addosso. Sembrava lussata quella spalla, ma già ampiamente sulla via della guarigione; Hyoga invece non aveva ferite visibili, essendo coperto con la tenuta da addestramento composta da dei pantaloni neri, gli scaldamuscoli e una canottiera blu, ma giudicare dal sudore che gli imperlava la fronte, nonché dalla smorfia che lo aveva colto quando si era piegato per prendere Sonia, si capiva che avesse rimediato dei danni alla schiena.

Eppure entrambi non avevano lasciato mai solo Camus. Sorrise, guardandoli, non stupendosi minimamente di quanto l’Acquario si fosse legato sinceramente a loro.

“Dovreste riposare, si vede lontano un miglio che siete allo stremo delle forze. Così non va, un Cavaliere di Atena deve capire anche quando il suo fisico è arrivato al limite” gli fece notare garbatamente, sorridendogli.

“Ma!”

“Coraggio, mi avete detto voi che è fuori pericolo adesso, potete permettervi di riposare per un paio di ore, almeno, e recuperare, anche perché. lo saprete senz’altro, che questa encomiabile testa di cazzo, una volta che sarà in grado di muoversi vorrà partire subito con gli allenamenti!”

Sia Hyoga che Isaac si ritrovarono, loro malgrado a ridacchiare tra loro, scoccando uno sguardo intenerito a Camus, che dormiva profondamente, e al visetto della ragazzina, parzialmente nascosto tra le lenzuola, con il braccio sinistro appoggiato appena sul torace del loro maestro.

“Hai ragione, ma...”

“Temi ancora per la salute di Camus, giovane Isaac, vero? - chiese Milo, capendo cosa si muoveva dentro di lui, che infatti si morse il labbro inferiore prima di annuire – Non hai nulla da temere, lo veglio io per stanotte, tu pensa a ristabilirti”

Il ragazzo non sembrava affatto convinto, non per mancanza di fiducia, certo, ma proprio perché non voleva abbandonare il fianco dell’amato maestro. Scocco più volte un’occhiata sia a lui che al Cavaliere di Scorpio, domandandosi se davvero potesse concedersi un po’ di riposo.

“Io...”

“Forse è davvero meglio così, Isaac, anche noi dobbiamo riposarci, cosicché il maestro sia spinto maggiormente a guarire in breve tempo! - provò a convincerlo anche Hyoga, prendendolo da sottobraccio per sorreggerlo. Lui non si oppose, da quanto fosse stanco – Vedi?”

“Hai ragione, Hyoga… - accettò infine la proposta, dando un’ultima occhiata a Milo – Abbi cura di lui, ti prego, se ci sveglia chiamaci!” disse, lasciandosi condurre fuori dal compagno di addestramento.

Milo rimase in silenzio per diversi minuti, talvolta accarezzando Sonia che teneva gli occhietti aperti e dolenti ed era rannicchiata contro il corpo di Camus.

“Guarirà, vero?”

“Ma certo, frugoletta, lo conosci bene anche tu, lui non si arrende mai, è una testa di rapa bella e buona!”

Sonia ridacchiò, voltandosi dall’altra parte per acciuffare il braccio libero di Camus, steso immoto al suo fianco. Lo raccolse, rannicchiandosi ulteriormente, stringendo le palpebre per mascherare il dolore.

“La sua pelle… è sempre così calda! Mi addormenterei in questo tepore!” biascicò, chiudendo gli occhietti stanchi e nascondendosi nella piega del gomito di Camus.

“Pulce, hai freddo?” chiese Milo, notandola rabbrividire, prima di guardarsi intorno alla ricerca di una coperta in più, che non trovò nell’immediato. Ma la ragazzina negò con la testa.

“No, vorrei solo che stesse meglio...” disse, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi.

Milo la osservò prendere sonno, cadendo sempre più nel limbo e nell’innocenza tipica dei bambini; perché per lui era ancora una bambina, c’era poco da fare. La sistemò meglio, posizionando anche il braccio di Camus in modo che la potesse circondare, perché lui aveva bisogno di percepirla tanto quanto lei. Fatto questo, si accasciò sulla sedia, buttando fuori l’aria.

