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Autore: tralenuvoleee    17/11/2020    0 recensioni
Luna era solare, coraggiosa, felice. Era, tempo imperfetto.
Adesso si trascina dietro una vita marchiata dal dolore e dalla sofferenza, coronata da un incidente che la segna più sul piano psicologico che fisico. Nonostante la giovane età e gli orrori che ha dovuto vedere e subire, Luna trova sempre la forza di andare avanti perché, seppur spaventata e impaurita, è determinata a vivere.
Nel disperato tentativo lasciarsi il passato alle spalle una volta per tutte, Luna abbandona la sua amata terra natale per riprendere in mano il controllo della sua vita e ricominciare da zero.
E proprio nella nuova cittadina, per sua fortuna o sfortuna, incontra colui che riesce a leggere il profondo dolore che si cela nei suoi occhi. A lui è impossibile mentire, impossibile anche per lei, che ha passato una vita a nascondere segreti. Lui le fa assaggiare la libertà, la dolcezza di ogni piccolo momento, il potere curativo di un abbraccio e, per la prima volta dopo anni, Luna si sente al sicuro.
Ma sarà davvero così? Se c'è una cosa che la vita le ha insegnato, è che non è possibile cancellare il passato e che il pericolo è sempre dietro l'angolo, pronto a renderle un agguato.
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Si ferma. L’imbocco della via, quella stretta e un po’ buia che le lascia sempre addosso una sorta di angoscia, le sta di fronte e sembra scrutarla paziente, come in attesa della sua prossima mossa. Solitamente evita di passarvi, soprattutto quando cala la sera: non le piace come quel vicolo sia isolato rispetto al viale principale, con le sue ampie zone buie a causa dei molti lampioni rotti o malfunzionanti. Ma oggi non può proprio fare a meno di passare da lì, dopotutto è l’unica scorciatoia che le evita di fare tutto il giro del quartiere prima di arrivare a casa; gli allenamenti di scherma sono finiti più tardi del previsto e lei deve assolutamente tornare a casa per studiare, o il giorno dopo si troverà impreparata al test di chimica. E lei non vuole farsi trovare impreparata, chimica è la sua materia preferita.

Deve sbrigarsi, non può perdere tempo, ma il buio le fa salire l’ansia. Si dà della stupida mentalmente, deve smetterla di averne timore; in fin dei conti, le stesse cose che vi sono di giorno sono presenti anche di notte, solo che non si vedono. Tentenna ma ha deciso, ha già perso fin troppo tempo; prende un gran respiro, strizza gli occhi e li riapre, stringe tra le mani una delle cinghie dello zainetto che porta in spalla e avanza a passo svelto lungo la stradina oscura. Cammina veloce e tende le orecchie, non lo dà a vedere ma ha paura. Sta morendo di paura, in realtà, e un motivo ben preciso c’è: la zia glielo ha sempre detto di camminare in mezzo alla gente e sotto la luce dei lampioni, dove tutti possono vederla, perché non si sa mai cosa possa succedere la sera, soprattutto a una come lei. Si volta indietro una, due, tre volte, per sicurezza. Non si sa mai.

È quasi giunta alla fine del vicolo, con il rumore dei suoi passi leggeri sull’asfalto screpolato che per tutto il tempo le ha riempito le orecchie e sembra essere l’unico suono udibile in questa notte senza luna e senza stelle. Sta per tirare un grosso sospiro di sollievo, quando lo vede. Lo vede e il suo corpo si immobilizza. È poco più di un’ombra, in realtà, ma è sicura di non sbagliarsi. Quella è una persona, una persona vera, e la sta guardando fisso da molto più tempo di quanto lei non creda. Immobile come una statua di ghiaccio, sbatte ripetutamente le palpebre, sperando di aver visto male. Quando li riapre, la figura è scomparsa. Del sudore freddo le cola lungo la spina dorsale, anche se è pieno inverno e fa talmente freddo che il fiato affannoso che le esce dalla bocca si condensa in una buffa nuvoletta di vapore. In un altro momento lo avrebbe trovato divertente e, con un doloroso nodo alla gola e le ciglia che si inumidiscono di lacrime, avrebbe riportato alla memoria episodi risalenti alla sua infanzia. Ma questo non è uno di quei momenti. Con il cuore in gola e le gambe tremanti, si affretta a superare l’androne nel quale le pareva di aver intravisto qualcuno. Qualcuno che ora la sta osservando da dietro l’angolo di una casa prossima alla demolizione, ma lei non può vederlo perché ormai quella casa se l’è lasciata alle spalle.

