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Autore: Fiamminga    23/11/2020    2 recensioni
Sesshomaru ha lasciato Rin al villaggio, con l'intenzione di farla crescere tra gli umani, al sicuro. Rin è ormai una donna quando, troppo tardi, si rende conto di cosa voleva dire quando pensava di voler stare con lui per sempre.
[Sessh/Rin] [Inu/Kag]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  1. Due

Rin aveva lasciato Ah-Un a pascolare dietro la collina in tranquillità mentre tornava al villaggio.

Tutti l’avevano salutata, sorpresi e sollevati di vederla viva: evidentemente a nessuno era giunta voce di cosa fosse davvero successo alla montagna degli Yoro e nei giorni seguenti. Rin spiegò al capo villaggio cos’era capitato e che Inuyasha e Kagome erano al castello di Sesshomaru per concludere alcune questioni.

Miroku e Sango, insieme a Kaede ascoltarono la sua spiegazione con aria grave e con molte domande negli occhi che tuttavia non le rivolsero. Rin immaginava che volevano chiederle cosa fosse successo al castello e perché era tornata all’improvviso, da sola. La ragazza non aveva voglia di dare altre spiegazioni, perciò tornò alla capanna di Kaede e si rimise i suoi soliti vestiti. L’abbigliamento da giovane principessa le donava ma era una finzione.

Lei era solo questo: una giovane donna di un villaggio umano senza nessuna importanza.

Infilò il suo semplice yukata viola e i suoi sandali più umili, decisa a riprendere possesso di sé. L’immagine che l’elegante specchio – uno dei suoi tanti doni- le restituiva era la sua vera immagine. Il solito sguardo rassegnato, il solito pallore.

Legò i capelli come faceva sempre, infilando anche il fermaglio dono di Sesshomaru dal quale, in ogni caso, non poteva separarsi ed uscì all’aria fresca. Il villaggio era una visione familiare e rassicurante.

Quella era la sua vita.

Non ricchi appartamenti e servi che le preparavano il bagno o la cena né pesanti kimono con cinque o sei strati di porpora o d’oro. Sospirò, rassegnata.

In ogni caso non era quello ciò che voleva. La ricchezza non le era mai importata. Per tutta la sua vita (la seconda) aveva avuto solo un pensiero nella mente, solo un unico desiderio irrealizzabile. Aveva visto come poteva essere, e si era scontrata con la realtà dei fatti. Non poteva inseguire i suoi desideri. Non era giusto per Sesshomaru, che aveva preso la sua decisione.

-Bambina- disse Kaede, davanti alla sua capanna – Perché quello sguardo triste?-

-Non è nulla, nonna- cercò di rassicurarla rivolgendole un sorriso –C’è qualcosa che posso fare per aiutarti? Lo sai che non mi piace rimanere con le mani in mano-

-Sì, lo so- il tono della vecchia sacerdotessa però non si era fatto più leggero. – Puoi andare a prendere le erbe per l’impacco disinfettante. Koaru è stato ferito durante l’attacco e ha un piede fasciato-

-Hai finito le erbe?- chiese.

-No … ma possono sempre servirne di più-

Rin annuì, silenziosamente grata alla sacerdotessa che aveva capito il suo desiderio di rimanere da sola ma allo stesso tempo anche di avere qualcosa da fare per non stare a rimuginare. –Allora andò a prenderle- le disse, prendendo il suo cestino di bambù e incamminandosi verso il bosco, dove sapeva che le erbe medicinali crescevano libere sotto gli alberi e tra i prati.

I suoi pensieri erano ancora pesanti, il suo cuore ancora angosciato. Era solamente il suo primo giorno di nuovo lontana da lui: sperava che dopo qualche tempo il suo dolore si sarebbe atrofizzato pian piano, come aveva già fatto. Ora era una pugnalata al cuore ma tra qualche mese sarebbe diventato un fastidio costante ma non così acuto.

Almeno lo sperava.

Arrivò al campo che conosceva, immerso nel bosco. Era coperto di fiori e gli insetti ronzavano dal polline di uno a quello dell’altro in una danza continua. Rin avanzò tra l’erba alta alla ricerca di quello che le serviva, inginocchiandosi a terra quando lo trovava.

Strappava gli steli delle sottili piante, raccogliendole nella sua cesta, ma ogni volta che spezzava un gambo si sentiva sempre più triste. –Mi dispiace- disse alle povere piantine strappate alla loro casa.

Che stupida , si disse. I fiori non soffrono. Le piante non soffrono. Solo gli umani lo fanno. Si ritrovò a piangere in silenzio, e si rese conto di essere rimasta ferma davanti alla stessa piantina spezzata per lunghi minuti.

Tirò su col naso, sentendosi ridicola.

Che cosa aveva sperato? Che dopo qualche bacio, che dopo qualche carezza, tutto sarebbe cambiato? Non poteva cambiare proprio nulla! Quella era la sua vita, ed era grata di poterla vivere, anche se solamente a metà.

