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Autore: Zappa    23/11/2020    3 recensioni
“Tra le più recondite stelle della galassia, dove anche i grandi avventurieri in caccia di sogni hanno fermato il loro passo e le grandi navi spaziali, ricche di diamanti e cristalli arthurianii, hanno deviato il loro lento incedere, laggiù, in uno dei luoghi più oscuri e silenziosi dell'universo, fluttuava placido, tra i confini di una galassia e il nascere di una stella, un grande e profondo buco nero.”
Un principe, un pirata, un’ambasciatrice e una dea.
Tutti vogliono lo stesso prezioso Libro della Pace, anche a costo di navigare lo spazio aperto per raggiungerlo.
#Remake di Sinbad, la Leggenda dei Sette Mari.
La storia è già completa, non voglio uccidere nessuno nell'attesa di nuovi capitoli.
Grazie se aprirete questa storia.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Goku, Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6


Il Pesce Cometa


Bulma osservava fuori l’oblò del piccolo magazzino, respirando tra i secondi di un lento silenzio.

Tutti i giorni di navigazione parevano dall’oblò del magazzino, mentre si scivolava sulle onde cosmiche, dopo un po’ troppo uguali ai precedenti. Lo sfondo delle stelle che si districavano attorno sfumava di continuo, come una cascata di diamanti che luccicavano e trasmettevano la stessa musica, incantevole come il suono armonioso di un violino o il suono di una continua orchestra.

I pirati spaziali, però, avevano continuato la loro rotta, caparbi nel proseguire verso Ovest e nell’attraversare, astro dopo astro, le regioni infinite dello spazio. Al quindicesimo giorno di navigazione, quando si erano lasciati alle spalle buona parte del settore Est della Via Lattea e di Andromeda, comprese le terribili Stelle Pleiadi e buona parte del mare navigato, il capitano si rifiutava ancora di parlarle.

Bulma si domandava per quanto ancora avrebbe tenuto la bocca cucita con lei, quasi stretta in un filo di xilos verde, un intreccio resistente al vento solare che creava le cime della piccola scheggia su cui navigavano.

La nave, vero, era rovinata e solo in parte i motori a propulsione sonica potevano coprire la distanza che avrebbe percorso alla potenza massima delle sue vele ad assorbimento d’energia solare. Senza contare il fatto che, essendo danneggiati gli scudi di protezione che mettevano al riparo la nave pirata entro sua bolla di aria e di equilibrio, era rischioso proseguire in mare aperto, figurarsi farlo ad alta velocità.

Ma Bulma aveva visto i sorrisi e i gesti di ringraziamento che la ciurma aveva elargito nei suoi confronti nei piccoli momenti di quotidiano, quando il capitano era troppo occupato a guidare la nave e a segnare i nodi del vento per calcolare sull’astrolabio a che punto fossero del percorso.

Turles, in più di una occasione, le aveva elargito metà del suo pranzo, invitandola fuori dalla cuccetta di Broly perché mangiasse con la ciurma. Radish, da bravo cascamorto qual era, le aveva offerto dei comodi cuscini e le aveva sistemato la cuccetta nel magazzino. Le aveva poi detto che se ancora faceva fatica ad addormentarsi, le avrebbe fatto volentieri compagnia: la risposta che si era sentita di dargli, oltre ad un sorriso tirato, era stata la porta del magazzino sbattutagli sonoramente in faccia.

Il problema, comunque, rimaneva il capitano.

Per quanto fosse buzzurro e avesse il cervello piccolo come un atomo e per quanto Bulma avesse deciso di curarsene fino ad un certo punto e poi basta, rimbrottava comunque il suo dissenso in parole leggere che scoppiavano contro il vetro come bolle di sapone. Quando una leggiadra nebulosa, filamentosa come aira, s’intrecciò alle linee immaginarie che le sue dita abbozzavano nel vuoto, decise di destarsi dal suo torpore e si avviò sul ponte.

Appena fuori, fu investita dalla brezza fredda del vento che spinge ad Occidente. Si unì alla ciurma, seguendo gli ordini del secondo e ammaestrò il controllo della nave.

La nave ballonzolava ancora pigramente, si conformò alla rotta tenuta dal capitano e sciò sulle nubi. Il mare calmo e costante, poi, perse d’improvviso il suo moto infinito, nel mentre che la nave raggiunse una lunga scia di asteroidi che si frappose, dal nulla, sul suo cammino.

