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Autore: EleWar    27/11/2020    12 recensioni
Kaori sta partendo senza Ryo, per una vacanza con Reika e Miki ma........ c'è sempre un ma. Perché le cose non sono mai come sembrano, e se c'è di mezzo un famoso ladro, tutto si complica.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Miki, Reika Nogami, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Bene, al 12 ci siamo arrivate e incredibilmente è venerdì sera! :D
Ragazze, siete fantastiche, le vostre rec mi riempiono il cuore di gioia *.* e scusate ancora se ci metto un sacco di tempo a rispondervi. Ma vi tengo tutte a mente e tutte meritate una risposta adeguata che… prima o poi arriverà.
Intanto leggetevi questo e… buona lettura!
Vi adoro!
Eleonora




Cap. 12 Spie e travestiti
 
In attesa del pranzo ordinato, Miki accese il computerino ed effettuò l’accesso alla mappatura interattiva della nave: con sua enorme sorpresa vide lampeggiare tre spie diverse, e spostarsi quasi disordinatamente all’interno dell’enorme imbarcazione.
I due sweeper,  che non si erano persi nemmeno un gesto della ragazza, vedendola trasalire chiesero quasi all’unisono:
 
“Miki, che succede?”
 
“Guardate qua!” e spostò lo schermo a favore dei due.
Lampeggiavano chiaramente la lucina rossa della spilla di Kaori, la verde del ciondolo di Reika e la blu del bracciale di Miki.
 
“Ma allora non l’ho perso!” esclamò quest’ultima riferendosi al suo gioiello “Il Camaleonte ha derubato anche me!”
 
 
***
 
 
“Si può sapere dove eri finito?” chiese seccamente Momo ad Iro, che era appena entrato nella cabina; lei era in piedi al centro della stanza, vestita di tutto punto, e aveva passato le ultime ore a passeggiare avanti e indietro nell’alloggio.
 
“Non sono affari che ti riguardano” rispose l’uomo, gettando le sue chiavi sulla consolle accanto alla porta e dirigendosi al mobile bar, dal quale prese una bottiglia di scotch, servendosene un abbondante bicchiere senza offrire.
 
“E invece sì! Dove vai e con chi stai mi interessa, eccome! Ci siamo imbarcati insieme, e insieme dobbiamo stare!” ribatté con stizza la donna.
 
“Lo sai benissimo che non siamo una coppia: mi hai lasciato un anno fa, non ricordi?” rispose senza guardarla in viso, continuando a sorseggiare il suo liquore, più infastidito del solito.
 
“Questo non vuol dire niente…”
 
“Oh sì, invece!” l’interruppe lui “Non puoi disporre della mia vita, soprattutto di quella amorosa, e a meno che non abbia da rimproverarmi qualcosa relativo agli affari, ti pregherei di smetterla con questa tua tardiva gelosia” e così dicendo, si decise a piantarle gli occhi in viso per vedere la sua reazione.
La donna trasalì, ferita.
 
Bene” si disse Iro, “Colpita e affondata” ghignò mentalmente.
 
“Hai ragione” ammise alla fine la Momotaro, “ma se scompari e non so come fare per rintracciarti, potrebbe diventare un problema… non solo per me, ma per entrambi…” e dicendo questo si diresse anche lei al tavolinetto del salotto e si versò da bere.
 
“Comunque sia, se proprio vuoi saperlo… c’ero quasi” disse l’uomo, e a quelle parole Momo si voltò di scatto a guardarlo; a quel punto lui proseguì: “Ero quasi riuscito a… ma poi sul più bello quella stupida si è tirata indietro.”
 
Momo inghiottì il sorso di liquore che aveva trattenuto in bocca, cercando di buttar giù, con quello, anche il nodo che le si era formato in gola.
Lui si passò stancamente una mano fra i capelli, frustrato; sbuffò prima di dire:
 
“Ha detto che non poteva e si scusava, ma stava pensando ad un altro e sarebbe stato ingiusto nei miei confronti, e bla bla bla” concluse con tono sprezzante “Odio i sentimentalismi!” e tracannò un altro sorso generoso per poi fare una smorfia di disgusto, forse per il liquore o per il comportamento di Reika.
 