Sarebbe stata una lunga notte, già lo sapeva, la casetta, pur accogliente e confortevole, non era caldissima e, con l’avanzare delle tenebre, avrebbe ceduto mano a mano calore indipendentemente dal caminetto del soggiorno. Tornò a guardare il suo migliore amico, anche lui sembrava dormire più sereno e tranquillo, probabilmente percependoli al di fuori delle sue palpebre abbassate. Sorrise ancora, accarezzandogli i capelli con dolcezza.

“Ciò di cui hai bisogno ora, è il calore, Camus dell’Acquario… siamo tutti con te, ancora una volta, guarisci presto, te ne prego, Mago dell’Acqua e del Ghiaccio!”

 

 

* * *

 

 

Erano passate un paio di ore senza che Milo staccasse mai gli occhi di dosso dall’amico. Trepidante, in attesa di un suo risveglio, che sperava potesse essere in tempi brevi.

Aveva seguito con attenzione il mutare del suo respiro, i movimenti che Camus inconsapevolmente compiva, come quello di ruotare la testa per sistemarsi meglio, o cercare di spostare invano il braccio destro, avvertendo impiccio, e poi ancora le sue labbra, che ogni tanto si dischiudevano, verseggiando qualcosa di non capibile, e le palpebre, che ad un certo punto avevano preso a fremere, prima di rilassarsi del tutto nel percepire le dita di Milo accarezzarlo con dolcezza. Lo toccava spesso in effetti, a volte coprendolo un po’ di più, altre volte stringendogli la mano adagiata sul letto, altre ancora a discostargli un ciuffo dalla fronte, con premura e dedizione.

Il Cavaliere di Scorpio era stato a lungo solo nella stanza. Camus era ancora sedato, la piccola dormiva al suo fianco, rannicchiata su sé stessa, eppure un sacco di ricordi lo erano venuti a trovare, facendogli compagnia, lasciandogli sfuggire un sorriso dolce, mentre fuori il vento artico imperversava.

Erano memorie legate alla loro infanzia, come quando Milo, cercando di vincere la timidezza di Camus, aveva cercato di convincerlo a togliersi la maglietta per prendere un po’ di sole, con il risultato che il francese si era ustionato la schiena, da quanto fosse delicata la sua pelle, e poco ci era mancato che non uscisse anche un eritema.

O ancora come, di ritorno dagli allenamenti in Siberia per diventare Sciamano, lui lo accoglieva, correndo ad abbracciarlo e subendo le rimostranze dello stesso Acquario, non abituato al contatto fisico così aperto e sincero.

 

Tutte storie, poi! Fai tanto il sostenuto, dicendo che non ami le moine quando poi ti tranquillizza essere toccato dalle persone che ami. Ti piace tanto abbaiare, Camus dell’Acquario, fingendo di essere ciò che non sei, sperando che qualcuno ti creda, ma… basta conoscerti un po’ meglio, varcare i confini, i muri che alzi tra te e gli altri per comprendere che così non è. Potrai darla a bere ad uno come Death Mask, forse, ma non a me, né ai tuoi allievi e tanto meno a Sonia.

Sei più che prezioso, non te ne rendi conto nemmeno completamente, i tuoi ragazzi, nonché Sonia, ti adorano follemente, ed io… io ti voglio un bene dell’anima, Camus! Mi fai tribolare, penso che prima o poi mi verrà un infarto nel vederti buttare al vento la tua vita, credendola superflua, ma sei insostituibile per me, la famiglia che non ho mai avuto.

Sì, tu e Sonia siete la mia famiglia, le pietre miliari della mia esistenza, non so se riuscirai mai a capirlo del tutto, così preso come sei a sacrificarti per gli altri, ad andare oltre i tuoi limiti, ma è esattamente così, amico mio…

 

Aveva preso a vezzeggiare i capelli di Camus continuamente, partendo dallo strano cespuglietto fino al collo, sorridendo tra sé e sé, chinandosi ulteriormente verso di lui. La mano scese seguendo la spalla e poi il braccio, prima di staccarsi un attimo per regalare una leggera carezza a Sonia dormiente e ritornare così su di lui, sul polso, che gli cinse, prima di posare il palmo nel suo e chiudere gli occhi.

