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Autore: Star_Rover    20/11/2020    6 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
Capitoli:
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XXXVII. L’ultima battaglia

Parte III
 

Richard riprese conoscenza avvertendo un’intensa sensazione di malessere. La testa pulsava dal dolore, il volto pallido era madido di sudore. Si sentì soffocare in quella buca, tra il fumo e i vapori dei proiettili.
Intorno a lui percepì una fervente agitazione, gli echi della battaglia giungevano dalla superficie. In quella confusione riconobbe un grido. 
«Presto, c’è bisogno di un medico! Il tenente è ferito!»
L’ufficiale voltò lo sguardo, Finn era rimasto al suo fianco, con ogni suo sforzo stava cercando di contenere la perdita di sangue.
Il giovane si chinò su di lui, sfiorando il suo volto con le mani insanguinate.
«Forza Richard, devi resistere»
Il tenente riuscì ad emettere soltanto un lieve sussurro: «mi dispiace»
«No, non puoi arrenderti adesso, ti prego…»
L’ufficiale sentì che le forze lo stavano abbandonando, in quel momento pensò che non sarebbe stato affatto terribile morire tra le braccia del suo amato.
Poco dopo un medico saltò all’interno della buca, sul suo braccio destro risaltava la fascia bianca con la croce rossa. Finn fu allontanato di peso dal tenente, il ragazzo fu costretto a ribellarsi ai suoi compagni per restare accanto al suo comandante.
Il medico scoprì il fianco dell’ufficiale, un ampio taglio si estendeva sul lato destro dell’addome. La ferita era profonda, egli aveva perso molto sangue. Richard comprese la gravità della situazione, era ormai certo che per lui fosse giunta la fine. Respirava a fatica, ansimando e gemendo per lo sforzo.
Il medico non era esperto e competente come il dottor Jones, i suoi movimenti erano piuttosto rozzi e bruschi. Probabilmente era abituato all’arduo lavoro in prima linea, dove i pazienti non erano altro che ammassi di carne e viscere da ricucire insieme.
Richard soffrì in modo atroce, senza nemmeno un’iniezione di morfina il dottore iniziò ad estrarre i frammenti di metallo dalla carne viva.
Senza troppe attenzioni la ferita fu medicata e fasciata in modo alquanto rudimentale. Il dottore lasciò il ferito in quelle condizioni, senza poter fare nulla di più per aiutarlo.
Finn lo interrogò sulla sorte del suo comandante, ma egli non fu in grado di fornirgli alcuna certezza.
Il giovane assistente tornò a sistemarsi vicino al tenente, in superficie la battaglia progrediva sempre più violentemente, ma per lui ciò non aveva più importanza.
Richard era disteso a terra con la testa libera dall’elmetto e la camicia aperta. Il suo petto si muoveva spasmodicamente, il sangue che ristagnava nei polmoni rendeva doloroso e faticoso ogni respiro.
L’ufficiale fu scosso da un intenso brivido, a causa della febbre era del tutto estraneo a ciò che stava accadendo intorno a lui. Giaceva inerme, indifferente agli echi delle esplosioni e alle raffiche delle mitragliatrici.
Finn, sempre più ansioso e preoccupato, non si allontanò dal suo superiore nemmeno per un istante. Aveva tentato di affrontare razionalmente quella situazione, ma davanti alla sofferenza di Richard e al terribile timore di perderlo per sempre non poté far altro che cedere al dolore e alla disperazione.
Il ragazzo restò rannicchiato contro alla trincea, stringendo tra le mani la giacca impregnata di sangue.
 
