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Autore: Bibliotecaria    18/11/2020    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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7. Matrimonio
 
Da quando informammo Orion il fatto che io e Giulio eravamo una coppia stabile la notizia divenne di dominio pubblico ma nessuno osava commentare poiché Orion era molto di parte sulla questione e Malandrino si limitava a non commentare quindi l’unico cambiamento che percepii fu qualche commento infelice da parte di alcuni membri dei Rivoluzionari e poco altro. Anzi quelli che fecero più storie furono i nostri amici di cui nessuno sapeva nulla sulla nostra relazione, fatta eccezione per Nohat; dovevano però avere intuito qualcosa perché Felicitis e Garred fecero una scenata quando glielo confermammo.
Nel contempo Malandrino era stato informato del fatto che noi saremmo stati assenti per qualche giorno e ottenemmo il consenso ufficiale ad uscire da Meddelhock. All’inizio mi sorpresi di questo aspetto molto permissivo di Malandrino, ma riflettendovi un attimo capii che era il suo modo per poterci controllare. Se avesse vietato categoricamente di andarsene dalla città per un qualsiasi motivo si sarebbero inevitabilmente formate tensioni nel gruppo o avrebbero iniziato a fare comunque queste cose alle sue spalle. A questo modo, invece, si garantiva la gratitudine dei suoi sottoposti e infondo a lui non cambiava nulla se due ragazzini che in quei giorni non gli servivano lasciavano la città; però era importante che questi lo informassero, che gli chiedessero il permesso, era un modo per controllarci di gran lunga più efficace di proibirci a prescindere di allontanarci. E seguendo questa stessa logica organizzava i crimini anche più sciocchi con mesi di anticipo: per fare in modo che chi lo seguisse organizzasse la sua vita sulla base di questi e non su quello che altre persone gli avrebbero potuto offrire. Quel pensiero mi fece rabbrividire.
Tuttavia non ebbi il buon senso di criticare o commentare in qualsiasi modo la questione poiché per me andare a quel matrimonio era importante.
 
Così mi ritrovai tre giorni prima del matrimonio, alle sei di sera, nella macchina di mio padre a guidare verso l’autostrada che ci avrebbe condotti direttamente a Lovaris. Il tragitto fu stranamente silenzioso fino alle due di notte. “Come hanno reagito quando gliel’hai detto?” Gli domandai ad un certo punto non sopportando più quel silenzio teso che si era formato da quando Giulio era entrato in macchina. “Quando li ho informati che un’amica mi ha chiesto di farle da cavaliere ad un matrimonio parevano relativamente contenti. Però ho omesso il fatto che sei umana.” Mi informò guardando il vuoto con un evidente senso di colpa. “A ripensarci questa sarebbe stata un’ottima occasione per dirglielo.” Ammise stancamente. “Ma non ho avuto il coraggio. Sono stato stupido.” Giulio guardò il vuoto per un lungo istante e capii quanto ci tenesse. “Senti siamo ancora vicini, possiamo ancora tornare in dietro e parlare con loro.” Sussurrai con un mezzo sorriso. “Diana…” Sussurrò lui facendo un mezzo sorriso. “Scherzo, non ti preoccupare. Se lo mettiamo in questo piano la peggiore sono io: non ho mai neanche detto ai miei genitori di avere qualcuno come accompagnatore.” Ammisi buttandola sul ridere ma Giulio rimase con quel suo sorriso pacato. “Non serve che cerchi di tirarmi su di molare Diana.” Distolsi lo sguardo dalla strada vuota. “Lo so. Ma non voglio che ti senti in colpa per questo.” Gli spiegai tornando a guardare la strada. “Per di più stiamo assieme da appena un mese e mezzo, non pretendo mica che mi presenti ai tuoi!” Commentai anche se c’era un tarlo che sentiva il desiderio di entrare a far parte della sua vita ulteriormente. “Quando sarà il momento e ci sentiremo pronti ne riparleremo, siamo in due in questa storia e così agiremo.” Sentii Giulio ridacchiare. “Sappi che non potremmo rimandare di molto, mio fratello maggiore non vede l’ora di conoscerti, è curioso di sapere che tipa sei.” Continuò Giulio decisamente più rilassato mentre continuavamo a guidare immersi nel nulla dei grandi campi arati, piantagioni e frutteti che caratterizzavano il centro sud.