Stette lì per una serie di secondi, immobile, il fiato corto al solo pensare quanto gli volesse bene. Fuori il vento ululava, sbattendo più volte sulle finestre, come impazzito.

“B-Bilo...”

Per un solo secondo credette di essere chiamato da Sonia, ma qualcosa nel suo palmo contraccambiò la stretta, mozzandogli il fiato prima ancora di essere completamente in grado di aprire gli occhi. La piccola, del resto, dormiva ancora, era qualcun altro ad averlo chiamato debolmente e a stringergli di riflesso la mano. Era…

“...Camus!” sussurrò, meravigliato, sbattendo più volte le palpebre, come se non ci credesse. Effettivamente il suo migliore amico aveva riaperto gli occhi scuri e distanti e lo stava guardando, sebbene il suo stesso sguardo sembrasse talmente remoto da apparire come non suo.

Camus si sforzava di rimanere sveglio, coniugando tutte le forze per focalizzare la presenza davanti a lui che aveva riconosciuto ma di cui non riusciva a distinguere le forme. Scrollò debolmente la testa, aprendo e chiudendo le palpebre nel cercare di renderlo nitido davanti a lui, cosa che non gli riusciva. Si sentiva intorpidito, infreddolito, vulnerabile, nudo, tra le coperte del letto, serrò la mascella producendo un debole gemito. Provava ottusamente a muovere il braccio destro ma non ci riusciva, le gambe quasi non le sentiva nemmeno. Si agitò.

“Va tutto bene, Cammy, è normale che tu ti senta strano, gli effetti del sedativo non sono ancora spariti del tutto!” provò a calmarlo, tornando ad accarezzargli i capelli.

“B-Bilo, sei… davne tu? N-non riesco a...”

Credeva di essere stato chiaro, ma si accorse di avere la lingua pesante, quasi come se fosse attorcigliata. Alcune parole, che pure la sua mente pensava, non erano in grado di essere pronunciata, strepitò a quel pensiero.

“Cosa? Distinguermi? Riconoscermi?” tentò Milo, scendendo con la mano sulla spalla.

“So c-chi sei… - barbugliò, orgoglioso, riaprendo a fatica gli occhi, che tuttavia continuavano a mostrargli i contorni sfocati. Una luce venne accesa, portandolo d’istinto a serrare nuovamente le palpebre pulsanti e a voltarsi nuovamente dall’alta parte – Non ti riconosco ma ti ved… no, volevo, dire ti...”

Cosa voleva dire? Ti vedo ma non ti riconosco? Non ti vedo ma ti riconosco? Oppure... Era sempre più confuso, la testa gli girava e continuava a non capire perché non riuscisse ad alzare lo stramaledettissimo braccio destro, come se qualcosa gli impedisse di muoverlo.

“S-so chi sei...” ripeté testardo, gli sembrava importante.

“Beh, è già un passo avanti, Camus!”

“I-io… urgh!”

“Ehi, datti tempo, amico mio… non sei ancora in forze!” lo fermò subito Milo, trattenendolo sul letto, perché stava cercando di alzarsi come se nulla fosse, sebbene l’addome fosse ancora contratto dal dolore.

A quelle parole, Camus si tranquillizzò, rilassandosi sul letto, il respiro un poco accentuato, gli occhi nuovamente chiusi, la testa che girava vertiginosamente e gli procurava nausea.

Milo gli sistemò nuovamente il lenzuolo sopra il torace, dando al contempo una controllata a Sonia, ancora addormentata, stremata dalla lunga attraversata. Passarono una serie di minuti, Camus sembrò quasi cadere in una nuova letargia, portando lo Scorpione a chinarsi verso il suo volto per controllare se dormisse, ma proprio in quel momento i suoi occhi stanchi si riaprirono.

“Mi.. siete… mancati...” farfugliò debolmente, le iridi appena un poco più accese e presenti rispetto a prima, un fremito a scombussolargli il corpo.

“Co-cosa?” chiese Milo, convinto di aver capito male.

“Tu e Sonia...” lo accontentò placido, socchiudendo nuovamente gli occhi e tastando vicino a sé con la mano sinistra, trovandovi la piccola e soffermandosi su di lei, come a volerla stringere. Dunque li aveva davvero percepiti, c’era da aspettarselo.

