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Autore: amirarcieri    28/11/2020    0 recensioni
Ricordate la foto scattata accidentalmente da Nami a Saeko e Sendoh nel capitolo 15 di "Change my rules"?
Beh, questo speciale è dedicato ai guai che Saeko passerà a causa della sua esistenza.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change my rules [SAGA]. '
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How Long?

(part 2)


Saeko si trovava nel cortile esterno del liceo Ryoan già da un pezzo.
Seduta sulla panchina che dava di faccia alla palestra di basket attendeva la comparsa di un certo spilungone dal sorriso da schiaffi, con il fuoco che gli divampava nelle vene.
Maledetto, idiota. Starà sicuramente ronfando all’angolo di un banco” dedusse questa. Fu quasi sul punto di alzarsi impettita per andare a pescarlo dal collo attraverso l’amo del suo indice, ma in similitudine alla sua decisione, proprio quando si era alzata, dalla parte opposta alla sua, era apparso un trio di ragazze che gli stava andando incontro con un’espressione che pareva tutto fuorché amichevole: la ragazza al centro, il capo banda sicuramente, aveva dei lunghi capelli inchiostro piastrati fin giù al fondo schiena, delle lentiggini che le incorniciavano le palpebre e la corporatura sostanzialmente spigolosa.
Quella a sinistra possedeva dei capelli color carota acceso – più di quelli di Sakuragi – legati in due codine alte, gli occhi blu cobalto giganteschi e delle labbra notevolmente spiccati.
La terza invece, appariva alta, dal fisico tonico, i capelli erano legati a una coda di cavallo dondolante castana che stonava con gli occhi nerissimi.
Kami, ci mancava pure il club infoiato di Sendoh.” pensò sfibrata dalla avvenimenti, mettendoci di mezzo anche un face palm, quando ne fu raggiunta.
Oggi è ufficialmente la mia giornata della tortura.
«Senti un po’ carina, mi dici chi ti ha permesso di gironzolare così intimamente vicino ad Akira Sendoh?» la ammonì il capogruppo con gli occhi diffidentemente assottigliati e le braccia incrociate a mo di “Qualsiasi cosa dirai sarà usata contro di te”.
«Sentite, veramente, credo che ci è stato un grosso, gigantesco, elefantesco malinteso»
«Ma che malinteso e malinteso. Gli ronzi attorno continuamente come se volessi nutrirti del suo polline» affermò l’altra non volendo sentire storie. Saeko non seppe e volle interpretare con che allegoria erotica fossero state collocate le parole “nutrirti” e “polline”.
«Non ci freghi. Vuoi Sendoh tutto per te» insistette la più massiccia di corporatura.
«E chi vuole avere a che fare con quella sottospecie di feticista dei dentifrici?» Saeko gli parlò velocemente sopra. L'aveva sempre soprannominato "Idiota spaccone", ma gli era venuta la fresca idea di dargliene uno che si incorniciava interamente alla sua persona.
«Però, quello che vediamo è che tu vieni spesso qui e lui si gaza a dismisura» il capo banda gli espose i fatti per quelli che apparivano a un occhio impiccione ed invidioso esterno. Saeko decise quindi di dover prontamente stradicare le follie seminate in giro dall’amica.
«Quello è perché ho un’amica che ci azzecca poco con le intuizioni» disse questa portandosi una mano sulla fronte per poter ammansire l’asmatica ansia del cuore.
«Potete stare tranquille. Non provo nessun interesse per questo “tizio”» usò la parola tizio cos da rendere lapalissiano non solo quanto contasse per lei, ma anche dimostrargli in che reali rapporti fossero.
«Ho solo bisogno di due minuti per chiarire una cosa, poi sparirò dalla vostra vista per l’intero anno, promesso» Saeko cercò di essere più convincente possibile, battendosi addirittura un un energico pugno sul petto.
AHU!” che però gli costò un dolore immenso.
Il capo del club infoiato di Sendoh partì a squadrare da testa a piedi la ragazza. Aveva la bocca distorta e un sopracciglio sollevato come a voler comprendere se la “tizia” che le stava di fronte, corrispondeva a ciò che sosteneva di essere.
Saeko di suo sapeva che qualunque ordine avesse deciso di dare, le sue due guerriere l’avrebbero eseguito solertemente.
Se lei avesse detto «Menatela duro» quelle due, l’avrebbero ridotta un colabrodo.
Se lei avesse scelto di battere in ritira, loro si sarebbero precipitate a rincorrerla.
Se lei avesse creduto alla sue efficaci parole, non si sarebbero mosse dal suo fianco.
Alla fine, forse per pena, forse per dimostrare di non essere perfida come le sue azioni la dipingevano e quindi possedere un minuzzolo di fiducia nelle persone, il capo del club decretò con un «Lasciamola fare, se ci ha preso per i fondelli assaggerà il sapore delle nostre mazzate»
«Oh, vi ringrazio» ne fu sollevata Saeko.
