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Autore: manpolisc_    28/11/2020    1 recensioni
•Secondo libro della trilogia•
Sharon Steel ormai crede di aver scoperto tutto di sé grazie agli avvenimenti estivi che hanno caratterizzato le sue vacanze, quando in realtà non sa ancora nulla di ciò che realmente è. Sicura di aver detto addio ad una minuscola ma significativa parte della sua vita, si ritroverà ad affrontarla di nuovo, e questa volta le cose saranno troppo diverse e non sarà sicura di riuscire ad accettarle.
Dal testo:
- Era solo un sogno. - Cerca di rassicurarmi, e lo ringrazio per avermi interrotto. Non sono certa di voler dire ad alta voce quegli orrori da cui la mia mente è ormai segnata.
- Si realizzerà. - Affermo completamente sicura.
- Solo se tu vuoi renderlo realtà. -
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

-Luke-

Collego gli ultimi fili alla sedia, passandomi poi il dorso della mano sulla fronte per asciugare il sudore. Prendo l’elastico al polso e mi lego i capelli in una coda veloce, per poi continuare a concentrarmi sulla sedia. Gabriel sarà qui a minuti. Mi metto in piedi a fatica e vado a cercare un cacciavite. Se non fosse per la protesi alla gamba destra, riuscirei a muovermi più facilmente. Dannato Harry e i suoi denti. Ero sicuro che avrei dovuto ucciderlo prima che lui mi facesse del male. Potevo conficcargli un proiettile in mezzo agli occhi, avevo la possibilità di salvarmi, invece ho aspettato inutilmente perché non ce l’ho fatta ad ammazzarlo. E ora mi tocca questa gamba finta per colpa sua. Almeno la mia famiglia è ricca e non ha avuto problemi a comprarmene una. Tra l’altro, essendo figlio unico sono abbastanza viziato, e sono cosciente di ciò, anche se non mi è mai interessata la montagna di soldi che potrei ricavare entrando nell'impresa di famiglia: la grande azienda Callaway, invidiata da tutto il mondo. Non capisco questa sete di potere da parte dei miei ma, non essendo Elementali, non hanno nessuna preoccupazione, inclusa quella per il loro figlio. Non devono tenere a bada mostri che vogliono solo ingurgitarli. Sebbene sia un Cacciatore Oscuro, e sia dalla parte dei mostri, sono anche cosciente che molti di loro rappresentano un pericolo, e Harry me ne ha data la conferma. Alcune volte penso che i dampiri siano perfino più forti dei vampiri, o forse è solo una mia impressione dal momento che uno di loro mi ha quasi staccato una gamba a morsi, mentre un normale vampiro si sarebbe limitato a prosciugarmi.
Faccio il giro intorno al tavolo dove ci sono tutti i miei attrezzi e cerco il cacciavite. L'unica cosa che i miei genitori mi hanno regalato, e di cui sono veramente contento, è questo laboratorio dove posso creare e montare quello che mi passa per la testa. A differenza loro e della loro impresa, le cose che invento sono unicamente frutto della mia testa, sebbene ora stia fabbricando una sedia per Gabriel, che non userà lui, ovvio. Se devo essere onesto, non sono sicuro di chi la utilizzerà: non ha proferito parola su ciò.
Comunque il laboratorio è davvero fantastico. Non sembra uno di quelli scientifici e senza vitalità, bianchi e statici. Odio quel tipo di ambiente e per questa ragione l’ho fatto costruire simile a un vecchio garage: perfino per entrare va tirata su una saracinesca. Subito dentro c'è questo enorme tavolo quadrato pieno di fogli e di bozze riguardo diverse invenzioni a cui lavoro quando non ho nulla da fare. Una volta avevo anche dei quaderni, ma credo che mia madre li abbia strappati. Da quando mi sono voluto iscrivere all'università d’ingegneria lei è sempre stata contraria a questa mia scelta. Non voleva che facessi la fine di mio padre, sempre chiuso nel suo laboratorio, dimenticandosi di tutto e di tutti. Poi, senza rendermene conto, sono diventato esattamente come lui. Forse perché sono sempre stato il più giovane della mia classe, e i ragazzi più grandi tendevano a escludermi. Frequentare l'università a soli sedici anni è davvero difficile. Comunque alla destra del tavolo c'è una libreria abbondante di libri sulla fisica, sulla matematica e sull'ingegneria in generale, e su tutti i suoi rami; nella parte sinistra invece sono presenti alcune delle invenzioni a cui lavoro di tanto in tanto: un nuovo sistema di hackeraggio, un jetpack, un orologio che si illumina ogni volta che cambia ora (è infantile, lo so, ma cominciai a costruirlo quando ero piccolo) e una vecchia batteria di un'automobile. In fondo alla sala, poi, c'è la sedia su cui sto focalizzando la mia attenzione. A prima vista è una normale sedia d’acciaio, ma sotto di essa c'è un sistema elettrico che, azionato con un piccolo telecomando, manda una scarica di corrente lungo tutto il mobile. Ovviamente la tensione è bassa: non vorrei che qualcuno rimanga folgorato a causa di una mia invenzione. La corrente serve solo a infastidire. Sui braccioli sono presenti due manette (più simili a due bracciali spessi e neri), con cui possono essere bloccate le mani, e altre due ai piedi della sedia per gli arti inferiori. Tutte sono in ferro. Inoltre nel progetto iniziale era inclusa anche una bomba, ma meglio non esagerare. Comunque sono soddisfatto di questa sedia: credo sia il mio lavoro migliore. Di sicuro migliore dell'orologio, ma avevo nove anni quando ho iniziato a lavorarci, anche se non l'ho mai portato a termine. E ora, a venti, non credo che sia di vitale importanza. L'unica cosa che vorrei aggiungere al laboratorio, però, è una seconda entrata dal giardino, giusto dietro la sedia, naturalmente spostando questa.