Momo gli si avvicinò; lo conosceva troppo bene per non sapere quale alta considerazione avesse di sé stesso e della sua avvenenza, di cui per altro si serviva spudoratamente per i suoi fini, qualunque essi fossero.
Ad un passo da lui, tentò una timida carezza al viso; non era sicura di come Iro avrebbe reagito.
Per fortuna non solo la lasciò fare, ma sembrò anche gradire.
La donna gli chiese:
 
“E tu? Tu a chi stavi pensando?”
 
Lui la guardò negli occhi e non vacillò un solo istante quando disse:
 
“Lo sai!” e poi la baciò con ardore, possessivamente.
 
Momo non aspettava altro, e rispose con altrettanta voluttà a quel bacio focoso ed esigente; si spogliarono reciprocamente con foga, quasi con violenza, strappandosi di dosso i vestiti, e in men che non si dica si ritrovarono nudi e avvinghiati, distesi sul letto, a sfogare una passione mai del tutto sopita e stuzzicata dagli eventi che stavano vivendo in quei giorni.
Erano mesi che non s’incontravano, e non ricordavano nemmeno più quando fosse stata l’ultima volta che si erano visti e avessero discusso senza insulti o violente litigate; forse non era stato un caso ritrovarsi a bordo di quella stessa nave da crociera, anche se, ovvio, non era stata una libera decisione.
La loro storia era sempre stata molto travagliata e turbolenta, fatta di tanti alti e bassi, di baruffe più o meno serie, di lotte non solo verbali, che il più delle volte si concludevano in quella stessa maniera.
Solo lì erano invariabilmente in perfetta e magnifica sintonia, o quando lavoravano seriamente.
Nel loro campo erano due professionisti, ed erano i più richiesti nel giro.
 
 
***
 
 
“Capitano, capitano, per fortuna l’abbiamo trovata!”
 
“Che c’è, signora Sora? Si calmi, prego si segga qui” disse il Capitano Musashi, prendendo gentilmente per un braccio l’anziana donna che, seguita dal marito, era entrata nel suo ufficio.
I coniugi erano visibilmente scossi e l’alto ufficiale, rivolgendosi ad un sottoposto, gli ordinò di portargli dell’acqua, così da poterli in qualche modo calmare.
 
“Grazie, grazie, lei è troppo gentile” rispose lei.
 
Suo marito prese posto nella sedia accanto e prese affettuosamente la mano della moglie, cercando di farle forza e tranquillizzarla, ma si vedeva che anche lui era tremendamente turbato.
Quando entrambi ebbero sorbito, a lente sorsate, abbondante acqua, si decisero a parlare; fu la signora Tsuki ad iniziare:
 
“Capitano Musashi, è successa una cosa orribile! In tarda mattinata, quando abbiamo lasciato la piscina col dire di rientrare in cabina, pranzare lì e riposare, abbiamo trovato i nostri alloggi sottosopra! Qualcuno ha frugato nei nostri bagagli, nelle borse, nei vestiti appesi nell’armadio e, ciò che è peggio, è che siamo stati derubati dei nostri averi!” e prese a singhiozzare.
 
“Avanti cara, non fare così” cercò di consolarla suo marito Taiyo, “vedrai che tutto si sistemerà.”
 