***

Il tenente Spengler alzò lo sguardo, oltre all’intensa nube di fumo e polvere alzata dalle esplosioni notò un biplano britannico. L’aereo sorvolò le linee tedesche, si abbassò leggermente di quota e girò intorno alle trincee come un’aquila che aveva adocchiato la sua preda. Dopo l’ultima manovra la mitragliatrice scaricò una pioggia di proiettili, poi il velivolo riprese velocità, allontanandosi in linea retta con una rapida fuga.
August osservò l’areo scomparire all’orizzonte, quando il pericolo fu passato riprese la sua marcia.
Lungo il percorso l’ufficiale incontrò una colonna di soccorritori che trasportavano un numero considerevole di feriti. Gli uomini distesi sulle barelle erano esangui e cianotici, avevano espressioni sofferenti e sconvolte, con sguardi sgranati e terrorizzati. Spengler abbassò il capo nascondendo il volto sotto all’elmetto, la situazione sulla linea di fuoco doveva essere ormai senza speranza.
Grossi proiettili continuavano a cadere nella pianura sottostante, dove i due schieramenti erano coinvolti in un cruento e sanguinoso massacro.
Nuove ansie e preoccupazioni si insinuarono nella mente del tenente. Spengler guardò i suoi uomini, i quali con estrema dedizione continuavano a svolgere il loro dovere, sparando incessantemente contro a un impenetrabile muro di fuoco. Provò orgoglio e commozione, ma dentro di sé avvertì anche una profonda inquietudine.
August si riteneva responsabile per la sorte dei suoi compagni e negli ultimi tempi certi dubbi erano tornati a tormentarlo. Era consapevole di aver tradito la fiducia dei suoi commilitoni nel momento in cui aveva deciso di salvare la vita del tenente Green. Aveva mentito ai suoi superiori, non aveva scuse per questo.
Spengler ripensò a ciò che era accaduto, quella era stata l’unica volta in cui si era rifiutato di portare a termine il suo dovere. Era stata anche una questione d’onore, si trattava pur sempre di sparare alle spalle di un uomo, non avrebbe mai potuto compiere un atto così vile e indecoroso.
August non si era pentito per aver permesso all’ufficiale inglese di fuggire, ma questa vicenda aveva sicuramente messo in discussione la propria integrità. Tra lui e il tenente Green c’era stato un silenzioso accordo di fiducia e rispetto reciproco. Per mantener fede a quella promessa aveva tradito il suo stesso esercito.
Non sapeva come considerare quel suo comportamento, da un lato non aveva voluto rinunciare alla propria umanità, dall’altro aveva dimostrato di non essere all’altezza del suo compito. Forse aveva deluso se stesso prima ancora dei suoi superiori.
Spengler si riprese da quei pensieri avvertendo il rumore di alcuni passi, davanti a lui si presentò un portaordini con la divisa bruciata e annerita dal fumo.
«Signor tenente, un messaggio del capitano Richter, richiede il suo intervento per rafforzare la difesa»
August lesse rapidamente quelle poche righe, non ebbe alcun dubbio, era giunto il momento di combattere.
 
In poco tempo il tenente radunò le squadre in trincea, gli uomini erano eccitati ed impazienti. Erano consapevoli del motivo per cui si trovavano al fronte ed erano determinati a compiere il loro dovere. Avrebbero preferito morire sul campo di battaglia piuttosto che attendere la fine nascosti nel fango.
Il tenente Spengler si limitò ad impartire gli ordini, cercando di nascondere la propria preoccupazione. Gli uomini avevano bisogno del sostegno di un buon comandante, era una figura di riferimento per tutti quei soldati ed era suo compito dar loro il buon esempio. In quell’occasione non poteva deluderli.
L’ufficiale rivolse un ultimo sguardo ai suoi compagni, ripensò con intensa malinconia ai momenti che aveva trascorso con ognuno di loro. Per molti quello sarebbe stato un silenzioso addio.
Il tenente guidò il plotone attraverso il campo di battaglia, il sentiero tortuoso era sempre meno agibile, sopra alle loro teste infuriava la fucileria britannica. I soldati erano costretti a percorrere brevi tratti per poi gettarsi frettolosamente nelle trincee scavate a lato della strada per evitare di essere colpiti quando il tiro diveniva più intenso.
Il tenente Spengler faticava a riconoscere lo stesso paesaggio che si era mostrato per mesi davanti ai suoi occhi. La spietata battaglia aveva deformato l’intera area di combattimento, le bombe avevano scavato profondi crateri, era ormai impossibile orientarsi nelle trincee sventrate. Una densa nebbia ristagnava nelle buche, l’intenso odore dell’esplosivo invadeva i polmoni. August si sentì soffocare, iniziò a tossire respirando a fatica, gli occhi irritati dai vapori lacrimavano in continuazione.
Nonostante tutto l’ufficiale proseguì imperterrito, affondando gli stivali nel fango.
 
