Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    23/11/2020    2 recensioni
«Si dice che si nutrano di sogni. Qualunque cosa voglia dire.»
«Non intendo rimanere qui abbastanza a lungo da scoprirlo,» rispose Din, seccamente.
Cara smise di trafficare con la fondina del suo blaster e alzò lo sguardo, vedendolo fermo sul bordo della rampa d'uscita della Crest, come se fosse riluttante a mettere piede sul suolo muschioso e umido di Varchas. Il Bambino emise un flebile richiamo dal suo scomparto.
«Cos'ha che non va questo pianeta?»
Din soppresse un sospiro.
«Non mi piace e basta.» Avanzò all'esterno, gli stivali che affondavano nel sottobosco scuro e molle. «Chiamalo un presentimento.»

[CaraDin (slow-burn) // Mando&BabyYoda // Mild Horror // Angst // Hurt/Comfort // Whump]
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando guardi l’Abisso
 
_____________

3. Penombra
 


La “caccia” si stava rivelando molto più intricata del previsto. Individuare un bersaglio, a Taamash, significava iniziare a rimpiangere il dedalo di viuzze sudice e claustrofobiche che si diramavano ai piedi degli sfarzosi casinò e sale scommesse di Canto Bight. Le torri-specchio fornivano luce alla città, e davano un’impressione di sicurezza. Impressione era la parola chiave, a braccetto con la sua compagna più stretta, l’ipocrisia.

Non le ci volle molto per capire che “vivere nell’ombra” aveva un significato molto letterale, in quella città. Tutto ciò che non era baciato dalla luce aveva un aspetto quasi impuro: era abbandonato a se stesso, lontano dagli occhi di chi era abbastanza fortunato da vivere sotto i raggi dorati degli specchi. Chi non lo era, ovvero i derelitti costretti a vivere nella penombra, avevano lo stesso fatiscente aspetto degli edifici che li circondavano. Le ci volle un po’ persino per vederli, raggomitolati com’erano negli angoli più bui. Alcuni di loro si mossero appena al suo passaggio, come creature impaurite, ma la maggior parte rimase immobile, coi volti velati da stracci, occhialoni incrinati e mantelli lisi.

Anche il tanfo era nauseabondo: un miscuglio di liquami, fiori marci e dolciumi andati a male che quasi le causò un conato. In più, riusciva a sentire un basso, costante ronzio nelle orecchie. Le piante laggiù erano quasi del tutto assenti – se non per dell’edera sinistramente fluorescente che emanava un tenue lucore rosato – ed era troppo distante dall’accozzaglia di parchi, giardini e aiuole fiorite del centro città. Eppure, sentiva le api. Il ronzio si faceva più intenso in alcuni punti, dove porte scrostate e archi pericolanti si aprivano come fauci nelle viscere dei caseggiati.

Iniziò a credere che Din avesse torto riguardo al “contrabbando inesistente” di Varchas. Quei dintorni e quell’atmosfera le ricordavano in tutto e per tutto i più familiari laboratori di spezia in cui di tanto in tanto si trovavano a dover irrompere per recuperare il ricercato di turno. Sapeva come fosse fatto un laboratorio di spezia improvvisato, e di certo esistevano posti più puliti e meno disturbanti, soprattutto quando erano coinvolti ragni da spezia.

Ma non era così certa che un laboratorio mellifero Varchaasi avesse un aspetto molto migliore, visto che la pregiata sostanza non sembrava affatto il semplice dolcificante che credeva di conoscere, almeno stando alla reverenza mistica che le riservavano gli abitanti. Dubitava che il processo di fabbricazione di quel miele fosse anche solo lontanamente simile a quello che aveva imparato da bambina durante le gite nelle campagne di Alderaan.

Il suo senso d’inquietudine aumentava di passo in passo. Proprio quando fu in prossimità dell’uscita del vicolo, un gemito si levò da uno dei mucchi di cenci ammucchiati sul marciapiedi. Quasi sfoderò il blaster di riflesso, sobbalzando e percependo un velo di sudore freddo sulla fronte. L’essere, che si rivelò un uomo, tese un braccio rachitico e cadaverico verso di lei. La sorpresa lasciò spazio al turbamento quando incontrò inaspettatamente i suoi occhi, privi dei tradizionali occhialoni che li schermavano. E a buona ragione: erano quasi completamente bianchi, se non per le capocchie delle pupille che ora si stavano dilatando nel guardarla, come buchi neri immersi nelle sue iridi nebulose.

