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Autore: FrenzIsInfected    20/11/2020    2 recensioni
Sequel di "Sangue su Chernobyl".
L'UAZ di Feodor, Olga, Anatoli e Vassili è arrivato a Pripyat. Dell'Honker dove viaggiavano Svatok, Irina, Sergei e Boris, però, è scomparso. Un'esplosione fa presagire il peggio.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo

2

 

 

Zona di Esclusione di Chernobyl, Ucraina.

8 Novembre 2009.

Poco fuori Pripyat.

11:04.

 

 

Irina riaprì gli occhi. L’odore acre del fumo giunse alle sue narici.

Si girò sul fianco, ma se ne pentì quasi subito, dal momento che iniziò a sentire dolore. Stringendo i denti, si guardò intorno.

L’esplosione aveva incendiato l’Honker. Attorno al mezzo in fiamme, i corpi degli zombie che li stavano inseguendo, ormai morti. A pochi metri da lei, giaceva supino Masha, assieme alla sua Makarov.

La ragazza si mise una mano nella zona dolorante, e si guardò il resto del corpo. I pantaloni si erano strappati nella caduta dal mezzo. Sulle braccia c’erano ora numerose escoriazioni.

Si rimise in piedi, iniziando a guardarsi intorno.

«Papà? Boris? Svatok?»

 

 

I due mezzi raggiunsero la stele che indicava la strada per Pripyat. L’Honker sfrecciava lungo la strada. Davanti a loro, l’UAZ stava per iniziare la sua salita nel “Ponte della morte”.

«PREMI QUELL’ACCELLERATORE E SEMINAMI! CI VEDIAMO A PRIPYAT, FRATELLO!» urlò Svatok in radio, mettendo nel mirino una strada sulla sinistra.

Kovalenko non rispose, ma lo scatto del mezzo che lo precedeva fu una risposta abbastanza eloquente per il commilitone.

«Tenetevi forte, curva a sinistra!»

Irina, che sparava dal finestrino, rischiò di finire fuori bordo. Gli zombie, nonostante le raffiche di Sergei, continuavano a essere parecchi.

«Qualche idea su come liberarci di loro?» chiese Boris.

«A parte cercare di seminarli? Nessuna!» fece il padre di Irina.

Svatok sospirò, mettendo una mano su una tasca.

«Non dovrei usarla, ma vista la situazione…»

Il soldato prese una granata, passandola nei sedili posteriori.

«Sergei, lanciala fuori!»

 

La ragazza avanzò barcollando in direzione dell’Honker, e quando le fu vicino inorridì.

Svatok era completamente carbonizzato. La portiera era chiusa; non aveva nemmeno provato a gettarsi dal mezzo.

Iniziò a boccheggiare, guardandosi nervosamente attorno.

«Aiuto! C’è qualcuno?» urlò, senza ricevere risposta.

Guardò indietro l’orsacchiotto e la sua pistola.

Irina raccolse Masha, fissando una parte leggermente bruciacchiata del peluche.

 

 

Sergei tolse la sicura.

«ATTENZIONE!»

Svatok non riuscì ad evitare la carcassa dell’alce che stava venendo divorata dai non morti in mezzo alla strada, facendo sobbalzare il mezzo.

La granata cadde di mano all’uomo.

 

 

Prese poi la Makarov, togliendo la polvere dal lato rimasto a contatto col terreno.

 

 

Il soldato invertì la marcia, lanciandosi a capofitto contro gli inseguitori.

«GETTATEVI!»

Boris aprì la portiera e si lanciò fuori, rotolando fuori dalla strada. Sergei aprì il portellone posteriore.

«Vai, Irina!» urlò alla figlia.

La ragazza si gettò fuori, cadendo rovinosamente sull’asfalto. Sergei si apprestò a seguirla.

Un’esplosione, e la ragazza perse i sensi.

 

 

«Ira…»

Alzò lo sguardo.

«PAPÀ!»

Suo padre giaceva bocconi in un bagno di sangue. Il corpo era stato martoriato dalle schegge provocate dall’esplosione del mezzo.

La ragazza si avvicinò, mettendo Sergei in posizione supina. L’uomo aprì gli occhi, iniziando a lacrimare.

«Ira…p-perdonami…»

«Pà, non puoi lasciarmi ora! Non adesso che siamo tornati a casa!» disse isterica, ripulendo la faccia del padre dal sangue.

«È inutile… s-sono spacciato.»

«Zitto, zitto! Boris, dove cazzo sei?»

«Irina!»

Boris spuntò da un fosso poco più avanti a loro, e corse verso di loro.

«Dobbiamo portarlo al sicuro.» fece il ragazzo, chinandosi per tirarlo su.

«Lasciatemi. Vi rallenterei e basta.» disse l’uomo. «Sparatemi in testa e andatevene. Non voglio trasformarmi in una di quelle cose.»

«No! Dev’esserci un altro modo... Boris?»

Il ragazzo aveva iniziato a lacrimare. Guardò Irina, e scosse la testa.

«Vieni qui, ragazza mia.» sussurrò Sergei.