La navigazione si fece più vigile e pacata e l’attenzione di tutti i pirati fu rivolta alle strisce gravitazionali che permeavano gli asteroidi, quali campi di forza magnetici e di forza collisa che s’intessevano fra i grandi e piccoli corpi celesti della fascia e che permettevano a questi di non disperdersi nel Cosmo.

Vegeta ordinò che i motori fossero stabilizzati al minimo, per permettere alle correnti gravitazionali di trascinare il vascello con sé lungo le coste degli asteroidi galleggianti. Voltò lo sguardo verso il cuore del sistema, verso il protosole di dimensioni nane che piano piano stava nascendo al centro del piccolo sistema solare che stavano attraversando, scrutati dagli occhi delle luci più antiche.

Il disco planetario, che pullulava di vita attorno alla stella in crescita, aveva terminato la sua fase iniziale di genesi scomposta e, dopo aver lasciato parola ad un brulicare di polveri, gas e meteore, si era ripulito nella sua parte più interna mediante il forte vento solare. Nei migliaia di anni cui erano state testimoni le stelle attorno, si erano formati i piccoli protopianeti, che a loro volta avevano ripulito le loro orbite dalla polvere interstellare, ricacciata verso il mare aperto. Ora, solo la fascia di asteroidi che li stava trascinando con sé in una lenta danza cosmica era rimasta a rimembrare le origini antiche.i

Le dimensioni degli asteroidi che navigavano con loro erano delle più svariate grandezze: alcune di centinaia di metri, altre invece viaggiavano su chilometri di distanza, arrivando a coprire la grandezza di pianeti nani. Guardò ancora i motori dell’astronave e misurò i nodi del vento che li sussultava in avanti, nel campo di forza. Era giunto il momento di sbarcare su uno degli asteroidi per fare rifornimento e per provvedere alle riparazioni.

Un grosso asteroide li fece avvicinare alla sua costa: i motori scesero, lenti, a contatto con il dorso frastagliato e solido del corpo, poggiarono la nave e cessarono la loro costante luce blu neon, per sopirsi nel silenzio dello spazio.


« Statemi a sentire: restiamo dieci minuti. Se vi perdere, poi non partite! »

Berciò Nappa, affrettandosi a dare gli ordini ai sottoposti.

Al lato della nave, il capitano lambiva, con le dita scaldate dai guanti, i lunghi parapetti in vibranio a resistenza 3 Kii e, per gli innumerevoli danni evidenti anche ad un occhio più inesperto, si lamentava, sconsolato. Tracciò la traversa del boccaporto con un polpastrello e si stizzì quando l’ennesimo filo di alluminio irrobustito gli rimase intrecciato alle dita.

« Com’è possibile che una donna sola possa fare così tanti danni? »

Sibilò, portando le mani al cielo e volendo urlare il suo disappunto verso il Cosmo. Quella giornata era appena iniziata e lui era già nervoso. Ah, ma lui lo era sempre, ultimamente.

« E va bene… avremmo bisogni di un bel po’ di rodio e di vibranio per assemblare le intelaiature della nave, una montagna di vibranio per riparare i circuiti e la murata… per non parlare delle vele… »

« Avete sentito il capitano: cercate tracce di vibranio e rodio, e in fretta pure! » gli fece eco il secondo in carica.

Vegeta tornò a guardare criticamente i danni della nave e aggrottò le sopracciglia quando ormai l’ennesimo piccolo pezzo della murata finì perso nell’oceano di stelle che li osservava da sotto.

Bulma fece una smorfia infastidita a vedere come il capitano, appena la notava avvicinarsi, si chinava verso il parapetto della nave ed iniziava ad accarezzare melodrammaticamente la murata, come se dalle sue carezze fosse scaturito tutto l’amore del mondo per la piccola nave, danneggiata ingiustamente, a suo parere, da una donna che non sapeva guidare.

« Oh, per l’amor del cielo, basterà un po’ di nekoniii liquido e tornerà come nuovo! »

Sputò, esasperata, ma Vegeta sospirò.

« Quando vorrò il tuo consiglio, te lo chieder- Hey! Hey, hey! Dove credi di andare? »

Ma la donna non si era voltata indietro e, camminando imperterrita lungo la passerella della nave che era stata disposta a lato per poter scendere sul corpo celeste, era scesa sull’asteroide a seguito della ciurma. Il capitano, incredulo, boccheggiò come un pesce qualche istante.