Non appena afferro il cacciavite ritorno vicino a quest’ultima e mi metto dietro di essa. Devo alzare il sostegno dello schienale, altrimenti neanche un puffo riuscirebbe a starci seduto sopra. Non vorrei che questa invenzione diventasse l'arma per un omicidio, ma quando è una cosa di vitale importanza per Gabriel c'è sempre il dubbio, sebbene non abbia ucciso nessuno e questo vada anche contro i nostri principi. Forse la deve usare come arma di tortura, ma chi può dirlo con certezza? Mi ci siedo sopra e controllo bene l'altezza a cui dovrò posizionare il sostegno: qualche centimetro più in alto dovrebbe andare.
Da un lato è una fortuna che Gabriel ancora non sia arrivato perché odia rimanere a fare nulla senza dare una mano, soprattutto quando si tratta d’ingegneria ed io non voglio aiutanti con il mio lavoro; dall'altro, sto cominciando a essere un tantino nervoso perché non è mai in ritardo e non vorrei pensare che sia successo qualcosa. Oppure semplicemente si è perso per strada. Giungere a casa mia, infatti, può essere leggermente complicato: è tra Las Vegas e Ruddy Village. Gabriel ha passato praticamente l'ultimo anno a vivere da me, ma nonostante tutto ancora non ricorda la strada e mi tocca andare a prenderlo qualche volta. Decido di non importarmene troppo, alla fine lui è Gabriel Mitchell. Tutti sanno chi è, o almeno l'hanno sentito nominare. Nessuna persona può vivere così a lungo, da sola e con solo il controllo di due elementi, senza essere ucciso da qualche mostro. Ma lui, ancora in un modo totalmente ignoto a me, riesce a controllare questi ultimi. Riesce a cavarsela meglio di chiunque altro.
Blocco il sostegno con la mano e mi alzo dalla sedia, senza perdere la presa, mentre appoggio il ginocchio sinistro sulla sedia e comincio a incastrare nuovamente le viti. Appena sono abbastanza strette poso il cacciavite e prendo il telecomando. In quel momento suonano alla porta: finalmente Gabriel è arrivato. Non mi preoccupo di andare ad aprire dal momento che ci penserà Sebastian, il mio maggiordomo. Qualche minuto dopo, qualcuno bussa alla saracinesca. Mi avvicino a questa mentre prendo un panno e mi pulisco le mani, ormai fin troppo callose e sporche di fuliggine. Schiaccio un pulsante e subito questa si alza. L'ho progettata in modo che si apra solo dall'interno cosicché nessun altro possa aprirla da fuori, ovviamente tranne me con delle apposite chiavi che porto sempre con me, legate in vita. Prima, quando avevo solo una semplice porta, tutti entravano e uscivano a loro piacimento, la lasciavano aperta ed io ero costretto a interrompere ogni volta il mio lavoro per chiuderla. Mi dà fastidio poi quando la gente si mette dietro di me a osservarmi mentre cerco di lavorare. Sembra che non vedano l'ora che io faccia qualcosa di speciale per stupirli mentre aspettano silenziosamente, standomi con il fiato sul collo.
Continuo a pulirmi le mani mentre Gabriel entra con passo felpato e le mani nella tasca della felpa bordeaux con su scritto "OBEY" in nero, con il cappuccio in testa che gli copre i capelli biondi e che lascia solo un piccolo ciuffo uscire. Ha un paio di jeans neri e delle Vans dello stesso colore della felpa. Sento il suo sguardo profondo su di me, anche se i suoi occhi blu, simili a quelli del gemello, sono coperti dai capelli che gli ricadono sul volto.