Una delle sue scarpe da ginnastica oltrepassa il buio del vicolo e viene investita dal cono di luce gialla proveniente dal lampione più vicino, l’altra sta per fare altrettanto… Poi una mano le afferra un braccio e la strattona nuovamente nel buio, mentre un’altra le tappa la bocca. Cerca di urlare e liberarsi, ma riceve solo un calcio in uno stinco che la fa piegare in due dal dolore.

- Niente scherzi, Luna Madison - sibila una voce roca e agghiacciante, una voce che lei conosce molto bene.

Trema di paura, ma deve liberarsi a tutti i costi. Un fiotto di adrenalina le esplode nelle vene e, con un morso e uno strattone, riesce a liberarsi dalla presa salda del suo assalitore. Incespica e barcolla per il dolore dovuto al calcio, ma stringe i denti e prende a correre verso casa. Non è lontana, ormai, mancano solo qualche centinaio di metri al vialetto. Vorrebbe urlare a pieni polmoni, chiedere aiuto, ma dalla bocca non le esce nemmeno un suono. L’aria fredda le sferza il viso e il battito del suo cuore impazzito è l’unico rumore che riesce a sentire. Non sa se il suo aguzzino l’ha seguita, non sa se le sta correndo dietro o ha gettato la spugna, ma non ha tempo per girarsi. I polmoni si affannano a cercare ossigeno e i muscoli tirano dolorosamente, affaticati dopo il lungo allenamento del giovedì sera, ma lei continua a correre, perché l’unica cosa che sa è che non vuole morire. Non adesso.
In lontananza vede il vialetto di casa, un faro in mezzo a un mare di terrore. Svolta di scatto a sinistra e solo adesso si concede una rapida sbirciata oltre la spalla. La figura è a pochi metri da lei e si muove velocemente, più di quanto lei avesse potuto immaginare. Lei è stanca e provata, sfinita dalle due lunghe ore di sport ininterrotto, mentre lui le sta dietro senza troppo sforzo. Un gemito di terrore le sfugge dalle labbra, ma è l’unico suono che riesce a produrre: la gola è sigillata, non può urlare né chiamare aiuto.

Si precipita alla porta di casa e tira con forza la maniglia verso il basso, anche se sa già che sono tutti sforzi inutili perché prima di uscire di casa l’ha chiusa a chiave. Non ha un secondo da perdere, l’assalitore è solo a una decina di metri dal cancelletto. Con il cuore in gola, getta a terra tutto il contenuto dello zaino, cercando tra vestiti sudati e pacchetti di fazzoletti il mazzo tintinnante con l'enorme ciambella di peluche attaccata come portachiavi. Tastandolo nel buio riesce a trovare la chiave che sembra essere quella giusta e, con le lacrime agli occhi per il panico, cerca di infilarla nella serratura, ma quella non gira nemmeno. Prova a forzarla con tutte le energie che le restano, ma non c'è niente da fare.
L'uomo nel frattempo si è avvicinato, adesso si trova a un passo dal cancello che lei ha lasciato spalancato. Nessun altro ostacolo li separa, solo il vialetto lastricato che conduce all’ingresso della sua casa. La lama affilata di un coltello luccica di un sinistro bagliore argenteo sotto la luce di un lampione, facendola tremare di terrore puro. Afferra nuovamente il mazzo, questa volta decisa a trovare la chiave giusta e, nel buio quasi totale, vede un lampo verde, il colore con il quale ha smaltato la chiave della porta principale per riconoscerla più in fretta. Non esita, non ne ha il tempo: la infila nella toppa con rabbia, girando con forza.