Si pulì il viso con la manica dello youkata, singhiozzando.

Era grata, ma quanto era triste.

Lasciò andare le piccole piante spezzate e si nascose il viso in lacrime tra le mani senza più frenare i singhiozzi. Nessuno avrebbe potuto sentirla o vederla lì, nemmeno Kagome o Inuyasha che non erano al bosco.

Un lieve folata di vento le scompose i capelli ma lei non rialzò il viso, continuando a piangere e a darsi della sciocca sognatrice. Era bastato sperare un poco per vedere tutti i suoi sogni ridotti in cenere.

-Rin-

Lei si raggelò, come una lepre sorpresa dal lupo e che non sapeva come scappare. La sua voce era così vicina e bassa … da quanto era lì? Da quanto tempo l’aveva vista piangere disperatamente?

Non voleva mostrare il viso. Si vergognò così tanto di sé stessa e si rannicchiò per nascondere tutta la testa ma la sua mano gentile glielo impedì, scostando le sue mani umide di lacrime dalle sue guance rosse.

Era proprio lui, ad un passo di distanza, inginocchiato davanti a lei, tra i fiori.

Rin non l’aveva sentito arrivare, leggero e silenzioso com’era.

Sesshomaru la stava guardando intensamente con i suoi penetranti occhi ambrati e pacati. – Te ne sei andata senza dire nulla- disse, con un sussurro.

Era triste, Rin lo comprese immediatamente dal tono lieve e dolce della sua voce e dalla sua impercettibile espressione. Era triste per lei?

-Io …- deglutì, senza sapere cosa dire - … Cosa altro c’era da dire?- chiese tristemente.

Lui fece un basso sospiro e poggiò delicatamente una mano sul suo viso asciugando piano le lacrime, mentre osservava le sue guance rosse per lo sforzo del pianto. – è la seconda volta che ti vedo piangere in questo modo- disse a bassa voce.

Rin aveva pianto molto di più, quando lui non c’era e lei era rimasta da sola, ma era grata che lui non lo sapesse … o almeno non avesse assistito. Doveva sapere, in fondo nel suo cuore, che lei aveva pianto per lui. Doveva saperlo.

-Ho sempre odiato l’odore delle tue lacrime- aggiunse poi –Vorrei non sentirlo più-

-Mi dispiace, Sesshomaru-sama- disse lei semplicemente. Non poteva promettergli che non avrebbe pianto ancora.

Lui poggiò la fronte alla sua e Rin sentì il suo respiro caldo contro le sue guance ancora umide. Così poteva vedere da vicino le sue ciglia lunghe e la forma elegante e sottile delle sue labbra, che sapeva calde e impossibilmente dolci.

-Perché sei andata via, Rin?- le chiese.

-Non volevo più essere un peso- spiegò lei senza poter dire nient’altro.

-Non lo sei e non lo sei mai stata-

-Invece sì. Vi ho sempre creato problemi. Senza di me sareste più …-

Non finì di parlare che lui la zittì con un lungo e silenzioso bacio, uno di quelli caldi e dolci che nessuno avrebbe pensato di poter ricevere da lui. Le tolse il respiro fin quando non la lasciò andare. – Senza di te ...?- disse a bassa voce –Senza di te non sarei molte cose-

Rin spalancò gli occhi, osservandolo da quella poca distanza che li divideva. –Sesshomaru-sama, non potete dire davvero-

-No?- il suo sorriso era quasi invisibile – Perché?-

-Perché … perché voi siete voi - disse Rin, che non trovava altre parole per esprimersi.

-Davvero?- il suo tono era leggermente ironico.

-Voi siete il demone più potente dell’Ovest, siete il signore del vostro castello. Che cosa potrei darvi io? Io non sono nessuno. Solo una ragazzina di campagna- spiegò – L’unica cosa che posso darvi è l’unica cosa che possiedo. Non la mia vita … quella è già nelle vostre mani dal primo giorno- scosse la testa – Posso darvi solo me stessa. E non è molto. Non può di certo bastarvi-

-Perché dici così?- chiese lui, ancora con quella strana espressione.

-Perché voi siete voi!-

-Eravamo già giunti a questa conclusione, mi sembra- Sesshomaru sorrise di nuovo e Rin fece un sospiro frustrato.

-Vi prendete gioco di me, signore- rispose lei, abbassando gli occhi – Io non ho mai voluto niente da voi. Non volevo i vostri doni, o la protezione che mi avete sempre offerto, volevo solo poter stare al vostro fianco. Non che voi foste al mio, non ve lo chiederei nemmeno. L’unica cosa che desideravo era … è starvi vicino. Ma è l’unica cosa che non potevo chiedervi, non è così? Qualsiasi altra mia richiesta voi l’avreste accolta-

-Sì- rispose lui. –Ma non solo questo-

-Allora cosa?- chiese lei, frustrata per l’ennesima volta.