- Mi ero perso. - Annuncia mentre si avvicina a me, facendo muovere il piercing nero che ha sul lato sinistro del labbro inferiore. Accenno una piccola risata, lasciando il panno sul tavolo. Faccio il giro intorno a questo e mi avvicino alla sedia dopo aver chiuso la saracinesca.
- Non avevo dubbi. - Gli faccio segno di seguirmi. - Spero che tu non abbia consumato tutta la benzina del mio scooter. - Gli lancio un'occhiata. Lui si stringe nelle spalle, indifferente.
- L'ho finita, ma l'ho riempito. - Mi rassicura. - Allora, questa sedia? - Chiede curioso mentre si avvicina per osservarla meglio.
- È terminata strutturalmente. Devo solo controllare che la corrente elettrica non ci tradisca. - Lo informo mentre gli faccio segno di sedersi. - Mi dispiace dirti che tocca a te provarla. - Lo fisso. Lui ricambia lo sguardo per qualche secondo, poi annuisce e scrolla le spalle, come se gli avessi chiesto di andarmi a prendere un bicchiere d'acqua. È incredibile: non riesco a capire come faccia a essere tanto imperturbabile.
- Ti ho preso una cosa che dovrai aggiungere alla sedia. – M’informa mentre si siede e poggia le mani dentro le manette.
- Non credo che si possa aggiungere altro, Gabriel. - Mi avvicino per bloccargli le mani in quei bracciali. - Cosa ti serve? -
- Ho fatto qualche patto con una strega e ho recuperato questa. - Mette una mano nella tasca della felpa prima che possa legargli anche questa e ne estrae una boccetta con un liquido verde dentro. La afferro appena me la passa e la studio con lo sguardo.
- Che cos'è? - Lui mi sorride in modo abbastanza inquietante, ma non mi risponde e si accomoda meglio, studiando ciò che ho costruito.
- Non mi uccide, vero? – Chiede, facendo riferimento alla sedia, quindi scuoto la testa per rassicurarlo.
- Ti dà solo fastidio e ti fa venire voglia di uccidermi dopo. - Sorrido in modo divertito mentre poggio la boccetta sul tavolo e gli blocco anche l'altra mano, poi lo guardo. - Pronto? - Lui annuisce mentre premo un tasto sul telecomando e subito s’irrigidisce sulla sedia di botto e stringe la mascella. Allontano il dito dal pulsante per interrompere la scarica, timoroso che si possa essere fatto male, mentre lui abbassa il volto, coprendolo di conseguenza con i capelli. - Gabriel? – Rimane qualche secondo in silenzio, facendomi percepire solo il suo respiro stranamente tranquillo, poi alza la testa con ancora con i capelli sul viso.
- Devi aumentare un po' la tensione. - Afferma dopo mentre mi avvicino subito per slegargli le mani. La cosa migliore di lavorare con lui è che non si pone al di sopra di noi altri, ma al nostro stesso livello. Beh, forse l'unica cosa migliore del cooperarci. Altre volte sa essere davvero troppo impaziente. Si aggiusta i capelli, levandoseli di poco dagli occhi per poter guardare i miei. - Fallo. Poi butta quella boccetta sui bracciali, sia delle mani sia dei piedi. - Corrugo la fronte alla sua richiesta, non capendone il motivo.
- A quale scopo? - Lui mi sorride nuovamente.
- Tutto a tempo debito. - Sospiro. Sa che lo supporto sempre, ma quando si comporta in questo modo diventa abbastanza insopportabile. Sono un mezzo genio, non sono mica stupido che non posso capire queste cose. Sembra che mi tenga nascosto il suo piano apposta, come se ci fosse sempre qualcosa che non può dirmi e che forse mi farebbe cambiare idea e scappare via.
- Non mi hai neanche detto a cosa ti serve questa sedia. - Osservo mentre lui ci gira intorno e la studia attentamente, facendoci passare sopra la mano con lentezza per accarezzarla. Alcune volte mi sembra fin troppo inquietante, ma è solo il suo modo di fare. Infatti è uno dei ragazzi più riflessivi che abbia mai conosciuto: è capace anche di rimanere in silenzio l'intera giornata, e magari parlare poi tutto il tempo quella successiva, dicendo una cosa più intelligente dell'altra.
- Non è importante. Anzi, mi serve qualcuno che la provi. - Mi giro a guardarlo.
- Ma l'hai appena provata. - Obietto. Lui mi sorride di nuovo in quel modo furbo, ma allo stesso tempo sinistro, mentre intravedo uno scintillio nei suoi occhi anche da sotto i capelli e nella penombra del cappuccio.
- Qualcuno che la provi sul serio, e ho un'idea di chi possa essere. -
   
 
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