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Autore: Nao Yoshikawa    18/11/2020    5 recensioni
In un altro mondo, in un tempo indefinito...
Rose Tyler è una studentessa di fisica quantistica all'Imperial University di Londra. Quando lo stravagante professore John Smth entra nella sua vita, Rose inizia a fare strani sogni che riguardano qualcosa di blu, sogni che puntualmente svaniscono. Chi è davvero quell'uomo e perché le sembra così familiare?
Allora Rose si fece più avanti, picchiettandogli su una spalla.
«Signorina Tyler!» esclamò concitato. «Mai interrompermi mentre sto pensando.»
«Ah, scusi» la gola improvvisamente le era diventata secca. «Se vuole torno più tardi.»
«No, oramai sei qui» sospirò lui, togliendosi gli occhiali che ogni tanto indossava, quando doveva leggere a lungo qualcosa. «In cosa posso esserle utile?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le rose son blu
Prima parte
 
C’era un colore che tormentava ogni notte i sogni di Rose: il blu.
Non il blu dell’oceano profondo, né quello del cielo che a volte mirava più sull’azzurro. Era tutto ciò che riusciva a ricordare, perché una volta svegliatosi i suoi sogni sfumavano, lasciandole addosso solo la sensazione di ciò che aveva vissuto.
Rose non aveva mai avuto alcun tipo di problema, ma da un po’ di tempo a quella parte le cose avevano preso una piega strana. Se con la mente doveva ripercorrere una strada a ritroso, si rendeva conto che era iniziato tutto con l’arrivo di John Smith nella sua vita.
L’insegnante di fisica quantistica del suo corso, che l’aveva scossa dal primo momento e alla prima occhiata, senza che Rose potesse capirne il motivo.
Innanzitutto, ancora faticava a capire come fosse arrivata a studiare all’Imperial University, poiché negli studi non aveva mai brillato, tutt’altro.
Ma maturando aveva sviluppato una forte curiosità per tutto ciò che la circondava, il mondo, lo spazio, il tempo.
Dov’è che va il tempo?
Sarebbe stato sciocco dire che aveva intrapreso quel percorso di studi solo per passione, per tal motivo evitava di farne parola. Non mirava a diventare una scienziata o una ricercatrice, sapeva solo che c’erano delle risposte che doveva trovare, ma erano anche le domande a sfuggirle.
E così si soffermava, talvolta dal nulla, a pensare.
Dov’è che va il tempo? Dov’è che vado io?
«Rose.»
Clara Oswald le diede una gomitata, risvegliandola dal suo stato di trance.
Giusto, si era quasi dimenticata di trovarsi in aula ad una delle lezioni del professor Smith. Certe volte si perdeva completamente ad ascoltarlo, altre finiva con il distrarsi. Mentre, altre volte ancora, aveva il presentimento che lui si rivolgesse direttamente a lei.
«Eh… cosa?» sussurrò, il gomito poggiato ad un tavolo.
Era stata strappata via dal suo sogno ad occhi aperti, in sottofondo Smith che parlava, ora scriveva formule matematiche alla lavagna.
«Ha guardato qui un paio di volte» le spiegò Clara. «Secondo me si è accorto che eri distratta.»
Rose arrossì, schiarendosi la voce e sedendosi in maniera composta.
Non sarebbe stato difficile da capire: John Smith le piaceva, non sapeva esattamente il perché, forse per quel suo modo di fare giovale e stravagante, diverso da tutti gli altri. Alle volte, pensava, non le sembrava nemmeno umano. E su di lei aveva un effetto unico, disastroso.
 