Qualcosa di appuntito le punzecchia la schiena, proprio sopra la colonna vertebrale. La stoffa del parka che indossa si sfilaccia un po’ mentre l’uomo fa una maggiore pressione col coltello sulla sua schiena.
– Non ti muovere – sibila l’uomo, la voce tagliente quanto l’arma con la quale la sta minacciando. Un passo falso e verrà infilzata. Non si muove, non osa nemmeno respirare, nonostante i suoi polmoni paiono quasi implorarla di assumere nuovo ossigeno.

È finita, pensa. Dopo tutta quella fatica, tutti quegli sforzi, è giunta al capolinea ugualmente. Ma poi qualcosa nella sua mente si illumina. La sua ultima speranza, l’ultimo appiglio al quale aggrapparsi prima di precipitare nel baratro. Non ci pensa due volte, il suo corpo si muove da sé: con uno scatto fulmineo gli tira una ginocchiata all'inguine e, senza attendere una sua reazione, gira del tutto la chiave nella serratura, facendola scattare e aprendo la porta.
L’uomo barcolla per la sorpresa e mugola di dolore, poi si precipita nella sua direzione. Lei si affretta a richiudere il battente con una spinta, ma troppo tardi si accorge del braccio armato di coltello che si protende verso il suo corpo. La lama luccica di crudeltà nella notte, poi si avventa sul suo viso e apre un profondo taglio all’altezza del sopracciglio destro. Del sangue caldo e denso prende a sgorgare immediatamente dalla ferita, accecandola dal dolore. Senza curarsi della porta ancora semiaperta, corre per le scale fino a raggiungere la sua camera da letto, il posto più sicuro che le viene in mente. Spalanca la cabina armadio dalle lucide ante a specchio e si fa strada in mezzo ai vestiti fino a raggiungere il pannello scorrevole che cela la cavità lasciata da un antico caminetto. Ci si rannicchia dentro come un gattino, mentre cerca disperatamente il cellulare per comporre il numero della polizia. Ma sa già ancora prima di mettersi a cercare che è tutto inutile, perché il cellulare è rotolato sullo zerbino nel momento in cui ha svuotato a terra il contenuto dello zaino per cercare le chiavi. Trattiene i singhiozzi, lacrime di terrore le rigano le guance mentre sente i passi pesanti del suo inseguitore che rimbombano lungo il corridoio d’ingresso e il taglio al sopracciglio non accenna a smettere di sanguinare. Il rumore di piatti e porcellane che si frantumano a terra le strazia il cuore, perché in quelle stoviglie un tempo aveva mangiato con le persone che più amava al mondo. In un giorno che pare lontano anni luce da questo momento, in cui si sente un topo in trappola mentre permette a un assassino di distruggere ogni legame che aveva con i pochi bei momenti della sua infanzia. Ma poi ode i passi pesanti risuonare lungo le scale di marmo, e i bei momenti trascorsi assieme alla sua famiglia in quella casa tornano a far parte del passato, un passato avvolto da un’aura dorata dove ancora non erano penetrati sentimenti come il dolore e la paura.