I due giorni di macchina furono complessivamente piacevole, molto più di quanto non fosse stato quello con i mei genitori quando ero partita: mi godetti il panorama, ascoltammo la radio, cantammo vecchi classici e nuovi pezzi che sarebbero diventati parte della storia musicale, lasciai che il sole mi bruciasse la pelle, avevo sempre avuto la pelle di una tonalità abbastanza scura, uno strano dorato misto al ambrato, ma appena prendevo sole diventavo più tendente al moro, ma da quando ero a Meddelhock non avevo più avuto il tempo di stare fuori alla luce del giorno, così abbassammo il tettino e lasciammo che il vento ci investisse e che il sole ci scaldasse. Eravamo vestiti con abiti leggeri e colorati che tuttavia divennero presto zuppi per il sudore, verso il tardo pomeriggio del secondo giorno arrivammo all’ombra delle montagne e lasciammo la strada principale per immetterci in una piccola strada di campagna nella quale fummo costretti a chiudere i finestrini visto che l’estate era stata secca e i terreni erano diventati un po’ sabbiosi, ma quando attraversammo prima il fiume Lato e in seguito il Maggiore il terreno tornò morbido. A Giulio quei fiumi parvero dei rigagnoli, e in effetti lo erano rispetto al C’och che scorre enorme e prepotente nelle profondità del canyon, circa duecento metri sotto a quella specie di isola che è Meddelhock. Tuttavia il Lato e il Maggiore erano sicuramente più fertili visto che con le inondazioni primaverili il terreno si riempiva di hummus che ancora oggi rende quelle terre molto ricche per la vegetazione, e Lovaris grazie alla sua scarsa espansione e posizione strategica evitava ogni anno di essere inondata.
 
Una volta giunti al ponte che permetteva di attraversare il Gante, il fiume che scorre presso Lovaris, riuscii a vedere il campanile della chiesa con il sole dorato incastrato in una argentea luna, le vecchie mura in mattoni in parte crollate, in parte convertite in case, la porta in marmo rosso rimasta praticamente immutata nel tempo grazie alla sua struttura impressionantemente antisismica ed intaccata dallo scorrere del tempo. “Che te ne pare?” Gli chiesi con gli occhi ricolmi della gioia che si prova quando si torna a casa dopo un lungo viaggio. “Piccola.” Fu il suo unico commento. “Tutto qui? Piccola?” Domandai scettica incrociando le braccia. Adesso c’era Giulio al volante. “Che altro dovrei dire? Lovaris conterà quanto? Cinquemila abitanti?” Mi domandò Giulio nervoso probabilmente a causa dell’odore rilasciato dal clan di Andrea. “Ottomila, grazie.” Lo corressi: è sempre stata uno sputacchio la mia città. Come attraversai le porte della città tutti seppero che ero arrivata visto che un cugino di terzo grado di Oreon mi riconobbe e mi bloccò. “Diana, è da una vita che non ci si vede!” Quel centauro aveva quasi trent’anni e oramai viveva con una sua famiglia, però da piccola lo vedevo spesso dato che viveva nella stessa casa di Oreon e lì ci passavo il cinquanta per cento delle mie estati. “Ciao, Germano.” Lo salutai in imbarazzo. “Sei appena arrivata, giusto? Vuoi che ti offri qualcosa?”
“Oh, mi piacerebbe, ma sono già in ritardo e devo andare da Nami o quella mi ammazza. Ci sei anche tu al matrimonio di Lillà, giusto?”
“Sì, ma vado solo a dare un saluto alla cerimonia, sai avere dei bambini piccoli è bello ma un po’ limitante.”
“Oh, sono nati, dunque! E come va’?” Esclamai entusiasta ricordandomi che in effetti la moglie di Germano era in cinta quando me n’ero andata. “Una meraviglia. Piangono tutta la notte ma sono meravigliosi.” “Vivacelli, eh? In effetti sei tu quello che ha bisogno di un caffè.” Dissi allegra. “Diana, sei l’unica Umana con un cuore in questa città ma non ti rubo altro tempo, Nami ti starà di sicuro aspettando.” Disse Germano per poi lanciare un’occhiata a Giulio. “Oh, dunque è quello il tuo ragazzo? Uhm… gusti particolari come al solito Diana, va’ bene, ci becchiamo.” Disse Germano andandosene: ecco ora tutta la città avrebbe saputo che stavo con un licantropo, eccezione fatta per gli agenti S.C.A. quelli non venivano mai a sapere niente. “Chi era? Sembrava conoscerti bene.” “Un cugino di terzo grado di un mio amico.” Gli spiegai come se fosse la cosa più normale del mondo, tuttavia compresi il disagio che Giulio dimostrò: nelle grandi città è un miracolo se conosci i tuoi vicini anche solo di vista, a Lovaris invece basta muovere un passo e c’è qualcuno che conosce te o una persona che incontri occasionalmente o un conoscente di un tuo amico, è dura non essere notati, soprattutto per via della macchina, un lusso delle forze dell’ordine, anche se prediligevano la moto, e