Il gruppetto di giovani teppistelle se ne tornò a svolgere il proprio hobby preferito, che poteva andare dal rendere impossibile la vita a una vittima scelta a caso o immelmare le regole della scuola per protesta al preside.
Saeko stese così ad attendere quella faccia di sola per un’altra mezz’ora sotto la chioma fresca di un sempreverde.
Appena la sua figura longilinea – capigliatura inclusa – assonnata apparve nella linea orizzontale del panorama, e la vide, la salutò, come di prassi, con un’irritante buon umore.
«Si, ciao. Senti, razza di feticista delle pubblicità di dentifrici» Saeko che già di suo aveva elettricità statica per stato emotivo d’animo, con uno scatto d’ira, lo afferrò per la maglietta, lasciandolo il ragazzo ancora insonnolito, completamente spiazzato quando i loro volti si trovarono a una distanza impalpabile.
«Smettila di fare lo smaliziato. Dammi. La. Foto. Ora.» gli ordinò telegraficamente.
Per tutta risposta, Sendoh modificò l’espressività facciale, mettendone su una a sopracciglio inarcato e sorriso insolente. Nel vedersi quel suo sorriso da schiaffi spiaccicato in pieno volto, Saeko avrebbe realmente voluto prenderlo ripetutamente a ceffoni. 
«D’accordo» le disse poi sagace. Adesso fu il turno di Saeko di rimanere a corto di parole.
«Come tutto qui? Niente ricatto? Inganni?»Non mi fido. dov’è la fregatura?” aggiunse pensandolo solamente.
Intanto che la sua presa era ceduta lentamente dalla stoffa della sua maglietta bianca, Sendoh se la batté in direzione della palestra.
«Dopo gli allenamenti, te la darò» la informò a spalle voltate e passo da lumaca. 
«E tu ti aspetti che io accetti questo stupido compromesso?» gli berciò appresso questa, a pugni serrati. Sendoh si bloccò, e rimanendo di spalle, ma voltando lentamente solo la testa verso di lei, le disse.
«Se vuoi la foto si» poi riprese a camminare. 
«Lo sai tu sei davvero un...» obbiettò innervosita Saeko, tuttavia gli andò comunque dietro marciando a falcate furiosamente incandescenti.
Recuperare quella foto era la priorità quindi un minimo di sacrificio per averla avrebbe dovuto compierlo.
Entrambi si avviarono così alla palestra, stando a tre metri di distanza - precauzione ovviamente presa da Saeko per non essere invischiata in qualsiasi relazione sentimentale con quell’individuo – e una volta entrati, tutti la guadarono trucemente perché per la squadra, la sua divisa scolastica era il suo detestabile segno distintivo
Saeko odiava essere negativamente al centro dell’attenzione, per questo decise di prendere posto nell’alto della staccionata appartenente al club.
Lì c’erano poche persone e aveva l’intera vista sia dell’allenamento che dei suoi componenti.
Malgrado, nella parte opposta alla sua si trovasse il club infoiato di Sendoh che la stava eloquentemente fucilando con gli occhi.
«Chi è quella? Sai che viene dal Liceo Kainan vero?» la bandì immediatamente Uozumi con quel suo enorme labbrone. Sembrava quasi infastidito da lei, come se accanto alla sua minuta figura fosse automaticamente apparsa nella forma di un miraggio sgradito quella notoria di Shinichi Maki. 
«Tranquillo, è una mia vecchia amica» mediante quell’affermazione Sendoh cercò di chetare il suo capitano.
«Si, ma è del Kainan potrebbe pur sempre rapportare quello che ha visto alla sua preziosa squadra» protestò l’arrogante numero cinque del Ryonan.
«Non lo farà» la difese e sollevò il volto verso di lei, sorridergli pacioso. Saeko stranamente lasciò che i suoi occhi castani cioccolata si intersecassero con quelli blu notte di Sendoh. Certo era pur sempre imbronciata, ma lo stava comunque guardando dritto negli occhi come se volesse disputare un incontro di irremovibilità facciale che non aveva nessunissima intenzione di perdere.
Farai bene a non farmi perdere tempo con le tue stupide pretese, mio caro Sendoh” lo stava avvertendo con l’aggressività penetrante delle sue pupille scure.
A quella visione, Sendoh sogghignò sollazzato dalla sua presenza.
«Bene. Diamoci dentro ragazzi» li battendo le mai per radunarli nel campo. 
Con la ricciolina come spettatrice, Sendoh centuplicava il suo talento e l’umore della squadra.
L’aveva voluta lì non solo per spingere il suo orgoglio ad un limite già sormontanto, ma sopratutto per dimostrargli che quest’anno il Ryonan si sarebbe certamente piazzata al primo posto dei due che avrebbero partecipato al campionato nazionale, che lui da solo sarebbe bastato a tenere testa all’inoppugnabile Shinichi Maki, e forse, tolto lo scettro e corona così da accomodarsi sul trono come nuovo re di Kanagawa.