La porta della stanza accanto viene aperta con un calcio violento, come per arrecarle ancora maggiore dolore, poi il suono di materassi e poltrone che vengono fatti a pezzi dalla lama affilata del coltello perfora l’immobilità della casa avvolta nell’oscurità. Il silenzio viene rotto dal frugare rabbioso negli armadi, dai tonfi secchi di cassettiere e mensole che vengono ribaltate, lamenti straziati di una casa che viene messa a soqquadro con cattiveria. Non gli basta metterla a tacere per sempre, lui vuole anche farle male radendo al suolo tutto quello che apparteneva a lei e a quella sua dannata famiglia di impiastri. Vuole solo torturare un'ultima volta l’ultima superstite di quella maledetta famiglia, lasciandola in attesa del colpo di grazia che non tarderà ad arrivare. E per farla soffrire maggiormente, lo sa, non c'è nulla di meglio che fare a pezzi tutte le sue cose, tutti i ricordi felici che sono inevitabilmente legati ad ogni oggetto e ad ogni mobile presente in quella casa. Lui lo sa, lei lo sa. Entrambi sanno cosa vuol dire vedere il dolore con i propri occhi, provarlo sulla propria pelle e assistere impotenti alla sua implacabile devastazione. Questa notte la crudeltà dell’essere umano arriva all’apice, distruggendo tutto ciò che incontra al suo passaggio: speranze, sogni, progetti futuri e ricordi di una ragazza nemmeno diciottenne che ha ancora molta vita davanti. Non per molto, pensa lui, tra poco ciò che deve essere fatto sarà finalmente compiuto e nulla di quella brutta storia potrà più venire in superficie. I suoi piedi fanno scricchiolare il vecchio parquet mentre percorre il corridoio, che lo conduce sino a una porta di legno candido e puro, con il nome della proprietaria della stanza dipinto con una calligrafia complessa ed elegante. Con una smorfia disgustata, riga la vernice bianca con la punta del coltello, lasciandovi profondi solchi scuri.

Lei, nel frattempo, ha smesso del tutto di respirare. Da dentro l’armadio sente l’orribile gemito del legno sfregiato e capisce che lui è lì, nella sua stanza. Per una manciata di istanti, il silenzio è assordante. L’unico rumore che sente è il battito fuori controllo del proprio cuore, che rimbomba talmente forte che teme lo possa sentire anche lui. Vorrebbe posarci una mano sopra per calmarlo, ma ha paura a muovere anche un solo muscolo. Poi il frastuono dei cassetti del comodino che vanno a schiantarsi a terra e gli squarci brutali dei cuscini lacerati coprono il resto, facendola piangere dal dolore in silenzio. In quella camera, fino a pochi minuti prima, erano disposti in bell’ordine tutti i suoi averi, tra cui gli unici legami che le restavano con il resto della sua famiglia. Ora non c’è più niente altro che un’accozzaglia di oggetti rotti e incompleti, un po’ come si è sempre sentita lei da quel fatidico giorno. Ma quel giorno è ormai lontano, nel presente tocca a lei. È lei quella che sta per passare a miglior vita, adesso, e l’unica cosa a cui riesce a pensare è che non lo vuole, che per lei non è ancora giunto il momento. Lei vuole lottare, vuole restare, deve farlo per ripagare tutti i sacrifici di chi in vita l’ha amata e continua ad amarla sopra ogni altra cosa.

Improvvisamente un altro silenzio immobile le perfora le orecchie, ancora più del boato che segue subito dopo. Lui è implacabile, preda a un’ira animalesca che si riversa tutta su quella stanza pura e immacolata. Afferra la sedia della scrivania e, con un urlo disumano, la scaraventa contro le ante di vetro della cabina armadio, frantumandone le porte a specchio. Insoddisfatto, si avvicina ulteriormente. I frammenti di vetro scricchiolano sotto la suola spessa dei suoi stivali, ma lui pare non farvi caso: è ancora sopraffatto dalla rabbia, dall’urgenza di fermare l’inizio della sua rovina: non riesce a sopportare che nelle mani di quella insulsa ragazzina sia riposto il suo destino e quello di tanti altri che, come lui, nella vita non amano giocare pulito. Deve assicurarsi che niente possa andare storto, adesso come in futuro. Eliminare tutte le prove. E la prova vivente, la bomba a orologeria che potrebbe rovinare anni di piani costruiti nei minimi dettagli, è proprio a pochi passi da lui.