Era uscita dall’aula con gli appunti lasciati a metà, avrebbe chiesto a Clara di prestarle i suoi. Di certo era lei quella studiosa tra le due, Rose molto spesso arrancava, ma per una questione di orgoglio non avrebbe mollato.
«Non ho ancora capito se questo nuovo insegnante mi piace o no» disse Clara mentre si fermava ad un distributore. «Però sembra sapere il fatto suo. Ah, ma almeno una cosa è certa: a te piace.»
Rose arrossì e non poté nasconderlo. Che sciocco e noioso cliché, la studentessa innamorata del proprio insegnante.
«Mi piace come insegna.»
«Oh, certo. E io sono stupida. Si vede da come lo guardi che hai un debole per lui, te ne vai sempre in giro con quell’aria sognante. E sarei pronta a scommettere che anche tu gli piaci» Clara le arrivò vicino, porgendole una lattina che Rose prese distrattamente.
E perché mai sarebbe dovuta piacere ad uno come lui?
«Perché lo pensi?» domandò nervosa.
«Non lo so, per te ha delle attenzioni particolari. E ti guarda in un modo… sì, anche quando hai gli occhi vitrei e pensi a chissà cosa . E poi è così premuroso. Signorina Tyler, se qualcosa non le è chiara, può farmelo sapere e sarà felice di rispiegarglielo. Oppure, Signorina Tyler, è sicura di avere tutti i libri che le servono?»
A quella imitazione, Rose si portò una mano davanti al viso.
«È soltanto gentile. Io non sono neanche la migliore del suo corso. Quella sei tu.»
«Per l’appunto, ma a chi rivolge le sue attenzioni? A te!» concluse Clara poggiandosi ad una ringhiera per bere.
Rose avrebbe voluto parlare con lei e raccontarle dei suoi dubbi, ma si tratteneva sempre. Non avrebbe saputo cosa dire e non voleva dargli troppa importanza.
Tuttavia.
Sentiva che, in qualche modo, il vuoto che sentiva sarebbe potuto essere riempito se il suo cammino avesse incrociato quello dell’ insegnante.
Non conosceva quell’uomo, se non tra le mura dell’università, ma le sue sensazioni erano più forti della ragione.
«Sai, penso che dopotutto andrò davvero da lui a chiedergli se può prestarmi un libro che mi serve» disse dando le spalle a Clara, la quale sorrise.
«Immaginavo.»
 
Era un bene che fosse rientrata, poiché subito aveva preso a piovere.
Sì, l’autunno sarebbe stato molto piovoso quell’anno. Quel giorno Rose aveva finito, doveva sbrigarsi a tornare a casa, altrimenti avrebbe perso il bus. Non aveva nemmeno l’ombrello con sé.
Sistemandosi più volte la tracolla, entrò, ma non dopo aver preso un profondo sospiro.
John Smith se ne stava lì ad osservare la lavagna, sembrava molto concentrato a ricontrollare i suoi stessi appunti. Era giovane, molto più degli altri insegnanti dell’Imperial, e Rose lo trovava a dir poco affascinante, nell’aspetto e nei modi. E nonostante tutto, le sembrava così rassicurante.
«Amh, professor Smith?» mormorò, ma l’uomo non diede degno di averla udita.
Allora Rose si fece più avanti, picchiettandogli su una spalla.
«Signorina Tyler!» esclamò concitato. «Mai interrompermi mentre sto pensando.»
«Ah, scusi» la gola improvvisamente le era diventata secca. «Se vuole torno più tardi.»
«No, oramai sei qui» sospirò lui, togliendosi gli occhiali che ogni tanto indossava, quando doveva leggere a lungo qualcosa. «In cosa posso esserle utile?»
«Sì, allora… Mi stavo chiedendo, avrebbe qualche altro libro di testo da prestarmi? Andrei in biblioteca, ma se non si prenota prima non si riesce mai a…»
«Non me ne parli, troppa burocrazia» John Smith le fece segno di tacere con una mano. «E io che pensavo non fossi tanto interessata.»
Rose si ritrovò ad arrossire, sia perché effettivamente lui si era accorto di come si era distratta, sia perché Clara aveva ragione: lui la guardava sempre, in modo del tutto diverso da come guardava gli altri. Con malinconia, avrebbe osato dire.
«Sono molto interessata. Allora, me lo presta sì o no?» sbottò ad un tratto, un pizzico più sgarbata di quanto avrebbe voluto a causa dell’imbarazzo, ma l’insegnante non parve farci caso.
Lui le fece un gesto con la mano, indicandogli un armadietto pieno di libri a cui poi Rose si avvicinò.
Era certa di aver fatto una così brutta figura che adesso voleva solo sparire. Ora che gli dava le spalle, capiva di voler attirare la sua intenzione. Pensava ancora che un’eventuale storia tra insegante e studentessa fosse uno stupido cliché, eppure Rose si sentiva inevitabilmente attratta da lui come se per tutta la sua vita avesse camminato solo per incontrarlo.
E doveva fare qualcosa, avvicinarsi in qualche modo. O sarebbe impazzita.
«Sa che ho trovato molto interessante la teoria del multiverso? Certo, c’è chi direbbe che è qualcosa di troppo fantascientifico ma… perché no?»
Rose strinse il libro contro il petto, sentendo di aver attirato la sua attenzione.
«Fantascienza!» esclamò John Smith. «La gente non ha idea di quello che c’è là fuori. Questo mondo non è altro che un minuscolo, insignificante puntino in mezzo ad un universo sconfinato. Gli umani sono ancora troppo ignoranti in materia.»
Rose  non poté fare a meno di sorridere. Sì, quell’uomo era stravagante e diverso da tutti, neanche troppo umano.
«Parla come se avesse visto certe cose con i suoi stessi occhi» commentò Rose. «È giovane, ma sa un sacco di cose…»
«Ho molti più anni di quanto non sembri. Le serve altro?»
Giusto, era venuta lì solo per prendere un libro. Rose scosse il capo, schiarendosi la voce e passandogli accanto.
Parlare semplicemente così non gli bastava. La lontananza era ancora troppa, il vuoto sempre più profondo.
Così, senza che potesse impedirlo, si voltò a guardarlo.
«Senta, ma… non è che noi ci siamo già conosciuti, prima di incontrarci qui?»
Aveva paura che la domanda risultasse troppo strana anche per lui, ma John si limitò solo a sollevare le sopracciglia.
«Chi può dirlo? Il mondo è così grande e le persone si somigliano tutte. Anche la mia faccia è piuttosto banale.»
E chissà perché Rose si era aspettata una risposta del genere. Non aggiunse altro, si limitò a salutarlo con un cenno del capo e ad andare.
 