Sua figlia si avvicinò.

«Ti avevo promesso che ti avrei riportato a Pripyat, un giorno. Ed ora eccoci qui, a pochi chilometri dalla città che mi ha dato e tolto tutto. Posso andarmene in pace.»

Anche Irina iniziò a piangere. L’uomo si voltò verso Boris.

«Prenditi cura di lei, ometto.»

Il ragazzo annuì.

Sergei, poi, si voltò verso la figlia.

«Fallo, Irina. Fallo per tuo padre.»

La ragazza, tra le lacrime, puntò la pistola al centro della fronte di Sergei, che le strinse la mano.

«Ti voglio bene.»

E premette il grilletto.

Altro sangue schizzò sul volto della ragazza. L’urlo che uscì dalla bocca di Irina ebbe del disumano. Per diversi attimi, tutto intorno a lei si fece ovattato, mentre la mano di suo padre mollava la presa e il corpo sbatteva pesantemente a terra. Nemmeno le urla di Boris, assieme ad alcuni spari, riuscirono a riportarla nella realtà. Alla fine, il ragazzo fu costretto a trascinarla via, mentre lei continuava a fissare il cadavere martoriato del padre, prima che svanisse dietro un muro di alberi.

 

 

Irina cadde in ginocchio di nuovo, singhiozzando. Erano in mezzo ai boschi che circondavano Pripyat, in mezzo a una strada asfaltata.

«Papà… perdonami…»

Boris si voltò.

«Andiamo Ira, non possiamo fermarci, siamo ancora troppo esposti!» fece Boris, tornando indietro per tirarla su.

«Lasciami stare.» disse lei, allontanando la mano del ragazzo. «Vattene. Mettiti in salvo. Non preoccuparti per me.»

«Non ti lascio. Tuo padre…»

«Non nominarlo.»

«… lui mi ha chiesto di prendermi cura di te. E intendo farlo. Voglio arrivare a Pripyat insieme a te sano e salvo.»

«Come, Boris? Come? Hai a malapena imparato a sparare. Non sai nemmeno dove siamo. Semmai sono io a dovermi prendere cura di te.»

Boris si passò una mano sul volto.

«Vogliamo iniziare togliendoci dalla strada, magari?»

Irina sospirò, e seguì il ragazzo tra gli alberi, lasciandosi a diversi metri di distanza la strada e curandosi di essere circondati da cespugli. Boris tirò fuori il dosimetro.

«0.29 microsievert… può andare. Fermiamoci qui.» disse, continuando a guardarsi attorno. Irina lanciò lo zaino a terra, assieme a Masha e alla sua Makarov, mettendosi le mani sul volto. Il ragazzo la lasciò sfogare, tornando a parlarle solo quando riuscì a calmarsi.

«Ora che facciamo?» domandò Boris.

«Dovremmo cercare di capire dove siamo.» fece Irina. «Ma non ci riesco. Ricordo Pripyat, ma il suo circondario no. Cazzo, avevo tre anni quando ci hanno evacuato.»

«Grandioso. Ecco, lo sapevo.» disse il ragazzo, scuotendo la testa. «Fanculo le lezioni. Dovevo giocare al nuovo S.T.A.L.K.E.R.

«Cosa?»

«L’ultimo gioco della serie di S.T.A.L.K.E.R., Call Of Pripyat, è uscito un mese fa. Ha tre mega zone, tra cui Yanov e Pripyat… ma sono rimasto fermo a Yanov. Nella missione successiva sarei dovuto arrivare alla fabbrica Jupiter con i miei compagni per raggiungere Pripyat…»

La ragazza era sconcertata.

«Boris, stai collegando il cervello prima di parlare?»

Il ragazzo fece per ricominciare a parlare, ma si fermò.

«Perdonami. Che cosa patetica. Cercare di capire dove siamo dalla mappa di Yanov di un videogioco...»

All’improvviso, però, Irina alzò lo sguardo.

«Yanov… ma certo! La ferrovia!»

Boris restò basito.

«Che ti è saltato in mente?»

«Ricordi che Feodor e gli altri hanno proseguito dritti verso un ponte? Quello è il ponte della ferrovia. Se percorriamo i binari a ritroso, in direzione della centrale nucleare, tra circa un’ora dovremmo essere arrivati.»

«Poco fa li abbiamo oltrepassati. Dovremmo raggiungerli rapidamente.»

«Inoltre, se ci vengono a cercare, la stazione di Yanov è quasi sicuramente il primo posto dove si dirigeranno.»

Irina si alzò, seguita dal ragazzo, incamminandosi verso la strada.

«Irina.» la fermò Boris. «Forse è un’idea stupida, ma… e se proseguissimo lungo la strada? Più avanti ho visto un bivio, e una delle due strade porta quasi sicuramente a Pripyat.»

«Non abbiamo una radio, e non la hanno nemmeno i nostri. Finiremmo per dover tornare fuori a cercarli.»

Il ragazzo annuì.

«Va bene.» sospirò la ragazza. «Torniamo a casa.»

  
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