Lei trattiene il fiato ancora una volta, il suo cuore ora ha smesso di battere. Sa che da lui la separa solo una sottile strisciolina di legno e che basterebbe poco per sfondarla. Vorrebbe solo scomparire, nascondersi o svegliarsi da questo terribile incubo… ma sa bene che questa è la realtà e non uno dei suoi ricorrenti brutti sogni, con i quali ha imparato a convivere nel corso degli anni. Mentre i suoi vestiti vengono sbalzati fuori dalla cabina armadio e sparpagliati per la stanza, pensa solo che deve mettersi in salvo. Lo deve a tutti quelli che hanno fatto l’impossibile per farla vivere, a chi ha pagato un prezzo fin troppo alto per questo. Vorrebbe urlare dal terrore e dalla frustrazione, ma se lo impedisce, deve cercare di rimanere calma, anche se calma non lo è per niente; solo così avrà una minima possibilità di farcela. Si raggomitola ancora più a fondo nella nicchia, la schiena che preme sulle pietre sporgenti e le lacrime che le appannano la vista. Aspetta, in attesa. È l’unica cosa che può fare, oltre a pregare.

Le grucce vengono spostate di lato con stridii perforanti e il pannello vibra visibilmente, vittima del pugno violento dell’uomo infuriato che sta all’esterno.
- Maledetta, dove cazzo sei? – sbraita ancora, schiumante di collera. Seguono varie imprecazioni irripetibili e tonfi sordi, poi la sua risata satura di follia la fa tremare fin dentro le ossa. - Te la farò pagare, mo’ vedi come te la facciamo pagare – latra, la voce corrosiva come acido che rimbalza e si propaga in tutta la casa.

Si sentono rumori di vario genere per i seguenti dieci minuti, durante i quali lei non si muove di un millimetro. Se ne sta ancora lì nel suo nascondiglio, paralizzata dal terrore, gli occhi strizzati e le orecchie tese a cogliere ogni più piccolo rumore. Il cuore continua a rimbombarle nel petto, sembra un metronomo impazzito, e la ferita sul viso non accenna a smettere il suo gocciolare ritmico e costante. Poi, improvvisamente, il silenzio torna ad avvolgere l’abitazione, ma lei non si azzarda a uscire. Rimane lì per quelle che a lei sembrano ore, non sa che cosa fare né come comportarsi. Alla fine si arrischia a far scorrere il pannello di lato, sempre con estrema delicatezza.

La visione che le si para davanti agli occhi è la rappresentazione fedele della distruzione più totale. La sua stanza è a pezzi, così come il suo cuore. Non c’è nulla che sia sopravvissuto alla furia cieca di lui, nemmeno lei si sente più integra, anche se in verità non lo è più da molto tempo. Cade in ginocchio in mezzo ai rottami di legno dei mobili, ai vetri rotti che le feriscono la pelle e ai libri fatti a brandelli che giacciono sul parquet a faccia in giù, aperti e con le copertine rivolte al soffitto, come cadaveri dilaniati dalla morte. Attorno a lei svolazzano piume d’oca provenienti dal piumone e ciuffi di imbottitura dei cuscini, pezzi di stoffa colorata e pagine strappate zeppe di appunti, racconti, riflessioni, lezioni. Sogni. Speranza, quella che in lei non è mai morta.
Si prende la testa tra le mani e piange disperata, i singhiozzi strozzati come unico rumore che turba la quiete di questa sera nera. Sa che dovrebbe alzarsi e chiamare qualcuno, ma non ne ha la forza, non dopo aver visto come è stata ridotta la sua casa. Lo shock è ancora troppo forte, non ha la lucidità necessaria per ricordare che fine possa aver fatto il suo cellulare e chiamare qualcuno. Già, ma chi può chiamare? Non sa più a chi affidarsi, a chi confidarsi, questa situazione è troppo grande per lei, troppo spaventosa per essere retta dalle sue esili spalle. Ma quando il male sembra essere dappertutto, non sai più dove cercare rifugio; lei lo sa bene, perché non si fida più di nessuno. È ancora troppo sconvolta per pensare, troppo instabile, l’unica cosa che non smette di lampeggiarle nella testa è la sicurezza che lì non è più al sicuro e che se ne deve andare al più presto. Rimane a terra e, con la testa tra le mani, singhiozza per un tempo che le sembra infinito, a rimuginare su tutte le cose a lei care che le sono state portate via nel corso degli anni.