Solo allora realizzò che non la stava davvero guardando. Il suo sguardo era vitreo, fisso nel vuoto mentre farfugliava ininterrottamente, in un flusso di parole ingarbugliate a malapena distinguibili e fuse al ronzio di sottofondo:

«… non è ciò che sembra. Non è– non è ciò che– svegliati non dormire svegliati non dormire non dormire non dormire li– li rubano loro li– non dormire li divorano– non è ciò che sembra li divorano…»

Si nutrono di sogni. Un brivido le scivolò lungo la schiena, scuotendo ogni vertebra e affondando le sue dita gelide nella nuca. Fece un passo indietro, quasi perdendo l’equilibrio, e l’uomo tornò lesto a rifugiarsi nel suo ammasso di coperte, apparentemente privo di vita se non per il costante borbottio che ne proveniva.

Cara iniziava a rimpiangere caldamente la decisione di deviare dalle strade principali ben illuminate per dare un’occhiata ai bassifondi, nel caso fosse riuscita a individuare per pura fortuna un trafficante Weequay sospetto. Invece, aveva appena rimediato ottimo materiale per i propri incubi. Si affrettò a dirigersi verso la luce, ipocrita ma più che gradita, tentando di ricomporsi. Le sue gambe avevano ancora la stessa consistenza gelatinosa delle razioni da campo che le rifilavano su Endor. Decise semplicemente di ignorare i capricci insensati del suo corpo: aveva visto decisamente di peggio di un povero senzatetto fuori di testa che probabilmente si divertiva a spaventare a morte i passanti.

Trasse comunque un sospiro di sollievo quando si ritrovò di nuovo nell’alone dorato degli specchi. Facciate di legno intarsiato e appena ridipinto tornarono a riempire la sua visuale; sulla strada pendevano festoni di lanterne rifrangenti, che catturavano la luce dando l’impressione di essere accese da vive fiammelle. Gli abitanti, seguendo i loro ritmi dettati da orologi dai complessi quadranti che non era ancora riuscita a decifrare del tutto, si erano rarefatti, forse all’approssimarsi dell’orario di un pasto. Che fosse il pranzo o la cena, non sapeva dirlo, sotto quel cielo violetto e immutabile, ma si unì comunque sollevata al rado viavai di vesti filigranate, turbanti e occhialoni, senza guardarsi indietro.

Avanzò verso lo spaziotel suo obiettivo, di cui scorgeva l’insegna, stipata tra un fioraio e un negozio di miele. Quasi fece una smorfia: c’era altro, in quella città?

«Mando, vedo lo spaziotel dei sobborghi,
» annunciò tramite il comlink da polso, sforzandosi di suonare impassibile. «Tu a che punto sei?»

Ci fu un lungo silenzio, non insolito quando parlavano di persona, ma abbastanza strano quando erano separati. Din rispondeva sempre immediatamente, conscio di quanto la rapidità delle comunicazioni fosse cruciale durante un incarico. Cara si accigliò, e non nascose di provare un brutto presentimento che lottò per far emergere gli scenari più disparati nella sua mente. Li scacciò via con veemenza: quel posto iniziava davvero a suggestionarla un po’ troppo.

«Mando? Mi ricevi?»

Una scarica statica animò la comunicazione.


«Ti ricevo,» rispose infine lui, respirando affannosamente, in un modo spezzato che la fece gelare sul posto. «Credo di averlo appena perso.»

«Come? Hai perso Varan?»

Lui seguitò ad ansimare, aumentando la sua preoccupazione. Din aveva un’ottima resistenza, e raramente l’aveva sentito così a corto di fiato. Una sola volta, in realtà, ma non aveva intenzione di soffermarsi su quel ricordo, che ancora le faceva sentire i palmi macchiati di sangue.

«Penso di sì,» riuscì ad articolare infine, più chiaramente.

«Pensi?»