Saeko, infatti, fatta principalmente da un’immobile onestà, riconobbe che il Ryonan era proporzionatamente rincarata e fornita.
Ma questo l’aveva già appurato durante l’amichevole tra lo Shohoku.
Sendoh possedeva il carisma trascinante del leader che incideva da stimolo alla squadra.
Tutti si fidavano di lui e ne seguivano gli schemi riuscendo a cooperare come un unico nucleo di squadra.
Era un carisma diverso da quello di Maki più competente e impeccabile quanto fluido e superiore, ma per la sua squadra fungeva di indispensabile spinta psicologica, sovrastando anche quello del capitano Uozumi.
Avevano pur vinto contro lo Shohoku, ma per un solo punto segnato abilmente dal loro asso.
Questo parlava chiaramente che tipo di punti di forza e debolezza possedesse il loro team.
Un solo uomo non poteva cambiare le sorti della partita, aveva bisogno di essere sorretto dalle mani inamovibili dei suoi compagni.
Se volevano competere con le altre squadre delle prefetture, avrebbero dovuto migliorarsi nella resistenza, volontà e tattica che in squadre del Kainan erano d'acciaio.
Il Ryonan poteva avere la possibilità di essere tra le prime due partecipanti al campionato nazionale, ma Saeko giudicò che non sarebbe accaduto quest’anno in cui i suoi membri stavano plasmando accentuatamente i loro cangianti talenti.
Ma magari, l’anno prossimo?
Quando gli allenamenti volsero alla conclusione, Saeko scese al piano di sotto, dirigendosi velocemente all’esterno che si preparava all’ora del crepuscolo.
Non aveva bisogno di aspettarlo davanti all’entrata come una fidanzatina faceva con il suo uomo, era a conoscenza che i suoi occhi genuini, ma sagaci l’avevano seguita per tutto il corso del piccolo viaggio fatto.
Difatti il ragazzo arrivò un minuto dopo, con una tovaglia attorcigliata intorno al collo e un tenue, discontinuo affanno.
«La foto» Saeko allungò la mano sollecitandolo nel modo in cui un informatore chiedeva la mazzetta per aver svolto un lavoro disonesto.
«Tieni» Sendoh gliela porse gentilmente, tenendola tra l’indice e il medio.
Saeko, gliela scippò rozzamente dalla mano.
«Siamo sicuri che tu e Nami non ne avete una copia ciascuno?» la ricciolina continuava a diffidare della “semplicità con cui l’aveva avuta” e gentilezza d’animo di Sendoh.
«Io non ne ho. E per quanto ne so neanche Nami» parlò veritiero, grattandosi la parte bassa della chioma da porcospino sotto effetto di una perenne scossa elettrica.
Saeko passò a rassegnare con lo sguardo prima la foto e lui, poi lui e la foto.
Le sue palpebre ridussero a due fessure quasi a volergli fare un inquisizione ai pensieri.
«D’accordo. Diciamo che ti credo» lo assolse, girando subito i tacchi per andarsene.
«Aspetta» la chiamò come a volergli fare una confessione urgente.
Il nervosismo di Saeko ribollì repentinamente nelle vene.
«Cosa ne pensi della nostra squadra?» le chiese giocondo. Saeko non rimase spiazzata da quella domanda. Dopo l’invito di vedere gli allenamenti, sapeva che sarebbe arrivata oggi o domani. O fra un mese.
E Sendoh gliela aveva posta perché la conosceva dalle elementari.
Io non sono così. Non direi mai il falso solo per fare un dispetto a qualcuno che non gradisco” ricordava ancora quella frase che aveva detto nel bel mezzo del corridoio ad una viziata figlia di papà.
Lei era sempre stata così. Con un cuore grande che se anche si fosse trattato di una persona che trovava antipatica o incompatibile alla sua personalità, sarebbe stata ostinatamente e instancabilmente onesta verso i suoi confronti.
«Siete promettenti, ma avete ancora un pochino di strada da fare per poter raggiungere il Kainan» rispose lei spassionata. Anche se non comprendeva perché per lui il suo giudizio importasse così tanto.
Amava e comprendeva le regole del basket, ma non era sua sorella gemella e neanche un coach.
Il suo giudizio valeva tanto quello di un tifoso patito tra gli spalti.
«Non essere così ottimista con il Kainan. Quest’anno potremmo anche sconfiggerli in finale» la provocò lui, tamponandosi le labbra stirate con la tovaglia.
«E tu non sottovalutare chi da ormai tempo è un campione assoluto della prefettura» lo aggredì allora lei incavolata.
«E come ti ho detto l’altra volta, non prendere neanche sotto gamba la prossima partita con lo Shohoku perché sono certa che riceverete una sonora sconfitta anche da loro. Questo e poco ma sicuro, mio caro Akira Sendoh»
«Lo so. Sarà stimolante disputare un’altra partita con loro» le disse sorridendogli con serenità.