dei ricchi. Dovemmo attraversare praticamente tutta la città e quando arrivai davanti al Fauno Fil ci obbligò a prendere qualcosa, dovetti trascinare Giulio dentro alla tana del lupo, conoscevo tutti i frequentanti tipici del bar, tutti studenti di più o meno la mia età. Lì incontrai persino Lukas, Tehor, Gahan e Zafalina che come mi videro mi abbracciarono e mi offrirono un caffè a me e a Giulio e a seguito molti miei compagni di scuola mi salutarono calorosamente. Quasi trequarti d’ora dopo riuscimmo a liberarci dalla folla e raggiungemmo la macchina, arrivammo da Nami quasi in ritardo assieme ai quattro scrocconi sopra citati. La reazione della padrona di casa quando mi vide fu di saltarmi addosso e abbracciarmi con forza. Lì trovai anche il resto dei miei amici e feci il giro delle presentazioni tra Giulio e i miei compagni, tra le tante novità vidi Andrea per la prima volta con gli occhiali. “Ti donano sai? Ti rendono più intellettuale.” Dissi prendendolo in giro. “Ma va’ a cagare.” Fu l’unico commento che fece prima di abbracciarmi con forza mentre sentivo Giulio innervosirsi dietro di me, Andrea gli lanciò un’occhiataccia. “Senti ciccio, Diana è roba nostra, l’abbiamo trovata per primi noi ed è merito nostro se non è una stronza come gli altri umani, quindi io ho pieno diritto di abbacchiarla se mi gira.” Disse Andrea continuando ad abbracciarmi. “Lascialo stare Andrea, a quanto pare nelle grandi città abbracciarsi è una cosa da coppiette o da famigliari.” Dissi stringendolo a mia volta, era così in effetti, in ogni singola grande città in cui sarei stata la freddezza e il distacco sono stati alla base di tutto per riuscire a vivere in città in cui non si conosce quasi nessuno. Una volta arrivati nel salotto che dava accesso al fiume Giulio rimase pietrificato, incantato: non aveva mai visto un fiume così pulito. “Rilassati ragazzo.” Gli disse Oreon dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. “Questa zona è distaccata dalla città, ogni tanto viene anche inondata ma qui non c’è rischio di inquinamento: noi siamo la prima città che tocca il fiume Gante e quel bastardo Deitre non si azzarda ad inquinarlo, conteremo anche poco singolarmente ma sa perfettamente che se in città lo accusassero d’inquinamento sarebbero guai seri.” Gli spiegò Oreon. “Già, soprattutto con i tempi che girano. Dalla questione della bomba il governo è diventato nervoso sulla questione ambientale, il sindaco ci ha proibito di prendere componenti umanoidi che venissero dalla zona del deserto.” Disse Lukas che in effetti aveva una pessima cerca, chiaro segno che non si nutriva abbastanza. “Sì, ho sentito anch’io. Il mio clan ultimamente ha anche trovato strani animali nati malformi chiaramente venuti da sud-est.” Disse Andrea. “In che senso nati malformi?” Domandai confusa, fu Nami a rispondermi. “Per lo più si tratta di coyote del deserto, o chimere, per settimane ci hanno costretti a restare chiusi in casa dopo che la bomba è esplosa e adesso molti prodotti provenienti da quella zona sono stati sequestrati, hanno detto che erano velenose, e in effetti molto del raccolto in seguito ha iniziato a rilasciare sostanze nocive. Mio cugino che lavora in quei depositi mi ha detto che tutti i topi che li hanno mangiati dopo sono morti.” “Non sono giunte queste voci a Meddelhock.” Notai confusa dando un’occhiata a Giulio che mi fece un mezzo cenno che non era né una affermazione né una negazione. “Al mio clan e alla famiglia di Nohat ci sono stati dei casi di avvelenamento ma non credevo che fosse così grave la situazione.” Ammise Giulio sorpreso, fu quello ad aiutarlo ad inserirsi nella conversazione malgrado la tensione che si era formata nell’aria.
 
Al alba del giorno dopo andai con Nami e le altre ragazze, sposa inclusa, dal parrucchiere. Mi parlarono delle ultime novità e Zafalina mi informò che, malgrado non potessero più partecipare ad alcun torneo a causa della mia assenza, continuavano ad allenarsi. Dopo circa due ore in cui le ragazze prepararono la sposa, e io a fare supporto morale, andammo al santuario del Sole e della Luna dove ci fu una lunga cerimonia che vi risparmierò, se siete mai stati ad un matrimonio sapete come si è svolto. Mi sprecherò solo per dire che Lillà era stupenda, leggiadra ed elegante come non l’avevo mai vista, l’abito bianco perlaceo che aveva scelto stava d’incanto con le sue ali dalle numerose sfumature violacee e non l’avevo mai vista sorridere in quel modo, così come non avevo mai visto Gestro sul l’orlo delle lacrime, fu una sorpresa vederlo commuoversi durante lo scambio della promessa davanti al Sole e alla Luna.