« Be’, vai! Ma almeno portati qualcun- »

Neanche il tempo di finire di parlare che, scattanti, Turles, Cabba, Toma e Radish le si erano fatti accanto e si erano offerti subito di accompagnarla a raccogliere i minerali che avevano necessità di cercare.

« Ah, grazie! È una gioia vedere degli uomini che hanno ancora un pizzico di normale cortesia... » cinguettò Bulma, piacevolmente sorpresa dalla gentilezza della ciurma che si era offerta prontamente di scortarla sull’asteroide. Gongolò soddisfatta, soprattutto per il fatto che sperava nella faccia furente del capitano al vedere i suoi uomini che si agghindavano di un’impropria galanteria cavalleresca.

Il capitano trattenne una smorfia di fastidio.

« Normale cortesia… » Le fece il verso, arricciando le labbra secche ed imitando la sua voce femminile.

Notò, poi, con la coda dell’occhio Napa che, secchio in mano, s’avviava anche lui alla passerella.

« Non ti affannare... »

Il secondo lo guardò: « Ma lo sai che ha ragione, il nekon sarebbe perfetto per- »

« Basta! Resta sulla nave... »

Napa non poté fare a meno di allargare le braccia in segno di resa e guardare il capitano che, con un balzo, saltò sull’asteroide e a passo pesante seguì la ciurma che si era addentrata tra le rocce.

Sorrise, scuotendo il capo.


La situazione aveva dell’incredibile. Tre quarti della sua ciurma camminava allegramente dietro a Bulma, mentre solo Napa, Toteppo e Pampukin erano rimasti sulla nave per tenerla stazionata nell’insenatura che avevano trovato a lato dell’asteroide.

Ah, ma se non avesse fermato il suo secondo, sicuro sarebbero tutti scesi a prendere il nekon liquido e il vibranio per sistemare la nave: tutti allegramente dietro alla donna che guidava l’improbabile comitiva.

Scosse il capo a vedere come Radish e Toma, in particolare Radish, le stessero alle calcagna, più appiccicosi di Broly che, ovviamente, ovunque andasse Bulma, andava lui.

Come se fosse lei il capitano, poi!

Non sapeva se essere invidioso delle attenzioni che la ciurma offriva alla donna o se esserne disgustato. Optò per la seconda opzione.

« Ho già detto “grazie”! Si tratta di questo, non è vero? »

Si sgolò e Bulma si volse nel sentirlo, sorridendogli nella maniera più affettata possibile. Aveva poggiato il secchio sull’avambraccio e più che essere in cerca del metallo, pareva voler andare a cogliere margheritine di campo. Vegeta evitò di inalberarsi ancor di più e decise di vedere come sarebbe andata a finire quella giornata iniziata nel peggiore dei modi.

« Si tratta di riparare la nave…. Se rompo una cosa l’aggiusto! »

Portò lo sguardo sulla donna, sollevando un sopracciglio.

Tutt’intorno l’aria aveva smesso di sfrecciare aggressiva come in mare aperto e il lento scorrere della striscia di asteroidi rendeva l’atmosfera più fiacca e riflessiva, come se si fossero sospesi nel tempo e si ballonzolasse tra un secondo e l’altro, dentro ad un ticchettio costante. Il protosole bruciava, lontano, al centro del sistema solare su cui erano capitati e dietro di loro, a migliaia di chilometri, alcuni piccoli pianeti in formazione continuavano a galleggiare, circondati dai loro gas neofiti, mostrandosi al sole con le loro superfici iridescenti. L’asteroide, composto da un miscuglio di ghiaccio e di vari materiali, continuava a scivolare sotto i loro piedi.

La donna, ad una certa, si mostrò incerta e si fermò, scrutando seriamente il terreno.

Tra i sassi trovò una piccola insenatura, si chinò a terra e tastò il terreno, scoprendo una piccola bacinella di nekon fuso. Si rivolse, raggiante, alla ciurma.

« Ehm, coltello, prego… » chiese cortesemente, porgendo la mano verso il capitano.

Vegeta portò le braccia al petto, sarcastico.

« Oh, certo, adesso ti do anche un’arma... »

Quattro coltelli le furono immediatamente offerti dalla ciurma, sotto gli occhi strabuzzati del capitano, e Bulma, raccolse graziosamente tra le mani il coltello posto da Radish.