«Grazie» si sprecò studiatamente di aggiungere. Ora che aveva fatto il suo ordinario sonnellino pomeridiano, ora che si era entusiasticamente allenato e aveva avuto tra gli spalti della palestra Saeko, ora che Saeko Sendoh poteva dirsi soddisfatto della giornata passata.
«Si si, Ciao» fu la replica scocciata di Saeko, che decise di battersela perché cominciava a trovare quell’atmosfera insopportabilmente confidenziale.
Salendo sulla bici si lasciò scompigliare la chioma ricciolina dal vento refrigerato e sottile della sera ormai vicina.
Durante la sua pedalata non pensò a niente, tranne che di fare una visita ai ragazzi dello Shohoku per passare una gustosa ora in loro compagnia. O anche due.
Neanche la musica era ammessa. Le faceva pensare a cose che non voleva pensare perché voleva tenere la mente totalmente sgombra da qualsiasi pensiero.
Quando però parcheggiò la bici nel suo predestinato posto e aprì la porta scorrevole della palestra, la povera ragazza, impensabilmente, si ritrovò davanti fu il sorriso spaventosamente birbante di Nami.
«N- Nami perché sei qui?»
«Ma non lo so. Perché mai sono qui secondo te?» le rispose mettendo su una vocina frivola e una posizione eccentrica: il polso di un braccio piegato all’insù, la gamba sinistra poggiata sull’altra a formare una C neolitica e l’altro braccio deposito sul fianco snello.
«Ma non dovresti essere al club?» le ricordò deglutendo a stento. Sperava invano che qualcuno si fosse travestito da lei o si trattasse di un’impensabile proiezione da laser.
«Ce l’ho, ma come vedi sono qui, non lì» disse con ovvietà. Poi si sporse in avanti nascondendo l’angolo destro del labbro sottile con la mano corrispondente.
«Pensavi davvero che te la avrei data vinta così facilmente? Sapevo che saresti venuta qui. Vedi? A volte anche io so essere Sherlock Holmes e tu un sospettato prevedibile» se la tirò ostentando un intuito che non era suo.
Infatti, in realtà non era stato così.
Dopo aver lasciato i sue piccioncini soli, Nami ormai arresa al fatto di aver perso, si era messa in sella alla sua bici, vagabondando senza metà per la prefettura.
Il caso o l’istinto aveva voluto farla ritrovare davanti al liceo dello Shohoku, di cui si era convinta di onorare della sua breve presenza.
Le storie che fece Sakuragi quando vide che fosse sola senza Saeko furono inenarrabili e le lamentele quando il rosso vide che la ragazza sbavava su Rukawa senza ritegno ancora più comiche.
Ovviamente Nami si era messa a sparlare con la gemella di questa loro sfida e a cercarne un consiglio.
Conoscendo la sorella come i ricci che entrambe possedevano, Ayako le aveva suggerimento di aspettarla dove si trovava perché, era sicura, che sarebbe passata di lì per ricrearsi con la stravaganza di Sakuragi e gli altri. Il resto stava accadendo nelle minuti attuali.
«Si, ma tu non dovresti essere qui. Non era nei piani» Saeko lo disse boccheggiando per lo shock.
Aveva previsto tutto tranne quello.
Di essere presa per i fondelli dalla sorella a causa della sua guerriglia alla conquista della foto, di essere biasimata da Sakuragi perché non gli mostrava la foto con tanto di muso lungo, ma non quello. Nami non avrebbe dovuto essere li in quel momento, per questo sosteneva che ci fosse lo zanpino di una mente più ingegnosa.
Una mente che guarda caso portava il suo stesso volto e che proprio adesso era intenta a salutarla con la manina.
«Sae? Tutto okay?» le chiese Nami. Vedendo che la ricciolina manteneva un colorito esangue e la mente assente, ne approfittò per sfilargli la foto dalla borsa.
Quel trafugare dentro la sua roba, la riportò alla realtà, però non in tempo, perché Nami stava già sgambettando da un angolo all’altro della palestra per mostrare orgogliosamente la foto quasi che fosse quella della sua primogenita nel suo passeggino: Rukawa non parve minimamente stuzzicato dalla cosa. Gli altri curiosi come gatti nel cortile del vicino, commentarono con un “Ohhhh” corale.
«Nami no!» le urlò Saeko quando la posizionò davanti agli occhi castano fuoco di Sakuragi.
Nel momento in cui il rosso vide chi erano i soggetti della foto strillò come una nonnina che era stata appena scippata da dei ladri in motorino. Saeko si inpanicò nell’attimo.
«Saeko, come hai potuto farmi questo?» le urlò contro con lacrimuccie visibili agli angoli degli occhi.
«Sakuragi non è come pensi» si affrettò a riparare la screpolatura fatta dal malinteso. 
«Quella foto è un inganno, noi, noi, stavamo litigando»
«Se quello lo chiami litigare, non oso proprio pensare come filtri con i ragazzi» la pizzicottò ilare Nami. Infastidita, Saeko se ne impose fronte su fronte con uno sguardo imbestialito. 