«Non sono nemmeno sicuro di averlo trovato.»

Cara tacque, aggrottando la fronte e rivolgendosi verso la direzione generica dell’altro spaziotel.

«Mando, questo posto è già un delirio. Non c’è bisogno che diventi ancora più criptico del solito.»

Udì uno dei suoi flebili, caratteristici sospiri – segno che almeno non si trovava in pericolo di vita.

«Devono esserci delle esalazioni di spezia, qui. Il filtro dell’elmo tiene a bada gli odori, ma credo… credo che mi stiano dando alla testa.»

Le ci volle un momento per capire cosa intendesse. In un’altra situazione avrebbe riso, ma adesso le sfuggì solo un sorrisetto incredulo, nervoso e tirato dai crampi.

«Aspetta. Stai dicendo che sei… fatto?»

Lui non rispose subito, ma sentiva il suo respiro ora più regolare nella linea aperta, sporcato dall'ombra di un altro sospiro.

«Forse. È… tutto abbastanza confuso.»

Ogni tentazione di prenderlo in giro evaporò: suonava davvero disorientato, quasi assonato. Strinse la mano a pugno, cercando di rimanere lucida anche per lui, anche se sentiva la voce dell’uomo folle che le sussurrava nell’orecchio. Non dormire.

«Vengo da te,» decise, senza ulteriore indugio. Lanciò un’occhiata al datapad, dove la posizione di Din lampeggiava in rosso. Era a solo un klick da lì. «Allontanati da lì e… non so, trova un posto tranquillo e isolato per prendere una boccata d’aria pulita fuori dal tuo secchio. E stai in guardia,» aggiunse, con veemenza.

Dall'altra parte del comlink ci fu un momento d’esitazione inframezzata da statico, poi un fruscio di vesti e passi, come se Din si stesse guardando attorno.


«Forse posso… sì. Mi trovi sui tetti,» annunciò, seguito dal rumore metallico di stivali su dei gradini. Vide il suo puntino muoversi e superare la linea di uno degli edifici. «Avvertimi quando arrivi, nel caso…»

«Certo,» lo anticipò, intuendo cosa intendesse. Non si sarebbe mai avvicinata di soppiatto, sapendo che potesse essere senza elmo. «Non ti muovere, sto arrivando.»


 


 
Lo trovò sul tetto di un condominio abbandonato, seduto a gambe incrociate al suo centro esatto, in modo da essere invisibile dalla strada e da qualunque occhio indiscreto. Sembrava illeso, anche se la sua postura era tesa, coi palmi puntellati sulle ginocchia, la schiena incurvata e la testa quasi ciondoloni. Un gigantesco specchio su una torre vicina proiettava un ampio raggio di luce sull’intera area, scacciando ogni ombra e riflettendosi sull’elmo in beskar con uno scintillio.

«Eccoti qui,» esalò in un sospiro sollevato, sedendosi specularmente a terra di fronte a lui.

Din si mosse a disagio, rivolgendole solo un lieve cenno del capo, col visore fisso ai suoi piedi. Lei gli lanciò un’occhiataccia: non le sembrava il momento di metter su la facciata da “guerriero imperturbabile”. Stava giusto per rimbrottarlo, quando lui alzò la testa, stavolta guardandola davvero.

«Scusa. Stavo parlando al Bambino sul comlink privato. Volevo assicurarmi che stesse bene.»

Cara addolcì subito il proprio sguardo, lasciandosi andare a un sorriso a dispetto della situazione.

«La Crest è ancora intera?»

«Almeno l’antenna funziona. Per il resto, non saprei. Ho parlato soprattutto io,» scherzò, con voce ancora un po’ impastata.

Lei sbuffò, apprezzando però quel momento di leggerezza, prima di farsi di nuovo seria.

«Hai ripreso fiato?»

Lui annuì.  «Solo per un attimo. Non voglio rivelarmi con le Guardie che ci tengono d’occhio.»

«Giusto,» si ricordò d’un tratto lei, lanciandosi un’occhiata attorno.

Avrebbero potuto spiarli da qualunque luogo. Quegli stessi specchi sembravano occhi, e il pensiero non fece altro che inquietarla maggiormente.