Il suo pianto sommesso e silenzioso viene interrotto da un colpo di tosse, il suo. Non è di quelli causati dal malessere vero e proprio, né di quelli che le escono di solito per schiarire la voce. Inizialmente è solo una sensazione, una presenza quasi impercettibile che le solletica i polmoni. Poi, quando questa si fa più densa, il respiro prende a mancarle e l’odore acre del fumo le occupa le narici facendole lacrimare gli occhi, scatta in piedi. La temperatura si sta alzando velocemente, spingendola a sudare e ad ansimare alla disperata ricerca di ossigeno, mentre il pavimento prende a scaldarsi sotto ai suoi piedi, lo sente distintamente anche attraverso la suola di gomma delle scarpe da ginnastica. Nel frattempo tossisce sempre più forte, gli occhi le bruciano e le lacrimano, ma nonostante questo si impone di rimanere calma e di ricordare quelle poche regole di sicurezza che ha imparato a scuola. Lo sa, deve coprirsi naso e bocca con un fazzoletto e trovare un’uscita al più presto, ogni minuto è prezioso.

Corre verso il piano di sotto, verso la salvezza, ma subito si arresta alla vista delle fiamme che si stagliano diaboliche ai piedi delle scale e che si propagano rapidamente in tutte le direzioni. Si chiede come sia possibile che il fuoco prenda e divori tutto così velocemente, ma poi abbassa lo sguardo in direzione dei suoi piedi e le vede. Sono dappertutto. Strisce viscide e oleose sul pavimento di tutte le stanze, una traccia maledetta che la intrappolerà lì in men che non si dica. È benzina, ovviamente, quella che la zia utilizza per alimentare la falciatrice: ora si spiega tutto e lei si sente ancora peggio di prima. Non ha più vie di fuga, visto il modo in cui le fiamme avviluppano mobili e oggetti al piano di sotto, ormai tramutato in un’unica, ruggente muraglia di fuoco. Cerca di ragionare a mente lucida ma non ci riesce più, perché la paura le si insedia infima tra le pareti dello stomaco e glielo chiude in una morsa. Non le resta altro da fare che fuggire da una delle finestre del primo piano, anche se è pericoloso e sa che potrebbe rompersi l’osso del collo. L’unica cosa che sa per certo è che il fuoco dell’inferno sta arrivando anche dove si trova in questo momento. Certo, le fiammelle sono molto più piccole perché non hanno ancora trovato molto di cui cibarsi, ma lei sa perfettamente che una volta arrivate allo studio, dove ci sono libri e scartoffie ovunque, non ci metteranno molto a diventare grandi e voraci come le sorelle al piano di sotto.