Milo arrossì, grattandosi la testa un poco a disagio, prima di passargli una mano tra i capelli: “Per gli dei… quanto devi essere rincoglionito ancora, per pronunciare una cosa simile?” ridacchiò, finalmente sereno.

Camus non rispose, continuava a fissarlo. Stanco, spossato, vulnerabile, ma il suo sguardo, mano a mano che il tempo passava, si faceva sempre più sicuro e brillante, scacciando le nebbie e le ombre dell’incoscienza. Era emozionante rivederlo, passo passo, riprendere facoltà di sé stesso.

Ad un certo punto, dopo un’altra serie di minuti, Camus piegò la schiena alla disperata ricerca di qualcosa che non riusciva più a trovare. Si osservava intorno, sperso, farfugliando un “ma dov’è?” che ancora faticava ad uscire dalle corde vocali.

“Cosa cerchi?”

“Isa-ac...”

“E’ su di sopra, l’ho spedito a dormire”

“No, non mi riferivo a, urgh...” una nuova fitta alla pancia lo aveva costretto a ricadere sul letto, il respiro accelerato, gli occhi di nuovo serrati e una smorfia di dolore sul viso candido.

“A cosa allora?”

“Al… - prese una breve pausa, come se parlare chiaramente gli desse ancora non pochi problemi – r-regalo”

“Quale regalo?”

“Quello di Isaac… era qui, al mio f-fianco, dove…?”

Camus sembrava agitato nel non trovare quanto stava cercando, forse preoccupato di averlo perso ma non avendo altresì le forze nel rintracciarlo.

Milo, guidato dall’istinto, aprì il cassettino del comodino, trovandovi proprio il pacchetto. Sorrise.

“E’ qui, Camus, Isaac deve avertelo messo a posto quando ti sei addormentato”

“Mo-mostramelo e… s-sì, è q-quello...” si rilassò, respirando pesantemente.

“Il tuo allievo ti ha fatto un regalo?”

“S-sì, il mio… Isaac!”

“Lo vuoi aprire?”

Camus scrollò la testa, affondando nel cuscino.

“No, lascialo lì, i tempi non sono maturi per...”

“Per...?”

“Ho promesso al ragazzo che lo avrei aperto… in un altro momento...”

Milo richiuse il cassetto con il pacchetto, mentre il suo migliore amico girava la testa per fissare il soffitto, un lieve sorriso sulle sue labbra, la mano libera impiegata a coccolare la piccola Sonia.

Seguirono altri minuti, un altro paio di metri di percorso di Camus dall’incoscienza, dettata dal sedativo, alla presa di sé sempre maggiore.

“Milo… - ormai riusciva a parlare senza pasticciare le parole, anche se il tono era fievole – Sai cosa stai rischiando ad essere venuto qui? Il Grande Sacerdote...”

Eccolo che cominciava con la paternale, di sicuro le sue condizioni erano in lento, ma graduale, miglioramento. Lo Scorpione trasse un respiro di sollievo.

“Ho chiesto al Nobile Shion un permesso per oggi, stai tranquillo… - gli mentì a fin di bene, tornando poi a guardarlo – A proposito, buon compleanno, amico mio! Certo, non uno dei migliori, visto come sei conciato, ma è ancora il 7 di febbraio e, come ogni anno, ci tenevo a...”

“Grazie, Milo, davvero! Sono contento di... - fermò il discorso, imbarazzandosi oltremisura davanti a parole che non era in grado di pronunciare, regalando poi una breve occhiata alla piccola. Era contento di averli lì, null’altro, avrebbe voluto che rimanessero lì, anche se sapeva che non era possibile. Trasse un nuovo, più profondo, respiro, avvertendo una nuova fitta all’addome – Mi siete mancati… tanto...”

“Ohibò, sei ancora sottosopra?! E’ scioccante sentirtelo dire!” ridacchio lo Scorpione, socchiudendo un occhio e grattandosi la testa, a disagio.

“E’ la verità… - confermò, rilassato, accarezzando con movimenti lenti la chioma della ragazzina e sorridendo teneramente – Ma non avresti dovuto portarla con te, non è abituata a questi climi così rigidi...”

Altro abbozzo di paternale, ottimo!

