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Autore: Shin Tarekson    17/11/2020    0 recensioni
[Ingranaggio]
[L'Ingranaggio]
Quando tutto sembra così raggiungibile da risultare poco stimolante l'unica cosa che tu possa fare è volere di più, di più e ancora di più. Qual è il momento in cui capisci di essere andato troppo oltre?
Questo è un racconto basato sull'avventura necro-punk dell'universo trattato dal manuale "L'Ingranaggio", creato da Valerio Amedei, Andrea Marmugi e Stefano Simeone.
Genere: Avventura, Dark, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP 13 - Inferno
 
I segni che qualcuno ci abbia passato del tempo sono palesi, in un angolo un rotolo di pluriball appoggiato alla parete insieme a delle coperte, come al GROSS, altro scatolame assortito che un tempo doveva contenere del cibo più qualche scatoletta ancora integra con delle scritte che ne indicano il contenuto “tonno, fagioli, carne secca”, un piccolo fornelletto da campo la cui bombola giace rovesciata distante qualche metro, un binocolo appoggiato al davanzale, fogli e taccuini sparsi sul pavimento e uno strano marchingegno al centro della stanza con scritto sopra a pennarello “LE NEBBIE DI AVALON”.

Sul muro opposto alle finestre una scritta, probabilmente fatta usando lo stesso pennarello recita: “C’è molto, troppo oltre la Carne, il Vapore e l’Acciaio. Gli Antichi hanno aperto le porte e il Diavolo è passato. Mi ha offerto il mondo e si è preso ogni cosa. Vuole la mia anima, brama la mia anima… Non la troverà. Non è più qui. È accanto a Margherita, e a Giada, oltre altre porte, ancora da aprire”.
  • In che senso la sua anima non è più con lui?
  • Non ne ho idea soldato… dobbiamo arrivare in fondo alla faccenda, il più velocemente possibile. Non capisco come mai Fausti abbia così paura di Mefistofele, in fondo è solamente una PAI, come Rooke, non sarebbe stato sufficiente distruggere il porta-PAI per porre fine al problema?
  • Non ne ho idea, Alessandro – inizia a dire Manfredo.
  • Ale, chiamami Ale, ti ho detto che ormai siamo amici, giusto, soldato?
  • Giusto! Ok, allora, Ale, guarda qui a terra, tutti questi appunti. Sembrano appunti strategici.
  • Come se stesse preparandosi ad uno scontro particolarmente duro – dice Laila.
  • Esatto, qui parla di Autonomi, Operai e Sorveglianti, mentre date un’occhiata in giro credo che studierò un po’ questi schemi, potrebbe darmi qualche indizio su come rendere più facile l’abbattimento di questi cosi, nel caso dovessimo trovarceli davanti.
A questo punto torno a focalizzare la mia attenzione sul marchingegno al centro della stanza. Sembra una scatola, grigia, sopra di essa tre piccole antenne sono saldate ad un disco color bronzo. Da quando siamo entrati ha continuato ad emettere un debole ronzio, come se fosse rimasta sempre accesa da quando Fausti si è accampato qui, probabilmente è stato lui a costruirla. Girandoci intorno per osservarla da tutti i lati vedo che, da uno degli angoli alla base della scatola, uno strano liquido verdastro dev’essere uscito dall’interno, per poi seccarsi e incrostarsi sia sul pavimento che lungo la base dell’oggetto.

Probabilmente l’utilizzo prolungato deve aver danneggiato l’interno del dispositivo, potrei provare a smontarlo ed analizzarne l’interno ma, visti i progetti di Fausti, si parla di un livello di conoscenze che non possiedo ancora, inoltre questa sua invenzione non viene minimamente nominata nel diario. Meglio non fare danni e lasciare tutto così com’è.
  • Credo che fareste meglio a venire tutti qui, soprattutto tu Laila – dice Virgilio, è chinato nell’angolo dove, in teoria, Fausti preparava il suo giaciglio.
  • Cos’hai trovato? – chiede Laila.
  • Queste pastiglie, un paio di siringhe vuote – prende un profondo respiro ed alzandosi in piedi si volta verso di noi mostrandoci ciò che tiene in mano – e questa.
  • Sembrano dei dopanti o qualche tipo di energetico, le pastiglie sono di un potente antidolorifico, ma quella… Manfredo, è ciò che penso che sia?
  • Sì Laila, quella è una siringa da Tecnofante, la stessa che possiedo anche io nella mia armatura, è vuota?
  • Già.
  • Allora non abbiamo più tempo – e detto questo va alla finestra, prende il binocolo e inizia ad osservare il carcere.
Io mi avvicino e appoggiandomi alla finestra lascio vagare lo sguardo sugli edifici che compongono questo posto.
Possibile che tu ti sia dovuto spingere a tanto? Penso, ed un lungo sospiro mi esce dalla bocca.
  • Chissà a che punto di questa storia dev’essersi pentito delle scelte che aveva fatto – penso ad alta voce.
  • C’è un solo modo per scoprirlo – mi risponde Manfredo mettendo giù il binocolo – andiamo gente, ho trovato il percorso da fare.
Mentre scendiamo le scale Manfredo ci spiega che molti edifici sembrano sigillati, alcune porte sono murate mentre certe costruzioni sono semplicemente crollate su loro stesse a causa della mancanza di manutenzione.
  • Occhi aperti, non sappiamo cosa ci aspetta, dobbiamo attraversare un paio di edifici ma guardando più avanti, dove dovrebbe esserci il cortile, c’è un ammasso di roba che non riesco a identificare, siamo troppo lontani e c’è troppo buio.
  • Agli ordini, Soldato.
Usciamo dall’edificio e, con Manfredo che ci fa strada, entriamo nel portone di ingresso dello stabile davanti a noi. L’interno, che sembra una reception, si presenta buio e spoglio come lo erano gli uffici, se non che qui la polvere sembra essere molto più chiara e fitta. Le luci delle nostre torce serpeggiano nell’oscurità, nulla sembra muoversi.