 Una volta conclusasi andammo fuori città dove le famiglie dei due sposi era riuscita a organizzare il pranzo.
“Diana!” Mi chiamarono i ragazzi che quasi non riconobbi dato come si erano conciati. “Ragazzi! Dannazione come state… guardatevi: tutti in tiro.” Dissi trascinandomi dietro Giulio che era chiaramente in imbarazzo. “Piuttosto tu con quel vestito faresti venire sete a chiunque.” Riconobbi subito la voce alle mie spalle, oggi a stento mi ricordo la sua faccia: si chiamava Valdor ed era lì perché faceva parte della classe dello sposo. “Con te non serve: hai sempre sete.” Disse Lukas guardando con disprezzo il suo consanguineo. “E chi sarebbe questo tipo che è finito nelle tue grinfie?” Continuò Valdor con in mano un bicchiere di vino in mano. “Valdor, sparisci.” Decretò Oreon guardando il ragazzo negli occhi sfruttando l’aria autoritaria donatagli da quella camicia nera che aveva messo per l’occasione. “Oh, oh, oh… Diana, ti nascondi dietro i tuoi lecchini? Non è da te.” Mi stuzzicò Valdor, lo guardai un secondo con noia e a quel punto mi separai da Giulio e andai dritta da lui ignorando Lukas, Oreon e Andrea che cercarono di fermarmi. “Se hai ancora un problema con me perché ti ho lasciato sappi che non serve a molto.” Gli ricordai chiaramente seccata. “Ecco lo sguardo.” Disse divertito con quel suo sorriso sbruffone da sberle. “Hai sempre lo stesso sguardo Diana: malvagio, rabbioso. Sei proprio uno spasso come ti ricordavo.” Disse Valdor divertito mentre cercavo di ricordarmi perché la me quindicenne fosse stata tanto stupida da prendersi una cotta per quel sadico. “Allora quanto resti?” Chiese sorseggiando il suo vino. “Per te io non ci sono.” Gli spiegai sperando vivamente che se ne andasse ma non accennò a farlo anzi si avvicinò a me di un ulteriore passo. “Certo. Diventerai una zitella andando aventi così Diana. Tanto lo sai che l’unico che può amarti sono io.” Gli lanciai un’occhiata di sufficienza, ne sparava tante di stronzate ma questa era ridicola. “Pertanto, se dopo vuoi ci facciamo un giro e…” Ma non gli venne permesso di concludere la frase a quel succhia sangue, e fidatevi non è perché è un vampiro. “Salve, non ci conosciamo.” Lo interruppe Giulio ponendosi tra me e Valdor. “Sono Giulio il ragazzo di Diana.” Gli disse porgendogli la mano e non potei fare a meno che sorridere beffarda a Valdor che lo guardò indignato. “Un licantropo, ecco cos’era questa puzza.” Alle parole di Valdor Giulio fece per attaccarlo ma Oreon ebbe il buon senso di aiutarmi a fermarlo. “Valdor va’ via. Non sei stato invitato per ovvie ragioni, torna a casa da tua moglie all’istante o le dico tutto, a lei e al nonno.” Le parole di Lukas fecero irrigidire Valdor che tornò per la sua strada. “Se si avvicina ancora giuro che lo uccido.” Sussurrò Andrea guardandolo con estremo disprezzo che, come Giulio, aveva perso il controllo, le loro mani ora erano coperte di peluria e si stavano formando degli artigli. “Giulio, Andrea calmi tutti e due. Quel cretino è andato via. Ora non esiste.” Dissi prendendo le mani di entrambi cercando di calmarli compiendo piccoli cerchi: era una tecnica di rilassamento che mi aveva insegnato mia madre molto tempo fa, aveva enormi effetti sui licantropi. In fatti poco dopo i segni della trasformazione erano scomparsi. Giulio compì un profondo respiro e si calmò del tutto quasi contemporaneamente ad Andrea. “E io che ti credevo un beta. Sei forte ragazzo.” Disse Andrea dando una pacca a Giulio. “Il mio clan è molto grande, e io sono giovane. Non ho ancora avuto occasione di spiccare.” Gli spiegò Giulio con un sorriso. “E poi la mia è una famiglia di beta, non sono così forte.” Disse Giulio iniziando a parlare di dinamiche che per quanto mi sia sforzata, e Andrea e Giulio abbiano provato a spiegarmi, non avevo mai capito. “Sarà, ma resti forte. Qui avresti un ruolo di rilievo, poco ma sicuro, anche se beta.” “Ragazzi, smettetela di parlare la lingua dei canidi, per favore.” Disse Gahan arrivato pochi secondi prima senza che ce ne accorgessimo. “Come mi hai chiamato mezzatacca?” Domandò Andrea mostrando giocosamente i denti a Gahan. “Andrea!” Esclamò Tehor arrivato insieme al nano. “L’unico che ha diritto di