« Grazie, Radish… »

Quello gongolò, impettito, e il resto della ciurma aggrottò le sopracciglia a vedere l’aspetto compiaciuto dell’artigliere che raggiunse il capitano, sempre più indignato, dietro di loro.

« Sai, dovresti essere un tantinello più cortese... » sogghignò il pirata, dando una spallata al capitano che osservava l’ambasciatrice aprire di più la fessura nel terreno e raccogliere delicatamente il nekon dalla piccola cisterna. Il capitano non si premurò di rispondere al suo sottoposto, ma gli mollò un pugno ben assestato sul muso.

« Bene, ci mancava una lezione di etichetta da uno tra i peggiori frequentatori di bordello della Galassia... »

Sospirò, massaggiandosi la base del naso.

« Ma lei ha salvato la nave, capitano! » lo fermò subito Cabba, sorridendo speranzoso all’indirizzo del capitano per il quale aveva sempre avuto una particolare ammirazione.

« Grazie Cabba! » cinguettò Bulma, colpita dalla sincerità del pirata, nel frattanto che continuava a riempire il secchio di nekon, con Turles accanto che le reggeva il contenitore per riempirlo.

« E ora aiuta ad aggiustarla! » soggiunse, raggiante Turles.

« È molto in gamba, direi »

« E coraggiosa! »

Anche Toma e Radish si erano fatti coinvolgere nel momento dei complimenti reciproci, mentre Broly sorrideva entusiasta per l’allegria contagiosa di tutti.

Vegeta, all’ennesimo commento, non ce la fece più: se i suoi uomini avrebbero continuato ad esaltare quella donna insulsa ed ficcanaso l’avrebbero mandato fuori di testa.

« Questa donna... non saprebbe aggiustare un’unghia spezzata! »

Sibilò con astio, facendo un gesto sprezzante con la mano. La donna si gelò al tono arrogante del capitano. Si tirò in piedi in un lampo, assumendo una posa battagliera.

« Francamente, sei l’uomo più volgare ed ottuso che io abbia mai conosciuto... »

Il capitano la squadrò da capo a piedi con la sua aria di superiorità.

« Senti, bella… ho visto i bei bamboccioni con cui te ne vai in giro… » gli scappò una risata e ci tenne a sottolineare il concetto, portandosi un dito al petto. « Io sono il solo uomo che tu abbia mai conosciuto! »

Non notò gli occhi furenti della donna, la quale boccheggiò cercando freneticamente i peggio insulti che le potevano venire in mente. Il capitano si avviò, invece, impettito verso la nave, ma Bulma non perse l’occasione per fargli rimangiare le sue parole.

In un istante, rubò dalle mani di Turles il secchio pieno di nekon e lo lanciò a tutta forza in direzione del capitano. Due secondi dopo, Vegeta, cappello compreso, si ritrovò grondante di nekon verdastro e attaccaticcio dalla testa ai piedi. La ciurma rimase a bocca aperta e calò un silenzio maggiore di quello che li circondava perennemente nello spazio aperto.

Si girò lentamente, il cappello calato sugli occhi e le belle piume di Aquila di Ghiaccio, che dapprima spiccavano sul copricapo, afflosciate verso il basso, zuppe di nekon.

L’ambasciatrice lo osservò di rimando, sorridendogli stuccosa e portandosi le mani ai fianchi. Lui le sorrise di rimando, melenso. Si chinò verso le rocce e iniziò a raccogliere da terra del pastrocchio di acqua e polvere interstellare, formando tra le mani coperte da guanti bianchi una poltiglia fangosa.

Bulma sollevò un dito, minacciosa.

« Oh, no… no, no, noooo- »

Ma la palla di fango le finì ugualmente dritta in faccia, rovesciandola a terra. Calò definitivamente il gelo tra il gruppetto e tutti i membri della ciurma si guardarono ancora, increduli.

« Cinque su Bulma... » sussurrò Radish a Toma, scommettendo su chi dei due avrebbe fatto la pelle all’altro.

Bulma si alzò da terra e si levò immediata la fanghiglia dal viso, avanzando lentamente verso il capitano, con gli occhi fuori dalle orbite. Vegeta la degnò di uno sguardo di sufficienza, levandosi il capello e tergendo via il nekon, pulendo le piume con aria schifata.

La donna sbuffò di rabbia.

« Sei... prepotente! »

Vegeta non si fece trovare impreparato, si sistemò il cappello in testa e le rispose per le rime.