«Allora? Che kriff è successo? Mentre venivo qui non ho notato né scorie né fumi di spezia.»

Lui inclinò un poco l’elmo in quel suo modo interrogativo. 
«Sicura?»

«Ti sembro fatta?»

Lui la osservò per un momento, senza cogliere l’ironia e accertandosene di persona. «No. Io ti sembro… nel senso, ti–»

«Non come prima. Stai farfugliando, però,» rispose pronta lei, realmente costretta a concentrarsi più del solito mentre le parlava.

A volte, anche normalmente, le riusciva difficile cogliere le sue esatte parole o il suo stato d’animo, senza poter vedere labiale e occhi e col vocoder del casco a distorcere la sua voce, ma aveva ben presto imparato a carpire segnali più sottili come la postura o l’intonazione. Quest’ultima era però molto poco chiara, al momento, e le sue frasi diventavano a tratti un brusio confuso.

 «Dimmi cosa è successo.»

Lui scosse la testa, frastornato.

«Non… non lo so,» ammise quindi, sforzandosi udibilmente di scandire meglio le parole, e lei assottigliò gli occhi, invitando un continuo. «Ho visto Varan. Stava uscendo dallo spaziotel proprio mentre mi avvicinavo. Ero in piena vista, mi ha individuato ed è scappato.»

«Per Malachor, perché non mi hai chiamata subito?»

«Stavo per farlo, ma è scappato nei vicoli e…» prese un respiro, «… ed è scomparso. Non c
era più.»

«Mando, conosce bene la città, sa come–»

«Gli stavo addosso,» ribatté lui, con fermezza e un gesto secco del palmo. «Ho svoltato l’angolo una frazione di secondo dopo di lui, ed era già sparito nel nulla.» Tacque, e quasi lo udì deglutire. «Inizio a pensare che non fosse nemmeno davvero lì.»

Cara avvertì un altro brivido correrle lungo la schiena, e si irrigidì nel tentativo di nasconderlo. Din sembrava comunque troppo assorto per notarlo.

«Che intendi?»

Lui si mosse con insolita irrequietezza, nel chiaro tentativo di tirar fuori le parole giuste.

«Ho visto delle... cose che non dovevano essere lì.»

«Che tipo di cose?»

«Ho detto che non lo so,» ripeté lui, suonando a un tempo frustrato, irritato e scosso. «Per un attimo, ho creduto di… sognare. Non–» s’interruppe e portò una mano alla fronte dell’elmo, in un gesto istintivo che sembrò voler contenere un giramento di testa. Notò il modo in cui lo stava guardando fissamente, e si ricompose all’istante.

Cara si limitò a scuotere la testa, posandogli una mano sul braccio per sostenerlo, visto che si era inclinato di lato. Cercò di non rimuginare sul fatto del “sogno”, non dopo ciò che aveva farneticato quel fuori di testa, ma le era chiaro che Din avesse avuto qualche sorta di allucinazione. Ma non aveva alcuna intenzione di indagare. Il fatto che avesse sentito il bisogno di chiamare il Bambino era già sufficiente, e non voleva conoscerne i dettagli. Qualunque cosa avesse visto, non avrebbe cambiato ciò che era accaduto, né avrebbe fatto sentire meglio lei o Din.

«Adesso stai bene?» chiese soltanto, preoccupata, ma facendo comunque suonare la domanda come una minaccia, sfidandolo a mentire.

Din la guardò da dietro il visore, ma tentennò nel parlare:

«Non… no. Non sto bene. Ma nemmeno male. Ce la faccio,» concluse, perentorio.

«Forse, invece... dovremmo lasciar perdere,» si lasciò sfuggire lei, senza pensare, suscitando un vigoroso cenno di diniego da parte sua.

«Cara, sono diecimila crediti. Quando mai ci ricapiterà un affare del genere? Ci servono i soldi, e tutto ciò che comportano. La possibilità di fermarci un attimo, di abbassare la guardia per un po’. Magari trovare un luogo sicuro e... stabile. Il mio tempo è limitato, e il Bambino non diventerà autosufficiente nel giro di qualche anno. Nemmeno tra un decennio, se è per questo.»