La sera, Rose si ritrovò una fila di messaggi da parte di Clara, i quali dicevano tutti cose come allora, com’è andata? Ti si è dichiarato? oppure Se è successo qualcosa e non mi dici nulla, giuro che non sarò mai più tua amica.
E varie emoticon.
Sfortunatamente non c’era nulla da dire, se  non che il suo insegnante avesse accresciuto ancora i suoi dubbi. Oramai iniziava ad essere sicura di averlo già conosciuto: il suono della sua voce le appariva come un’eco lontano, i tratti del suo viso li aveva già visti e no, non perché avesse una faccia banale.
Una volta Rose aveva visto un documentario alla televisione in cui si parlava di persone che riuscivano a ricordare la propria vita precedente. Ai tempi aveva pensato si trattasse di una sciocchezza, ma adesso non ne era più tanto sicura. Non era sicura di niente, continuava a pensare e studiare diventava più difficile del solito. Aveva gli occhi fissi su quelle equazioni e numeri, senza però guardarli veramente. Piuttosto, con la penna impugnata in una mano, Rose aveva preso a disegnare qualcosa.
Era quel qualcosa che appariva spesso nei suoi sogni, di un blu acceso.
Il blu le era sempre piaciuto.
E in verità Rose non si era accorta neanche di star disegno, era un gesto del tutto involontario ed era troppo sovrappensiero per rendersene conto.
Quando capì che non sarebbe riuscita a studiare, mollò il libro sulla scrivania e si affacciò alla finestra della sua camera, ripensando alle parole del professor John Smith: la Terra, tutto ciò che loro conoscevano, erano nulla in confronto alla vastità dell’universo.
Allungò una mano ed ebbe l’impressione di non sentirsi poi così lontana da quell’universo, un po’ come se ci fosse stata, il che era assurdo.
Si portò le mani sulla testa, la quale aveva iniziato a pulsare. Quando ne aveva parlato con sua madre, lei le suggerito di vedere una terapista, perché sicuramente il suo inconscio cercava di suggerirle qualcosa.
Beh, adesso Rose iniziava a crederlo davvero, ma sentiva che non ci sarebbe stato nessuno in grado di capirla.
Poco più tardi spense tutto e andò a dormire, anche se ci mise un po’ ad addormentarsi. Sapeva che avrebbe sognato immagini di una vita che non era la sua, nonostante sentisse che le apparteneva così tanto. E poi, quando si sarebbe svegliata, tutto sarebbe sfumato.
Una cosa davvero strana, i sogni.
 