« E tu sei viziata »

Bulma gli lanciò il primo frammento di roccia che le capitò sottomano e continuò con tutti quelli che trovò vicino.

« Maleducato, presuntuoso! »

« Illusa! »

Vegeta fu costretto a schivare due sassi che, per un soffio, non gli arrivarono dritti in faccia.

« Pomposo! Egocentrico! »

« Piena di arie! »

Arrivò, finalmente, un sasso in testa al capitano, che sbatté sonoramente contro la sua zucca; la donna non si fermò e continuò a lanciargli addosso tutto ciò che trovava sull’asteroide, nella speranza di rompergliela quella brutta testa che si ritrovava.

« Malfidato, ingrato, impossibile, insopportabile! »

Sempre più pietre raggiungevano il pirata che, ormai, era costretto a schivare i colpi come se fossero proiettili di cannone laser. Broly ne contò ventidue.

« Almeno non sono represso! »

Si sgolò infine Vegeta, mettendosi ad un palmo dal suo naso, furente per il sasso ricevuto in fronte. Bulma lo guardò con occhi spiritati e le si mozzò l’insulto in gola, indignata.

« Io sarei– te la faccio vedere io, la repressa! »

Con una forza che il pirata si stupì avesse in corpo, vista la gracilità della sua figura, la donna afferrò una roccia più grande e piatta, grande quanto uno scudo Earthariano, e fu pronta per scagliarla in testa all’uomo davanti a lei, quando l’asteroide sotto di loro vibrò di una cupa eco.

Sotto i loro piedi si vennero a creare delle fughe di colore verde acqua che, come le zampe veloci di un ragno, si diffusero in striature sempre più complicate lungo il terreno, trasformandolo in una rete complessa di collegamenti che vibrarono di energia cosmica. Vegeta e Bulma, che erano sul punto di sbranarsi a vicenda, si sentirono sul filo del rasoio.

« Posalo a terra… »

Le sussurrò il pirata e la donna lasciò scivolare a terra il grande masso, trattenendo una risatina d’agitazione. Il groviglio intessuto sotto i loro piedi brillò di una luce più intensa, che accecò momentaneamente i pirati, e l’asteroide aumentò il suo tremore. Bulma si appoggiò spaventata a Vegeta, che la sorresse per evitare che cadesse al suolo.

Come nel più strano dei sogni, il terreno ai loro piedi si mosse, poi, di scatto e si aprì in una fessura, che divenne sempre più ampia, come le pareti di un canyon che si aprono per un terremoto, rivelandosi in un enorme occhio di perla dai contorni violacei e vitrei, che presto si posò a guardare la ciurma.

« È un Pesce Cometaiv! » esclamarono con orrore.

L’occhio si mosse velocemente e si richiuse di scatto, come per scacciare gli ospiti indesiderati, e dalla punta dell’asteroide, a qualche centinaio di metri dal gruppetto, iniziarono a formarsi dei cristalli di ghiaccio, sempre più grandi e diretti verso di loro: il pesce stava iniziando, infatti, a muoversi e aveva intenzione di inabissarsi nel mare cosmico per nuotare via.

« Via! »

Tuonò a pieni polmoni il capitano, trascinandosi dietro Bulma che per poco non incespicò nei suoi passi. Tutti si mossero in una corsa nervosa per avere salva la vita.

« Nappa! »

Percepì il secondo dalla nave, riscuotendosi dalle sue misurazioni astronomiche sui campi di raggi gamma che la nave aveva attraversato e sul numero di conseguenti modifiche e ricalibrature delle vele che si sarebbero dovute fare. Ma prima che si accorgesse del perché della fuga nervosa ed improvvisata dei suoi compagni, fu trascinato a terra dal colpo di pinna che il pesce cosmico diede alla nave, ancorata proprio nell’insenatura che la pinna creava tra lei e il corpo massiccio della creatura.

La nave, in balia delle forti onde create dal movimento maestoso del pesce, fu per un attimo allontanata dal punto di ancoraggio e balzò sulle onde del mare. Nappa corse al timone per riprenderne il controllo.

I pirati si precipitarono all’impazzata lungo la cresta del Pesce Cometa, ogni passo significava una possibilità in più di salvarsi, mentre i fili elettrici del pesce si facevano sempre più veloci e nervosi come il tracciato di un fulmine che scende dal cielo.