Cara batté le palpebre in risposta a quel flusso di parole sconnesso, senza davvero elaborarle e cercando invece di ricordare l’ultima volta che Din aveva pronunciato più di un paio di frasi concise di fila, se non per esporre strategie e tattiche utili a una missione. Non ci riuscì, e la sua perplessità dovette emergerle in volto, perché Din liberò un sospiro costretto, posando una mano su quella che ancora gli stringeva il braccio.

«Sto… parlando troppo, vero?»

La sua voce sembrò oscillare in bilico sul confine dell’imbarazzo, un’emozione che difficilmente gli avrebbe attribuito.

«Sì. Ma non fa niente, potrei abituarmi a questa tua versione più loquace,» lo trasse d’impaccio riuscendo a sorridere, anche se un po’ mestamente.

Din non aveva mai, mai espresso il minimo dubbio o rimorso riguardo alla decisione di prendersi cura del Bambino. Né aveva mai desiderato qualcosa per se stesso, tanto meno pace e serenità. Si sentiva come se avesse appena spiato nella sua mente senza il suo permesso. Le sembrò vulnerabile, per una volta, e sapeva che non avrebbe mai voluto mostrarsi tale – non l’aveva fatto nemmeno a un passo da morte, figurarsi adesso.

«Dobbiamo sbrigarci a concludere il lavoro. Questo pianeta ha qualcosa che non va. Lo so e basta.»

Din annuì soltanto e, dal modo in cui strinse la presa sulle sue dita, percepì il suo sforzo nel cercare di frenare un altra ondata di parole. Era chiaramente ancora disinibito per via di qualunque sostanza avesse fatto breccia nella sua mente. Lei non si ritrasse, concedendogli qualche minuto per riprendersi del tutto. Il loro piano di intercettare Varan era comunque saltato.

Spostò lo sguardo attorno a loro, spingendolo oltre i fasci semitrasparenti di luce che si intersecavano a griglia sopra le loro teste, rendendo quella città sempre più simile a un’enorme gabbia dorata. Una folata di vento portò con sé qualche petalo di un rosso intenso, che finì sparso ai loro piedi. Una nota dolciastra e melliflua le solleticò il naso, e puntò lo sguardo su Din, a sua volta concentrato sui petali.

 «Credi… che siano i fiori?» gli chiese infine, assecondando l’istinto.

«Avrebbe senso,» replicò lui con prontezza, quasi parlando tra sé, e udì con chiarezza il modo in cui quasi troncò quella frase tra i denti, rendendosene forse conto. «
Sono dappertutto,» aggiunse quindi, un po' debolmente.

Di nuovo, ebbe la netta impressione che le stesse nascondendo qualcosa. Per qualche oscuro motivo sapeva molto di più di lei riguardo a quel pianeta. Ma, di nuovo, non era il momento adatto per pressarlo.

«Senti, nuovo piano,» cambiò argomento, riscuotendolo. «Per quanto preferirei non crederci, hai probabilmente allucinato Varan.» Din distolse il visore da lei, ma non negò il fatto. «Quindi dovremmo ancora avere margine d’azione. Controlliamo lo spazioporto, vediamo se il suo caccia è ancora a terra, e gli tendiamo un’imboscata lì.»

Din scosse la testa. «Le Guardie non ci lasceranno mai–»

«Le Guardie possono provare a fermarci, se ci riescono.» Avvertì comunque il suo dissenso trapelare da dietro il beskar. «Saremo discreti, come piace a te.»

«Disse la shock-trooper.»

Lei gli rivolse un sorriso scaltro. «Fidati e basta. Stavolta restiamo uniti... e avvertimi se la “cosa” degenera. Forse sei solo più sensibile.»

«Non sono sensibile

Lei roteò gli occhi. «Creatore, dammi la forza… non intendevo in quel senso. Respiri in un elmo sigillato, Mando, e stai comunque molto peggio di me.»

Lui si zittì, rimuginando su quell’affermazione.

«Vero,» ammise quindi, anche se controvoglia. «Quindi tu stai bene?» chiese poi, con una goccia di preoccupazione nella voce, resa più evidente dal suo tono ancora malfermo.