A quelle parole, Musashi si fece scuro in volto.
I furti continuavano, e ancora le ragazze non avevano trovato il ladro; certo non voleva incolparle in nessun modo, ma era lui il responsabile di tutta quella moltitudine di persone a bordo, ed era lui l’addetto principale alla sicurezza.
In tutti quegli anni di onorata carriera, non era mai successo che a bordo della sua nave si verificassero degli spiacevoli inconvenienti come quello.
Doveva fare qualcosa, e non sapeva cosa; fu assalito da un fastidioso senso di frustrazione.
Era sicuro della serietà ed affidabilità di tutto il personale, ma a questo punto iniziò a dubitare delle sue certezze.
Le mele marce si nascondono in ogni angolo, e i furti poteva averli commessi chiunque.
Si diceva che il Camaleonte prediligesse donne sole e ricche, invece lì aveva la prova che non disdegnasse neanche una coppia di anziani indifesi come quei due.
O si era di fronte alla classica eccezione, oppure c’era chi, con la scusa del ladro famoso, faceva i suoi porci comodi.
In ogni caso bisognava trovare una soluzione: raddoppiare la sorveglianza, stare più attenti, interrogare discretamente gli addetti alle pulizie e ai servizi in camera.
E bisognava farlo in fretta, perché gli erano arrivati dei fax, dalla capitaneria di porto, in cui lo si avvertiva dell’arrivo di un fronte temporalesco da sud-ovest, di cui dovevano stabilire la pericolosità; se si fosse rivelato anche solo un semplice fortunale, pur navigando sotto costa, la Princess Raven sarebbe stata costretta ad attraccare al primo porto disponibile, per non mettere a repentaglio la stabilità della nave stessa e l’incolumità dei passeggeri.
E il ladro avrebbe avuto comunque gioco facile in ogni caso, perché se la tempesta li avesse sorpresi in mare, avrebbe potuto approfittare della confusione e del fatto che l’equipaggio sarebbe stato tutto impegnato nelle manovre richieste; se, al contrario, avessero fatto scalo al porto, non solo sarebbe potuto scendere a terra e dileguarsi mischiandosi ai passeggeri, ma anche e soprattutto far sparire la refurtiva, magari portandola con sé.
Finché la Princess fosse rimasta in navigazione stabile, c’era ancora possibilità di agire, ma non c’era tempo da perdere.
Ovviamente il capitano Musashi, da impeccabile uomo di comando, non fece trapelare i suoi dubbi e i suoi timori, e chiamando l’ammiraglio Hiroshigawa gli ordinò:
 
“Raccolga la deposizione dei signori Sora e gliela faccia firmare. Metteremo tutto a verbale e vedremo il da farsi.”  Poi, rivolto agli anziani: “Sapreste fare un elenco abbastanza dettagliato di ciò che vi è stato rubato, e stabilirne approssimativamente il valore?”
 
“Ma-ma… credo… credo di sì” balbettò la signora.
 
“Non si preoccupi, conosciamo molto bene il valore commerciale dei nostri averi” disse invece il marito “È che mia moglie è troppo scossa al momento, per ragionare lucidamente.”
 
“Immagino” disse conciliante Musashi “ma non c’è fretta, fate con comodo.” E salutando i presenti, uscì sulla plancia di comando.
Doveva rintracciare le ragazze e metterle a conoscenza degli ultimi sviluppi.
Ripensò alla signorina Kaori, e si scoprì a sorridere al pensiero di poterla rincontrare: gli aveva fatto una gran bella impressione, ed oltre che essere molto attraente, gli era sembrata anche in gamba, e assennata.
Aveva chiesto di poter parlare con l’Ispettrice Nogami, ma ancora non avevano avuto notizie di sorta. Sospirò.
 
 
***
 
 
“Non mi dire che il Camaleonte ha derubato anche te!” esclamò Kaori.
 
“Io pensavo di aver solo perso il braccialetto ma… aspettate!” disse Miki alzandosi e dirigendosi in bagno, dove teneva il suo beauty case. Un secondo dopo era già uscita e tenendolo in mano, aperto, lo mostrò ai suoi amici: gli scomparti segreti erano desolatamente vuoti, e la ragazza guardò i due con espressione indecifrabile.
 
“È la stessa cosa che è successa a me” disse la sweeper “Hai messo niente nella cassaforte della cabina?” chiese poi.
 
Miki controllò anche quella, e non trovò traccia dei contanti e delle carte di credito messe lì a bella posta.
 
“Per fortuna che non ha rubato questo” disse indicando il portatile aperto sul tavolo “altrimenti non solo ora non sapremmo come stabilire un contatto con le nostre trasmittenti, ma ci avrebbero anche scoperto” concluse con un vago senso di angoscia.
 
“Evidentemente il Camaleonte si occupa sempre e solo della stessa merce: preziosi e soldi,” intervenne Ryo “roba che puoi piazzare facilmente sul mercato e difficilmente rintracciabile. I gioielli si possono smontare, le pietre tagliare e i metalli preziosi fondere. I contanti si spendono senza problemi e le carte di credito si svuotano fino a quando il proprietario non si accorge del furto e ne denuncia la scomparsa” concluse con un’alzatina di spalle.
Riprese:
“La tecnologia viaggia su altri canali e tutto sommato un computer è alla portata di tutti, solo i ladruncoli vi ricorrono, mentre qui parliamo di un ladro dal palato fine. Deruba la gente del loro superfluo, diciamo così: orpelli e ninnoli di cui possono fare anche a meno, tutto sommato. Non muoiono di fame senza di quelli, né gli servono per lavorare; un computer invece è quasi indispensabile per qualcuno, per chi deve guadagnarsi il pane quotidiano, o chi ci deve studiare, che ne so?! In un certo senso il Camaleonte è una sorta di giustiziere, un Robin Hood atipico” finì di argomentare lo sweeper ridacchiando.
 