chiamare il nostro nano mezzatacca sono io!” Decretò il mio compagno incrociando le braccia con fare offeso. “Orecchieapunta smettila, non mi serve la balia. Tanto meno contro Andrea.” Continuò Gahan facendo schioccare le dita. Alzai gli occhi al cielo e li lasciai litigare per poi rivolgermi a Lukas. “Che intendevi prima con moglie?” Domandai e l’interessato abbassò lo sguardo rassegnato. “Ha messo in cinta una vampira qualche mese fa, non la conosci, viene da qui vicino.” Mi spiegò. “È finito nei guai con la famiglia e con quella della ragazza. Ora è quasi un reietto: per di più ha abbandonato la scuola sebbene avrebbe dovuto prendere il diploma.” Continuò e come capii la situazione mi sentii rodere dentro. “Non era una relazione consenziente, vero?” Domandai disgustata e guardando Lukas con meraviglia. “Lo sai che non ho voce in capitolo Diana.” Mi rispose lui. “Ma è il suo…” “Lo so. Ma la famiglia della ragazza pretendevano che ci prendessimo cura di lei e del bambino. Valdor verrà cacciato dalla famiglia appena compirà vent’anni. Sua moglie e il bambino resteranno con noi, ma non potranno divorziare.” Mi spiegò Lukas abbassando lo sguardo. “È crudele.” Fu l’unica cosa che riuscii a dire. “È la nostra tradizione Diana: il bambino deve crescere e appartiene alla famiglia del padre e un bambino deve stare con sua madre. E per quanto Valdor si meriti la prigione, non possiamo generare più scandalo di così: ti immagini i giornali? La nostra famiglia ha una reputazione rispettabile, non possiamo rischiare di comprometterla per la stupidità di Valdor.” Conoscevo la mentalità dei vampiri: la famiglia e la reputazione di questa vanno messe prima delle volontà del singolo. La maggior parte delle volte comprendevo il loro punto di vista, ma questa volta era diverso. “Non è stupidità: una violenza è crudeltà.” Sussurrai disgustata distogliendo lo sguardo. Lukas sospirò: sapeva che non ero arrabbiata con lui nello specifico e io sapevo che essendo solo un ragazzino non aveva voce in capitolo, tuttavia dovevo sfogare la mia rabbia su qualcosa e Lukas era il bersaglio più vicino.
 
Camminammo per un po’ lungo il prato con il resto del gruppo quando Giulio mi strinse la mano per parlarmi. “Diana, senti, ma tra te e quel ragazzo, cosa c’è stato? È da quando se n’è andato che sembri furiosa.” Mi domandò preoccupato. “Valdor è stato un errore del inizio della mia adolescenza.” Gli confessai tenendo per me il fatto che l’avevo lasciato perché mi aveva picchiata, e io in risposta gli avevo spaccato il setto nasale e fatto saltare un dente, per di più aveva ricevuto una ripassata da parte di Tehor e Gahan che ci avevano visti, era stata una scena piacevole. “Ma non ti devi preoccupare per lui.” Mi avvicinai al suo corpo facendolo aderire perfettamente al mio e gli sussurrai sensualmente all’orecchio. “Tu sei l’unico ai miei occhi.” Lo sentii irrigidirsi e compresi che se fossimo stati soli ci sarebbero state faville. Probabilmente gli sguardi che ci lanciammo furono troppo espliciti perché Zafalina ci separò a forza mettendosi in mezzo. “Eh, no, eh, qui ci sono minori di sedici anni e bambini. Se volete dare spettacolo aspettate la fine della festa.” Si impose la mia cara amica per poi guardare Giulio dritto negli occhi con sguardo omicida mentre io venivo investita dai suoi capelli celesti. “E tu. Vedi di rispettarla o giuro che ti ammazzo.” Disse severissima lasciando di sasso Giulio mentre me la ridacchiavo per la faccia di Giulio. Zafalina aveva sempre fatto così con tutti i ragazzi con cui ero stata, era l’unica con cui riuscivo a confidarmi e a confrontarmi liberamente poiché parlare di queste cose con Oreon era fuori discussione, sarà anche stato il mio migliore amico ma mi sentivo in imbarazzo con lui, e le altre ragazze erano troppo santarelline, spesso in effetti mi avevano ripresa perché mi innamoravo velocemente e non attendevo mai, andavo subito al sodo. Zafalina era l’unica che non mi giudicava, malgrado non fosse mai stata con nessuno, e aveva anche capito che io sono come il fuoco in tutto ciò che faccio: brucio ardentemente fino a quando ciò che mi nutre non si consuma. E questo vale per l’amore quanto vale per la rabbia.