All’improvviso gli uomini del tenente Spengler si ritrovarono nel mezzo della battaglia. Una violenta esplosione scoppiò davanti ai loro occhi, una vampata di luce accecante squarciò l’oscurità della notte.
Il tenente si ritrovò confuso e frastornato, intorno a lui, tra la fitta nebbia, intravide una serie di fiammate rossastre. L’eco delle esplosioni giungeva sempre più forte, facendo tremare l’aria e il terreno intorno ai soldati, i quali, sconvolti e atterriti, non poterono far altro che correre al riparo.
I frammenti incandescenti delle granate scoppiettavano tra le fiamme, il cupo e potente botto dei grossi proiettili vibrava fin dentro alle ossa. Alte colonne di terra si innalzavano ad ogni colpo, creando terribili ed imponenti onde di fango.
August uscì allo scoperto ritrovandosi davanti alla desolata pianura devastata dalle bombe. Avvistò alcune ombre muoversi furtivamente tra il fumo e la nebbia. Il terreno era cosparso di cadaveri, il tenente rabbrividì notando le espressioni dei morti ancora contratte dal terrore.
Tornò alla realtà avvertendo la mano di un suo compagno sulla sua spalla.
«Signor tenente, dobbiamo andarcene al più presto da qui!»
Spengler annuì con un cenno deciso, strinse il fucile tra le mani e riprese la marcia, poteva già scorgere i razzi che illuminavano la prima linea all’orizzonte.
 
Avanzando verso la linea di fuoco August iniziò a percepire il furore della battaglia, il sangue scorreva nelle vene mentre l’eccitazione per l’imminente scontro sovrastava la paura. I soldati correvano incontro al proprio destino, ormai incuranti del pericolo, che era diventato parte di ognuno di loro.
Spengler si sentì avvolto da un’intensa sensazione di calore, i pensieri nella sua mente iniziarono a sovrapporsi, poi all’improvviso non avvertì più nulla. Rimase in quello stato per un tempo indefinito, contemplando il campo di battaglia, ammaliato e terrorizzato da quell’orrore. Riprese il controllo di sé udendo le urla dei suoi commilitoni, tre vittime caddero sotto ai colpi di una mitragliatrice.
August condusse i soldati al riparo, per un lungo tratto continuò a percorrere un intricato groviglio di trincee ormai completamente distrutte.
Il tenente si fermò poggiandosi al muro di terra, ansante e affaticato dalla lunga corsa. Sotto al pastrano il caldo era insopportabile, con le mani tremanti si slacciò i bottoni del colletto per facilitare la respirazione. Il cuore batteva all’impazzata, come se stesse per esplodere nel petto.
Trovandosi davanti a un bivio August decise di proseguire solo in compagnia di un esploratore. Scelsero la deviazione di destra, poiché appariva quella più sicura. I due avanzarono solo di pochi passi, ad un tratto Spengler trattene il suo compagno.
«Hai sentito?» chiese con un sussurro.
L’altro restò in ascolto.
«Non siamo soli» constatò imbracciando il fucile.
I tedeschi si mossero cautamente per non farsi notare dai possibili intrusi. Spengler svoltò l’angolo trovandosi davanti a una figura indefinita. Erano separati da una fitta nebbia e nessuno dei due si fidava abbastanza per rivolgersi la parola.
August restò immobile, ma appena riconobbe l’elmetto piatto non esitò a puntare l’arma e a premere il grilletto. L’inglese, probabilmente altrettanto sorpreso e spaventato, fuggì via zoppicando, un proiettile doveva averlo colpito alla gamba sinistra.
Spengler fu raggiunto dal suo compagno.
«Il nemico è in trincea, che cosa facciamo adesso?»
L’ufficiale trattenne un’imprecazione tra i denti.
«Dobbiamo tornare indietro e difendere la postazione, forza, non abbiamo molto tempo!»
August non riuscì a terminare la frase, in quel momento un intenso rumore si abbatté a tutta velocità. L’esplosione lo scaraventò con forza contro alla parete fangosa, il tenente si riprese ritrovandosi sdraiato a terra, in quella brutta caduta aveva perso sia l’elmetto sia il fucile.
Istintivamente Spengler recuperò prima l’arma, strisciò sui gomiti, avvertendo la testa pulsare dal dolore. Il suo compagno gli riportò l’elmetto scalfito dalle schegge metalliche e l’aiutò a rialzarsi.
Il tenente tornò rapidamente sui suoi passi, gli inglesi avevano conquistato terreno, la situazione era degenerata in fretta.  
 