Passò qualche giorno, nei quali Rose cercò di prestare attenzione alle lezioni, onde evitare brutte figure come quella della volta precedente. Non fu poi così difficile nonostante il sonno e la stanchezza, perché le lezioni del professor John Smith erano davvero interessanti, molto diverse da quelle degli altri insegnanti. Forse proprio per questo quell’uomo era tanto stimato dai suoi alunni quanto mal guardato dai colleghi. Di lui si diceva che non ci stesse troppo bene con la testa, che nessuno sapesse niente di lui. E in effetti Rose non faticava a crederci, ma ciò non lo disturbava più di tanto.
«…Il concetto di universo a bolle comporta  la creazione di universi derivanti dalla "Schiuma quantistica" di un "universo genitore". La schiuma ribolle a causa di fluttuazioni di energia. Queste fluttuazioni possono creare piccole bolle e whormole. Se la fluttuazione di energia non è molto grande, un piccolo universo a bolla può formarsi, sperimentare una qualche espansione…»
John Smith parlava concitato mentre scarabocchiava velocemente la lavagna. Era piuttosto difficile stargli dietro, considerando quanto parlasse veloce, ma Rose era comunque incantata. Clara invece sembrava più annoiata.
«Insomma, ancora con questa storia» borbottò. «È interessante, ma sembra crederci veramente.»
«Perché, tu no?» bisbigliò Rose.
«Beh, certo che no. Sono solo teorie.»
«Se lo dici tu…» Rose sorrise, alzando poi la mano.
«Signorina Tyler?» domandò lui, indicandola.
«Mettiamo caso…» iniziò a dire lei. «Che esistano davvero degli universi paralleli, sarebbe possibile raggiungerli? Sposarsi da un mondo all’altro?»
Sentiva di aver fatto la domanda giusta. La verità era che Rose aveva iniziato a studiare più a fondo quelle teorie che agli altri studenti sembravano così improbabili. E il motivo era proprio quell’uomo, erano quei sogni che continuava a fare.
«Sarebbe possibile… ma molto improbabile, difficile. A meno che… lei non fosse umana. Sono sicuro che esseri alieni di intelligenza superiore potrebbero riuscirci senza problemi. O magari ci riescono già.»
Si levarono delle risatine e dei mormorii. John Smith non aveva mai fatto segreto di credere all’esistenza di altre forme di vita aliena. I suoi alunni pensavano fosse assurdo, ma in realtà lo stimavano troppo per  farlo presente. Rose invece ci credeva e basta. Non era stupida, ma era portata a credere a tutto quello che lui diceva.
«Ma» aggiunse poi l’insegnante. «Come sapete, queste sono solo teorie. E credo che per l’umanità ci vorrà ancora del tempo prima che riesca ad arrivare a determinate cose.»
Rose annuì, abbassando poi lo sguardo. Chissà, magari quell’uomo non era nemmeno umano, non sarebbe poi stato così assurdo, ma più ci pensava e più ci perdeva la testa. Non badò neanche a Clara che la guardava con aria interrogativa, non badò più a nulla.
Alla fine della lezione, Rose si ricordò di dover riconsegnare il libro al suo insegnante, anche se quella era più che altro una scusa per parlargli di nuovo. Aspettò di nuovo che l’aula si svuotasse. Clara aveva già capito le intenzioni dell’amica, quindi nemmeno l’aspettò.
Lui non parve accorgersi di lei, per tal motivo fu costretta a tossire.
«Signorina Tyler, di nuovo qui?»
«Sì, devo riconsegnarle questo» spiegò lei, tendendo le braccia. «Ammetto che non ho capito molto, sono più chiare le sue spiegazioni. Purtroppo non sono particolarmente capace come altri suoi studenti.»
«Sciocchezze. Lei è la più capace, è così» affermò sicuro, riprendendo il libro e guardandola. «Signorina Tyler, io le piaccio vero?»
Rose si sarebbe aspettato tutto, meno che quella domanda. Lo aveva capito, dunque? Le sue emozioni erano così trasparenti?