«Fresca come una rosa di Naboo,» ribatté svelta lei, concludendo che non gli avrebbe decisamente detto nulla riguardo al suo strano incontro. «Su, troviamo quel rifiuto, riscuotiamo la taglia, e poi prendiamoci una meritata vacanza in qualche resort su Dorumaa. Offro io,» disse infine, rimettendosi in piedi e offrendogli la mano. Quasi si aspettò che la rifiutasse; invece la afferrò con fermezza, issandosi in piedi.

Barcollò un poco, ma recuperò rapidamente una postura diritta. Le lanciò un rapido sguardo, poi si avviò giù dal tetto senza un’altra parola, improvvisamente taciturno. O adombrato. Lo seguì dappresso, quasi riuscendo a percepire il cupo imbarazzo che irradiava. Un Mandaloriano messo fuori gioco da un mucchio di fiori… riusciva a immaginare quanto fosse dura da mandar giù.

«Se può consolarti, io sono allergica ai frutti Jogan.»

Lui sospirò sonoramente.


 


 
«Non scherzavi, riguardo alla sicurezza,» mormorò Cara, mentre camminavano su uno dei camminamenti di legno sospesi, quello più vicino allo spazioporto.

Lui rispose con una mezza scrollata di spalle, concentrato nella perlustrazione. Quasi sentivano il fiato delle Guardie sul collo mentre attraversavano i livelli intermedi della città, in cerca di un punto d’accesso che li portasse alle piste d’atterraggio. La recinzione sembrava alimentata a plasma, l’unica fonte d’energia ad essere tollerata in città. Ciò significava morte certa se avessero provato a forzarla o scavalcarla. Il jetpack avrebbe attratto troppo l’attenzione, visto che lo spazioporto era situato in una zona aperta e strettamente sorvegliata, quindi Din aveva deciso di non perdere tempo a recuperarlo dalla Crest. Era comunque ancora troppo malmesso dopo una sua bravata finita male in un crepaccio su Kajimi.

Le Guardie avevano preso a pedinarli più da vicino non appena si erano avvicinati a quell’area, quasi avessero intuito i loro piani. Non volle soffermarsi su quel pensiero fugace: la situazione era già abbastanza disturbante.

Din aveva recuperato le forze e camminava ora a passo spedito, probabilmente grazie a pura forza di volontà alimentata da testardo orgoglio, ma c’era ancora un filo contratto a tendergli la voce e le spalle. Lei, d’altro canto, iniziava ad avvertire di tanto in tanto quella spiacevole sensazione di sonnolento straniamento che l’aveva colta nella foresta. Cercava di tenerla a bada quando si faceva troppo marcata, ma riusciva comunque a distrarla. A spaventarla, anche.

Doveva rimanere lucida, concentrata sul loro incarico, soprattutto con Din che poteva accusare un malore all
improvviso. I fiori erano più rari, là sopra, e il loro profumo solo vagamente percettibile, ma non lo perdeva comunque docchio, nonostante lui mostrasse chiari segni di fastidio per quella premura.

Continuarono ad avanzare attraverso i ponti e camminamenti sospesi che collegavano bazaar, suq e cantine all’aperto posti su piattaforme lignee, cercando di costeggiare il perimetro dello spazioporto per individuare un punto debole. Il caccia Huttese era ancora al suo posto, ma dovevano essere rapidi: non c’era modo di prevedere quanto ancora il loro bersaglio sarebbe rimasto su Varchas. Avevano concordato di piazzare un localizzatore nella sua nave come piano d’emergenza, in caso fosse riuscito a scappare e raggiungere il punto di salto.

Il loro cliente non aveva loro fornito alcun tracciatore per Varan Ghunc, quindi si erano dovuti arrangiare col suo codice a catena e l’ologramma di taglia per stanarlo su Varchas – non avevano alcuna intenzione di ripartire da zero, in caso qualcosa fosse andato storto. Al momento, Cara non sapeva se sperare di catturarlo lì ed ora, o di portare la caccia altrove, in un ambiente più familiare e ospitale. Su Hoth, per esempio. Pianeta di ghiaccio, nessuna forma di vita senziente: perfetto e preferibile a Taamash.