« Nappa! » gridò ancora il capitano, sbracciandosi per fargli individuare la loro posizione, tra le urla collettive di terrore.

Il tremore sotto di loro si fece più nervoso e il capitano, che ancora non aveva mollato la presa dalla mano di Bulma, si accorse di essere appena capitati sopra le branchie del grande Pesce Cometa.

Queste, presto, si sarebbero aperte emettendo un forte flusso di vento, con il rischio che l’aria li scaraventasse in avanti e li facesse sfracellare sul suolo brullo e sassoso dell’asteroide elettrico o, peggio, li spedisse diretti nello spazio aperto.

Si fermò bruscamente, proprio mentre la prima branchia si apriva. Lui e Bulma si trovarono abbracciati, entrambi sull’orlo del precipizio e con il fiatone.

Il capitano si specchiò negli occhi pieni di timore, ma anche brillanti, della donna e per un secondo pensò di non aver mai visto un blu così avvolgente ed ammaliante. I suoi pensieri svanirono in una nuvola, però, quando le urla della ciurma fecero sparire l’improvviso ed inaspettato torpore che aveva sopito i suoi riflessi.

Il grosso Pesce Cometa aveva iniziato, infatti, ad inalberarsi verso l’alto, pronto a spiccare un balzo elegante nell’oceano e la ciurma stava venendo trascinata a tutta velocità verso di loro, scivolando sulle scaglie del pesce. L’impatto tra di loro fu veloce e forte, tanto che li sbalzò tutti quanti verso l’alto, oltre l’atmosfera dell’asteroide. Percepirono nel giro di un secondo l’aria fredda dell’Eatherium, così favorevole alla navigazione quando le acque del mare astrale si facevano calme, ma anche così letale quando soffiava imperiosa e fredda su ogni essere che incrociava. Si sentirono squarciare da mille sensazioni nel giro di un secondo, tagliuzzati dal vento gelido dell’immobile infinito, finché non precipitarono veloci fuori dalla traiettoria del Pesce Cometa.

Bulma chiuse forte gli occhi, facendosi stretta al petto del capitano e non mollò la presa, almeno fino a che non percepì più le braccia calde dell’uomo, che non la sorreggeva più. Fu allora che aprì gli occhi, trovandosi davanti per un secondo, lungo dei secoli, lo sguardo di stelle del capitano che, prima di lasciarla al sicuro sul ponte della nave e di dirigersi al timone comandi, la scrutava assicurandosi che stesse bene.

Lesse, durante l’eterno istante, l’emozione di timore, ma di anche di tracotante voglia di avventura che stava iniziando a balenare negli occhi neri del capitano. Non arrivò a cogliere in pieno il mare in tempesta che dominava fuori e dentro Vegeta, che questo già era balzato, scattante, verso il ponte comandi.

« Sta andando verso Ovest! » parlò il capomastro Nappa, cercando di reggere a fatica il timone nella nave, in balia delle onde scatenate e sempre più forti dal Pesce Cometa.

« Dove dobbiamo andare noi! »

Realizzò colto alla sprovvista, il capitano.

Pensò in fretta: vide una gomena afflosciata accanto all’albero di prua, una di quelle cime superiori che, come spessore e forza di traino, potevano da sole sollevare un bompresso della navev. La raccolse mentre correva verso la prua del vascello dove, un occhio attento alla struttura del bastimento, avrebbe potuto notare il lancia funi arpionato che, neanche si ricordava quando, avevano celermente sottratto all’esercito di un pianetuncolo sassoso del Sud Estremo. Un gingillo di ingegneria, di gittata formidabile e di precisione millimetrica.

Si fece presso il marchingegno, lo attivò, vi intrecciò la forte fune, afferrò il controller e calibrò i parametri per il lancio.

« Nappa, mantieni la rotta! Turles, allaccia la fune! »

Gridò, assicurandosi che il secondo mantenesse saldo il timone e che il mozzo annodasse la gomena all’albero maestro, circondandolo con doppio giro e nodo, perché non sfuggisse via lungo il lancio.

E poi premette il grilletto: sparò il colpo con tutta la precisione che gli anni di caccia e furto in mare gli avevano donato. La fune volò lesta e immediata verso la superficie sassosa del pesce, scivolò lungo i sassi elettrici di cui vibrava la Cometa, per poi arpionarsi in un aggancio naturale tra due insenature e si fissò, tendendosi.