Punto la luce sul soffitto, ciò che vedo mi gela il sangue. Alcuni pannelli del controsoffitto mancano e la torcia illumina quelli che a prima vista sembrerebbero dei macchinari. Osservando meglio ciò che vedo l’unica descrizione che mi viene in mente è:
  • Quelli sono polmoni dentro una qualche intelaiatura di metallo? Possibile?
  •  Sono quei cosi che stanno pompando questa polvere! Trattenete il respiro, correte avanti, ora!
Laila finito di pronunciare queste parole alza il colletto della maglia affondandoci dentro fino all’altezza degli occhi, seguita istantaneamente da Manfredo, Virgilio reagisce più lentamente, i suoi movimenti si fanno scoordinati e gli occhi sembrano quasi volersi riversare all’indietro, dopodiché per me è il buio.

Un dolore allucinante mi attraversa il collo, i miei occhi si aprono all’improvviso e i miei polmoni prendono un lungo e profondo respiro. Il dolore al collo piano piano scema mentre io vengo scosso dai colpi di tosse, il mio corpo sta espellendo tutto lo schifo respirato prima.
Quando la vista torna abbastanza lucida vedo Laila con una siringa in mano e due dita sul mio polso, Manfredo e Virgilio, invece, sono con le armi puntate verso la porta successiva. Un rumore metallico, di passi, molti passi, si stanno avvicinando, poi, due grossi cani meccanici appaiono dal profilo della porta a sbarrarci la strada.

Le loro sembianze sono inquietanti, è come se la pelle del muso di un cane fosse stata tirata su quella dei robot per poi essere fissata con dei rivetti.
  • Non abbiamo tempo da perdere – dice Manfredo mentre estrae le lame e si lancia all’attacco.
Corre in mezzo a noi puntando ai due cani, colpendone uno sul fianco, lasciando un profondo solco e incrinando la zampa anteriore del secondo.

Virgilio incoccato il quadrello della sua balestra spara un colpo centrando la testa del cane che era stato colpito al fianco che cade immobile, mentre io e Laila, approfittando della scarsa stabilità del secondo lo colpiamo contemporaneamente alla schiena, io con l’accetta e lei con il coltello. I colpi calano pesanti sulla struttura di metallo facendo qualche tipo di danno che porta alla disattivazione anche del secondo cane, spegnendo il lungo ululato che aveva iniziato nel momento in cui ci aveva visti correre verso di lui.
  • Bene, direi che conviene darci una mossa – dice Virgilio ma pochi istanti dopo, dalla stessa porta da cui sono entrati i cani, due mostri fanno la loro comparsa.
Sembrano dei costrutti, sono diversi tra di loro ma entrambi presentano una testa, molte braccia e molte gambe. Appena dietro la nuca, una antenna si incastra penetrando dentro la testa.

Ci fissano per qualche secondo, come ad aspettare degli ordini dopodiché ci si lanciano contro.

Questa volta lo scontro è più impegnativo, tra la moltitudine di braccia, la scarsa visibilità data solo dalle torce e il fatto che lo spazio di questa stanza è molto limitato, ci mettiamo molto, forse troppo tempo, prima che l’ultimo colpo, inferto dal fucile di Manfredo, ci permetta di avere ragione contro di loro.

Siamo stanchi, Manfredo si tiene una mano sul fianco sinistro, le labbra serrate così forte da diventare bianche, sappiamo il dolore che sta sentendo ma cerca di non farcelo pesare, Virgilio intanto raccoglie un paio di quadrelli estraendoli dalle braccia dei costrutti.
  • C-credo c-che sia un-una buona idea s-se ci sbri-sbrighiamo ad uscire d-da qui – balbetta, lo stress ci sta mettendo a dura prova.
  • Ho un’ultima confezione di stimolanti, la tenevo in caso di necessità e credo che ora sia il momento più adatto. Prendete una pastiglia e mandatela giù, dovreste sentirci un po’ meglio in pochi secondi.
  • Grazie Doc, se uscirò vivo da questa storia, prometto di offrirti almeno due caffè ogni giorno.
  •  Guarda che me lo segno.
Proseguiamo lasciandoci questo stabile alle spalle, solo per entrare in quello successivo dopo un tragitto di pochi metri all’aperto, la luna è quasi piena e brilla illuminando questo lugubre posto, ora che non c’è nessuna nuvola in cielo.