Aggirarono un altro lato dello spazioporto, fermandosi di tanto in tanto per ispezionare i dintorni, ma ogni volta il Mandaloriano scuoteva il capo dopo aver tentato di trovare una breccia con l’aiuto del visore. Lei, per buona misura, si occupava di analizzare i tetti e le strutture sopraelevate più vicine al loro obbiettivo, ma erano sempre troppo alte, troppo basse o troppo lontane per garantire una buona linea di tiro.

Finirono di controllare il terzo lato del perimetro senza fortuna, con l’umore che si annuvolava di passo in passo. Cara stava giusto decidendo di tagliar corto e rendere giustizia al suo passato da shock-trooper – ovvero, suggerendo di far saltare l’ingresso principale a blaster spianati – quando svoltarono l’angolo di una locanda e individuò il loro barlume di speranza. E luccicava per davvero.

«Mando, alla tua destra,» lo riscosse, con un cenno del mento a indicare la direzione.

Din seguì la dritta, fissò quel punto per alcuni secondi, e si rivolse di nuovo a lei.

«Una raffineria di miele?»

«Qualunque cosa sia, è il nostro biglietto d’ingresso. Vedi?»

Cara non poté evitare di inarcare un sopracciglio alla sua reazione piatta, ma la attribuì agli strascichi del suo inconveniente floreale. Si accostò alla balaustra, gli occhi puntati sulla piccola struttura adiacente lo spazioporto. Era un edificio a due piani squadrato, giallognolo, senza finestre e con una dozzina di piccoli specchi che spuntavano dal tetto, come a schermarlo dalla luce. Il retro sembrava in comune con quello di uno dei magazzini spazioportuali, anche se non era chiaramente distinguibile da lassù. Forse c’era una porta blindata o un passaggio coperto a separarli. Quella che sembrava un’entrata secondaria si apriva in un rigoglioso giardino cinto da mura, che sembrava far parte di una delle torri-specchio minori.

«Guarda quel giardino. Il muro non è altissimo… oppure potremmo passare attraverso la torre.»

Si voltò verso di lui sfoggiando un sorriso trionfante, ma incontrò solo una totale mancanza d’entusiasmo, resa evidente dalla postura rigida del Mandaloriano, e dal modo in cui il suo elmo puntava verso il basso, come se stesse osservando il loro obiettivo di sottecchi.

«Quello è suolo sacro,» asserì quindi, con fermezza.

«Saremo rapidi, non se ne accorgeranno nemmeno,» scrollò le spalle lei con noncuranza, ma non represse un lieve verso di frustrazione. «Perché ti importa così tanto delle loro leggi assurde? Non sarebbe nemmeno la prima volta che pieghiamo le regole.»

Si pentì di averlo chiesto nel momento stesso in cui completò la frase: Din si voltò bruscamente a guardarla, per poi parlare nella voce gelida, austera che riservava normalmente alle taglie:

«È il loro Credo, e siamo a casa loro. Anch’io mi irriterei se qualcuno tentasse di fare irruzione nel nostro Rifugio solo per “piegare le regole” in suo favore.»

Cara avvertì una torsione allo stomaco a quelle parole dure, e sfuggì il suo sguardo, senza ben sapere come ribattere. Nonostante fossero in quasi completa sintonia, quello della Tribù rimaneva un argomento spinoso sotto più punti di vista, non ultimo quello di aver perso la maggior parte dei compagni con cui era cresciuto. Non aveva più messo piede nel Rifugio dal giorno del massacro.

Cara incrociò strettamente le braccia: poteva rischiare di insultare il suo Credo, per riportarlo però coi piedi per terra e ricordargli che nella loro linea di lavoro era normale dover compiere scelte moralmente ambigue, oppure lasciar correre e rischiare che mettesse in discussione ogni loro passo. Poteva essere pericoloso, specialmente se messi alle strette, e non potevano permettersi altri passi falsi. Capiva, anche se non del tutto, la sua volontà di rispettare le credenze altrui, considerando quanto fosse devoto alle proprie… ma ciò non poteva mettere a repentaglio le loro vite e l
incarico.