Trasalirono quando sentirono bussare alla porta: si erano completamente dimenticati del servizio in camera e del pranzo.
 
Poco dopo erano tutti e tre intorno ad un tavolo ovale, con la piana di vetro traslucido, e fra un boccone e l’altro non staccarono mai gli occhi dalla schermata del computer, sulla quale le lucine continuavano a lampeggiare e muoversi fra corridoi e stanze, ed era un po’ come giocare con un vecchio videogioco anni ’80; un gioco senza comandi, però, in cui ci si limitava solo a guardare.
 
Ad un certo punto decisero di dividersi i compiti: ognuno si sarebbe occupato di una lucina-trasmittente e avrebbe provato a tracciarne il percorso per ricostruirne l’itinerario; questo gli avrebbe dato forse informazioni su come si stava spostando il Camaleonte che, era ormai evidente, aveva dei complici.
 
La lucina che denotava Reika e il suo ciondolo sembrava ora stazionare in una stanza, che riconobbero come quella occupata proprio da lei; per questo non tardarono a capire che la ragazza era ancora in possesso della sua ricetrasmittente.
Evidentemente lei non era stata derubata, e questo scagionava Iro Murasaki come possibile ladro.
Restava tuttavia impossibile contattarla, in mancanza delle altre trasmittenti.
Sperarono allora che fosse lei a provare a raggiungerle, anche se… evidentemente era impegnata e chissà quando, e se, si sarebbe liberata.
 
 
***
 
“Maledetta! Maledetta me!!!” imprecava la bella investigatrice “Cosa mi è saltato in mente di buttarmi fra le braccia di quell’uomo, pur di dimenticare Ryo!” e afferrato un pesante posacenere di cristallo, lo scagliò con forza contro lo specchio del salottino, il cui riflesso le rimandava la sua figura, spettinata, leggermente discinta e patetica.
 
Era furibonda.
Ce l’aveva con sé stessa; con Ryo che aveva definitivamente scelto Kaori; con Kaori che era arrivata dove non era arrivata lei; con tutta quella situazione assurda che stava vivendo a bordo di quella dannata nave.
 
Aveva accettato l’incarico passatole dalla sorella perché sarebbe stato un lavoro facile, o comunque nelle sue corde, e invece era andato tutto storto dal momento in cui lo sweeper aveva messo piede a bordo.
D’improvviso provò come un senso di estraneità, sia all’interno di quella squadra di sole donne, sia in quel luogo patinato e sfarzoso.
Si guardò intorno: era in una lussuosa cabina che, anziché rallegrarle la vista, la faceva sentire totalmente fuori posto.
Fu assalita dalla nausea e da una leggera sensazione di asfissia; doveva uscire da lì, aveva bisogno dell’aria dell’oceano per schiarirsi le idee.
 
Si ritrovò a camminare con urgenza per i lunghi corridoi della nave, senza saper bene dove andare, fino a quando trovò una porta che dava sull’esterno: la spinse e uscì all’aperto, dove fu investita da un vento freddo che le diede una forte sferzata, lasciandola senza fiato, ributtandola quasi indietro.
Fu come svegliarsi improvvisamente da un sogno, e sbattendo le palpebre irrorate di lacrime, si chiese:
 
Ma che cosa sto facendo?”
 
Lei prima di tutto era una professionista, una brava poliziotta, un’investigatrice in gamba, e a causa dei suoi colpi di testa stava rovinando il lavoro suo e delle sue colleghe.
Si era fatta prendere dall’emotività, da quello stupido senso di rivalsa, e aveva perso di vista la missione.
Era vero, aveva permesso a quell’Iro di abbordarla, perché voleva dimostrare a sé stessa di essere comunque una donna desiderabile anche se il grande Ryo Saeba non l’aveva voluta, e anche perché quell’uomo era veramente affascinante e le piaceva.
E poi si era spinta oltre, troppo oltre, fin quasi a consumare un’effimera avventura che l’avrebbe lasciata più sola di quanto non lo fosse ora.
E in tutto questo aveva dimenticato che quell’uomo avrebbe potuto essere veramente il famoso Camaleonte, colui che stavano disperatamente cercando d’incastrare, e che quella, in ultima analisi, sarebbe stata per lui solo una farsa.
 