 
Il resto della serata passò tranquillo: ricordo bene i sorrisi dei miei compagni e la luce della lanterne quando scese la sera. Però la cosa che ricordo di più è uno degli ultimi balli. Era un vecchio e semplice ballo collettivo. Consisteva in due cerchi uno interno per i maschi e uno esterno per le femmine, i maschi passavano da una dama all’altra ripetendo quei sei passi allegri all’infinito seguiti a specchio dalle femmine. Non era nulla di speciale ma era tutto così dannatamente perfetto: la luce delle lanterne, la musica dell’orchestra, il sorriso dei miei compagni, la gioia del ballo e un senso di unione incredibile.
Finita la festa salutai Lillà con un forte abbraccio augurandole tutta la felicità possibile. Lei se ne andò nel suo nuovo e piccolo nido dove avrebbe consumato per la prima volta. Lo sapevo perché lo aveva detto a tutte noi ragazze. Ricordo che Fina le aveva consigliato questo. “Non ti preoccupare, segui l’istinto, ascolta il cuore e andrà tutto bene.” Quando gli sposini se ne andarono salutai i ragazzi e mi diressi verso la casa di Nami con Giulio che camminava accanto a me in mezzo ai campi. Volevo approfittare del tepore estivo e della luce della luna per fargli vedere i dintorni della città prima di andare a dormire e partire l’indomani mattina. “Sono simpatici i tuoi compagni.” Mi confessò Giulio a metà percorso. “Già peccato che non possa andare da loro più spesso.” E non servì specificare che la causa erano tutti i lavoretti che Malandrino organizzava con mesi d’anticipo proprio per evitare che qualcuno non potesse venire all’ultimo secondo. Ci fu qualche secondo di silenzio quando Giulio decise d’interromperlo. “Il vampiro che abbiamo incontrato era… siete stati assieme?” Mi chiese. “Sì, ma non so bene perché mi piacesse. Forse perché anche lui era schiavo della sua rabbia. Ma ho capito presto che lui ci godeva nel veder soffrire le altre persone, io no.” Confessai mentre guardavo il cielo stellato. Per un secondo mi ritornò alla mente l’estasi che avevo provato nel uccidere quel agente solo poche settimane fa e un brivido freddo mi scosse. Strinsi i pugni e cercai di scacciare quel pensiero ripentendomi che lo avevo fatto per difendermi, nulla più. Giulio dovette intuire a cosa stavo pensando perchè mi abbracciò per non farmi sentire sola e ci riuscì.
Passarono ancora numerosi minuti di silenzio prima che Giulio si decidesse a parlare. “Diana, io ti piaccio?” Mi voltai per guardarlo sorpresa dalla domanda, più per l’ovvietà della risposta che per altro. “Sì.” Ammisi, Giulio a quel punto si pose davanti a me di colpo, sembrava nervoso. “Mi ami?” Continuò annullando le distanze tra noi due. Ci riflettei per qualche secondo. “Temo di sì.” Ammisi. “Temi?” Mi domandò Giulio confuso. “Finora non sono mai stata molto fortunata con l’amore. Tutti quelli che ho amato, più o meno volontariamente, mi hanno abbandonato o deluso terribilmente.” Gli spiegai ripensando alle mie tre rotture, di cui due molto brutte, alla morte di mia nonna e a come i miei genitori fossero così lontani da me. “E tu Giulio? Mi ami, o sono solo una cottarella?” Gli domandai gettando altra carne sul fuoco. “Temo di amarti.” Ammise sincero. “Rimproveri me ma usi le mie stesse parole?” Lo ripresi scettica. “Temo perché prima d’ora non mi ero mai trasformato, per nessuno, neanche di poco. Ho sempre controllato il mio potere e il richiamo per il bene della mia famiglia. Eppure, quando sono con te vorrei che tu mi potessi vedere con la mia altra forma. E questo mi spaventa eppure so che per te sarei disposto a valicare quel limite.” Ammise con imbarazzo iniziando a togliersi i vestiti. “Giulio che fai?” Gli domandai preoccupata. “Quel che vedi.” Mi disse slacciandosi i pantaloni rimanendo con nulla addosso. “Ma sai quali rischi ha trasformarsi!?!” Lo ripresi cercando di bloccarlo: avevo sentito storie orribili su licantropi trasformati una volta e poi mai più stati in grado di tornare normali, avrei scoperto solo in seguito che erano un mucchio di dicerie diffuse dalla S.C.A. per impedire che i licantropi si trasformassero. “Diana se proprio vogliamo continuare