Il capitano non ebbe neanche il tempo di voltarsi glorioso verso i compagni, che esultarono per lo splendido lancio, che la nave balzò in avanti.

La nave seguì la corsa del Pesce Cometa e venne così trainata al centro di una scia di bianco e azzurro, a gran velocità.

Il suono delle stelle divenne, travolgente, acuto, come il grido dell'Aquila di Ghiaccio quando si getta nel frost della Costellazione della Fornace, il grido di libertà che si disperde attraverso il suono del vento. Le ali della nave si fecero gonfie e attirarono a sé il vento alla sua massima portata, facendo scivolare la nave sulle onde di ghiaccio nate dal Pesce, che scagliò il vascello in avanti, sempre più lesto.

Si fece giorno e si fece notte, l’una seguì l’altra come in un cerchio costante.

Le stelle che, solitamente, scorrevano come lanterne al loro fianco, divennero una sfumatura di colore sulla tavolozza degli dei: non si distinse più la luce dalle tenebre, perché tutto si sciolse nella coda argentata e celeste della Cometa che fluiva, come un fiume che trabocca dal suo sentiero e scorre, a piccoli e grandi balzi, lungo le rocce fino al grande oceano.


Bulma si staccò dalla salda presa che l’aveva ancorata al parapetto della nave e si portò ad centro del ponte, un po’ barcollante, per il movimento concitato della nave e un po’ per l’emozione. Si sentì investire d'energia e i suoi occhi s'illuminarono a vedere come, d'improvviso, la fascia di asteroidi aveva seguito, in una rincorsa veloce, l'enorme pesce davanti a loro.

Gli astri attorno a loro, infatti, si erano resi più luminosi e al posto della fredda e dura roccia interstellare, erano scaturite scie di energia che confluivano nella scia del Pesce, ed innumerevoli ed infinite creature di mare avevano seguito la sua rotta.

Decine e decine di balene e cetacei di ogni grandezza avevano preso vita dall’essenza di asteroidi e ora risplendevano come mille soli: nuotavano con grazia e con infinita armonia attorno a loro, assorbendo la luce delle stelle, per poi espanderla fuori di loro, in caleidoscopi di colori sempre diversi, ma sempre vicini alle tonalità delicate del cielo quando scende la notte.

Nonostante la folle velocità del Pesce Cometa cui erano appigliati, le creature attorno si muovevano lente e in un incedere calmo, con ritmo costante ed equilibrato.

La giovane ambasciatrice ammirò gli intensi colori attorno a lei, che sembrano chiamarla ed invitarla a viaggiare con loro tra le Costellazioni. Le lunghe pinne delle balene e la spruzzante energia dei delfini di mare che sfioravano le onde la fecero innamorare ancor di più dell'oceano astrale.

Il meraviglioso salto di una delle balenottere fece schizzare cristalli di ghiaccio lungo la barriera protettiva che copriva tutta la nave e i brillanti di freddo sfavillarono tra le vele gonfie di vento, sciogliendosi in fiumi di spuma bianca.

Credette di sognare, mentre osservava le stelle incastonarsi tra le squame argentee dei pesci, mosse dal vento ed incastonate come i diamanti di terra.

Vegeta, che aveva lanciato con forza l'arpione verso la coda del pesce, permettendo alla nave di seguire la sua scia, era rimasto a prua, sopra la gomena.

La folle velocità del vento lo investiva con un getto di vita e lì, mentre la sua nave seguiva il flusso della Cometa, lì, mentre si ricopriva di cristalli di ghiaccio e di un'abbondante luce blu azzurra, credette di possedere il cielo e l’Universo, tutti raccolti nel suo pugno.

A braccia aperte, si impadronì del vento dell'Eatherium, che lo ampliò della sua essenza, lasciò che questo gli parlasse di meravigliose scoperte, di terre ancora non toccate dalla sua curiosità e dalla sua voglia di conoscere cose più di qualunque altro essere nel Cosmo.

Si sentì re e si sentì principe: i cristalli di luce e la scia scomposta della Cometa che gli scompigliavano le vesti. Lanciò il suo cappello di piume di ghiaccio lontano, forse raccolto da uno della sua ciurma o forse perso nell’aria avvolgente.

Rise come un pazzo a sentire la schiuma di luce scorrergli sotto le dita: s’immaginò di avere tra le mani un frammento di una stella incandescente, più forte e brillante del sorriso di una Dea, più calda e viva che mai, e di berne le sua luce.