A questa constatazione si sentì morire, e cercò con tutta sé stessa di sorvolare sul fatto che lui, forse, sarebbe stato disposto a fare sesso con lei solo perché spinto da un secondo fine, e non perché la desiderasse realmente.
Per il momento doveva accantonare quel possibile ulteriore smacco, e concentrarsi sul fatto che… se l’era lasciato scappare.
Lei avrebbe dovuto lavorarselo, farlo parlare, cercare di scoprire chi fosse in realtà… se fosse il famoso rampollo di una ricca famiglia come diceva di essere, o un ladro senza scrupoli che si nascondeva dietro un nome altisonante e vestiti firmati.
 
Si diede della stupida per l’ennesima volta, ma poi si bloccò in tempo, prima di cedere all’autocommiserazione.
Stare a piangere sul latte versato non serviva a niente… doveva riprendere in mano la situazione: le sue compagne avevano bisogno di lei, e doveva recuperare il tempo perso.
Forse nulla era perduto, poteva ancora dare il suo contributo: era o non era Reika Nogami?
 
Tornò sui suoi passi più in fretta di prima, e per tutto il tempo cercò di mettersi in contatto con Kaori e Miki;  s’impensierì non poco quando nessuna delle due le rispose.
C’era qualcosa che non andava in tutta quella situazione, e una crescente angoscia s’impossessò di lei: cosa era successo alle sue amiche mentre lei se la spassava in cabina?
Poi pensò a Ryo, e, cercando di non dare troppo peso a quella leggera stilettata al cuore che aveva subito provato nel farlo, si disse che lui era a bordo e avrebbe vegliato su di loro.
Sicuramente su Kaori, e non avrebbe permesso che le succedesse niente di male.
Ma allora perché non rispondevano alle sue chiamate?
 
Rientrò in stanza, e con rabbia si sfilò l’auricolare ormai inservibile.
 
I suoi occhi si posarono sull’immagine scomposta riflessa nei frammenti di vetro rimasti attaccati alla cornice dello specchio, e sorrise amaramente.
Prima di uscire di nuovo a cercare le sue amiche si chinò sulla moquette, e pazientemente raccolse ogni pezzo di vetro per terra, stando bene attenta a non tagliarsi.
Quest’esercizio di pazienza la calmò definitivamente: una strana pace e una ferma determinazione scesero su di lei.
Avrebbe preso il ladro, costasse quello che costasse, o non si sarebbe più chiamata Reika Nogami.
 
 
***
 
 
Nella cabina di Miki, quest’ultima e i due City Hunter erano ormai giunti alla conclusione che avrebbero dovuto trovare Reika, e con lei stabilire un piano per incastrare il Camaleonte e i suoi complici, e recuperare la refurtiva.
E dovevano sbrigarsi, perché appena i ladri avessero scoperto le trasmittenti nella spilla e nel braccialetto, avrebbero capito di essere sotto sorveglianza e la cattura sarebbe sfumata.
 
Miki pensò di nascondere il mini computer, che stavano usando per il tracciamento dei segnali emessi dalle trasmittenti, in un vecchio libro che si portava sempre dietro: un tomo spesso e noioso, che leggeva quando era costretta a dormire fuori casa e non riusciva a prendere sonno.
Fu ben felice di modificarlo e pensò che così le sarebbe stato molto più utile.
 
L’idea era di girare per la nave seguendo il segnale del suo braccialetto, mentre Kaori sarebbe andata dal capitano Musashi per aggiornarlo sulla situazione, e Ryo… be’, Ryo sarebbe andato da Reika e l’avrebbe messa a parte di tutto il resto.
Tutti e quattro si diedero appuntamento alla sala bingo da lì ad un’ora.
 