Una volta dentro, il cuore di tutti perde un battito.

Rivolto verso un angolo, un altro di quei costrutti mostruosi con troppi arti sembra fissare il muro.

Iniziamo a muoverci lentamente lungo la parete e lui non sembra accorgersi di nulla.
  • Aspettate – dice Virgilio – questo qui non ha l’antenna nella testa, ha soltanto un buco.
  • Hai ragione, potrebbe non essere attivo – gli rispondo e vado a controllare.
Muovo un paio di passi, incerto, con l’accetta in mano. Niente.

Rassicurato mi avvicino camminando più velocemente, il costrutto sembra effettivamente spento e il buco nella testa somiglia ad un grosso ingresso per un connettore Jack.

Probabilmente, penso, la parte maschio viene inserita solo nel momento in cui si desidera attivare il costrutto, questa tecnologia è completamente diversa rispetto a quella dei costrutti classici, possibile che sia anch’essa opera di Fausti?

Mentre il mio cervello rimugina su questi pensieri raccolgo una manciata di terra e calcinacci dal pavimento e li faccio cadere dentro il buco.
  • Cosa stai facendo, Ale?
  • Se le mie supposizioni sono esatte, Doc, per far funzionare questi cosi bisogna inserire un’antenna dentro questo buco, in questo modo le connessioni si avviano ed il costrutto può muoversi e ricevere comandi, anche da distanza. Infilando della terra sul fondo del buco in teoria l’antenna non può infilarsi completamente rendendo impossibile l’accensione del costrutto. Fatto.
  • Bella trovata Alessandro, ora andiamo però, non so per quanto ancora l’armatura possa rimanere carica.
La stanza successiva è il settore femminile, è molto ampia, ma vuota, proseguiamo e più avanziamo più la struttura dell’edificio si trasforma, muta.

Le pareti vengono dapprima coperte da cavi, poi sostituite da essi ed infine il tutto sembra coprirsi metro dopo metro di tessuto organico, come se fosse qualcosa di vivente. Intorno a noi iniziano a comparire piccoli esserini, simili costrutti, delle dimensioni di un topo, che girano per la struttura andando a ricucire e saldare laddove il tessuto organico si rovina o un tubo inizia a perdere. Provo ad incidere un tubo coperto da quel tessuto e ciò che esce dalla ferita è un liquido che sembra essere composto da sangue e olio di motore, il taglio viene velocemente ricucito da uno di quei piccoli affari che una volta completato il lavoro sparisce tra i cavi, senza degnarci di un’occhiata.

È come se tutto l’edificio fosse una creatura biomeccanica, come se noi stessimo camminando trai vasi sanguigni, tra le fibre muscolari.

Avanzando, prima come un flebile suono, poi sempre più forte, dei lamenti. Superato l’ennesimo corridoio ci imbattiamo in una stanza che sembra aver mantenuto la struttura originale. Davanti a noi, diverse celle sono riempite di persone, persone normali, che ci chiedono aiuto.

Laila muove un passo in avanti, forse con l’intento di andare ad aprire le porte delle celle ma la fermo.
  • State attenti, potrebbe essere una trappola.
  • Inoltre – prosegue Virgilio – probabilmente al momento sono più sicuri lì dentro. Di sicuro non possono uscire da dove siamo arrivati noi, la stanza con i polmoni ormai sarà impossibile da attraversare.
Laila annuisce.
  • Come siete arrivati qui? – domanda ad un prigioniero, facendo qualche passo verso le celle.
  • Non ne abbiamo idea! Fateci uscire! Non sappiamo nemmeno da quanto siamo qui!
  • Non c’è nessuna serratura, e non potete fuggire da dove siamo arrivati noi. Aspettateci qui, torneremo appena possibile.
Alla nostra destra una luce appare, una porta si è aperta e, illuminato dalla luce, una figura umanoide scintillante, alta quasi due metri, guarda nella nostra direzione. Muove qualche passo verso di noi, la struttura è quasi completamente meccanica, come i cani, e come loro, sulla testa, ha il volto tirato di un uomo, fissato ai lati con dei rivetti.

Come ci vede apre la bocca ed il suono che ne esce è simile ad un acutissimo fischio, dalle pareti laterali, tra i cavi d’acciaio e le membrane di tessuto organico, decine di costrutti-chimera uguali ai primi due con cui ci eravamo scontrati, emergono con le teste rivolte verso di noi.


PS: Siamo al tredicesimo capitolo, ne mancano solo DUE! mi piacerebbe avere un riscontro su quelli che sono i vostri pensieri riguardo questa storia tratta dalla campagna del gioco di ruolo "L'INGRANAGGIO" che ho giocato insieme ad alcuni amici!
   
 
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