Prende la sua decisione definitiva, che deve per forza essere quella giusta o tutti i suoi sforzi di sopravvivere si riveleranno vani e corre più veloce che può fino alla stanza in fondo al corridoio, nella quale, secondo i suoi calcoli frettolosi, il fuoco dovrebbe raggiungerla qualche minuto più tardi. Spalanca il battente della camera da letto di sua zia e scatta verso la porta finestra che dà sul balcone ma, forse a causa dell’eccessiva forza che ha impiegato nel compiere l’azione, la maniglia le rimane in mano, lasciando la porta a vetri sigillata. Ora rimpiange di non aver insistito di più per ripararla quando la zia era rimasta chiusa fuori per la prima volta. Non riesce a impedire a un urlo di frustrazione di uscirle dalla bocca, ricordandole quando è impotente di fronte alla sfortunata serie di eventi che non ne vuole proprio saperne di lasciarla in pace. Nel panico, tira una spallata poderosa al vetro, poi un’altra e un’altra ancora, ma non cambia nulla. Arrivano poi i pugni e le spinte dettate dalla disperazione, che non portano nessun risultato oltre alle diverse ferite sulle nocche che la fanno mugolare di dolore. Non c’è più tempo per esitare, ormai, lo confermano le lingue di fuoco che hanno raggiunto il corridoio e, affamate come belve feroci, divorano ogni cosa che incontrano. Ma lei pare non farci nemmeno caso mentre corre a perdifiato lungo tutto il corridoio, fino a raggiungere il ripostiglio vicino alle scale, dove strappa la pesante cassetta degli attrezzi dalla mensola dov’era stata collocata molti anni prima. Vi infila la mano dentro e scava tra i mille strumenti alla svelta, perché il fumo si è prepotentemente impossessato dei suoi polmoni e gli occhi le bruciano talmente tanto da faticare a tenerli aperti. Infine riesce a estrarne un martello e, non appena stringe tra le mani l’oggetto della sua salvezza, scappa a perdifiato verso l’ultima stanza. Con la coda dell'occhio, sfocate a causa delle lacrime che le annebbiano la vista, intravede le lingue di fuoco bruciare tutti i vecchi libri di papà e divorare i mobili nelle stanze, mentre altre fiammelle più piccole si allungano sul tappeto del pianerottolo, avanzando crudelmente nella sua stessa direzione. La braccano come segugi infernali, determinati a cibarsi della sua anima e a spedirla lontano, dove le due parole non potranno incastrare nessuno.

Tallonata dalle fiamme, raggiunge la sua meta e si sbatte la porta alle spalle; sa che è uno sforzo inutile e che le terrà impegnate solo per un paio di minuti, ma potrebbero essere sufficienti a salvarle la vita. Afferra l’attrezzo con entrambe le mani e si lancia alla cieca in direzione della porta finestra, tirando martellate all’aria e tossendo a pieni polmoni. Colpisce prima il muro, dove lascia un profondo buco nell’intonaco, poi l’intelaiatura della porta, che si ammacca con un orribile stridio, e infine trova la lastra di vetro, che si disintegra in mille pezzi che le piovono addosso e la feriscono in più punti. Non se ne cura affatto, in questo momento l’unica cosa importante è salvarsi la vita. Glielo deve. Lo deve a lei, che si è sacrificata al posto della sua famiglia senza pensarci due volte.

Il calore si è fatto insostenibile, sente la pelle bruciare per le ustioni e per i tagli e, se non sapesse che è scientificamente impossibile, sarebbe convinta di starsi inesorabilmente sciogliendo, come un pupazzo di neve al sole. Cerca a tentoni il buco che ha creato nella lastra di vetro e, non appena la trova, ci si tuffa dentro senza esitazione. Le schegge acuminate rimaste le si conficcano a fondo nella pelle, la graffiano e la lacerano, ma l’adrenalina ha la meglio sul dolore e le permette di abbracciare il coraggio a due mani e saltare nel vuoto, affidandosi al vento gelido della sera che le riempie finalmente le vie respiratorie.

L'impatto con l'acqua fredda della piscina sottostante è brutale e doloroso. Sbatte malamente il sedere sul fondale poco profondo, ma il sollievo dato dalla freschezza del fluido sulle ferite e sulla pelle ustionata le fa dimenticare tutto il resto. Rimane con la testa sotto l’acqua scura fin tanto che i polmoni glielo permettono, poi, servendosi delle ultime energie che le rimangono, riemerge e respira più a fondo che mai l’aria gelida della sera. Riesce appena a raggiungere il bordo della vasca e a uscirne che le forse la abbandonano, lasciandola crollare scompostamente sul pavimento lastricato di mattonelle color crema del bordo piscina. Trema, trema come non ha mai tremato in vita sua, un po’ per il freddo ma soprattutto per il panico e la paura. Le ultime cose che vede sono la sua casa in fiamme e le sirene blu e rosse che si intravedono già nel folto degli alberi, in lontananza. I soccorsi, finalmente. Ora ci penseranno loro a lei. Sospirando di sollievo, lascia che il buio scenda sul suo campo visivo e la avvolga come una morbida trapunta di lana.
   
 
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