C’era solo un problema: Ryo vestito come un guru indiano era davvero improponibile, e in mezzo a quei riccastri azzimati avrebbe attirato troppo l’attenzione.
Inoltre non c’era tempo e modo di mandarlo a cambiarsi nella stanza di Kaori, perché era dall’altra parte della nave e così facendo avrebbero perso tempo preziosissimo.
Dovevano trovargli assolutamente un travestimento!
Anche se gli unici vestiti disponibili erano quelli super femminili di Miki.
 
A Ryo non pareva il vero di travestirsi da donna!
L’aveva fatto mille volte, e mille volte aveva fatto lo scemo.
Kaori non ne era molto entusiasta, ma se volevano che lui le accompagnasse, il socio avrebbe dovuto rinunciare alla sua mascolinità per non dare troppo nell’occhio.
 
Lo trascinarono allora in bagno, dove gli fecero una ceretta lampo privandolo di tutti i peli in eccesso; lo truccarono, gli adattarono degli abiti e lo maneggiarono così tanto che, ad un certo punto, lui assunse un’espressione beata e sognante ed esclamò ad occhi socchiusi:
 
“Uuuuhhh, ragazze… che bello passare sotto le vostre mani”, ma Kaori, che già immaginava come sarebbe andata a finire, gli puntò gli occhi addosso e con sguardo truce lo minacciò:
 
“Fallo, e sei morto!”
 
L’uomo si riscosse: se prima la socia lo avrebbe annientato con un potentissimo martello, ora le sue minacce avrebbero potuto riguardare altro, come mandarlo in bianco rifiutandosi categoricamente di fare cose che a lui piacevano invece un sacco, e soprattutto, ora, farle con lei.
Iniziò a sudare freddo:
 
“Ma Kaori-chan, cosa vai a pensare” ridacchiò “Ti pare?”
 
“Sì, mi pare proprio, e stavolta non ricorrerò ai soliti martelli…” e lasciò volutamente la frase in sospeso; lui inghiottì la minaccia, con la gola improvvisamente riarsa: aveva visto giusto, e i suoi timori erano più che fondati, lei lo conosceva fin troppo bene.
Per fortuna questo bastò a calmare i suoi bollenti spiriti, e lui si ricompose.
 
Miki, riponendo i cosmetici nell’astuccio, ridacchiò sotto i baffi: quei due erano uno spasso e non sarebbero cambiati mai, ma ora erano ancora più divertenti, con queste baruffe che finalmente vertevano su tutt’altro.
Era anche bello però vederli così innamorati, anche se ancora lo nascondevano davanti a lei, limitandosi con le parole, ma soprattutto con i gesti.
Eppure a lei non era sfuggito il modo con cui si guardavano quando si rivolgevano la parola, o le piccole gentilezze che si scambiavano; in particolare Ryo era più attento con lei, più premuroso… piccolezze, certo, ma che saltavano agli occhi di chi li conosceva da tanto tempo.
Quello sfiorarsi delle mani o del corpo, apparentemente distratto o casuale, la mandavano in brodo di giuggiole, e mentalmente pensò al suo Umi così lontano e che le mancava tanto.
Quando arrossì leggermente i due, che se accorsero, le rivolsero uno sguardo interrogativo, ma lei si confuse e non disse niente.
Era felice, sì… felice per loro e per sé stessa.
 
Dati gli ultimi ritocchi, Ryo fu pronto per uscire; avrebbe fatto un breve tratto di strada con Kaori, poi si sarebbero divisi.
Le ragazze non smettevano di aggiustargli un ciuffo di capelli, una piega del vestito, il nodo del foulard al collo, e nel farlo valutavano lui e il loro operato.
Ryo portava l’ampio cappello di Miki sopra i capelli cotonati e gonfi di lacca; ai lobi delle orecchie pendevano due esagerati orecchini a cerchio, che il Camaleonte si era ben guardato di rubare, intuendo da subito che fosse semplice bigiotteria; indossava poi una camicia a fiorami annodata sulla pancia scoperta sopra un top fucsia, che in origine era stata una t-shirt modificata per l’occasione.
Gli ampi pantaloni di tela grezza erano stati accorciati a mo’ di bermuda e impreziositi di fiori ritagliati da una tenda, mentre i sandali alla francescana che indossava prima, guarniti di nastrini e perline colorate; perché Miki era sì alta, ma la stazza dello sweeper era notevole e non era stato per niente facile trovare qualcosa in cui lui potesse entrare.
Infine il trucco, pesante e vagamente sfacciato che per sua natura doveva distogliere l’attenzione dai tratti spigolosi e maschi del bel volto dell’uomo.
 