«Non intendevo dire che dovremmo mancar loro di rispetto o profanare i loro templi. Sai che non lo farei mai. Ma dobbiamo solo entrare e uscire... come abbiamo fatto su Nevarro, nei vostri tunnel,» aggiunse, riluttante a rivangare l’accaduto, ma sapendo che Din non avrebbe potuto controbattere.

Lui spostò il peso da un piede all’altro, assorbendo quelle parole. Tentennò ancora per un istante, poi le rivolse un breve cenno d’assenso.

«So cosa intendevi, e hai ragione. Ma non mi va a genio, tutto qui,» disse poi, in un palpabile tentativo di smussare il suo scatto. Rilasciò uno sbuffo nervoso dietro l’elmo, come se avvertisse una pressione invisibile nei polmoni, poi raddrizzò le spalle. «Se vogliamo entrare nella torre, dovremo prima seminare le Guardie,» annunciò poi, riprendendo un approccio pragmatico, e fece un lieve movimento col capo a indicarne la posizione alle loro spalle.

«Idee?»

«Manovra evasiva,» disse lui, senza esitare. «Ci dividiamo e confondiamo le tracce. Rendez-vous dietro alla torre tra… venti minuti esatti,» concluse, dopo aver stimato la distanza da coprire e il tempo minimo per scrollarsi di dosso i loro molesti guardiani.

Cara lo fissò dubbiosa, affatto propensa a separarsi dopo ciò che era accaduto. Ma non vedeva molte alternative: Din spiccava terribilmente in mezzo alla folla, ovunque andassero, e procedere in coppia non avrebbe facilitato le cose. Da solo aveva di certo molte più possibilità di far perdere le proprie tracce. Annuì, incrociando le braccia.

«Tu passa dall’alto, però,» aggiunse, facendo discretamente cenno al labirinto di passaggi e ponticelli attorno a loro. «Io vado in basso, visto che sono meno sensibile ai fiori.»

Din reclinò appena la testa all’indietro, e poté giurare di sentirlo emettere un lamento esasperato.

«Non te lo dimenticherai mai, vero?»

«Mai,» confermò lei, trattenendo un sorriso nel sentire di nuovo una sfumatura più leggera nella sua voce.

Din scrollò la testa; poi si ricompose, puntando le mani sui fianchi e osservando un’ultima volta la torre e l’annessa raffineria su cui affacciava il parapetto.

«Entriamo e usciamo,» sottolineò infine, guardando prima loro obiettivo imponente e luccicante poi lei, in quello che era senza dubbio uno sguardo severo.

Cara assentì. «Entriamo e usciamo. Facile.»

Fa’ che sia facile, si ritrovò a pensare, rivolta a nessuno in particolare mentre avanzavano tra la calca e si separavano quindi senza preavviso, avviandosi alla torre ognuno per la propria strada.

Non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle quel pianeta.

 

 


 

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
suvvia, lo so che volevate un tocco Lovecraftiano in questa storia. No? Beh, ops, m'è scappato e ormai sta lì!

Scherzi a parte: come detto in precedenza, il tutto ha preso una piega molto più dark di quanto avessi previsto... qui siamo ancora nella zona sicura. Non sono solita entrare nel dettaglio in descrizioni di violenza/tortura/altro, ma siete avvertiti: potreste trovare disturbanti determinati passaggi futuri. Quindi leggete a vostro rischio, anche se il rating non sfocerà nel rosso.
Per ora, godetevi Mando fattissimo e non chiedetemi come sia uscito fuori dalla mia penna. È semplicemente accaduto, e sinceramente dopo alcune scene della seconda stagione (che ho destrutturato manco fossi un'antropologa comportamentale), sono convinta che abbia un lato "goffo" abbastanza evidente, quando è con persone di cui si fida. O quando è fatto come una zucchina, a seconda dei casi :D Dev'essere l'effetto-Pascal che trapela nel personaggio...

Se trovate refusi, battete un colpo: rimane comunque una traduzione/adattamento e a volte qualche espressione "non nativa" mi sfugge e rimane lì a intralciare la lettura, a dispetto delle revisioni :')
Grazie a tutti voi che avete letto e commentato gli scorsi capitoli e a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste ♥
A prestissimo col seguito!

-Light-
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_