«Non stavamo filtrando, non mi sognerei mai di filtrare con un feticista di sorrisi da schiaffi come quello» sbraitò indicando la foto dietro la sua schiena.
«E comunque, dammi quella foto e basta» ordinò ormai stufa da quella iellata situazione. 
«Scordatelo» le disse Nami prendendo a saltellare un po’ di qui e di là alla maniera di un cucciolo di canguro.
«Vieni subito qui!» le impose Saeko riattaccando a rincorrerla
Quello scompiglio fece partire l’embolo ad Akagi che stava proprio rientrando in palestra dopo aver parlato dal telefono della scuola con la sorella, oggi non presente.
«Ma, che sta succedendo qui?» sbraitò Akagi avendo per vena sulla fronte una bomba pulsante. Ci avrebbe scommesso una gamba che c‘era di mezzo quella testa rosso fiamma come al solito.
Una volta individuato, si sarebbe fatto carico di assestargli una dose massiccia di cazzotti, ma quando mise a fuoco le due discole giovinette, le sue sopracciglia si unirono per la barbara sorpresa.
«Hey, un momento, voi due che state facendo, qui al centro della palestra, nel bel mezzo di un nostro allenamento?» le strigliò a dovere perché se c’era una cosa sulla
quale lui non transigeva categoricamente era la reietta indisciplina.
Il tempismo delle circostanze delle volte sembrava davvero andasse in giro vestito da clown.
Saeko aveva appena avvitato le dita sull’orlo della divisa di Nami, ma proprio allora, guarda un po’, come aveva voluto il caso, il senpai Akagi le aveva marciato incontro per dirgli di levarsi di torno e smettere di disturbare la sessione di allenamento.
«Ah, senpai Akagi» proferì Saeko morta dalla vergogna. Ora capiva come si sentivano Sakuragi e Kiyota ogni volta che venivano sgridati dai loro capitani.
Nami, da ne approfittò per liberarsi della presa e scappare dall’altra parte del campo.
«Nami!» le sbraitò impanicata ad una percentuale del cento per cento.
«Allora, signorina? Sto aspettando» un sopracciglio alzato e gli occhi serrarti a due fessure.
«Ecco...senpai...io...»
In che situazione disagevole mi sono cacciata per colpa di quella maledetta foto” pensò questa umiliata. Ma anche adirata.
Tuttavia sapeva anche che l’unico modo per dimostrarsi lodevolmente superiore era quella di mostrarsi disciplinata all’età e alle regole dei suoi senpai.
«Sono imperdonabile. Scusa la mia maleducazione. E quella della mia amica» Saeko fece da ammenda anche a Nami, alla quale scoccò un’occhiataccia refrigerata di sentimento.
«Mi mi levo immediatamente di torno» finì togliendosi speditamente dal mezzo del campo.
«La ragazza è in gamba» disse Akagi evidenziando la sua perplessità dallo sbatacchiare delle palpebre.
«Oh oh oh. Modestamente è mia sorella» si vantò Ayako facendo echeggiare per la palestra una risata vanesia.
Gli allenamenti ripresero perciò indisturbati da seccatore alticcio di vitalità e follia.
Prendendo posto in piedi al fianco della sorella, Saeko sbuffò incazzata e irritata, facendo lievitare davanti agli occhi una ciocca boccolosa.
Stava perdendo terreno, e perdendo terreno, l’ora della sua sconfitta sarebbe scoccata spietatamente puntuale.
La nostra eroina fece allora evaporare fuori un sospiro demotivato.
Le bruciava tantissimo, ma doveva ammettere di star fallendo miseramente. E di essere a corto di stratagemmi inventivi.
Non è così, ne ho ancora uno, in realtà”. Si rimembrò da sola.
Saeko in effetti aveva un collaudato quanto infallibile “asso” nella manica che corrispondeva alla descrizione di un tizio alto un metro e ottantasette, pelle di un delicato rosato, occhi blu indecifrabili come il cielo ostile d’inverno, sovrastati da un tendone di ciuffi della sua corta chioma mora.
Saeko si voltò con lentezza verso l’asso in questione. Subito, un cipiglio impensierito si delineò sulla sua fronte.
Come no. Più facile a dirsi che a farsi. Io con lui non ci ho mai parlato e non saprei proprio in che modo approcciarmene. Come dovrei comunicare con lui, se io per prima faccio schifo a farlo Saeko non lo riteneva una persona perniciosa o ne provava una soggezione emotiva relativa a quella del Senpai Maki, ma avere a che fare con un tipo mutangolo e apatico oltre ogni sproporzione umana, somigliava al scrivere un romanzo senza aver un minimo di cultura generale.
Gli epiloghi dei vari tentativi sarebbero sempre stati un fallimento dato dalle sue frigide repliche “Non mi rompere le palle” o “Vai a cagare”.
Ayako come cavolo ci era riuscita?” alzando gli occhi al cielo con la sua classica espressione spassosamente crucciata.