I tedeschi si appostarono lungo la trincea principale, posizionando le mitragliatrici e rafforzando le barricate. Spengler scavò nel fango e trasportò pesanti sacchi di sabbia insieme ai suoi uomini, non c’era tempo da perdere, era necessario prepararsi in fretta a respingere l’imminente assalto.
Il tenente si sporse dal muro di terra, la pianura era ancora avvolta dall’oscurità, i lampi colorati segnalavano il fatto che la battaglia stesse progredendo inesorabilmente.
August rientrò in trincea, nella postazione più vicina trovò una giovane recluta che a stento riusciva a sorreggere il peso del fucile. Il ragazzo si fece coraggio per rivolgersi al suo superiore.
«Signor tenente, lei crede che riusciremo a vincere questa battaglia?»
Spengler guardò il giovane negli occhi incrociando il suo sguardo ingenuo e speranzoso.
«Questo non posso saperlo, ma è nostro dovere combattere fino alla fine»
Il giovane stava per rispondere, ma in quell’istante una raffica di colpi scoppiò in successione poco distante dalla trincea. L’ufficiale riconobbe immediatamente quel rumore, si trattava di bombe a mano, gli inglesi si stavano avvicinando.
August si distese a fianco della recluta e posizionò l’arma davanti a sé. Immediatamente iniziò un rapido scambio di proiettili, il tenente continuò a premere il grilletto e a ricaricare l’arma con gesti meccanici.
All’improvviso un grido lo distolse dalla sparatoria. Il suo compagno si girò sulla schiena gemendo per il dolore. Una pallottola l’aveva colpito alla spalla, l’ufficiale si allarmò, il sangue zampillava a fiotti. Il proiettile era penetrato in profondità, probabilmente era stata recisa l’arteria succlavia.
Il giovane invocò il suo aiuto, Spengler lo trascinò in trincea, la ferita continuava a sanguinare.
«Signor tenente…per favore, non mi lasci qui…»
«Tranquillo ragazzo, vedrai che andrà tutto bene»
August lo affidò alle cure degli infermieri, fu costretto ad abbandonarlo così, disteso su quel vecchio telo, tremante e sofferente.
 
Il tenente tornò in postazione, le mitragliatrici avevano iniziato a crepitare senza sosta. Spengler si domandò che fine avessero fatto gli uomini di Richter e per quanto tempo anche loro avrebbero potuto resistere. Senza altri rinforzi entro l’alba sarebbe stato tutto perduto.
L’ufficiale era ancora tormentato da questi cupi pensieri quando un messaggero scivolò all’interno della buca. Il soldato aveva la testa fasciata, la sua espressione affranta e sconvolta provava che egli fosse appena fuggito da un feroce scontro.
«Signor tenente, abbiamo perduto anche l’ultimo avamposto. La compagnia è dispersa e frammentata, questa resta l’unica difesa»
August impallidì nel sentire quelle parole: «non è possibile…dov’è il capitano Richter?»
«Mi dispiace signore, il capitano è caduto in prima linea. Almeno non ha sofferto, un colpo gli ha perforato l’elmetto, è morto senza neanche accorgersene»
Il tenente provò un profondo sconforto, non poteva credere che l’uomo con cui aveva conversato quella stessa mattina non fosse più in vita. Era certo che da quel momento nulla sarebbe stato come prima.
Il buon sergente Hofmann, che aveva tristemente assistito a quella conversazione, si rivolse al suo comandante.
«A questo punto abbiamo solo due scelte, possiamo arrenderci o combattere fino alla fine»
August non prese nemmeno in considerazione la possibilità di consegnarsi al nemico.
«Dobbiamo portare i feriti al riparo e prepararci per l’imminente attacco»
Hofmann annuì in silenzio.
«Coraggio, non abbiamo tempo da perdere!»
 