questa cosa ho bisogno di sapere se ti piaccio anche nella mia seconda forma.” Mi disse liberandosi dalla mia presa. “Ma perché? Che importanza ha per te? Saresti sempre tu. Non mi serve che rischi di restare bloccato in un lupo per me, idiota!” Gli urlai contro stringendogli le braccia con forza così da bloccarlo, questi respirò affondo e mi baciò a fior di labbra. “Proprio perché anche quello sono io ho bisogno di sapere. Tu sei la prima con cui desidero condividere quella parte di me. E, Diana, so che è assurdo, ma è come se qualcosa in me mi stesse urlando che è la cosa giusta da fare.” A quel punto allentai la presa e decisi di compiere questo atto di fiducia. Giulio mi sorrise ed iniziò a trasformarsi, ma lo bloccai sul nascere. “Promettimi di tornare in questa forma.” Ordinai serissima guardandolo dritto negli occhi, ma non ottenni nessuna risposta se non il pelo che cresceva nel corpo di Giulio. Sussultai, non lo avevo mai visto nessun licantropo trasformato totalmente prima e dopo l’iniziale stupore lo studiai: era due volte più grande di un lupo comune, la pelliccia era bruna, folta e arruffata, i suoi occhi avevano assunto la forma e le caratteristiche di quelle di un lupo e la tonalità dell’iride si era fatta più d’orata, le sue zampe erano grosse e muscolose, la sua coda era folta e bassa eppure c’era qualcosa in me che mi fece capire che non correvo nessun pericolo.
Per i primi secondi non seppi cosa fare con la versione lupo gigante di Giulio, anzi neppure lui pareva tranquillo in quella forma, infatti si iniziò a guardare intorno e poi a girare su se stesso, chiaramente a disagio. Così decisi di accucciarmi e aspettare che si calmasse.
Quando parve finalmente placido rivolse lo sguardo verso di me con i suoi galli occhi dallo sguardo fisso, allungai la mano e rimasi in attesa di un’accettazione o di un rifiuto fino a quando non fece coincidere il suo naso con il palmo della mia mano e lasciò che lo accarezzassi, aveva il pelo molto morbido e mi sentii calma anche quando mi spinse a terra con le sue zampe annusandomi per poi annullare le distanze tra noi accucciandosi sopra di me. Fu allora che si ritrasformò. “Come stai?” Gli domandai accarezzandogli i capelli. “Bene, è stato strano ma avevo piena coscienza di me.” Mi spiegò mentre si stringeva a me annusandomi. “Ho anche sentito il tuo odore, era più nitido del solito.” Si avvicinò fino a potermi abbracciare. “Tu mi fai qualcosa Diana. Quando sono con te non mi sento diverso, né pericoloso. Sento solo di amarti e non sai cosa mi sta costato non saltarti addosso. Per questo, Diana, ti chiedo se vuoi divenire la mia compagna?” Sollevai lo sguardo e lo guardai confusa, sapevo che per i licantropi una coppia andava ben oltre il concetto di moglie e marito, certo c’era l’aspetto di due esseri che si uniscono e vogliono mettere su un nucleo familiare assieme, ma c’era anche del altro, un impegno a vita che proveniva dal loro retaggio di lupi, qualcosa che non ho mai pienamente saputo descrivere se non con amore e lealtà poiché è questo quello che Giulio mi ha donato. “Se lo vuoi, Diana, legati a me questa notte.” Guardai il cielo malgrado già sapessi la risposta: luna piena, un momento più propizio per sancire un unione non esisteva. Lo guardai a lungo e poi sospirai. “I tuoi e i miei non saranno d’accordo.” Gli ricordai conscia che quello che stavamo per fare era la rottura di un tabù enorme. “Ne sono consapevole.” “Forse non potremo mai avere figli, probabilmente non ci verrà mai neppure concesso di adottarli.” Continuai pacata guardando la Luna e pregando che mi facesse compiere la scelta giusta. “Eppure sento che non c’è niente di sbagliato in quel che io provo per te. So anche che stiamo assieme da poco, e che c’è un enorme rischio che in futuro ci pentiremo di questa scelta.” Continuai pacata mentre sentivo lo sguardo attento di Giulio su di me. “Ma secondo me non avverrà.” Continuai dopo aver contemplato la Luna per qualche secondo. “Quindi sì: voglio essere la tua compagna Giulio.” La mia voce quasi scivolò tra le mie labbra e c’era una sicurezza che credevo non mi appartenesse.