«Amh… io… ecco… Non è esattamente… non è proprio…»
«Non si agiti in questo modo! La mia era solo una battuta.»
John Smith si sedette alla scrivania, concentrato a leggere quel libro. Rose avrebbe tanto voluto urlargli contro che quelle non erano battute da fare, ma poi cambiò i suoi intenti. Non poteva parlare con nessuno di ciò che sentiva e provava per paura di non essere capita. Ma forse lui avrebbe potuto, se credeva all’esistenza di alieni e di viaggi nel tempo (un’altra sua grande fissazione), avrebbe creduto a lei.
«Amh… ascolti, c’è una cosa di cui volerlo parlarle. So che non è uno psicologo, ma sento che è la persona più adatta» iniziò a dire, sedendoglisi di fronte.
«C’è qualcosa che non va in me. Ci sono questi sogni che faccio di continuo, sogni davvero vividi. Ma quando mi sveglio non li ricordo più. Però c’è qualcosa di blu, questo lo ricordo bene. E poi c’è lei» John Smith non gli aveva dato il suo “assenso” per parlare, ma Rose aveva iniziato e adesso non riusciva più a smettere.  «Lei mi sembra familiare.»
«Ti ho già detto che ho una faccia com-»
«Non me lo ripeta, non è questo» disse un po’ più agitata. «È da quando seguo il suo corso di studi che ho questa sensazione. È da quando l’ho incontrata che ho messo in dubbio la mia intera esistenza. Come se questa vita non fosse la mia. Solo io mi chiedo… cosa c’entra con tutto questo? E cos’ha che vedere con lei? Dica, sono forse impazzita?»
John Smith aggrottò la fronte, sempre concentrato ad osservare qualcosa sul libro.
«Non sei pazza. Sei sana di mente tanto quanto me[1]
Rose non capì.
«Ma insomma. Io le sto parlando di una cosa importante, potrebbe almeno guardarmi in faccia?» domandò, questa volta senza riuscire a nascondere il nervosismo.
L’uomo le avvicinò il libro.
«Questo l’hai disegnato tu, vero?»
Rose batté le palpebre: disegnato su un angolo c’era quella che sembrava una cabina della polizia.
«Eh…? Ma non l’ho disegnata io…»
«Ne sei proprio certa? Se la colorassi ora di blu, ti sembrerebbe più familiare?»
Il cuore di Rose prese a battere all’impazzata. Sollevò lo sguardo verso di lui, sentendo che qualcosa stava inevitabilmente cambiando.
«La prego, me lo dica. Io e lei ci siamo già conosciuti?»
Era una supplica fatta con voce tremante, la sua. John Smith sospirò, abbassò lo sguardo per poi rialzarlo.
«Mi hai conosciuto. Avevo solo un nome diverso.»
 
[1] – Ovviamente citazione da Harry Potter

Nota
Questa è la prima storia che pubblico su questa serie. A quest'ultima mi sono appassionata un anno fa, non posso dire di aver letto molte fanfiction, ma da un po' sentivo il bisogno di scriverne una mia. Rose il Decimo Dottore sono due personaggi che amo tantissimo, sia singolarmente che insieme come coppia. Perché Clara in queste vesti? Ma perché in quest'universo la vedo bene come migliore amica di Rose e anche come voce della sua coscienza, un po' quel personaggio che la sa lunga rispetto alla protagonista. La mia idea era quella di creare un'AU che però in qualche modo fosse collegato anche al canone (ed è per questo che nelle note ho inserito sia la nota AU che what if?). Non doveva essere una cosa così evidente in realtà, però la storia ha preso questa piega durante la stesura, forse è giusto così. Essendo la prima volta che scrivo dei personaggi e in questo fandom, non ho idea di mi sia venuto l'IC o se l'idea sia più o meno originale, però era un peccato lasciarla a vegetare nel mio PC.
L'ho divisa in due parti, la seconda parte è già scritta, dovrò solo modificarla un po' prima di pubblicarla.
 
   
 
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