Anche se approfondendo sull’argomento, non era poi questo encomiabile successone.
Si, okay, si conoscono dalle medie, però...però era comunque un traguardo insignificante perché anche se Rukawa ne tollerava la voce e presenza nelle vicinanze, allo stesso modo, si poteva notare che lui non era poi tutta questa inverosimile loquacità con lei.
Ho capito. Sarà meglio orbitare la mia inventiva altrove”. Saeko era stata sul punto critico di desistere, ma il millesimo sproposito di Nami, le fece ritrovare la combattività ormai sbiadita. E da sbiadita era fortemente tornata a essere di una tonalità brillante.
«Adesso basta!» ringhiò risoluta a prendersi quello che gli apparteneva.
Tutti rimasero zitti ad osservarla indirizzarsi a passo spedito verso un Rukawa ignaro che aveva appena finito di concludere uno dei suoi stellari dunk.
«Si, ecco, cioè» Saeko si schiarì la gola nel momento in cui Rukawa stava raccogliendo la palla da terra.
Kami, che ansia Saeko non sapeva sinceramente cosa fare.
L’avrebbe mandata all’altro paese o finto direttamente che a parlare fosse stato uno spettro?
«Emh...Ciao, Rukawa» disse lei incerta.
Rukawa si voltò lentamente verso di lei rumoreggiando il suo solito «Mh!» che poteva voler dire
E questa qui chi sarebbe?” o “Che vuole da me questa?” o “Levati dalle palle che devo allenarmi”
«Ecco...io...suppongo che sai chi sono, ma dato che non ci siamo presentati ufficialmente» Saeko evitò di allungargli una mano e inclinò invece la schiena in un piccolo inchino di buona creanza. «Piacere sono Saeko, la sorella gemella di Ayako» Rukawa si asciugò metà viso con la maglia come per dire “E quindi?”.
«Ti – ti chiederai il perché sono qui a parlare con te…e….» cercò di avere una conversazione agevole, ma, il suo sguardo era magnetico, si, però anche restiamente glaciale, tuttavia Saeko, notò di non provare paura, ma solo di sentirsi sotto uno schiacciante, inesorabile giudizio.
Gardare tra gli occhi di Rukawa era come leggere un libro in lingua straniera conoscendone le parole basilari: dovevi continuamente controllare, consultare la traduzione per essere sicura di aver compreso perfettamente le frasi stampate.
«Cosa sta facendo? Gli sta chiedendo un appuntamento per farmi un dispetto?»
«Dopo Sendoh, ora anche Rukawa? Perché mi fai questo, Saeko?»
«Io penso che te lo voglia sguinzagliare contro» dicevano intanto rispettivamente in ordine Nami, Sakuragi e Ayako, con i colli allungati.
«Ecco...io...» proseguì perciò Saeko. L’espressione apatica di Rukawa e la sua insicurezza, però ebbero una reazione talmente eruttiva, da farla parlare a macchinetta per il nervosismo.
«Senti, lo so che non ci siamo mai parlati, e che quello che sto per chiederti mi renderà la peggiore opportunista della prefettura, ma se lo faccio è perché ho finito le mie risorse strategiche e tu sei l’unico che può riprendersi quella maledetta foto. Perciò, ti prego, per favore, strappa la foto dalle mani di quella pazza scatenata e, ti prometto che dopo spariremo dalla palestra» dopo tutto quell’ambaradan di sproloquio supplichevole, Rukawa non commento né a voce, né a gesti. O perlomeno lo fece, ma nel mentre che si incamminava verso l’obbiettivo designato da Saeko.
«Va bene. Basta che vi levate dalle palle» le disse quando la sorpassò. A Rukawa non importava un fico secco degli inciucamenti che c’erano tra gli studenti del Kainan e le stelle nascenti del basket del Ryonan e neanche quanto impudicamente incriminante fosse quella fotografia.
Il suo unico desiderio era che il suo allenamento pomeridiano filasse liscio come un gommone su uno scivola ad acqua, così da essere carico per il campionato nazionale. E forse qualcos’altro di più che gli frullava da un po’ in testa.
«Ha davvero accettato? Fatico a crederci» la voce di Ayako era la rappresentazione totale dello stupore.
«Ah! Rukawa che cosa hai intenzione di fare? Vuoi arruffianarti anche Saeko? Non te lo permetterò lei è la mia migliore amica e...»
«E sta zitto» Sakuragi era già pronto a sferrare uno dei suoi cazzotti micidiali, ma il moro lo mise freddamente a cuccia.
Rukawa si ritrovò quindi in un battibaleno davanti una Nami che fissava il suo bel volto inespressivo come se fosse quello di una statua greca.
«Oh, Rukawa. Vuoi..» la ragazza deglutì messa in difficoltà dalla sua vicinanza. Tuttavia, nonostante le provocasse un certo effetto, questo non le impedì di filtrarci senza pudore. 
«Vuoi chiedermi un appuntamento?» argomentò Nami, retrocedendo di un passo con la foto stretta tra le dita e ben nascosta dietro la schiena.