Un pezzo di vita che poteva afferrare, mutare, sciogliere e far scorrere nell’aria, forgiandolo a suo piacimento: questo voleva fare dell’Universo, renderlo leggibile ai suoi occhi affamati di conoscere. Afferrarlo, stringere a sé il suo potere, manipolarlo e costruire tutte le stelle che voleva.

Il potere, quello vero, che solo gli Dei avevano, presto o tardi lo avrebbe avuto tutto per sé.

Allargò ancora le braccia e chiuse gli occhi, come se fosse pronto a buttarsi tra la scia argentea e celeste che li inglobava.

I suoi occhi ora traslucidi come quelli di una divinità affogarono in colori più sgargianti, voluttuosi di vedere di più, di scoprire di più. Poi si sciolsero nello sguardo incantato della ambasciatrice che sostava, a bocca aperta, accanto a lui. Un pezzo alla volta il suo sogno di potere si assopì, rimanendo inascoltato in un angolo della sua mente, come se si richiudesse dentro un lato oscuro dello spirito.

Vegeta e Bulma si guardarono ancora, in mezzo al suono assordante del Cosmo che si scioglieva nella scia di luce della Cometa.

Bulma non si rese conto della potenza del suo sguardo, fino a quando le onde dei suoi occhi non bagnarono i resti della coscienza di Vegeta e lo convinsero che, forse, un altro sogno poteva inondare il suo cuore di pirata. Un sogno non più di potere, ma di amore. Un sogno mai esplorato fino a quel momento.



Continua…





Nota dell’autrice


Eccomi qui con un altro capitolo d’avventura e un poco agitato, ma non troppo. Spero che vi sia piaciuta questa descrizione piuttosto fantasiosa del Pesce Cometa. Io mi sono divertita assai a creare questo mondo di colori ed emozioni.

E, a proposito di colori, che i due protagonisti non si stiano innamorando? Chi lo sa. Io lo so, ma non ve lo dico.

Voi lo scoprirete continuando a leggere!

Alla prossima puntata!

Grazie a tutti e scusate il ritardo nella pubblicazione <3

iDescrizione narrativa ma con basi scientifiche di come è nato il nostro sistema solare. Per la descrizione della fascia di asteroidi, ho preso ispirazione dalla fascia di asteroidi tra Marte e Giove e dalla striscia di asteroidi dopo Plutone, la fascia di Kuiper.

iiTemperatura dello spazio, 3 K (-270° C) ma questa varia da zona a zona; in prossimità dello spazio può raggiungere anche i 500° C.

iiiMateriale assolutamente inventato. Tutto quello che sto scrivendo, a parte il film al quale mi sono ispirata, è assolutamente inventato e va contro le leggi della fisica. Ma io non ho mai studiato fisica, quindi la fisica a me non si applica.

ivIspirato alla natura di Cerere e di una cometa; ho voluto unire i due oggetti celesti per comodità narrativa, ma in realtà i due astri celesti sono ben diversi tra loro: Cerere è classificabile come un pianeta nano o un asteroide, come Plutone, e si trova nella Fascia Principale di asteroidi del nostro sistema Solare, ossia tra Marte e Giove. La superficie è composta da un miscuglio di ghiaccio d’acqua e vari minerali, come carbonati e argille idrate; il nucleo è roccioso e mantello di materiali ghiacciati, potrebbe avere un oceano di acqua liquida sotto la superficie.

Il pesce viene chiamato pittorescamente “Pesce Cometa” per il fatto che si muova, gli asteroidi per via della gravità esercitata tra loro e dalla stella vicina, infatti, non si muovono; una cometa è un corpo celeste piccolo, simile all’asteroide ma composto per di più da ghiaccio, roccia e metalli e sono oggetti che si muovono nello spazio secondo delle orbite ellittiche e, quindi, periodicamente sono attirate da una stella. La chioma di una cometa è l’atmosfera temporanea che si forma in vicinanza del passaggio vicino alla stella, per effetto dell’azione della radiazione solare, che crea sublimazione delle sostanze volatili presenti sulla superficie del nucleo cometario.

Se ne volete sapere di più, domandate a Piero Angela o a Wikipedia.

vLa gomena è una delle cime intrecciate assieme a formare una cima spessa più di 20 centimetri. Nella mia ignoranza, la cima ideale per la situazione. Perdonate la mia ignoranza sul tema, cari marinai di Capitan Findus.

   
 
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