“Voleva venire a qualsiasi costo, sai com’è fatta… era in pena per te!”

“Ha le estremità molto fredde e il nasino gocciolante, tutto rosso… - gli fece notare Camus, stringendole la mano destra, che a confronto con la sua sembrava minuscola, – Sonia...” la chiamò poi, facendole girare dolcemente il viso nella sua direzione. La ragazzina non rispose, ma le sue dita si strinsero tiepidamente alle sue per riflesso.

“Dorme ancora come una bambina, sembra così innocente...” si ritrovò a sorridere lo Scorpione, intenerito.

“E’ così cresciuta...”

Camus compì un movimento per sistemarsi meglio e farla adagiare sul suo petto, ma a metà strada si accorse di non averne le forze. Sospirò affranto maledicendo la sua debolezza.

“M-Milo, mi serve un favore, anf...”

“Un favore? Certo, Cam, basta che non ti muovi, sei davvero ai minimi termini!”

“Prendila un attimo in braccio e mettila sotto le coperte, q-qui, con me, ha le manine gelate e non vorrei prendesse troppo freddo. L’isba è confortevole ma tende a raffreddarsi piuttosto velocemente”

Milo eseguì, era abituato a tenerla in braccio, e Sonia era troppo stremata per opporsi, o per risvegliarsi. La sollevò, posandole il visetto sopra la propria spalla, prima di scostare le coperte e riadagiarla accanto all’Acquario, il quale non si perdeva il più piccolo movimento.

“Poggia pure la sua testolina sul mio petto”

“Cam, lo capisco, hai bisogno di sentirla vicino a te, ma… non starai chiedendo uno sforzo troppo in là per il tuo fisico? Respiri ancora con rilevante difficoltà, non vorrei che...”

Ma Camus negò, sorridendogli sereno.

“N-no, prima ho tenuto Isaac q-qui… lei è più piccina, ce la faccio...”

Milo capì che il suo bisogno di sentirla vicina era superiore alla stanchezza e al dolore che certamente provava ancora, sorrise, pensando che era sempre, sempre, il solito, mostrava il suo vero sé stesso solo in circostanze critiche, celandosi in tutte le altre. L’accompagnò sul letto, sistemandola come Camus voleva, il braccio sinistro sopra il suo sterno, come se lo stesse abbracciando, dandole al contempo una carezza tra i capelli.

“B-Bilo, Camus starà… bene… vero?” chiese la piccola, a metà strada tra il sonno, il sogno e la realtà che la circondava e che avvertiva appena.

“Ora che ci siete voi con me sto già molto meglio, e ora dormi, frugoletta” la rassicurò lui, cingendola con il braccio libero, chiudendo a sua volta le palpebre, sereno.

Sembrava ancora molto stanco, non c’era da stupirsi visto quello che aveva passato.

“Ho mandato a dormire Hyoga e Isaac, erano veramente stremati, anche se cercavano di non dimostrarlo”

“Hai fatto bene, non hanno chiuso occhio per prendersi cura di me, anf, i miei coraggiosissimi allievi...” si lasciò sfuggire, facendo ridacchiare Milo. Era stremato e in vena di tenerezze, un po’ meno Aquarius, molto più Camus, gli lisciò di nuovo i capelli con le dita, mentre, lentamente, lo vedeva assopirsi di più.

Stette lì immobile, la mano nella sua chioma, mentre lo osservava cedere al sonno, sempre più tranquillo. Guardò la piccola, poi ancora lui, i suoi tesori più preziosi, prima di sistemare le coperte del letto sopra di loro. Ne erano entrambi avviluppati, dormivano placidi; Sonia ancorata al torace di Camus, girato di profilo nella sua direzione, il respiro regolare, percettibile dal lieve tremolio di alcuni ciuffi castani della ragazzina che al suo respirare vibravano appena. Così vicini uno all’altra, finalmente ricongiunti, così beati...

Milo infine si alzò, sorridendo sornione, accarezzando di nuovo sia lei che lui, prima di dargli le spalle. Li credeva addormentati, ma parlò comunque, chiarendo le sue intenzioni.

“Vado un attimo in bagno, torno subito, non preoccupatevi!”