Rukawa si mosse roboticamente in avanti, iniziando ad allungare anche il suo chilometrico braccio.
«Oh, cosa? Vuoi baciarmi qui davanti a tutti?» Nami era specializzata nel rendere le situazioni ormonalmente incandescenti. 
«Ma se vuoi posso farmi dare le chiavi della terrazza e potremo spassarcela indisturbati per tutto il tempo che desideri» lo invogliò, schiacciandogli flautatamente un occhio.
Rukawa se ne avvicinò ulteriormente, facendo della voce di Nami solo una passeggera turbolenza aerea.
Quella vicinanza confuse la ragazza a tal punto di chiudere gli occhi e attendere uno schioccante bacio, ma Rukawa ne approfittò per strappargli la fatto dalle mani ora allentate dall’oggetto.
«Ah, maledetta volpaccia. E tu te la credi tanto e poi ti sei fatta fregare» protestò Hanamichi sconvolto.
Rukawa finse che non avesse mai parlato.
Nami che sembrava essere scesa adesso dal suo immaginario castello fluttuante per aria, nel frattempo berciò senza una fine quando si accorse di non essere più in possesso della fotografia. 
Rukawa intanto era tornato di fronte a Saeko e gli porgeva con impassibilità l’oggetto.
«Tieni. Ora sparite» le intimò poi.
Sbalordita Saeko, batté convulsamente le palpebre per tre volte sembrando una bambola di porcellana effettiva.
Era certa al novantanove virgola nove per cento che la sua arma segreta l’avesse incoronata vincitrice incontestata della sfida, ma non immaginava che fosse così istantaneamente efficace.
«Incredibile. Grazie» gli disse riprendendosela. Perciò, ripresasi dal subitaneo colpo di scena, afferrò l’amica per l’orlo della divisa, si accinse a sparire dalla palestra, augurando alla squadra un buon proseguimento di allenamento.
«Non vale hai barato» Nami contestò il responso della sfida una volta che furono all’esterno che ormai aveva assunto la tinta blu notte punteggiata dal bagliore giallo delle stelle come la divisa del Ryonan. 
«E quindi? Sbaglio o nella sfida non avevamo messo regole o divieti» la rimbrottò Saeko affrontandola ad occhio per occhio.
«Quello è vero» tintinnò Nami davanti al suo raziocinio.
«Ma mandarmi Rukawa è stato un colpo basso» Nami sostenne comunque la sua sottile fetta di ragione.
«Ma io ho agito semplicemente di conseguenza a te» gliela rivoltò astutamente contro Saeko, riferendosi alla comunella che faceva con Sendoh che dava sempre sbocco a stolti e loschi piani.
Nami a quel punto non ebbe più fette di ragione da rinfacciargli.
«Uff...va bene, te lo concedo. Scacco matto per te» ammise battendo i piedi con una faccia contrita. 
«Fantastico» festeggiò Saeko sentendosi finalmente prosciolta dalle limitazioni onerose che una sfida implicava.
«Ma la prossima volta vincerò io e sai perché? Perché per quel tempo avrò scoperto chi è il senpai che ti piace e allora lo userò come tuo punto debole e mio personale scacco matto» le dichiarò come se stesse facendo un giuramento di deferenza all'imperatore.  
«Come ti pare» diede risposta per niente turbata. Una seconda sfida non ci sarebbe stata perché quell’unica esperienza gli sarebbe bastata per i prossimi vent'anni futuri.
E se per un caso misterioso fosse riaccaduto, Saeko avrebbe adottato una condotta più massimalista e guardinga del solito.
«Ciao, Nami» le disse cominciando a pedalare e sventolandogli la mano sinistra per un secondo. 
«Ciao, ciao, Sae» ne ricambiò il saluto contenta come se avesse ricavato qualcosa da quella sua perdita.
La loro amicizia era così.
Bisticciavano, polemizzavano, si accapigliavano, si criticavano entrando in una vorticosa competizione di dispetti, ma una volta concluso e risolto lo scopo del litigio, si comportavano come ordinarie migliori amiche che non avevano passato il tempo a rendersi la giornata impossibile.
Verso la strada di casa Saeko si concesse di ascoltare la musica, immaginando trame e soggetti fatui.
Questo la aiutò a rilassarsi per benino.
Saeko quindi tornò a casa di buon umore, si fece un bagno rilassante, mangiò a sufficenza a cena
Finché si ritrovò sola nella sua stanza con la foto striminzita tra le mani.
Sulle sue labbra carnose si plasmò un lento ghigno tipico dei manigoldi che guardavano la loro refurtiva con occhi avidamente esauditi.
Adesso si che mi diverto”. Pensò, abbozzandosi nella mente il modo più appagante per disfarsene.
Appallottolarla?
Perché non smembrarla direttamente e fare tante palline per vedere quante ne vanno a segno nel cestino della spazzatura?” il ghigno di Saeko si contrassegnò ancora di più sulla linea curvata delle labbra.