-Rin- disse tranquillamente lui: -Tu credi davvero che io non ti ami?-

La ragazza rimase immobile a guardarlo con gli occhi spalancati.

Guardò il suo viso imperscrutabile, una maschera priva di emozioni che tanto più raccontava quanto, in realtà lui stesso bruciasse dentro. Si rese conto di avere la bocca spalancata e la richiuse, deglutendo sonoramente.

Sesshomaru non era né il demone, né l’uomo che parlava così apertamente di sentimenti, né altrui né suoi. E quel suo modo contorto di formulare la frase, come se non fosse lui il soggetto, come se la questione non fosse lui ma lei … era la cosa più vicina che lui fosse capace di dire rispetto ad una vera dichiarazione.

Dopo un lungo momento di confuso silenzio Rin tornò a piangere. : -Ma … Ma …- disse – Non capisco. Perché …?-

Perché amare lei? Perché lasciarla e poi tornare? Perché?

Lui la baciò di nuovo ma la tristezza di Rin stava lasciando il passo alla confusione e alla speranza di qualcosa di più. Si aggrappò a lui, appoggiandosi contro il suo petto.

-Rin, ti stavo parlando, prima alla biblioteca- disse quando si separò da suo viso e la osservava nei suoi occhi spalancati. –Ti stavo parlando di com’è per i demoni-

-Avete detto che gli altri demoni avrebbero pensato meno di voi-

-Lo hai detto tu- la corresse – E anche se così fosse non mi importerebbe affatto. Non è mai stato questo, Rin- spiegò – Era solo perché …- si interruppe e l’incertezza era una strana emozione da vedere sul suo viso.

-Perché?-

-Perché avevo paura- disse a voce quasi inudibile.

-Eh?- Non è possibile, pensò la ragazza. Sesshomaru-sama non ha mai paura.

-Avevo paura di molte cose- poggiò ancora una volta la fronte con la sua mezzaluna contra quella di Rin –Che tu morissi di nuovo. O, molto peggio, che tu morissi lasciandomi di nuovo da solo- il suo sospiro era impercettibile – Ti ho già detto cos’è una compagna, per un demone. Tu sei sempre stata la mia. Non nei fatti ma nella mia mente lo eri. Forse … forse persino quando ti ho visto la prima volta ho pensato che non eri come un’umana come le altre, che se eri sulla mia strada, se Tenseiga mi ha convinto a riportati indietro forse c’era un motivo. Non l’ho voluto accettare per molto tempo. Non potevo finire come mio padre-

-Cosa è successo a vostro padre?-

-è morto- disse semplicemente lui – E ha lasciato la sua compagna da sola. Ed è qualcosa che sarebbe successo ugualmente, Rin. O tu o io, qualcuno avrebbe abbandonato l’altro per sempre- chiuse gli occhi e sospirò di nuovo –Se dovessi andartene di nuovo …-

Non continuò la frase. Rimase lì fermo contro di lei ad annusare il suo odore e tenerle la mano. Non tremava né piangeva ma questo non significava che Rin non sentisse anche la sua tristezza, la sua indecisione e la sua sofferenza.

Gli circondò il collo con le braccia e lo tenne stretto, sperando che potesse confortarlo almeno un poco. – Sesshomaru-sama, non siete debole per questo- gli disse, indovinando i suoi pensieri. – è normale avere paura della morte-

-Non ho paura di morire- spiegò lui.

-Lo so. È questo che fa di voi il mio nobile signore, non è così? È ciò che vi rende nobile: temete per la morte di qualcun altro, non della vostra-

-Il mio è solo egoismo- disse, come un dato di fatto – è la mia solitudine che non voglio affrontare-

-Sesshomaru-sama- sorrise, anche se le lacrime minacciavano di caderle di nuovo sul viso – Voi siete il più grande demone che cammina per queste terre. Forse non siete abituato a queste sensazioni. Al non sapere cosa fare, a temere la solitudine e disprezzare la tristezza, ma per noi umani tutto questo è normale. Si vive tutti i giorni quando si è fragili e insignificanti. Un uomo ama la moglie anche sapendo che potrebbe morire al suo primo parto, una madre ama il figlio sapendo che potrebbe essere portato via dalla guerra. Ma la sofferenza che viene dopo non rende ciò che è stato prima meno importante-

-Lo so- rispose lui –Adesso-

-E non crediate che un umano non sia più egoista di voi. Io lo sono-

-Non è possibile- rispose lui semplicemente.

-è così- disse lei, spostandogli le ciocche della frangetta dal viso – Egoisticamente volevo solo che voi foste con me perché lo desideravo io-

-Siamo in due, allora- rispose lui, semplicemente.

Lei annuì –Siamo in due-

   
 
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