Era già sulla maniglia della porta, quando, debolmente, dal letto, gli giunse una voce, come se non avesse aspettato altro momento per esprimersi.

“Milo… anche tu sei la mia famiglia, non dimenticarlo mai! So bene di essere un casino, anf, ma… grazie… grazie per rimanere comunque al mio fianco!”

Si girò sconvolto, quasi non credendo a quanto aveva appena udito.

“Ma tu… hai frugato nei miei pensieri, prima, quando eri ancora incosciente?! Come…?!”

Ma l’Acquario non rispose, si era addormentato. Milo fu quasi tentato di tirargli scherzosamente qualcosa. Se ne usciva con frasi così ma dormiva, oppure usciva con frasi così proprio perché stava dormendo e aveva meno filtri, chissà… ma lo aveva percepito; percepiva tutto, quel dannato, ma non lo palesava, se non quando stava male e stava vivendo una crisi profonda, ed era quindi vulnerabile.

 

Dannato. Mi fai tribolare, ma non ti scambierei con nessuno, Cam, MAI! Ci uscirò di testa, con te, un giorno, già lo so, eppure ho scelto io, TI ho scelto, e non rimpiango nulla. Sei un uomo straordinario, Camus, se solo te ne rendessi conto anche tu, risolveremmo una marea di problemi che tu ti auto-imponi come fardello che hai scelto di portare.

Ti voglio bene, Cam, e spero di rivederti presto in piedi, senza quell’enorme ematoma sul tuo addome, senza quel taglio che sembra il residuo di un parto cesareo e che, proprio per questo, mi fa così impressione. Conserva le forze per guarire, non strafare come tuo solito. Al resto pensiamo noi!

 

Così pensò, sicuro che il messaggio gli sarebbe arrivato, in un modo o nell’altro. Sorrise ancora una volta, emozionato, il cuore che batteva all’impazzata, prima di richiudersi la porta dietro le spalle e dirigersi finalmente in bagno.

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Al solito, dopo l’angst, cosa potrebbe esserci, se non il fluff? Sul serio, come sono diventata prevedibile XD

A parte gli scherzi, non vi tedierò a lungo questa volta, giuro, anche perché il capitolo è già discretamente lunghetto e qui non c’è nulla da dover spiegare, se non che, sì, in partenza avrebbero dovuto essere due o tre i capitoli incentrati in Siberia, ma è l’ultima occasione per trattare di Camus, Hyoga e Isaac insieme, quindi ci sto prendendo gusto. Ho voluto far conoscere Milo (e Sonia) ad entrambi gli allievi, mi sembrava giusto e doveroso, anche perché, tra non molto, il Cigno diventerà uno dei principali personaggi di questa storia, visto che mi preme molto descrivere e scrivere del dopo Battaglia delle 12 Case, della sua reazione, di Milo, che sceglie di proteggerlo, e di cose così, tra cui anche il rapporto con Sonia che, dalla mia serie principale, sappiamo essere burrascoso (ma non qui!).

Alcuni parallelismi quivi presenti:

1) Qualcuno, leggendo di Milo e Sonia a Pevek ha pensato a Cardia e Sasha? Il riferimento non è casuale, lo stesso Scorpione si è sentito strano ;)

2) L’atteggiamento che Hyoga ha verso Sonia, quel suo prenderla per mano per portarla da Camus, steso sul letto, e accompagnare il suo gesto della mano, è simile alla scena modificata nel capitolo 37 di Sentimenti che attraversano il tempo dove, mi aggiunta, Marta, Francesca e Michela si prendono cura di Camus dopo la peste, dovendogli lavare la schiena, ma quest’ultima, la più piccola delle tre, si immobilizza esattamente come Sonia qui, e Dègel fa esattamente quello che fa Hyoga qui. L’ho già detto, no, che trovo i due personaggi estremamente simili?! ;)

Mi sono dilungata anche fin troppo! Come sempre, rinnovo i miei ringraziamenti a tutti quelli che mi seguono, sono consapevole che ultimamente sto pubblicando molto meno del solito (circa un capitolo nuovo al mese) ma ho parecchi testi da scrivere e, come al solito, la vita reale chiama. Spero comunque possiate apprezzare! A presto!

 

 

  
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