Il tenente Spengler recuperò la pistola e un buon numero di munizioni, agganciò un paio di bombe a mano al cinturone e non dimenticò di infilare un pugnale all’interno della giacca. Era necessario essere pronti per affrontare qualsiasi eventualità.
August uscì dal rifugio per essere inghiottito dall’oscurità. La sua squadra era pronta per affrontare, forse per l’ultima volta, le trincee nemiche. Aveva affidato al sergente Hofmann il comando del fuoco di copertura, era certo che egli avrebbe saputo gestire al meglio la situazione.
Spengler sapeva che l’unica possibilità per impedire un rapido annientamento era impedire agli inglesi di occupare la grande trincea che si snodava davanti a loro. Il tenente si fidava dei suoi compagni, era certo che fossero determinati a compiere il loro dovere. Erano soldati esperti e dotati di sangue freddo, pronti ad affrontare ogni genere di combattimento.
August scavalcò l’alto muro di terra ed uscì allo scoperto. Strisciando nel fango raggiunse i primi crateri lasciati da proiettili di medio calibro. Superò gli ostacoli arrancando sui gomiti, per orientarsi poteva affidarsi ai razzi inglesi, che ad intervalli regolari illuminavano l’orizzonte con un’intensa scia biancastra.
Spengler riuscì ad arrivare incolume al parapetto della grande trincea, esitò prima di calarsi all’interno, rumori sospetti avevano già confermato la presenza del nemico.
Il tenente avanzò per primo, stringendo saldamente la pistola in una mano e una granata nell’altra. Muovendo i primi passi in quel luogo oscuro e sconosciuto si trovò davanti ai primi cadaveri. August distolse lo sguardo e proseguì lungo la galleria.
L’ufficiale si bloccò all’improvviso, aveva udito delle voci, ma nel buio non era riuscito a individuare l’esatta posizione dell’avversario.
Gli inglesi dovevano trovarsi nelle stesse condizioni, accadde tutto molto rapidamente. Un grido si levò dal lato opposto della trincea. Immediatamente una cascata di proiettili esplose sopra alle loro teste. Spengler si gettò a terra, le pallottole sibilavano sopra di lui, una fiammata rossa brillò nell’oscurità insieme ad un uragano di frammenti metallici e incandescenti. I tedeschi risposero lanciando in avanti le bombe sferiche.
Un boato assordante fece tremare l’intera trincea, i soldati si trovarono avvolti da una densa nube di fumo e vapore.
Spengler proseguì a tentoni, cercando di restare sempre vicino all’alto muro di terra. Ombre furtive si muovevano nella nebbia come fantasmi. Senza esitazione l’ufficiale puntò l’arma, i colpi furono precisi e letali.
August superò due cadaveri, intorno a lui avvertì le sorde esplosioni delle bombe a mano e il crepitio dei fucili. La battaglia stava progredendo ferocemente tanto in superficie quanto all’interno delle trincee.
Il tenente raggiunse due commilitoni, con loro scambiò qualche frase di incoraggiamento. Trovò conforto al pensiero di star combattendo a fianco di uomini così valorosi, sapeva di poter affidare la propria vita nelle loro mani.
Ad un tratto si trovarono davanti ad una barricata, il nemico aveva innalzato una solida difesa. Una tempesta di fuoco si abbatté violentemente davanti ai loro occhi, i tedeschi furono costretti ad arretrare.
Il tenente Spengler si appiattì contro alla parete per cercare riparo dalle esplosioni e dai proiettili.
Dopo una breve pausa lo scontro riprese con ancora più intensità. Il terreno era ormai grondante di sangue, quella trincea fu contesa aspramente quasi fino all’ultimo uomo.
Alla fine il tenente fu costretto a prendere una decisione definitiva. Tristemente rivolse lo sguardo ai suoi commilitoni, era certo che quegli uomini l’avrebbero seguito anche all’inferno, ma non poteva sacrificare altri soldati in quella missione suicida.
Con quella consapevolezza August ordinò la ritirata, abbandonando la grande trincea nelle mani del nemico.
 