Giulio, sentite queste parole, mi sollevò da terra e mi distese nel vicino bosco per nasconderci da sguardi indiscreti, lì iniziò a spogliarmi. Ricordo come le mani di entrambi tremassero mentre mi privava della stoffa e scioglieva i miei capelli. Così al chiaro di luna vidi il mio compagno che mi guardava con dolcezza con i suoi occhi marrone dorato che mi fissavano così, nuda, davanti a lui nudo. Non so cosa vide in me, ma so che io fui convinta di avere davanti la persona che mi completava. Facemmo coincidere le nostre fronti. “Io Giulio Longo del clan Silvanucta, figlio di Roberto e Marlena, lego la mia anima e il mio corpo a te Diana Dalla Fonte. Che la Luna ne sia testimone.” Le parole di Giulio erano tremanti per l’emozione ma cariche d’amore. “E io Diana Dalla Fonte, figlia di Claus e Luisa, lego la mia anima e il mio corpo a te Giulio Longo del clan Silvanucta. Che il Sole e la Luna ne siano testimoni.” Anche le nostre credenze religiose erano differenti ma aveva scassa importanza. “Questa notte sigilliamo la nostra unione.” Pronunciammo in coro. “Domani renderemo il mondo testimone.” Continuammo per poi sigillare il tutto con un tenero bacio.
 
So cosa state pensando: eravamo troppo giovani, ci conoscevamo da troppo poco. Ebbene all’epoca era diverso, sposarsi alla nostra età era più che normale, anche se non si poteva convivere fin da subito. Quindi per me, quella notte, non fu il sangue al cuore di due adolescenti, ma fu una scelta per la vita, la promessa di una futura vita assieme. Lo strinsi tra le mie braccia e tra le mie gambe e lasciai che mi accompagnasse sotto di lui mentre mi baciava. Non dirò con esattezza che cosa compiemmo quella notte, è molto facile da intuire oltretutto, ma dei tanti ricordi che ho condiviso con Giulio questo è il più vivido e per questo non intendo condividerlo con nessuno. Dirò solo che ci muovevamo con lentezza e insicurezza godendoci ogni più piccolo movimento e gesto fremendo per ciò che stavamo per fare. La sua pelle era la mia, il suo respiro era il mio, non percepivo più il confine trai nostri corpi. Di tanto in tanto sentivo che gli spuntava qualcosa del lupo: le orecchie, le unghie, la coda o il pelo, lo trovai buffo. Ricordo il calore e il sudore che ci invase in breve tempo. In fine, l’oblio del piacere e del amore.
 
All’alba, quando mi svegliai, ero coperta dalla giacca di Giulio che si trovava già vestito seduto accanto a me. “Sei sveglia.” Disse accarezzandomi il viso donandomi il più dolce dei sorrisi, mi sfrusciai contro la sua mano. “Mi dispiace per i graffi.” Aggiunse con imbarazzo notando che mi stavo guardando l’avambraccio. “Non è nulla.” In un altro momento mi sarei preoccupata di quei graffi. Per ora desideravo solo la sua compagnia. “Diana come ti senti?” Sembrava preoccupato, mi alzai tranquilla. “Sto bene. Non temere. Se ieri ho urlato è stato per il piacere.” Mi sentivo in pace. All’orizzonte si vedeva la casa di Nami. “Si staranno chiedendo dove siamo.” Dissi scostando la giacca e recuperando i miei vestiti. “Meglio raggiungerli.” Continuai tranquilla per poi abbracciare Giulio. “Intendi dirglielo?” Mi domandò Giulio mentre gli baciavo la guancia. “Sì. Ai miei amici sì. Per quanto riguarda i miei genitori… c’è ancora tempo.” A casa mi lavai e disinfettai i graffi, erano profondi quanto quelli d’un gatto ma preferivo non rischiare. Mentre mi sistemavo tornai con la mente a quella bellissima giornata. Ancora oggi quando sono triste ripensarvi mi aiuta molto, almeno per un po’.
 
Partimmo nella tarda mattinata, dopo un lungo scambio di abbracci, e abbandonammo Lovaris per tornare alla prigionia di Meddelhock. “Diana…” Iniziò Giulio ad un certo punto, io mi voltai verso di lui. “Sì?” Domandai. “Quello che è successo… non era un vero matrimonio lo so, ma per me, in un certo senso, lo è stato. Mi chiedevo cos’è stato per te?” “Lo stesso.” Mi limitai a dire distrutta dalla giornata in macchina. “Finita la scuola.” Disse Giulio risvegliandomi dal torpore in cui ero finita. “Vorresti vivere come mia moglie?” Mi domandò con un’enorme emozione in gola. “Sì, sì, lo voglio, ora però lasciami dormire.” Sussurrai per poi crollare addormentata con un sorriso sornione in volto.
   
 
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