“Bene, credo che possa andare!” disse infine l’ex mercenaria, scrutandolo con occhio critico e piegando di lato la testa per avere una visione d’insieme.
 
“Sì, direi che ci siamo. Ora è una donna… Una donna bruttina, ma una donna” sentenziò la socia.
 
“Ehi, che vorresti dire? Io sono bellissimo anche in versione femminile, e vedrai quanti bei maschioni si volteranno al mio passaggio!”
 
“Sì, ma dall’altra parte!” aggiunse Kaori “Blah, sei bruttissimo invece! Mamma mia, fai impressione e credo che ti sognerò stanotte!” finì quasi disgustata.
 
“Oh, cara la mia socia, ma chi ti dirà che avrai tempo di sognare stanotte?” fece lui ammiccante, cosa che fece andare in ebollizione la ragazza, tappandole la bocca in preda all’imbarazzo.
Lui sorrise trionfante: per quella volta aveva vinto lui.
 
Lei farfugliò un “Vedremo…” poco convinta, e Miki nascose le risate dietro la mano premuta sulla bocca.
 
“Okay, non perdiamo altro tempo” esordì Miki ad un certo punto, però, mettendo fine ai loro battibecchi “Allora siamo intesi: fra un’ora alla sala bingo” e si avviò all’uscita; mise fuori la testa e quando fu sicura che non ci fosse nessuno, fece cenno di uscire anche agli altri.
 
Ryo si avvicinò all’orecchio della compagna e le chiese, a bassa voce:
 
“Perché dal capitano devi andarci proprio tu?” con una puntina di gelosia che non sfuggì alla ragazza, la quale, voltandosi verso di lui, gli regalò un sorriso malizioso:
 
“Perché io ci ho parlato fin dall’inizio, e perché è stato gentilissimo con me, un vero gentleman, un uomo d’altri tempi…”
 
“Ho capito, ho capito” tagliò corto lui “Anche tu vittima del fascino della divisa, eh?” e fece una smorfia “Ma se ti basta quella per perdere la testa, la prossima volta mi presento da te indossandone una anch’io, come Richard Gere in Ufficiale e Gentiluomo.
 
“Oh, ma Richard Gere era fantastico, ho in mente quella scena… l’avrò rivista un milione di volte…” rispose Kaori sognante.
 
“Insomma, la vuoi smettere?” esclamò Ryo infastidito “Piuttosto, non sei gelosa che andrò a trovare la bella Reika?” finì di dire, assumendo la sua solita faccia da maniaco.
 
“Se ti saltasse al collo anche vestito così sarebbe un vero e proprio miracolo, e vorrebbe dire che ha dei pessimi gusti” e scoppiò a ridere.
 
Anche Miki si accodò all’amica, mentre Ryo metteva il broncio e incrociava le braccia sul petto.
 
“Siete due streghe, due ragazzacce cattive!” sbottò in falsetto, stupendole non poco: era già entrato nella parte, e a quel punto le risate raddoppiarono, e anche Ryo si unì a loro.
 
Poco dopo si separarono e Miki si diresse dalla parte opposta dei due, ma poco prima che la ragazza sparisse alla vista, Ryo, con aria svampita, alzando il braccio al cui polso tintinnavano braccialetti finti e vagamente pacchiani, le gridò:
 
“Arrivederci, signora Hijuin! A presto” e le mandò un bacio; Kaori si portò la mano alla fronte, esasperata e divertita insieme, e girandosi verso di lui gli disse:
 
“Forza andiamo, puledra di Shinjuku!” e gli assestò una sonora pacca sul sedere.
 
Il socio sobbalzò, e fintamente offeso le rispose:
 
“Signora Saeba, ma che modi sono?”  mettendosi le mani sugli ampi fianchi.
Finirono per ridacchiare ancora, e avviandosi lungo il corridoio in direzione degli ascensori lui le chiese, ammiccando:
 
“Prima o poi mi spiegherai perché ti fai chiamare signora Saeba.”
 
“Mmm… più poi che prima” bofonchiò lei, di rimando.
 
   
 
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