Il ritorno nelle linee tedesche fu mesto e silenzioso. Nessuno porse domande ai soldati che tornavano dal cruento scontro, era sufficiente notare l’esiguo numero di sopravvissuti con i loro volti scuri e affranti per capire che cosa fosse accaduto oltre ai reticolati.
Il tenente Spengler riprese a camminare avanti a indietro nel suo rifugio. Quella era davvero rimasta l’ultima difesa. Aveva ordinato al sergente Hofmann di rafforzare le barricate e sistemare le scorte di munizioni e i rifornimenti. Gli inglesi avrebbero potuto tornare all’attacco da un momento all’altro e in quelle condizioni non avrebbero potuto resistere a lungo. L’ultimo messaggio dal centro di comando affermava che entro un paio di giorni sarebbero arrivate nuove truppe per il cambio in prima linea. Spengler dubitava fortemente di ciò, era intenzionato a mantenere la postazione finché sarebbe stato possibile difenderla, poi sarebbe stato costretto alla ritirata.
August si accese una sigaretta, nella sua mente riaffiorarono le cruenti immagini di quella sanguinosa battaglia. Era ancora immerso in questi vividi ricordi quando il sergente Hofmann si presentò all’entrata.
«Signor tenente…»
Spengler sussultò: «che succede?»
«Niente di preoccupante per il momento. Volevo solo assicurarmi che stesse bene»
L’ufficiale rimase in silenzio.
«Il suo è stato un atto davvero coraggioso, ha fatto tutto ciò che era possibile per difendere la postazione. Il capitano Richter sarebbe orgoglioso di lei»
Egli scosse la testa: «presto saremo circondati dal nemico, è solo una questione di tempo»
«Se non fosse stato per lei saremmo già tutti nelle mani degli inglesi, oppure sottoterra»
«In ogni caso non abbiamo più molte speranze»
«Se davvero è così, signor tenente, sono lieto di restare con lei fino alla fine»
 
***

Richard era disteso su una barella improvvisata, avvolto in un telo che lo proteggeva dal freddo. Era sempre più debole, aveva il volto umido di sudore, i suoi occhi stanchi erano rivolti al cielo stellato, ma lo sguardo appariva perso nel vuoto.
La trincea si era animata nuovamente, gli ufficiali gridavano ordini a gran voce mentre i soldati si preparavano nervosamente all’attacco.
Il tenente cercò di capire che cosa stesse accadendo, ma nella sua mente suoni ed immagini continuavano a sovrapporsi e a confondersi. Tornò alla realtà quando si sentì sollevare da terra, due barellieri lo trasportarono insieme ad altri feriti lontano dalle trincee. Istintivamente il suo sguardo cercò il suo attendente, provò un profondo sollievo nel trovare il viso di Finn tra quei volti cupi e inespressivi. Il ragazzo stringeva saldamente il fucile tra le mani, marciando a fianco della colonna insieme ad un piccolo gruppo di soldati incaricati di scortare i feriti lungo la strada.
Richard era soggetto a forti sobbalzi ogni volta che i suoi portatori dovevano superare un ostacolo. Spesso il piccolo convoglio era costretto a fermarsi a causa delle pallottole che si abbattevano ferocemente sul sentiero.
La barella oscillava pericolosamente, il tenente non riuscì a trattenere gemiti sofferenti, ad ogni movimento percepiva intense fitte di dolore, aveva la sensazione che decine di lame si stessero conficcando nel suo fianco.
Ad un tratto Green si ritrovò a terra, la rovinosa caduta fu così inaspettata che l’ufficiale non emise nemmeno un lamento. Restò steso al suolo, immobile, avvertendo i proiettili che esplodevano ovunque intorno a lui. I fucili tedeschi erano sempre in agguato, i barellieri avevano mollato improvvisamente la presa per gettarsi a terra.  
Appena tornò la calma Richard fu sollevato dalla polvere e sistemato nuovamente sulla sua barella, anche questa operazione fu particolarmente dolorosa per il ferito, il quale fu spostato con ben poca delicatezza.  
La lenta marcia proseguì così a tratti, attraversare il campo di battaglia in quelle condizioni era un’impresa faticosa e pericolosa, ma i soldati erano determinati a portare al sicuro i commilitoni feriti.
Durante una pausa in un’ampia fossa fangosa Richard fu raggiunto dal suo attendente, soltanto la sua presenza fu di conforto per l’ufficiale. Finn non riuscì a nascondere la propria apprensione, a stento trattenne le lacrime.
Il tenente non trovò la forza di parlare, avrebbe desiderato dire a quel ragazzo che era fiero di lui e del soldato che era diventato. Avrebbe voluto ringraziarlo per esser rimasto al suo fianco anche nei momenti più difficili e ricordargli ancora una volta che i suoi sentimenti erano sempre stati puri e sinceri.
Green non poté esprimere nulla di tutto ciò, ma in fondo era certo che il suo amato sapesse già la verità.
L’ennesima esplosione ricordò ai soldati che era necessario muoversi in fretta.
Richard si abbandonò alla stanchezza, era ormai privo di sensi quando il drappello raggiunse i margini del villaggio.
 