Niente male come idea. Si questa mi piace un sacco.”
«Ma stai ancora con quella foto tra le mani?» le domandò d’un tratto la gemerla, facendola sobbalzare allo stesso modo di una molla.
La foto ovviamente le sfuggì dalle mani, andandosi a depositare nell’angolo sinistro della libreria.
«Ayako, mi hai fatto prendere un colpo!» la rimproverò risentita dalla sua improvvisata.
«E comunque, me ne sto per disfare» la informò un attimo dopo, voltandosi verso di lei a mento sollevato.
«Grandioso» criticò la gemella appesantendo appositamente la vocalità. Saeko alzò gli occhi al cielo innervosita da quel suo insoffribile vizio. Sapeva che quando lo adoperava significava che stava per trasformarsi nella sputasentenze della saggezza universale.
«D’accordo, che vuoi? Parla» le disse quindi.
«Mah, niente. Volevo solo suggeriti di non strapparla o gettarla via»
«Cos,,,perché?» Saeko scattò furiosamente in piedi.
«Perché vuoi o non vuoi, Sendoh fa parte di uno spicchio, se pur microscopico, della tua vita, e quella li nella foto è una parte di te di cui non puoi disfarti come un documento del computer che cancelli dal cestino. Sarebbe come il non accettarti completamente. O mi sbaglio a dire che quello è un frammento dei tuo lato caratteriale che più ami possedere?» Ayako interpretò in maniera così attendibile e filata il quadro generale, che Saeko rimase muta come un pesce.
«Vabbeh, buonanotte» gli augurò quando comprese che, almeno per quella sera, nessuna replica soversiva sarebbe uscita dalla bocca rigida della sorella.
«Buonanotte» mugugnò di rimando quasi incomprensibilmente.
Saeko perciò fece quello che le riusciva meglio: ragionò, anatomizzò e assorbì quello che gli era stato appena detto.
Lei sapeva che all'ottantaquattro per cento la gemella aveva ragione.
Saeko era già instradata in quella maturità procace che negli anni a venire l’avrebbe resa un modello a cui prestare ascolto e trarne insegnamento, però non negava che la Saeko che Sendoh riusciva a fare emergere sfavillava di una una grinta stilosa, che faceva da equipaggiamento alla sua originale personalità.
Amava essere inesauribilmente assennata, di avere i suoi prolungati tempi - che a volte includevano settimane su settimane – per scomporre le opzioni e prendere la decisione più confacente per tutti, ma non schifava certo neanche quella sua parte sapientemente intrepida.
Quando la sua testardaggine e impulsività prevalevano su qualunque altra cosa era perché voleva si batteva apertamente per un suo principio o la trattavano per stupida.
La Saeko che tirava fuori in presenza di Sendoh era la stessa che si manifestava adesso con Ayako, ma anche Nami, e chiunque gli avesse fatto schizzare i nervi alle stelle per via di qualcosa di incondivisibile che aveva detto e fatto.
Ayako ha proprio ragione” Saeko aveva capito l'antifona. La gemella gliel’aveva espressa facendola suonare per come doveva essere capita. Cristallina e senza metafore.
Perché strappare quella foto equivaleva al bandire lontano dalla sua anima una parte vitale di se stessa.
Quanto detesto la mia gemella” pensò remissiva. E Un sorriso le nacque spontaneamente tra le labbra.
Sapeva dove conservare quella foto.
Saeko quindi gettò fuori un pesante sospiro, poi spostò la sedia dalla scrivania all’armadio, da dove, stirandosi sulla punte, riuscì a recuperare una scatola nera piatta e rettangolare Immacolata dal giorno in cui l’aveva comprata.
Nera come un buco nero che tutto tratteneva, ma dal quale nulla era minimamente visibile.
La sua scatola degli “oggetti invisibili” l’aveva appena battezzata, perché quella scatola avrebbe contenuto quei manufatti della sua vita che sapeva avere, e ciò nonostante avrebbe fatto finta di non ricordarsi intenzionalmente della loro esistenza.
Saeko si voltò verso la parte destra della stanza.
G
iusto ora si ricordava di avere altre due cosette da poterci gettare dentro.
Perciò si alzò e le andò a recuperare. 

 

NOTE AUTRICE: Oh, finalmente posso postare la seconda e ultima parte della One Shot.
Bene, bene. Piaciuta? Siete d’accordo che fine ha fatto la foto in conclusione? E dell’interazione con Saeko e Rukawa che mi dite? Doveva accadere prima o poi che sti due comunicassero e io non vedevo l’ora. Rukawa è uno dei più difficili dal quale scrivere e ogni volta spero di non vado in OOC. Ma qui penso di essere stata fedele al suo personaggio come per Sendoh.
Comunque sono felice di averla scritta e spero che anche voi abbiate avuto una piacevole lettura.
Alla prossima (perché sicuramente scriverò altre cose di vario genere e fandom).
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Ci si sente. Byeeee.

   
 
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