***

Il pesante bombardamento sembrava esser giunto al termine. Sul campo di battaglia erano presenti enormi e profondi crateri fumanti, una densa nube di vapore ristagnava nelle ampie buche. In questo panorama desolato e devastato dal cruento attacco poche anime riaffiorarono in superficie. Un soldato americano riemerse a fatica da una fossa fangosa trascinando il corpo di un suo compagno.
«Forza Joe…è finita ormai»
L’amico mosse qualche passo sulle gambe tremanti, poi si chinò a terra per vomitare. Il suo commilitone lo sorresse e l’aiutò a rialzarsi.
Entrambi erano pallidi e sconcertati, durante il violento bombardamento avevano temuto di essere sepolti vivi dalle imponenti colonne di terra sollevate dalle esplosioni. I due americani riuscirono a ritrovare il sentiero e zoppicando attraversarono la pianura deserta.
«Dannazione Sam, credevo davvero che sarei morto là sotto!» commentò Joe aggrappandosi alla spalla del suo compagno.
L’altro sbuffò: «al campo delle reclute non avrei mai pensato che la guerra sarebbe stata così…»
Ad un tratto i due soldati trovarono una casamatta a lato del sentiero, il rifugio in cemento sembrava abbandonato, accanto alle rovine scorsero solo cadaveri.
Sam strinse il fucile tra le mani, era certo di aver sentito qualcosa, poco dopo riuscì a distinguere il rumore di alcuni passi. Una figura uscì dalla casamatta, prontamente il soldato puntò l’arma.
Lo sconosciuto si avvicinò lentamente.
«Non sparate! Sono un ufficiale dell’Esercito britannico!»
Joe notò il sangue sulla sua divisa, le macchie del liquido viscoso e vermiglio risaltavano sull’uniforme color kaki.
«È ferito?»
L’ufficiale negò: «no, io…sto bene»
Gli americani si accorsero che egli sembrava piuttosto scosso e sconvolto.
«Ci sono altri sopravvissuti?» chiese Sam con apprensione.
Il tenente inglese alzò lo sguardo mostrando i suoi intensi occhi verdi.
«No, non è rimasto più nessuno» rispose con voce atona.
I due soldati non dubitarono delle sue parole, quel luogo doveva esser stato teatro di un cruento massacro.
Senza porre altre domande gli americani offrirono il loro aiuto all’ufficiale britannico, il quale si allontanò dalla casamatta senza mai voltarsi.
Un bagliore dorato comparve all’orizzonte, era la luce di un nuovo giorno, il tenente abbandonò il campo di battaglia aggrappandosi a quell’unica speranza.  
   
 
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